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VITA INTERNA DI GESU' CRISTO





VITA INTERNA DI GESù CRISTO
MANIFESTATA DA GESù ALLA SUA SERVA DONNA MARIA CECILIA BAIJ
(1694 -1766) BADESSA DEL MONASTERO DI S. PIETRO DI MONTEFIASCONE
a cura di Mons. PIETRO BERGAMASCHI (1863 - 1928)
TERZO VOLUME
3a Edizione MONASTERO DI S. PIETRO - BENEDETTINE DEL SS. SACRAMENTO MONTEFIASCONE (Viterbo)
DONNA MARIA CECILIA BAIJ o, S. B.

Protesta dell'Autore
Conformandomi ai decreti di Urbano VIII, come ai decreti posteriori della Sacra Congregazione dei Riti, dichiaro solennemente che alle cose narrate in queste pagine, non intendo sia attribuita altra fede ed auto-rità, da quella che merita ogni veridica testimonianza umana, e che in nessun modo voglio prevenire il giu-dizio della Sede Apostolica, della quale mi professo ub-bidientissimo figlio.

CURIA VESCOVILE DI MONTEFIASCONE 10 Aprile 1961
IMPRIMATUR
LUIGI BOCCADORO
Vescovo di Montefiascone e Acquapendente

VITA INTERNA DI GESU - DAL PRELUDIO DELLA SUA PASSIONE SINO ALLA CONDANNA DI CAIFA
DALLA SUA CONDANNA ALLA MORTE.
DALLA RISURREZIONE ALLA GLORIOSA ASCENSIONE.

CAPO PRIMO
Dell'andata di Gesù in Bethania dove risuscitò Lazzaro e di ciò che in tale occasione operò nel suo interno sino al ritorno in Gerusalemme, dove fu ricevuto con rami di olivo e con gran festa della turba.

MALATTIA E MORTE DI LAZZARO
Mentre stavo con i miei discepoli nelle terre e nei castelli intorno a Gerusalemme, predicando ed istruendo quelle popolazioni, con maggior sollecitudine ed amore, onde prepararle a soffrire il gran colpo per la mia perdita, s infermò Lazzaro, fratello di Marta e di. Maddalena, mie discepole ed amorevoli albergatrici. Avendo esse inteso che io stavo non molto lontano, mi fecero avvisato dell'infermità del loro fratello, col dirmi, che colui che io armavo si era infermato. Esse non avevano ardire di mandarmi a chiamare, perché sapevano che gli Scribi e i Farisei mi perseguitavano a morte; quindi temevano che io potessi cadere nelle loro mani. Inoltre avevano ferma fiducia che io anche da lontano avrei potuto guarire Lazzaro dalla sua grave infermità, col comandare a quella che lo lasciasse libero. Pensavano anche che per l'amore che gli portavo, sarei andato in persona a vederlo e a rendergli la salute, perché sapevano che, volendolo, io avrei potuto sempre liberarmi dalle mani dei miei nemici, pur trovandomi fra di loro. Ricevuto pertanto l'avviso, mandai a dir loro che sarei andato. Ma mi trattenni coni miei apostoli per altri dure giorni, seguitando ad istruirli. Volli in questa circostanza operare non solo il miracolo della resurrezione di Lazzaro, ma dare anche una prova dell'amore che a me portavano le due sorelle, restando forti nel travaglio, e dando esempio a tutti i miei seguaci sul comportamento che debbono tenere nei travagli, quando sembri che io li abbia abbandonati e mi sia di loro scordato. Mi stavano ad aspettare con gran desiderio le due sorelle, ed io pur udendo i loro gemiti e le loro suppliche, mi trattenevo di andarle a consolare. Sentivo però una grande compassione di esse, e pregavo il divin Padre di consolarle. Morì Lazzaro, ed io, conoscendo il travaglio grande di Marta e Maria, intesi pena nel vederle in tanta afflizione, ma godevo nel saperle tanto rassegnate, incapaci di un minimo lamento verso di me, pur non ignare che poteva consolarle, col liberare il fratello dalla morte. Tutte rimesse alla divina volontà, dicevano fra di loro: il nostro buon Maestro non ci ha consolate col dar la salute al nostro fratello, perché non l'abbiamo meritato, o perché questa sarà stata la volontà del suo divin Padre. Desideravano però tanto di vedermi, di parlarmi e di essere da me consolate, massime la Maddalena, che sì ardentemente mi amava.

OPERA DEL DEMONIO - ASSISTENZA DI GESù
Né vi mancò in tale occasione chi loro rinfacciasse la molta cordialità e carità usate verso di me e dei miei apostoli, dicendo che nel maggior loro bisogno io le avevo abbandonate, che mentre davo a tutti La salute, solo al loro fratello l'avevo negata, che io le ripagavo con ingratitudine, e non ero quello che esse mi ritenevano. Varie altre cose dicevano ad esse per mettermi in loro disgrazia. Il nemico infernale si adoprava, quanto poteva, per turbare quelle anime con le suggestioni, istigando i miei avversari a parlare contro di me, acciò le due sorelle non avessero in conto alcuno la persona mia, e si ritirassero dal bene incominciato, specialmente la Maddalena, per la quale egli molto fremeva, perché a causa della di lei conversione aveva fatuo perdita di tante altre anime, che, per il suo esempio, avevano incominciato a vivere bene, essendosi ritirate dal male. Tutto ciò io vedevo ed udivo, e non mancavo di porgere suppliche al divin Padre per le due sorelle, acciò le assistesse con la sua divina grazia, le illuminasse e fortificasse nella fede. E difatti non mancò il divin Padre, di consolarle con la sua grazia, di illuminarle e di confortarle, ed esse, sempre forti e costanti nell'amore e nella fede verso di me, stavano con speranza certa che io sarei andato a consolarle. In questa circostanza, non mancai di pregare il divin Padre per tutti i miei fratelli, massime per i miei seguaci, perché desse loro la sua grazia, i suoi aiuti ed i suoi divini lumi in tali occasioni. E vidi che molti sarebbero stati travagliati in vari modi e dalla gente perversa rimproverati per gli ossequi e le servitù prestate al Padre mio ed a me, mentre, in tempo di bisogno, restano da noi abbandonati, e non vengono esaudite le loro suppliche. Vedevo che si sarebbe molto affaticato in questo officio il demonio, per farli, con le sue suggestioni, cadere In diffidenza, e mancar di fede nella divina bontà e misericordia. E vidi che in tale occasione, il nemico infernale procurerebbe di mettere l'odio contro di me nell'animo di coloro che mi servono e mi imitano, tacciandomi di crudele, di spietato. Vedendo allora tutto questo, orai al divin Padre, e lo supplicai del suo aiuto e della grazia per tutti quelli che sarebbero stati in tal modo travagliati e tentati. Vidi, che il divin Padre non avrebbe mancato di dare a tutti il lume, le grazie e gli aiuti particolari, perché possano vincere il tentatore, e rimettersi, in tutto e per tutto, a ciò che il divin Padre dispone e permette. Vidi ancora, come molti si sarebbero approfittati e ben serviti della suddetta grazia, lasciando confusa il nemico infernale. Io di ciò molto godetti e resi grazie al divin Padre. Intesi però dell'amarezza vedendo che molti si sarebbero lasciati vincere dal nemico infernale e dagli uomini perversi, non ascoltando le divine ispirazioni, non servendosi dellaa grazia che il divin Padre loro dà, lasciandosi trasportare dalla passione, per dare .più udienza ai suoi nemici, che ai lumi ed alla grazia dell'amoroso Padre. Ed io, allora, pregai di nuovo per essi ed offri al Padre i miei meriti, impetrando loro una maggior grazia. Vidi allora, che, per questa, molti si sarebbero ravveduti, e, pentiti, si sarebbero rimessi, in tutto e per tutto, alla divina disposizione. Di ciò mi rallegrai rendendo grazie al divin Padre, benché poi non mancasse a me da soffrire dell'amarezza nel vedere il gran numero di quelli, che si sarebbero abusati anche di questa maggior grazia. Ottenuto questo dal divin Padre, lo ringraziai a nome di tutti i miei fratelli che le avrebbero ricevute ed avrebbero corrisposto, pregandolo di consolarli con la sua divina grazia. Vidi, che il Padre l'avrebbe fatto, e di tutto lo lodai, benedii e ringraziai.

