Drammatica testimonianza di Natascia, modella vittima della pillola ammazza-bambini
«Ministro Speranza, lei non ha mai abortito con quella pillola. Io
invece non riesco a perdonarmi per aver ucciso mio figlio, non è vero
che la RU è indolore, che è solo una passeggiata. Invece è terribile, ho
sofferto tantissimo e bisogna saperlo».
Di quel terribile periodo del luglio scorso,
Natascia B. ha un solo ricordo dolce che ogni tanto riguarda: «È una
foto che ho scattato poco prima di andare in ospedale a prendere la
pillola che ha ammazzato mio figlio. Ci sono io e sopra alla pancia c’è
il mio gatto che in quei giorni era l’unico che aveva voglia di
accoccolarsi su di me. La guardo tutti i giorni perché è l’unico ricordo
che ho del mio bambino. Vorrei che la pubblicaste».
38 anni, torinese, modella e personal trainer,
una bellezza di occhi corvini e capelli lunghissimi che nascondono il
grande dolore. Ma dal quale vuole risollevarsi perché «la mia storia
deve aiutare a far aprire gli occhi alle ragazze». La Nuova BQ l’ha intervistata dopo averla vista raccontare la sua esperienza con la RU 486 all’Associazione Giovanni XXIII (qui, al minuto 48 e seguenti, nella foto è con Andrea Mazzi dell'associazione di don Benzi) che aiuta le donne nelle gravidanze difficili e nelle sindromi post aborto di cui le linee guida del Ministero della Salute che hanno sdoganato l’aborto fai da te non si curano.
Natascia, si è sentita ingannata?
Sì,
ma in quei giorni del luglio scorso subivo violenze psicologiche e
fisiche da parte del mio compagno. In più la dottoressa che mi ha
consigliato la pillola fu sgradevole.
Che cosa le diceva?
Cercava di minimizzare. Diceva: «Se fossi mia figlia, te lo consiglierei».
Lei non capiva che cosa stava accadendo?
Io pensavo che fosse tutt’altro, avevo paura, certo, avevo letto qualcosa su Google
ma lei sembrava molto rassicurante e un po’ spazientita per i miei
dubbi. Continuava a ripetermi: «Ma no, avrai solo qualche mal di pancia,
sarà come una mestruazione, però più forte». Non sapevo a che cosa
sarei andata incontro.
Che cosa?
Che avrei espulso il mio bambino nel bidet e che avrei dovuto gettarlo nel water… (silenzio)… questo lo sa chi parla di Ru come sicura e indolore tanto da poterla fare a casa?
Il ministro ha parlato di un “passo avanti per la costruzione della civiltà”…
Civiltà?
Dopo l’aborto non sapevo che avrei avuto incubi di bambini buttati
nella toilette per mesi: sognavo di aprire il frigo, di versare l'acqua e
uscivano bambini. Non sapevo che avrei iniziato a soffrire di attacchi
di panico. Non mi sembra una grande civiltà. E della sindrome post
aborto non ne parlano. Ho visto con i miei occhi ragazze di 18 anni al
terzo aborto con la RU, ormai ne parlano come andassero dal
parrucchiere.
Lei era favorevole all’aborto?
Non
mi ero mai posta il problema, ma dicevo: “Ognuno deve sentirsi libero”,
quelle cose che si dicono quando non si è toccati. Poi io ero molto
indipendente, vengo da una buona famiglia, ho studiato, sono una donna
emancipata e dicevo che non bisogna arrivarci ad abortire. Basta
prendere gli anticoncezionali. Poi però ho avuto un problema di salute e
sono andata in amenorrea per sei mesi. Ma il vero problema era
ritrovarsi incinta a 37 anni con un compagno sbagliato e una dottoressa
che non ha fatto niente per dissuadermi.
Come ha fatto?
Sono
sicura che, se avessi avuto i 7 giorni di tempo che si danno non lo
avrei fatto, avere più tempo per riflettere mi avrebbe aiutato. Io non
avrei mai abortito chirurgicamente, ma ormai ero all’VIII settimana (il limite prima delle nuove linee guida era sette settimane, ora nove, ndr) e lei mi diceva che dovevo fare presto. Ho passato tre giorni a piangere e tremare.
Dove è avvenuto?
Sono
andata in Liguria, nella città di lui, la mia ginecologa è obiettore di
coscienza, non mi avrebbe mai fatto abortire. Quando le ho raccontato
tutto, ha pianto: «Nati, perché non sei venuta da me? Ti avrei aiutata».
Perché ha detto che le ha messo fretta?
Perché
per forzare la legge per la quale non poteva somministrare la pillola
all’VIII settimana ha scritto un referto in cui si diceva che avevo
problemi psicologici.
Non le ha parlato dei rischi altissimi a cui si va incontro?
Rischi?
Per lei era come prendere un’aspirina. Più le facevo domande più lei
svicolava: «Quindi, che lavoro fa? Ah... la modella? Beh, chiaro, la
capisco, allora bisogna risolvere velocemente. Posso vederla in qualche
pubblicità? Ah, come è bella…». Insomma: tutto per non affrontare la
cosa e farmi pensare ad altro, normalizzando la tragedia che stavo
invece per vivere.
Si è sentita usata?
Sì.
Come sono usate tutte le donne che si sentono dire che la RU non è
nulla, è sicura, che non ci sono rischi. Io sono molto istruita, ma in
quel frangente non ero affatto lucida, ero fragilissima e in quei
momenti non capisci nulla. Devi avere qualcuno che si prenda cura di te.