VERSO BETHANIA
Essendo già seguita la morte di Lazzaro, mi avviai con i miei apostoli, verso Bethania, per operare il miracolo: Vedevo che per questo fatto, i Farisei si sarebbero più che mai infuriati, ed avrebbero procurato in tutti i, modi di darmi la morte, perché la gente credeva in me, e molti mi acclamavano. Con tutto ciò andai per eseguire la volontà del Padre, perché era arrivata l'ora di dar principio calla mia acerbissima passione. Rimiravo per la strada il discepolo traditore, che in breve mi doveva tradire, ed oh! quanta pena soffriva il mio Cuore! Non lasciai però di tirarlo in disparte ed avvertirlo che stesse bene attento, perché il demonio e la sua passione l'avrebbero vinto. Ma il discepolo non diede udienza alle mie parole, anzi, si offese, con dire, che solo a lui davo quegli avvertimenti. lo risposi che solo lui mi sarebbe stato traditore. E di nuovo con parole amorose l'avvertii. Ma lui, vantandosi di essere persona fedele, diceva che mai sarebbe caduto in quel mancamento di cui tanto lo avvertivo. Il vedere, come Giuda stava forte nel suo pensiero, e che tanto di sé presumeva, mi era di una più dura pena. Volli tuttavia fare con questo traditore tutte le parti, perché stesse attento e non si lasciasse vincere. Ma niente giovò, perché da principio incominciò a non dar credito alle mie parole. Vedevo, nella persona di Giuda, tutti coloro che non ascoltano, anzi disprezzano chi li ammonisce; e li avverte a stare attenti, acciò non cadano in errore. Ed anche di questi sentivo pena e supplicai il divin Padre ad illuminarli, onde conoscano chi li avverte per loro bene e diano orecchio e credito alla loro ammonizione, affinché venendo assaliti dalla passione che li predomina e dalla tentazione, stiano ben preparati, e non si facciano vincere. E vidi che molti si sarebbero prevalsi dei lumi che loro avrebbe dato il Padre mio, restando vincitori dei loro nemici e delle loro passioni: e che altri si sarebbero arresi ad udire volentieri coloro che, per loro bene, li,ammoniscono. Perciò pregai il divin Padre ad ispirare alle persone dabbene, che si applichino nel santo esercizio, di ammonire i delinquenti e di non desistere, quantunque vedano che essi non danno orecchio alle loro ammonizioni, perché col perseverare, avranno buon esito le loro esortazioni, o almeno potranno acquistare molto merito per la carità usata al loro prossimo errante. E vidi che il divin Padre l'avrebbe fatto. Ne intesi consolazione e lo ringraziai. Seguitando pertanto il viaggio verso Bethania, dissi ai miei discepoli, che io andavo a svegliar Lazzaro dal sonno Ed essi non avrebbero voluto, dicendomi, che per questo non occorreva che io andassi in Bethania, né mai conveniva farlo, sapendo che gli Scribi e i Farisei mi volevano uccidere. Non capirono essi il mio parlare, perciò dissi loro chiaramente, che Lazzaro era morto. Si stupirono; avendo io detto prima, che non sarebbe morto, non essendo quell'infermità per dargli la morte, ma perché il Figlio di Dio doveva restar glorificato per mezzo di essa. Solevo chiamar sonno quella morte, perché è la morte dei giusti; infatti se muore il corpo, vive l'anima vita di grazia. Seguitando pertanto a ragionare con i miei apostoli ed istruirli sopra di questo, mi avvicinai a Bethania.

IN BETHANIA
Entrato, fui da molti riconosciuto, e fu dato avviso a Marta del mio arrivo. Tutti dicevano, che pero venuto quando non potevo più consolare le due afflitte sorelle, con rendere la sanità al fratello, perché già era putrefatto nel monumento. Con tutto ciò, vi furono molti che si rallegrarono del mio arrivo, per il desiderio che avevano di udire la mia predicazione e di vedere i miei miracoli. Inteso Marta del mio arrivo, si licenziò subito, e venne ad incontrarmi, facendone dare avviso anche a Maddalena, la quale si tratteneva con molte persone ragguardevoli, che erano venute da Gerusalemme, a visitarla e condolersi della morte del fratello. Arrivata Marta alla mia presenza, dolente mi disse, che il suo fratello era morto, e che se ci fossi stato io non sarebbe morto. Io le risposi: Vostro fratello risusciterà. Ed ella, credendo che parlassi della risurrezione generale, mi rispose: « lo so che risusciterà nella generale risurrezione ». Dissi a lei: « Io sono la risurrezione e la vita. Chi crede in me, vivrà, quand'anche fosse morto, e chiunque vive e crede in me non morirà in eterno ». E le chiesi se ciò credeva. Rispose che aveva già creduto che io ero il vero Figlio di Dio vivente, venuto al mondo. Intanto fu avvisata Maddalena, che si tratteneva con quelli che erano venuti da Gerusalemme per consolarla. Le dissero che io ero venuto, ed ella subito si alzò, e corse veloce a trovarmi. Le persone che erano con lei la seguirono. Arrivata alla mia presenza, si gettò ai miei piedi, conforme era solita, e li baciò. A questo fatto rimasero ammirati coloro che la seguivano. Tutta dolente per la morte del fratello, piangeva con Marta sua sorella; ed anche gli astanti piangevano per compassione.

GESù PIANGE E VA AL SEPOLCRO
Vedendo il loro dolore, versai lacrime, lasciando che la mia umanità facesse testimonianza dell'amore che portavo loro, per cui molto le compativo, benché le mie lacrime non fossero senza mistero, come sentirai. Riavutasi Maddalena alquanto dal piangere, mi disse: Maestro se voi foste stato qui, mio fratello non sarebbe morto. Io le risposi che si consolasse, perché in tal fatto Iddio voleva restare glorificato. Tutti i presenti, nel vedermi lacrimare, unitamente dicevano: «Guardate fino a qual segno l'amava, sino a sparger lacrime per la morte di lui e per compassione delle due sorelle». Apportarono grande ammirazione le mine lacrime anche gai miei apostoli, perché non ero salito versarle. E perciò dicevano: «Quanto il nostro Maestro amava Lazzaro! Anche lui piange con le sorelle! ». Tutto io penetravo. Intanto, stando tutti quivi dolenti, chiesi dove stesse Lazzaro e che mi conducessero da lui, al suo sepolcro. Le sorelle e gli altri mi consigliarono di andare prima a prendere qualche riposo, essendo arrivato molto stanco ed afflitto con i miei discepoli. Ma io volli andare subito al luogo dove stava il defunto. Mi condussero al sepolcro, Seguendomi tutti gli astanti, per vedere che cosa io avrei operato. Secondo il mio solito. nell'andare dava loro vari documenti, con la mia solita sapienza, per la quale restavano tutti ammaestrati. Frattanto rivolsi le mise suppliche al Padre, pregandolo e volersi degnare di restituire il fratello defunto alle due afflitte sorelle, facendo sì che al mio comando, l'anima si riunisse al corpo del defunto; onde restasse glorificato Lui, ed io, per sua gloria; ed ognuno conoscesse, che io pero il vero Messia da Lui mandato, e che la vita e la morte stavano in mio potere, come aveva Egli voluto; che infine per il detto miracolo, si fossero convertiti molti dei presenti. Mi compiacque il divin Padre di quanto richiesi. Nella morte di Lazzaro, vidi tutti coloro che sarebbero morti alla grazia per il peccato, e che poi sarebbero risorti a vita di grazia per la penitenza. E nel vedere la morte di tante anime, versai lacrime, per il dolore grande che ne intesi, ed offri le mie lacrime al divin Padre. E perché erano di valore infinito, il Padre si degnò di concedermi quanto per esse gli domandai, di essere cioè liberale nel dare la sua grazia al peccatore contrito, affinché si convertisse, ed il lume per conoscere i suoi errori. Vidi che il Padre l'avrebbe eseguito fedelmente, in virtù delle offerte che gli feci, le quali furono a Lui molto gradite. Vedendo allora tutte le anime che sarebbero risorte a vita di grazia, ne intesi molta consolazione, e ne lodai e ringraziai il divin Padre. Intesi però dell'amarezza nel vedere, che molti avrebbero abusato della detta grazia, rimanendo sepolti nelle loro iniquità. Pier il che io di nuovo sparsi lacrime che offri al Padre, supplicandolo di una maggior grazia per tutti quelli che non avrebbero voluto convertirsi. E vidi, che il Padre avrebbe dato la suddetta grazia agli ostinati, e che per la medesima grazia molti si sarebbero ravveduti tornando a vivere con Dio. Io ne godei moltissimo e ne resi grazie al divin Padre; restando però in me l'amarezza nel vedere che un gran numero sarebbero rimasti sepolti nella loro iniquità, senza mai risorgere a vita di grazia. Conobbi ancora che per la risurrezione dl Lazzaro, gli Scribi, i Farisei, i Sacerdoti e gli Anziani si sarebbero molto più infuriati contro di me, che avrebbero radunato un gran concilio, determinando in tutti i modi di darmi la morte. Con tutto ciò non lasciai di fare il miracolo, sebbene sapessi che i malvagi ne avrebbero preso motivo per levarmi la vita. Pregai il divin Padre a dare virtù e grazia ai miei fratelli e seguaci, ad operare il bene ed a beneficare i loro prossimi, pur conoscendo che per far questo, dovranno soffrire persecuzioni e travagli, e forse anche perdere la vita; grazia ancora per fior ciò costantemente, sicuri dell'eterna retribuzione nel Regno dei cieli. Vidi allora tutti coloro che avrebbero sostenuto travagli, :persecuzioni ed anche la morte dagli iniqui, per beneficare i prossimi, sia nello spirituale che nel temporale. Per gessi pregai di nuovo il Padre ad abbondare con la sua grazia e con gli aiuti divini. E vidi, che il Padre l'avrebbe fatto con grande amore, ed io gliene resi grazie a nome di tutti.

RISURREZIONE DI LAZZARO
Arrivati pertanto al sepolcro, dove giaceva il defunto, ordinai che si levasse la lapide, che lo copriva. A quest'ordine risposero, che il cadavere era già putrido, per essere passati già quattro giorni. Con tutto ciò ubbidirono al mio comando. Levata la lapide, alzai gli occhi al cielo, invocando di nuovo l'aiuto del divin Padre. Feci questo, non già perché non avessi il dominio sopra la vita e la morte, essendo come Dio uguale al .Padre, ma per mostrarmi in tutto e per tutto Figlio a Lui soggetto. Lo ringraziai della potestà che mi aveva dato, e con voce imperiosa, dissi: Lazzaro vieni fuori! ordinando nello stesso tempo all'anima di ritornare a ravvivare quel putrido corpo, ed al corpo di riprendere il suo primo vigore (1). Detta la parola, subito il defunto si alzò, ed uscì dal sepolcro perfettamente sano. Ordinai che fosse sciolto dai legami ed altro con cui solevano coprire i morti; e subito cominciò a camminare ed a lodare la persona mia, e il divin Padre, che mi aveva mandato nel mondo. A questo fatto restarono tutti ammirati, pieni di stupore, ed unitamente lodavano la persona mia, restando il divin Padre glorificato in me. Le due sorelle, ripiene di consolazione, magnificavano il divin Padre e la persona mia, dichiarandomi pubblicamente per vero Messia e vero Figlio di Dio. Molti degli astanti credettero in me, e tutti glorificavano e lodavano il Padre che mi aveva mandato loro, dicendo: Veramente questi è il Messia promesso: le opere sue mirabili ce lo dimostrano chiaramente! Resi pio le grazie al divin Padre e parti con tutti gli astanti, tornando tutti a casa di Marta e di Maddalena con il loro fratello. Per il cammino andavo loro narrando le grandezze del mio Padre celeste: la potenza, la sapienza, 1a bontà, e tutti gli altri suoi attributi. Corse tutta la gente del paese, per vedere Lazzaro risuscitato, ché si era divulgata la fama e tutti restavano attoniti e stupiti, chiamandomi gran Profeta e Messia promesso.

CONCILIABOLO DEI FARISEI
Corse subito avviso di ciò, in Gerusalemme, e inteso il fatto, gli Scribi e i Farisei, si adunarono tutti, e presi dal timore, nel vedere che molti credevano in me, per le opere stupende e prodigiose che facevo, dicevano fra di loro: Cosa facciamo noi? Qui non si deve prender riposo. Quest uomo fa molti prodigi. Ecco, tutti crederanno in Lui, e verranno i Romani e ci leveranno i nostri posti. Bisogna in tutti i modi procurare di levarlo dal mondo. Tutto ciò dicevano fra di loro, ma intanto non sapevano come fare per avermi nelle loro mani. Dicevano: Costui è un grande incantatore, perché non vi è alcuno cui basti l'animo di porgli le mani addosso. A noi non è giovato di metter la taglia a chi ce lo avesse dato in mano. è un gran seduttore, che seduce tutto il popolo. Dove va, perverte tutti. Ciò dicevano infuriati, fremendo, quasi leoni affamati per divorarmi. Io vedevo e sentivo tutto ciò, e molta era l'angustia del mio Cuore, per tanta malignità e durezza. Sentivano parlare delle opere mie meravigliose, avevano udito la mia divina sapienza, sapevano che quasi tutti credevano in me, avevano chiari segni della mia Divinità, eppure sempre più si facevano accecare dalla loro rea passione. E per i lumi divini, che lo impetravo loro dal Padre, capivano chiaramente la mia santità, la mia innocenza ed anche la mia Divinità, e si fermavano alquanto in queste riflessioni; ma usciva subito la loro passione dominante, e scacciava via tutti i lumi e le riflessioni buone. Allora dicevano Non sia mai, che noi ci abbiamo da soggettare a costui, vile, malnato, vagabondo, indemoniato, che sempre è stato contrario alle nostre opere, e si ritira dalle nostre azioni, e le biasima come pessime. Costui è superbo, e pieno di malizia; si chiama Figlio di Dio, si gloria di avere la scienza divina. Che facciamo noi, scocchi, che non tentiamo tutte le vie per opprimerlo e levarlo dal mondo? E quivi, uniti insieme, facevano a gara, a chi più mi poteva ingiuriare e conculcare. E con atti di disprezzo battevano i piedi in terra, e dicevano: Se arriviamo ad averlo nelle mani, ha da essere da noi conculcato, e ha da star sotto ai nostri piedi. E fin d allora andavano premeditando di farmi tutti i disprezzi ed affronti, che poi mi fecero, per mezzo dei loro ministri, nel tempo della mia Passione.

CONSIGLIO E DECRETO DI MORTE
Si accordarono tutti insieme, ed andarono in casa dei Caifa, pontefice d allora, in Gerusalemme. Gli raccontarono tutto, mascherando la loro passione con titolo di zelo, e quivi, in presenza del Pontefice , si fece il consiglio, e si determinò di darmi la morte, dicendo loro Caifa: è espediente, che quest'uomo muoia, acciò non perisca tutta la gente. A queste parole, tutti quelli del consiglio si rallegrarono, ed acclamarono con voci di giubilo il decreto. E così fu stabilito che io dovessi morire, e con questa, tutti partirono a dar ordine, che chi mi avesse trovato, mi avesse preso, e chi sapeva dove io dimoravo, l'avesse loro avvisato (1). Vidi ed intesi il consiglio e il decreto fatto contro di me; Vidi che il divin Padre aveva ciò decretato, e fatto dire al pontefice, quantunque iniquo, l'oracolo che io morissi, acciò non fosse perita la gente, e con la mia morte si fosse salvato il mondo. Sebbene il pontefice dicesse queste parole con altro senso, con tutto ciò fu profezia, che il divin Padre fece pronunziare a lui, benché nessuno degli astanti la capisse e l'interpretasse nel giusto significato. Chinai la testa all'udire detto decreto, e mi offri tutto al Padre, pronto a dar la vita per la salute del mondo, dicendo: Eccomi pronto, o mio divin Padre, a dar la vita, per la salute di quelli che la vorranno, anche se fosse per uno solo, pur sono pronto a morire per la di lui salute, e per eseguire in tutto il vostro divino volere. Perciò accetto volentieri la morte più ignominiosa, che mi sarà data dai miei, crudeli nemici, per la salute dei quali muoio volentieri, non escludendo neppur uno solo dal beneficio della redenzione, bramando che tutti si salvino. Perciò, vi prego, o mio divin Padre, a fare che tutti si valgano del beneficio, e se, per la salute delle anime, volete altro da me, eccomi pronto, sino a star penando per tutto il tempo che durerà il mondo, perché io mi soggetto in tutto al vostro divino volere. Gradì il divin Padre l'offerta; e dimostrandomi il sommo compiacimento che aveva in me, mi promise che avrebbe fatto tutto ciò che fosse stato necessario, onde tutti si fossero salvati; rammaricandosi però che molti non si sarebbero voluti approfittare del beneficio, ed avrebbero prese vane le molte grazie, ch Egli per amor mio, avrebbe loro compartito. Difatti allora vidi la moltitudine di coloro che si sarebbero perduti, e ne intesi grande amarezza. Ringraziai il Padre per tutte le grazie che avrebbe ad essi compartito, e gli offri i miei meriti, la mia pronta obbedienza al suo volere, in supplemento di tutte le loro mancanze, perché restasse soddisfatta e glorificata la sua divina bontà e misericordia. Mentre tutto ciò si faceva in Gerusalemme, io mi trattenevo in casa di Lazzaro con le due sorelle, predicando ed insegnando a tutto il popolo, che concorreva per udirmi. Venivano molti da Gerusalemme per udire la mia predicazione, e molto più per vedere Lazzaro risuscitato, i quali poi credevano nella mia dottrina.

FURORE DEGLI SCRIBI E FARISEI
Ciò risaputa dagli Scribi e Farisei, determinarono anche di far dare la morte a Lazzaro (1). Molte cose determinarono, ma non poté loro riuscire cosa alcuna, perché non era ancora giunta l'ora del mio morire. Per quanto venisse della gente per farmi prigioniero, non poterono mai appressarsi alla persona mia, perché la maestà del mio aspetto li atterriva e li riempiva di timore, in modo che nemmeno si potevano trattenere alla mia presenza. Sapendo ciò gli Scribi e i Farisei, ne fremevano; come leoni non trovavano riposo né dì, né notte, ed andavano per la città come impazziti. Tanto arrivò a dominarli la passione e l'odio che mi portavano, che neppure si potevano cibare. Erano anche istigati molto dal demonio, il quale ruggiva e non poteva più soffrire di vedermi al mondo, per le continue perdite che subiva, e per la forza che gli faceva sentire ovunque 1a mia presenza. Per ciò anche i demoni facevano dei conciliaboli, per intendere se veramente fossi io il Figlio di Dio, ma non poté mai riuscire loro di saperlo; perciò istigavano i Farisei contro di me, e trovavano tutte le arti immaginabili, perché io fossi maltrattato, disonorato, perseguitato, acciò avessi dato in qualche atto di collera o di ira. Nel vedere la mia mansuetudine, l'umiltà, la pazienza, la carità verso tutti, restavano più che mai privi di forze ed avviliti, e perciò più infuriavano, non potendo capire donde venisse da me tanta virtù. E si affaticavano ad istigare i Farisei, perché mi avessero levato presto dal mondo. Io vedevo tutto, e pregavo il divin Padre a dar fortezza da quelli che credevano in me, perché egra tempo di tanta tribolazione per tutti i miei seguaci, i quali venivano maltrattati dai Farisei e dai loro aderenti, e guardati con sdegno e rancore. Vedevo che il Padre non mancava fidi fidare a tutti la sua grazia ed i suoi aiuti particolari. E di ciò godevo, pur nell'afflizione immensa che sentiva il mio cuore. Essendomi trattenuto qualche tempo in casa fidi Lazzaro, non lasciai di andare per i villaggi vicini a predicare e convertire quei popoli che si erano pervertiti per le minacce degli Scribi e idei Farisei. Era grande il frutto della mia parola.