Ma questi non sono medici, evidentemente. È stato tutto così veloce
che, nei sette giorni che avrei dovuto avere per riflettere, ho invece
accelerato tutto.
Come?
Dopo
la visita, era un sabato, sarebbero dovuti passare sette giorni per
legge. Invece lei ha camuffato con un’urgenza e mi ha mandato in
ospedale dopo due giorni. Il martedì ero già in reparto e ho preso la
prima pastiglia (il mifepristone, che uccide il feto, ndr).
Problemi?
Nessuno, ma nel momento in cui ingoi la pastiglia hai perfettamente chiaro che stai ammazzando il tuo bambino.
La seconda pastiglia invece (il misoprostol, che espelle il feto provocando contrazioni ed emorragie, ndr)?
Il
giovedì seguente. Sempre in reparto. Dopo 15 minuti, ho iniziato ad
avvertire nausea e poi ho vomitato abbondantemente, tanto che mi sono
disidratata completamente. I denti hanno iniziato a battere fortissimo
come quando si gela dal freddo, ho chiamato la dottoressa.
E lei?
Mi guardava allargando le braccia come a dire: «Eh… è così, mi spiace…». È stato atroce.
Non le hanno dato nulla?
Solo del Brufen,
ma l’ho vomitato subito. Avevo contrazioni terribili, mi sono ritrovata
tutta rannicchiata di dolore nel letto e ogni volta che mi avvicinavo
al bagno avevo svenimenti.
Intanto loro?
Ogni
tanto si affacciavano e chiedevano: «Allora, è avvenuta l’espulsione?».
E io continuavo a dire di no. «Allora, stasera andrai a casa». Mi hanno
tenuto un’ora con dolori fortissimi al basso ventre e l’unica cosa che
mi dava un po’ di sollievo era stare accovacciata sul bidet con l’acqua calda nelle parti intime. È stato in quel momento che… (silenzio).
…che?
Che
ho espulso il sacco vitellino, credo che si chiami così. Ho visto come
un piccolo organo di colore rosso dentro al quale in trasparenza ho
visto un feto di colore beige. Era il mio bambino. L’ho dovuto prendere e gettare nel water.
…mi spiace, non so come proseguire.
Piangevo
disperata, l’ho riconosciuto benissimo perché è un’immagine che si
identifica subito. Era il mio bambino appena morto. Un’infermiera mi si è
fatta vicina, mi ha asciugato le lacrime. Poi mi sono rivestita e mi
sono portata a casa tutto il fardello.
Il senso di colpa e il dolore fisico…
Capite
perché adesso permettono alle donne di andare a casa dopo aver preso la
pastiglia? Perché anche i medici e gli infermieri in ospedale non ce la
fanno più a vedere queste cose: è chiaro a tutti quello che accade.
Eccola la “mestruazione più abbondante del solito” di cui parlava la
dottoressa e di cui parlano i medici che la spacciano come una
passeggiata.
Nei giorni seguenti?
Un
calvario. Ho avuto crampi per settimane. Dopo 10 giorni, l’utero non si
era pulito bene, sono andata dalla mia ginecologa a Torino, le ho
raccontato tutto vincendo la vergogna. Mi ha accolto in lacrime. Poi mi
ha diagnosticato un fibroma e i valori del sangue sono spesso sballati.
È una conseguenza della RU?
Lei si è insospettita molto, di sicuro prima non ce l’avevo.
Natascia, è una storia molto dura, ma che ha il merito di essere raccontata. Lei si è mai perdonata?
No, non mi perdonerò mai, perché Dio da lassù voleva farci un regalo bello e io l’ho buttata via.
Però ha avuto il coraggio di parlare…
Spero che serva a risparmiare il dolore ad altre donne o ragazze.
Ha paura di essere stigmatizzata?
Si,
ho messo in conto che sarò criticata dal mondo intero. Ma chi critica e
dice che la donna deve essere libera non ha mai abortito.
Ci
sono storie di rinascita anche di donne che hanno abortito più volte.
Ha mai pensato che il primo ad averla perdonata è proprio il bambino o
la bambina che aveva in grembo?
Le racconto una cosa che non ho mai detto a nessuno.
Sì…
Doveva
nascere nella prima settimana di marzo. E dalla prima settimana di
marzo ho smesso di avere incubi, ho iniziato a sognarmi con in braccio
una bambina, mi svegliavo felice e mi sentivo meglio.
Che cosa si sente di dire ai medici del Consiglio Superiore di Sanità che hanno detto che la pillola Ru 486 è sicura?
Che non l’hanno mai usata. Solo questo.
Se rincontrasse quella dottoressa?
Che
si parla tanto di libertà, ma mai di salute, la donna viene vista come
un oggetto, è un sentimento terribile. Io non sapevo neanche che cosa
fosse una sindrome post aborto ed è terrificante, non si tratta di
forzare una donna a tenere il bambino, ma di aiutarla a riflettere. Io
non avevo bisogno di aiuti economici, ma psicologici sì. Invece questa
dottoressa non si è preoccupata un attimo di capire la situazione, a lei
importava che io assumessi quella pillola perché era la cosa più rapida
per risolvere il problema. Ora faccio i conti con i sensi di colpa.
Lei
ha subito un trauma, ma il fatto che sia qui a parlare e a denunciare
quanto avviene fa parte di un cammino. La sua vita non è finita in quel
bagno di ospedale.
Forse, di certo non riesco a non guardare in faccia la realtà.
Un cammino che è iniziato quando ha preso quella pillola e che non si è ancora concluso.
Lo spero, solo Dio sa dove mi porterà.
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