CON MARIA
Avvicinandosi perciò la Pasqua, nella quale dovevo morire, volli fare la mia solenne entrata in Gerusalemme. Prima però di partire fida Bethania, volli parlare con la mia diletta Madre, la quale con spirito profetico, tutto sapeva e vedeva. Bramavano anche le due sorelle, cioè, Marta e Maddalena, di vederla e di parlarle, come pure i più intimi miei apostoli e discepoli, perché avevano più volte sperimentato quanta consolazione provava il cuore loro nel vederla e nel sentirla; particolarmente Giovanni, da lei molto amato, per il privilegio singolare di purità che aveva. Invitai pertanto la diletta Madre a venire qualche giorno, prima che si celebrasse la Pasqua. Venne accompagnata dalle altre devote donne. Arrivata in casa delle suddette sorelle, e trattenutasi per qualche tempo con esse e con i miei apostoli in santi discorsi, si ritirò da sola a sola con me. Allora diede qualche sfogo al suo dolore ed al suo grande amore. Oh, quanto si doleva nel vedermi così afflitto nel miro interno, e sì affaticato e strapazzato nell'esterno, per i patimenti sofferti nella lunga predicazione! Spesso mi andava replicando: Amato Figlio, a qual segno vi ha ridotto l'amore, che portate al genere umano ! Oh, se potessi io sola soffrir tutti i vostri patimenti, quanto sarei contenta, purché non li soffriste voi, vita mia, mio vero bene, mio tesoro, mio Figlio e mio Dio! le rispondevo con grande amore, e la ringraziavo dell'amore inesplicabile che mi portava, e di quanto per me pativa nel suo interno: essendomi compagna fedelissima in tutte le mie pene. lo l'animavo e la incoraggiavo, dicendole: Preparatevi pure Madre mia diletta, a soffrire il gran martirio della mia passione, perché vedete che si avvicina il tempo della mia morte. Ah, cara Madre ! Consolatevi fra tante pene e martiri, perché voi sola non avete colpa alcuna. Tutti i figli di Adamo hanno qualche parte nella mia morte, benché chi più e chi meno; ma per la colpa originale tutti vi sono. Voi sola siete l'immune e la privilegiata fra tutte! Voi l'unica, la bella, la singolare! Voi sapete, che nessuno, benché santo, può entrare in cielo, se io, con la mia morte, non gli apra la porta. Perciò, consolatevi, cara Madre: per la mia morte resterà riscattato il mondo, e si riempiranno i seggi che, per tanti secoli, sono rimasti vuoti. Consolatevi, anche, perché così vuole il divin Padre! Ma, o mia cara Madre, nel vedere le vostre pene, si accresce l'angustia del mio Cuore. Voi, colomba innocente, siete tanto addolorata per i miei patimenti, e coloro che ne sono la causa, neppure vi riflettono. Anche questo accresce la pena del mio Cuore. Infatti, o Madre, ora è per noi tempo di patire molto. Ma consolatevi, che le nostre pene saranno di sommo gaudio a noti ed a tutti quelli che si varranno del beneficio della redenzione. Così consolavo la mia diletta Madre, e l'andavo animando e preparando a più patire.

LASCIA BETHANIA
Essendoci trattenuti per qualche tempo in detti colloqui, giunta l'ora in cui dovevo andare a Gerusalemme, per farvi la solenne entrata, lasciai la diletta Madre raccomandata alle due sorelle, e dando a tutti la benedizione, come ero solito nel partire, parti con i miei apostoli. Rivolto al Padre, lo pregai a volersi degnare di consolare tutti i miei fratelli afflitti, con le sue vinte interne, specialmente quelli che patiscono innocentemente, come pativa la mia diletta Madre, la quale, essendo senza colpa, soffriva per le colpe di tutti. Allora vidi tutti i fratelli che avrebbero patito innocentemente, e pregai il Padre di consolarli. Vidi, che il Padre l'avrebbe fatto con grande amore, e vidi anche ciò che loro teneva preparato. Del che molto godei, e resi grazie a nonne di tutti.

LUNGO LA VIA ISTRUISCE I SUOI
Mentre mi avviavo con i miei apostoli verso un castello vicino a Gerusalemme (1), li andavo istruendo sempre più, dicendo che poco più tempo mi restava da star con essi, quindi apprendessero bene quanto loro insegnavo, perché poi sarebbe venuto il momento in cui l'avrebbero dovuto manifestare al mondo. Si affliggevano molto i miei apostoli, e dicevano Maestro, anche noi vogliamo morire. Non ci basta il cuore di restar privi di voi, che siete tutta la nostra consolazione. Come avrete cuore di lasciarci così afflitti e derelitti? Li animavo con dir loro, che stessero di buon animo, e che sarei andato a preparare loro il luogo: e che sarebbe venuto il tempo, in cui dove stavo io sarebbero ancor essi; ma che prima dovevano patir molto come vedevano che pativo io loro capo e Maestro. Seguitando pertanto il viaggio in detti discorsi, essendo, sì io, come essi, stanchi e bisognosi di qualche refezione, trovando un albero di fichi, mi appressai ad esso per cogliere i frutti, mia non trovandone, lo maledissi, e l'albero si seccò (2). Di qui presi motivo di avvertire i miei apostoli, a star bene attenti a produrre frutti di sante operazioni, affinché non succedesse anche a loro una tale disgrazia. E parlando ad essi, intendevo di parlare anche a tutti i miei fratelli, onde tutti stiano vigilanti e solleciti a praticare atti di virtù e di sante opere, perché volendo il Padre divino cogliere da essi buoni frutti, non li trovi sprovvisti, e così restino da Lui abbandonati. Volli inoltre far conoscere il rigore della divina giustizia, acciocché stessero in. timore, e fossero solleciti della loro eterna salute. Essendo giunti al detto castello, mandai due miei discepoli a prendere un asina ed un puledro, che avrebbero trovato attaccai alla porta di un villaggio, avvertendoli che se alcuno avesse detto loro qualche cosa, gli avessero risposto che il Signore ne aveva bisogno. Ciò successe là ai miei due apostoli. Conducendo a me l'asina ed il puledro, spiegai il mistero: dovevo entrare in Gerusalemme in trionfo, perché si adempisse ciò che di me stava scritto (1).

L'INGRESSO TRIONFALE
Pertanto i miei apostoli posero le loro sopravesti sopra l'asina, su cui mi posi a sedere (2); ed avviandomi verso la città, si sparse subito la voce che andavo a Gerusalemme. Ciò lo permise il divin Padre, ispirando alla turba di venire ad incontrarmi. Difatti, corrisposero all'ispirazione, e molti, cogliendo devi rami di olivo, ed altri spandendo i loro vestimenti in terra, cantavano unitamente l'osanna. Mentre la turba, con molti fanciulli degli Ebrei, cantava, benedicendo Iddio che avesse mandato loro il Re d Israele, anche i miei apostoli e discepoli, lodavano Iddio ad alta voce (1). Trovandosi presenti alcuni dei Farisei, mi dicevano, che almeno avessi fatto tacere i miei apostoli. Ai quali risposi che li avessero lasciati fare, perché se non l'avessero fatto essi, l'avrebbero fatto le stesse pietre (2). Nell'entrare in Gerusalemme, vennero a vedermi molti Ebrei, che credevano in me; e perché già si era sparsa la fama del miracolo della resurrezione di Lazzaro, quasi tutta la turba, anche ebrea, mi lodava con voci e parole di giubilo, non facendo allora alcun conto del bando che avevano mandato gli Scribi e i Farisei con i magistrati contro di me. Tutto permise il mio divin Padre, perché si doveva adempire ciò che di me era scritto. Me ne andai quindi al Tempio, trattenendomi ad orare al Padre divino. Prima, gli offri l'umiltà con la quale avevo fatto la solenne entrata in Gerusalemme, in supplemento della superbia mondana, che non sa mai accomodarsi alle cose vili e basse. Vedevo tutte le grandezze delle persone, anche dedicate al culto divino ed il fasto della superbia; ne intesi pena, e pregai il divin Padre ad illuminare tutti e fame conoscere che la vera gloria consiste nell'umiltà, non nel fasto. Vidi che il Padre non avrebbe mancato di darmi il detto lume e che alcuni se ne sarebbero approfittati, disprezzando il fasto e la superbia mondana. Di ciò mi rallegrai, benché intesi dell'amarezza nel vedere altri che se ne sarebbero abusati, perdendosi dietro al fasto e alla superbia mondana, e mostrando orrore all'umiltà e alla bassezza da mie praticata ed insegnata. Nell'entrare così in trionfo nella città di Gerusalemme, vidi la mistica Gerusalemme, cioè, le anime in cui sarebbe entrato trionfante il divin Padre con la sua divina grazia: perché, mentre le anime confessandolo per loro vero Dio, si rendono a Lui, il Padre torna a loro con la sua grazia. Di ciò intesi molta allegrezza, benché non mi mancò di soffrire dell'amarezza, nel vedere il gran numero di quelle che poi di nuovo l'avrebbero scacciato da sé per mezzo della colpa. E questa amarezza fu sì grande, che anche nella festa, che mi veniva fatta, mi tenevo molto afflitto. Mentre pregavo in tal modo il Padre supplicandolo della sua grazia per tutti i miei fratelli, si adunarono al Tempio molti ciechi e zoppi per essere sanati: i quali furono infatti da me graziati, benché vedessi che molti di essi si sarebbero voltati contro dei me, gridando a Pilato che mi facesse morire. Con tutto ciò, non lasciai di beneficare tutti quelli che venivano a me. Essendo andati alcuni gentili dai miei apostoli, onde li avessero condotti da me, perché bramavano parlarmi, li feci venire e li istruii con amore come ero solito fare con tutti (1). Dissi molte parabole: del frumento, che se non cade in terra e muore, non produce frutto, ma resta solo (2); del Re, che fece le nozze al figlio, ed altre (3). Trovandosi presenti alcuni Scribi e ministri del Tempio, dissi anche quella del buon Pastore, facendo loro conoscere che io ero il vero e buon Pastore, venuto a dare la vita per salvare il mio gregge, e che essi erano mercenari ipocriti e falsi (4). Dal che, infuriati, uscirono dal Tempio.

RIUNIONE DEL SINEDRIO
Mentre stavo al Tempio, si sparse la voce del solenne ricevimento. Ciò inteso, gli Scribi e i Farisei si radunarono di nuovo tutti in casa di Caifa pontefice, fremendo di rabbia contro di me ed anche contro la turba e la plebe. Ma i consigliarono che non era bene che allora mi facessero prendere e mi uccidessero, perché era già vicina la solennità della Pasqua, e la turba ed il popolo avrebbero fatto gran tumulto, e forse mi avrebbero tolto dalle loro mani : non volevano essi darmi una morte ordinaria, perché non appagava la loro rea passione, ma mi volevamo dare la morte più ignominiosa che vi fosse; però temettero che in tal tempo non potesse loro riuscire, perciò risolvettero di soffrire sinché fosse passata la Pasqua, nella quale si immolava l'agnello (1). Ma era tanto il rancore che avevano contro di me, che contavano le ore, nonché i giorni che vi mancavano, e vomitavano contro di mie sempre nuove bestemmie e maledizioni, soffrendo perciò il mio Cuore una grande pena.

SI PORTA A BETHANIA
Terminato d insegnare al Tempio, e data la salute a tutti quelli che erano venuti a me, lodato di nuovo il divin Padre, usci, che l'ora era già tarda. Ed andando con i miei apostoli, non vi fu neppure uno che ci offrisse un sorso d acqua; eppur vedevano quanto eravamo stanchi ed afflitti. Intesi gran dispiacere per tanta Ingratitudine, e l'offri al divin Padre in supplemento di tutte le ingratitudini, che i miei fratelli usano verso i loro prossimi bisognosi. E perché tale ingratitudine dispiace molto al divin Padre, lo pregai a dare a tutti i miei fratelli uno spirito di vera carità e viscere di compassione verso i loro prossimi bisognosi. E vidi, che il Padre mio l'avrebbe fatto, e che molti se ne sarebbero approfittati. Di ciò godei, benché intesi dell'amarezza nel vedere che molti se ne sarebbero abusati. Non trovando nella città alcuno che ci desse alloggio, la sera andai a Bethania, in casa di Marta e di Maddalena, dove si trovava la mia diletta Madre, che si tratteneva con Lazzaro risuscitato e faceva loro da maestra, istruendoli nei divini misteri e consolando tutta la gente che accorreva, per vederla e parlarle. Tutti erano bramosi di essere istruiti da una tal Madre, che apportava somma consolazione a tutti coloro che la miravano e l'udivano, accendendo nel cuore di tutti 1 amore verso Dio, ed il desiderio delle virtù che insegnava.

ESORTAZIONE ALLA SPOSA
Hai inteso, dunque, sposa mia, quanto grande fu la carità che usavo con i prossimi, e come facevo bene a tutti non escludendo dal beneficio nemmeno coloro che mi perseguitavano, e che avrebbero bramata e chiesta la mia morte al Presidente Pilato curando le loro infermità. Vedi che cuore amoroso era il mio verso di tutti! Perciò, tu mi devi imitare, come sposa fedele, facendo bene a tutti, rimirando tutti con amore. Non aver avversione verso chi ti perseguita, anzi, prega molto per essi. Si anche pietosa verso i prossimi bisognosi. Abbi un cuore tutto compassionevole, e fa a tutti la carità che ti è permessa. Si umile, abbraccia volentieri le umiliazioni, e fuggi ed abbi in orrore la vanità ed il fasto mondana, a mio esempio.

CAPO SECONDO
Del ritorno di Gesù a Bethania e di ciò che operò nel suo interno, sino a che celebrò l'ultima Pasqua con i suoi discepoli.

A BETHANIA - TRATTENIMENTI
Essendo arrivati in Bethania molto stanchi, affaticati e bisognosi di qualche ristoro, ci fu subito preparato dalla sollecita carità di Marta, nostra albergatrice. Dopo essermi trattenuto alquanto con la diletta Madre e con la fervente Maddalena, dando esse qualche sfogo all'amore che mi portavano, prendemmo un po di refezione, secondo la necessità, facendo i soliti atti che altre volte ho detto. Dopo aver reso le grazie al divin Padre, feci a tutti un breve sermone, dopo il quale, ritiratisi i miei apostoli, per prendere riposo, mai ritirai anch'io con la diletta Madre, trattenendomi in sacri colloqui. E perché si avvicinava il fine della mia vita temporale, non volli lasciare di consolarla con la mia presenza, e di trattenermi a parlarle dei misteri racchiusi nella mia vita, passione e morte, dei quali era bene informata, permettendole di dare qualche sfogo all'amore ed al dolore che provava. Dopo essermi trattenuto con la diletta Madre, venne anche l'amante Maddalena, per udire le mise parole e trattenersi ai miei piedi, come era solita. Allora le manifestai, che si avvicinava il tempo della mia morte, e che gli Scribi e i Farisei avrebbero sfogato contro di me il loro insaziabile furore. Ferita nel cuore la Maddalena nel sentire le mie parole, versò copiose lacrime. Fu da me e dalla diletta Madre confortata. Sentiva gran compassione verso la medesima, tanto più che vedevo, quanta pena avrebbe sofferto nel tempo della mia acerbissima passione. E perciò pregai il divin Padre di confortarla, onde il dolore non l'avesse privata della vita, come difatti sarebbe seguito, se il divin Padre non l'avesse confortata con la sua divina grazia: mi amava molto, perciò grande fu il suo dolore per i patimenti da me sofferti.

MARIA PARLA CON GLI APOSTOLI
Avvicinandosi pertanto il giorno, mi ritirai ad orare al Padre, e la mia diletta Madre restò quivi per trattenersi con i miei apostoli, i quali, già destati, bramavano di parlarle. Difatti si presentarono a lei, che li ammonì a star bene attenti a tutti gli insegnamenti che avevo dato loro, ed a riconoscere la grazia grande che aveva fatto loro il divin Padre, con lo sceglierli miei intimi familiari ed apostoli, affinché portassero la vera fede per tutto il mondo. Raccomandò loro molto la fedeltà e l'amore verso di me, loro Signore e Maestro. E dopo vari documenti, domandò di vederli ad uno ad uno, perché voleva ammonire il perfida Giuda, senza che gli altri prendessero sospetto. Parlò a tutti, e tutti ammonì a star forti nella fede e nell'amore verso di me. Disse a Pietro di essere vigilante, perché nel tempo della tribolazione mi avrebbe negato. Egli fidandosi troppo di sé, le rispose: « Non sarà mai, o Signora, che lo neghi il mio Maestro, troppo grande è il suo merito e l'amore che io gli porto! Non consentirò mai, anzi, son pronto a morire con lui! ». A questa risposta la diletta Madre lo ammonì di nuovo ad essere vigilante e bene attento, perché sarebbe caduto nell'infedeltà. Egli soggiunse: « Non sarà mai questo! », fidandosi del sentimento che allora aveva. Arrivata poi a parlare con Giuda, intese la diletta Madre passarsi il cuore dal dolore, mirandolo come figlio di perdizione. Gli parlò con molta compassione dell'anima sua, che già vedeva perduta, e l'avvertì del fallo che avrebbe commesso, dicendogli: Giuda, tu tradirai il mio unico ed amato Figlio e tuo Maestro. E come avrai cuore di tradire il tuo Signore, dal quale tante grazie hai ricevuto? Tu hai veduto l'innocenza e la santità della sua vita! Hai udito la sua divina dottrina, hai visto i miracoli, i prodigi operati! E come potrai tu, separarti dal tuo Capo, e da apostolo amato, divenir discepolo traditore? Come non avrai compassione almeno dell'anima tua?. Questo ed altro disse la diletta Madre al discepolo traditore, il quale protestò, che mai sarebbe caduto in tale eccesso, giurando fedeltà, e dicendo che non doveva dare a lui tali avvertimenti, perché lo conosceva e sapeva che non era capace di cadere in sì fatto errore. Tanto maggior dolore sentiva la diletta Madre, in quanto vedeva, che le sue varie ammonizioni non sarebbero state apprezzate: col fidarsi troppo di sé, Pietro sarebbe caduto nell'infedeltà, e Giuda nel tradimento. Allora pregò per essi il divin Padre, acciò li illuminasse. Vide che il primo sarebbe risorto dalla sua caduta, ma che Giuda sarebbe perito miseramente, onde ne intese sommo dolore, in modo che se non fosse stata confortata dal Padre, il dolore che ebbe del tradimento e della perdita di Giuda, sarebbe stato capace di darle la morte: perché capiva la gravità del male in cui sarebbe caduto l'apostolo traditore. Mentre io stavo orando al Padre, vedevo tutto ciò che passava fra la mia diletta Madre ed i miei apostoli, e non lasciai di pregarlo, affinché avesse dato conforto alla Madre, e lume agli apostoli, onde si fossero approfittati delle sue materne ammonizioni ed avvertimenti. E vidi, che il Padre mio, anche ad istanza della diletta Madre, avrebbe compartito molti lumi e grazie ai miei apostoli, quantunque essi se ne sarebbero poco approfittati. Vidi allora le molte grazie che il Padre avrebbe compartito a tutti i miei fratelli, per l'intercessione di questa gran Madre, e ne resi a Lui grazie per parte di tutti. Intesi molta consolazione per quelli che se ne sarebbero approfittati, e dell'amarezza nel vedere che molti se ne sarebbero abusati.

AL TEMPIO DI GERUSALEMME - GESù INSEGNA
Terminato pertanto la diletta Madre di parlare con i miei apostoli, ed io di orare al divin Padre, nella quale orazione si era già concluso di dar l'ultima mano all'opera grande della redenzione umana, andai dalla diletta Madre; e i miei apostoli si licenziarono da Lei e mi seguirono. Partito pertanto da Bethania, ed arrivato al Tempio dove si era già adunata molta turba per udire le mie parole, ed anche infermi per esser curati delle loro infermità vi trovai alcuni Scribi e Farisei, che già stavano ad aspettarmi, per riprendermi, se avessi predicato, perché non potevano più sopportare le mie parole, essendo molto infuriati. Io, però, arrivato al Tempio ed adorato il divin Padre, lo pregai, conforme al solito, del suo aiuto, ed incominciai a predicare, dicendo alcune parabole alla turba, che con tutta l'attenzione mi stava ad udire. Sentendo gli Scribi e i Farisei, che con tanta libertà predicavo, sebbene sapessi che per me vi era l'ordine di farmi prendere e carcerare, si avanzarono arditamente a rimproverarmi chiedendo con quale autorità facessi ciò. Furono però da me confusi, come anche in alcune interrogazioni che mi fecero, per vedere se avessero potuto cogliermi in qualche errore contro la Legge, per potere con più libertà arrestarmi. Ma sempre restavano confusi, in modo che non sapevano più che dirmi. Perciò si infuriavano vieppiù contro di me (1). Erano anche da me ripresi, manifestando io la loro malizia, e tutta ciò che passava, tarato nel loro interno, come nei loro segreti concili. Ed allora restavano atterriti, e non sapevano che rispondere. Essendo privi della divina grazia, molto istigati dal demonio ed accecati dalla loro passione, tutto interpretavano in male. Però dicevano, che avevo il demonio addosso, che mi manifestava tutto ciò che passava fra di loro. Era ferito il mio Cuore da questa sì grave ingiuria; con tutto ciò non mancavo di pregare per essi il divin Padre, perché non li castigasse come meritavano. Seguitando pertanto a predicare con maggiore zelo della loro salute e della gloria del mio divin Padre, in quest'ultima mia predica al Tempio, tornai a ribattere tutte le cose che per l'addietro avevo insegnato, dicendo altre parabole. Stava la turba attenta alle mie parole; ma gli Scribi e i Farisei fremevano di sdegno e di odio contro di me. Narrai loro molte cose occulte, manifestai i segni che avrebbero preceduto la fine del mondo, il giudizio finale e la venuta del Giudice supremo, la sentenza definitiva da darsi ai reprobi ed agli eletti (1). Molto lungo fu questo mio ragionamento, e tutti stavano ad udirmi con gusto. Solo gli Scribi si rivolgevano or qua or là, per non udirmi: le mie parole penetravano le loro orecchie, ma non i loro cuori, induriti più delle pietre. Parlai anche del Sacramento che ero per istituire, col lare la mia. carne ed il sangue in cibo ed in bevanda, dicendo, che la mia carne, è veramente cibo, ed il mio sangue bevanda, e che chi avesse mangiato la mia carne e bevuto il mio sangue sarebbe restato in me ed io in lui, e sarebbe vissuto in eterno.

VARI EFFETTI
Molto dissi di questo cibo, rivolto ai miei discepoli, che non capivano il mistero, ed i Giudei, che erano presenti, lo capivano molto meno. Quantunque fossero Scribi, e si tenessero dotti, non intendevano la mia divina sapienza. Si andavano perdendo il cervello per interpretare le mie parole, e suscitavano questioni fra di loro per escogitare come poteva essere quello che dicevo, e perché era ad essi tanto nascosto. Ed io, parlando con la mia divina sapienza, rispondevo, ma non ero da loro capito. Dicevano fra di loro: Che scienza è, che sapienza è mai questa, che noi suon possiamo arrivare a capire? E poi concludevano: E certo, che costui parla per bocca del demonio. Che ci stiamo ad inquietare? Questi ha il demonio addosso. In tutti i modi bisogna levarlo presto dal mondo, perché ingannerà e pervertirà tutto il popolo. Così, sposa mia, era dai perfidi oltraggiata la mia sapienza. Questi erano i contraccambi che ricevevo per i molti benefici che loro facevo, insegnando la mia celeste dottrina, sanando i loro infermi, e parlando ad essi con tanta carità ed amore. Mi schernivano facendosi vedere dalla turba, onde non desse credito alle mie parole. Ed io pregavo il divin Padre a dar lume al popolo che mi udiva, affinché conoscesse che gli Scribi ed i Farisei tutto facevano per malizia e per l'odio che mi portavano, perché dicevo loro la verità. Ed il Padre non mancava di dar loro lume per conoscere la verità. Perciò le turbe non davano udienza ad essi, ma, tutte attente alle mie parole, si compungevano e profittavano di quanto loro dicevo. Si trovava presente a questo mio ultimo ragionamento gran moltitudine di popolo di diverse nazioni. Erano venuti per la solennità della Pasqua, e tutti restavano ammirati della mia divina sapienza, del modo, della grazia con cui predicavo. Sentendo tutti una grande consolazione interna nell'udirmi, invidiavano la sorte degli abitanti di Gerusalemme, che mi avevano fra di loro. Io nel predicare guardavo tutti con amare, bramando la salute di tutti; ed essi restavano presi di amore verso di me, né osi saziavano di udirmi parlare. Mi rimiravano attentamente e benedicevano chi mi aveva dato alla luce, dicendo fra di loro: Oh, che sorte felice quella de suoi genitori, di avere un tale figliuolo! Si ingegnavano però gli ebrei di pubblicarmi per persona vile, per superbo, per ingannatore, benché poca udienza loro dessero, conoscendo tutti come essi mi odiassero e palassero per invidia e per passione, perché nei loro volti si faceva conoscere da tutti la loro malvagità. E mentre dicevano i Farisei fra di loro, che in tutti i modi mi si doveva dare la morte, io, perché conoscessero che sapevo tutto, dissi pubblicamente, rivolto ad essi, che disfacessero pure il Tempio della mia Umanità, di cui essi parlavano, perché dopo tre giorni io l'avrei riedificato (1). Di queste parole, che non capirono, si fecero beffe, affermando che dicevo degli spropositi per far conoscere alla turba la potenza che avevo. Infatti, da ogni mia parola o predica prendevano motivo per dispregiarmi e deridermi. Io soffrivo con volto sereno, non dimostrando mai sdegno, perché il mio Cuore era pieno di carità, bramando la loro conversione, e domandandola al Padre. Ma essi vi posero tutto l'impedimento con la loro durezza, facendosi accecare dalla loro malizia e dalla passione. In tutto il mio ragionamento non persi di vista i miei fratelli, che avevo sempre presenti, ed offrivo al Padre le ingiurie e gli affronti che mi venivano fatti dai miei nemici, e per le mie offerte lo pregavo di dare a tutti i suoi lumi e la sua divina grazia, onde si fossero approfittasti della mia dottrina e degli esempi che loro lasciavo. E vedevo che il Padre l'avrebbe fatto, ed io lo ringraziavo. Vedevo anche tutti coloro che avrebbero approfittato, e ne intesi consolazione, ma intesi dell'amarezza, nel vedere il gran numero di quelli che li avrebbero dispregiati. Per essi domandai al Padre misericordia, perché desse loro più lume e più stimoli al cuore, per approfittare di tante grazie. Vidi che il divin Padre l'avrebbe fatto con la sua misericordia infinita e che molti, per questa nuova grazia avrebbero approfittato; ne intesi consolazione e ne resi grazie al Padre anche per parte loro, lodando la sua infinita bontà. Intesi dell'amarezza per coloro che, anche di questo, si sarebbero abusati, volendo restare nella ostinata durezza.

ULTIMI AVVISI ED OFFERTA
Vedendo inoltre che nel mondo vi sarebbero stati degli uomini perfidi e maliziosi, che con i loro falsi dogmi avrebbero pervertita molta gente, tirandola al loro pessimo partito, ne parlai ai miei apostoli ed alle turbe che mi stavano ad udire, avvertendo anche tutti i miei fratelli e seguaci a star bene attenti, per non lasciarsi ingannare. Lasciai perciò loro tutti gli insegnamenti sul modo di comportarsi con simile gente. Rivolto al Padre lo pregai di volersi degnare di mandare in tal tempo al mondo uomini santi, affinché avessero abbattuto i falsi dogmi e le eresie. Vidi che il divin Padre l'avrebbe fatto, e vidi il bene che questi avrebbero apportato a molti con i loro aiuti, e con la santità della dottrina che avrebbero predicata. Di ciò intesi consolazione e ne resi grazie al Padre pregandolo del suo potente aiuto per questi suoi fedeli amici. Intesi però dell'amarezza, ed oh, quanto grande! nel vedere il gran numero di quelli che si sarebbero pervertiti seguendo la dottrina falsa degli scellerati. Perciò, rivolto al Padre, tutto dolente, lo pregai del suo aiuto e della potente sua grazia per quei miserabili. Vidi, che il Padre non avrebbe mancato di concedere loro quanto gli richiedevo. Che molti si sarebbero convertiti in tutti i tempi con mirabili conversioni. Di ciò godei, e resi grazie al divin Padre; ma intesi dell'amarezza, o quanta! nel vedere il gran numero di quelli che sarebbero miseramente periti, per voler restare nella loro infedeltà ed ostinazione.
Terminato il mio discorso, dissi pubblicamente, che non mi avrebbero più udito parlare, e rivolto agli ebrei, dissi loro: Io vado, voi mi cercherete e non mi troverete, e morirete nel vostro peccato, ostinati e ciechi
a tanta luce (1) , annunciando così l'ostinazione e la durezza della loro nazione.
Terminato il discorso, ed adorato di nuovo il divin Padre, diedi la salute a tutti calano che si appressarono a me per essere sanarti dalle loro infermità. Usci dal Tempio con i miei ripostoli, per non più tornarvi, dicendo al Padre mio: Ecco, o mio divin Padre, che ho adempito in tutto la vostra divina volontà: ho dato tutti gl'insegnamenti, ho predicato la parola vostra, ho promosso il vostro onore e la vostra gloria tanto in questa nazione, come in tutte le altre. Ora vi prego di dare a tutti il vostro aiuto, i vostri lumi, la vostra grazia, onde chi voglia, possa approfittare di tanto beneficio. Queste grazie ve le domando in virtù di tutte le mie opere, delle fatiche che ho fatto nella mia predicazione, dei patimenti sofferti, delle ingiurie e delle persecuzioni che ho sostenuto da parte dei miei nemici, e di tutto ciò che ho operato per la vostra gloria e per la salute delle anime.
Fu gradita al Padre tale offerta e richiesta, per cui, dimostrandomi il sommo gradimento, mi promise quanto gli avevo chiesto; poi mi disse: Oh, amato Figlio, in cui mi sono sempre compiaciuto e dal quale ho sempre ricevuto sommo gusto, non vi sarà cosa che mi domandiate in cui non restiate soddisfatto. Anzitutto ripongo nelle vostre mani, facendovi assoluto padrone, tutto ciò che è mio, essendo voi a me uguale nella divinità; l'umanità vostra sarà esaltata, e le sarà data da me tutta la potestà, sì nel cielo come in terra.

VERSO BETHANIA - ESORTAZIONI AI SUOI
Rese perciò le grazie al divin Padre, (andai a Bethania con i miei apostoli. Lungo il viaggio li andavo istruendo ed esortando a star vigilanti, perché il nemico infernale li avrebbe travagliati, perciò era necessario che stessero sempre orando, e raccomandandosi al Padre, per non cadere nelle tentazioni. E di nuova dissi loro: Figliuoli miei, poco più starò con voti, perché è arrivato il tempo in cui si deve terminare l'opera della redenzione e il Figliuolo dell'uomo sarà dato in mano dei nemici, i quali lo strazieranno, lo scherniranno, lo flagelleranno, e infine lo condanneranno a morte, come altre volte vi ho detto. Perciò state vigilanti, perché adesso si avvicina il tempo in cui dovete far mostra della vostra fedeltà e dell'amore che mi portate, mettendo in pratica ciò che tante volte vi ho insegnato, Animatevi anche voi a soffrire dei travagli, e state sicuri che il mio divin Padre vi assisterà, vi proteggerà. Non vi apporti meraviglia se il mondo vi odierà e vi perseguiterà, e se vi sarà reso male per bene, vedendo che io, vostro Capo e Maestro, sono perseguitato ed odiato, e che infine mi sarà data ignominiosa morte. Quando il mondo tratterà voi come tratta me, rallegratevi, perché allora sarete fatti, degni di essere simili al vostro Maestro: per questo la vostra mercede sarà copiosa nel Regno dei cieli.
Questo ed altro andavo dicendo ai miei apostoli, preparandoli al gran travaglio che avrebbero avuto nel tempo della mia passione. Essi afflitti e dolenti, piangevano, non potendo proferir parola. Solo Giuda, il traditore, stava forte: perché era di cuore assai duro, e non dava credito a quello che allora dicevo. Pensava fra sé, che parlassi così per affliggerli e per sentire come mi amassero, non perché dovessi veramente morire. Dispiaceva molto a me il pensiero del discepolo traditore, perché vedevo che con questi sentimenti si andava a poco a poco disponendo al tradimento. Già il nemico cominciava a tentarlo, ed a suscitargli la sua rea passione. Ogni tanto gli suggeriva come avrebbe potuto fare per avere il danaro che gli Scribi, i Farisei, i principi ed i sacerdoti avevano promesso a chi mi avesse dato nelle loro mani. Ma andava però ribattendo la sua passione col pensiero che non era a lui lecito far questo; tanto più poi si convinceva, vedendo tutti gli altri apostoli molto affezionati ed anche molto afflitti
per la perdita, che dicevo dovevano fare di me. Io non mancavo di ammonirlo internamente, ed il Padre gli dava molti lumi, perché conoscesse il suo errore, scrollasse da sé la tentazione e frenasse la rea passione. Perciò si andava rimettendo, benché non si quietasse e stesse con la mente turbata.
Quanta pena mi dava, sposa mia, questo discepolo, che incominciava a dar adito all'antico suo vizio, e che per quanto gli dicessi, e per quanti lumi ed aiuti avesse, non si voleva arrendere totalmente, ma conservava in sé l'affezione al danaro ed il desiderio di averlo. Andava, ogni tanto pensando fra sé : « Il Maestro dice che ha da morire, se sarà vero che debba morire, io almeno avrò quel denaro presso di me, e così provvederò ai miei bisogni; e se non morrà, servirà per provvedere ai bisogni, di tutti noi ». Tutto ciò gli suggeriva il nemico, perché cercava tutti i modi di farlo cadere; per di più, la faceva andare lontano da me, in modo che non potesse udire le mie parole. Difatti ne mostrava spesso noia e tedio, perché lo colpivano nel suo vizio di interesse ed avidità di avere sempre più.
Tutto ciò non avvertivano gli altri miei apostoli, né mai pensarono che quanto dicevo, Io dicessi più per fare avvertito Giuda, che essi: se l'avessero capito, lo avrebbero lacerato. E quando lo vedevano andare lontano da me, credevano che lo facesse per stanchezza, come difatti dimostrava.

ARRIVO A BETHANIA - GIOIE E PENE
Arrivati pertanto a Bethania, dove ero aspettato dalla mia diletta Madre, e dalla gente che era con Lei, in particolare da Maddalena, che molto mi amava, e bramava di stare sempre ad udire le mie parole, fui accolto con dimostrazioni di affetto, conforme al solito, specialmente da Lazzaro risuscitato, che si dimostrava grato del beneficio ricevuto, e mi amava molto, come fedele discepolo. Solo la mia diletta Madre stava più del solito afflitta nel suo interno, perché sapeva essere arrivata l'ora del mio patire e della mia morte, e vedendo l'afflizione del mio Cuore per la perdita dell'apostolo traditore, molto mi compativa e mi accompagnava nella mia grande afflizione. Anche Maddalena era trafitta dal dolore, perché le avevo dato qualche indizio della mia vicina morte; ma, sorpresa dall'amore, nel vedere la persona mia, da lei tanto amata, dava bando al dolore, e stava godendo la mia presenza con gran giubilo del cuore.
Frattanto non lasciavo di pregare il divin Padre, acciò le avesse confortate e fortificate, perché potessero soffrire il travaglio nel tempo della mia passione. Ciò feci anche per tutti i miei fratelli e seguaci, affinché il Padre li avesse confortati nel tempo di allegrezza e di consolazione, perché poi, sopraggiungendo loro i travagli, li avessero sofferti generosamente. Vidi che il Padre l'avrebbe fatto, e tutti quelli che si sarebbero trovati afflitti in tal modo, per la grazia del divin Padre si sarebbero confortati, ed avrebbero sofferto i travagli con generosità. Di ciò resi grazie al Padre, e godei; ma intesi dell'amarezza nel vedere che molti si sarebbero abbandonati al dolore ed alla tristezza, non volendosi, in modo alcuno, accomodare a soffrire i travagli. Per questi pregai di nuovo il divin Padre ad illuminarli ed a dare loro maggior grazia. Vidi che il Padre l'avrebbe fatto, e che molti, per la detta grazia, si sarebbero rimessi alle divine disposizioni, soffrendo i travagli con più generosità. Di ciò intesi consolazione, benché non mi mancasse da soffrire per vederne molti, che si sarebbero abusati anche di quella nuova grazia.
Intanto la sollecita Marta preparò la refezione per i miei apostoli, dopo la quale feci al solito, il discorso, parlando con più amore del solito a tutti. Anche a loro dissi che fra poco li avrei lasciati, perché dovevo eseguire la volontà del Padre che mi aveva mandato; ma che non dubitassero, perché non li avrei mai abbandonati. Li assicurai della mia continua assistenza, pur non essendo fra di loro in carne mortale. Si affliggevano tutti a queste parole, mia io non mancavo di consolarli e di animarli.

GESù CON LA MADRE
Essendo già l'ora di prendere qualche riposo, si ritirarono tutti, ed io mi ritirai con la mia diletta Madre e con le due sorelle, Marta e Maddalena, le quali, poiché erano molto afflitte, non potevano privarsi della mia presenza, che apportava loro grande conforto. Ed io le consolai molto, parlando delle grandezze del mio divin Padre, e del premio che loro stava preparato nel regno dei cieli, animandole al patire, perché quanto più avrebbero sofferto in terra, tanta maggior gloria avrebbero avuto in cielo. Le assicurai del mio amore verso di loro, ed essendo passata buona parte della notte in tali discorsi, si ritirarono, ed io restai con la mia diletta Madre a trattare da sola a solo, lasciando ch ella desse qualche sfogo al suo dolore. Anche io le dicevo la pena del mio Cuore nel vedere la sua grave afflizione. E quantunque, la Madre ed io sapessimo ciò che nei nostri Cuori passava, tuttavia ne parlavamo per dare qualche effusione al nostro grande dolore. Mi diceva la diletta Madre: Figlio mio, da me unicamente amato, come Figlia e come Dio, potrà soffrire il mio cuore, che uno dei nostri più intimi familiari vi ubbia a tradire e dare in mano dei vostri nemici e che poi debba perire miseramente, e la copiosa redenzione abbia da servire alla maggior condanna del vostro apostolo familiare, che vi ha seguito nella predicazione, ha veduto i vostri miracoli, i vostri esempi, ha udito continuamente la vostra celeste dottrina ed è stato da voi istruito? Che questo da una medicina sì salutare abbia da cavarne un veleno sì potente; che per lui non ci sia rimedio e voglia disperare senza far ricorso alla vostra infinita bontà e misericordia, restando ostinato nel suo peccato? Questo sì che mi trafigge l'anima: che lui stesso voglia essere l'autore della sua rovina, dandosi da se stesso la morte! A queste parole, sentendone anche io una somma afflizione, mi accordavo con la diletta Madre nel dare sfogo al mio dolore. Ed infine, per consolarla, le dicevo, che già si era fatto molto da noi con avvertirlo ed ammonirlo, e che anche molto più farei, non lasciando di ammonirlo fino all'ultima parola che gli avrei detta; ma che volendo egli il suo totale precipizio, non vi era chi lo potesse distogliere. Essendo l'uomo libero della sua volontà, bisognava che egli si fosse rimesso corrispondendo agli inviti della grazia, che tanto prodigalmente gli si offriva. Ma per consolare in qualche modo la diletta Madre, le suggerivo di rivolgere il pensiero a coloro che con tanta fedeltà ed amore, mi avrebbero con lei seguito nel tempo della Passione. E di ciò si confortava. Ma il pensiero della mia passione che le lacerava il cuore, non le permetteva che si facesse troppo sentire la consolazione. Questa visione faceva scempio di quel cuore amante.
Dopo lungo discorso, uniti insieme, facemmo un offerta totale al divin Padre, e tutti rimessi alla divina volontà, lo lodammo unitamente, adorando i suoi divini ordini.

COL PADRE
Essendomi trattenuto per qualche tempo con la mia dilettissima Madre, mi ritirai per orare al Padre mio, e trattare con Lui, da solo a solo, l'opera della redenzione. E vidi che gli Scribi, i Farisei e i maggiori stavano tutti in agitazione, pensando di darmi la morte. Chi trovava un invenzione, e chi un altra per potermi avere nelle mani. Dovendo celebrare la Pasqua, avevano determinato di lasciar passare la solennità. Ma era tanta la passione e l'odia che avevano contro di me, da non saper che fare da loro stessi. Volevano celebrare la Pasqua e non potevano più soffrire la dilazione della mia morte. Vedendo tanta malignità, e le gravi offese del divin Padre, ne sentivo un angustia assai grave, e pregavo il Padre di perdonar loro le offese. Il Padre, adirato, li voleva fulminare, ed io, tutto attento a placare il suo sdegno, gli dicevo: Padre mio! ecco che si avvicina il tempo della mia amara passione, perciò vi prego di scaricare sopra di me il vostro giusto furore; la divina giustizia prenda sopra di me le sue soddisfazioni; eccome pronto a soffrire tutto. Perdonate, o Padre mio, ai miei nemici! A queste richieste, placato il divin Padre, si offrì pronto al perdono, Ogniqualvolta quei perfidi ostinati avessero riconosciuto il loro errore; ed io, ammirato della paterna bontà, lo lodai e lo ringraziai, sentendo un sommo dolore per la ostinazione degli ebrei.
Terminata la mia orazione, e rese le grazie al Padre, essendo ormai giorno, ed essendovi molta gente che bramava udire la mia parola, ed alcuni infermi che bramavano ottenere la sanità, diedi a tutti soddisfazione, predicando e sanando quelli di Bethania, che erano concorsi a casa di Lazzaro, per udirmi e per parlarmi. Mi trattenni un pezzo ad istruirli e consolare tutti, e diedi molti ricordi generali per la loro eterna salute. Tutto quel giorno lo passai, parte predicando, parte sanando gli infermi e consolando tutti quelli che venivano da me; lodando tutti unitamente il divin Padre, che loro mi aveva mandato. La Maddalena stava sempre ai miei piedi ad udire le mie parole.

AL CONVITO DI SIMONE IL LEBBROSO
Arrivata la sera, fui invitato a cenare da Simone, detto il Lebbroso, che avevo guarito dal detto male, e che un altra volta mi invitò in casa sua, dove vi fu la Maddalena, che si convertì e sparse l'unguento sopra i miei piedi. Simone si era ritirato in Bethania : in Gerusalemme era molto perseguitato dai Farisei, perché si era fatto curare da me, e perché mostrava buona volontà verso 1a persona orla.
Mi fece il suddetto un altro convito, invitando i miei apostoli e Lazzaro risuscitato. Accattai l'invito, quantunque sapessi che l'apostolo traditore avrebbe biasimato l'azione devota, che era per fare la Maddalena, ed avrebbe preso motivo da tale buona azione, per effettuare il pensiero che lo agitava, cioè, di avere in mano il denaro, che gli Scribi avevano offerto a chi mi avesse dato nelle loro mani. Ciò nonostante andai al convito, per dimostrare a tutti che sano sempre pronto ad andare da coloro che mi invitano con buona volontà a star seco, e che gradisco gli atti devoti. L'apostolo traditore avrebbe in altro modo eseguito il suo cattivo disegno, perché si andava mano a mano arrendendo alla tentazione, e con ciò dava adito alla passione di avere il denaro.
Arrivata l'ora del convito, andai con i miei apostoli, con Lazzaro ed altri invitati. Sentì di ciò rincrescimento la Maddalena, perché doveva ritrarsi per allora dai miei piedi, dove stava sempre ad udire le mie parole e godere la mia presenza. Le dissi: Lasciate che vada, perché questa è l'ultima volta, che mangerò fra voi: è giunta l'ora in cui dovrò dar principio alla mia passione e morire per la salute del genere umano. E difatti questa fu l'ora in cui incominciai a patire gran travaglio, nel vedere la determinazione del discepolo traditore. Restò pertanto ferito il cuore di Maddalena, che si ritirò a piangere amaramente.
Io intanto andai con i miei apostoli al convito. Stando tutti a mensa, venne la Maddalena con un vaso di prezioso unguento, che teneva riposto per servirsene in mio ossequio all'occorrenza. Ella sentendo che dovevo andare in breve alla morte, risolse di venire al convito, e spargere quel prezioso liquore sopra i miei piedi e sopra del mio capo, rinnovando alla fine della mia vita l'azione che fece al principio della sua conversione, fine della sua mala vita, vissuta con scandalo di molti.
Arrivata pertanto la Maddalena, afflitta per la perdita che doveva fare di me, suo amato Maestro, corse presso di me, e, gettatasi ai miei piedi, li unse col prezioso unguento, piangendo amaramente la mia vicina morte. Non disse parola alcuna, non si rivoltò,a mirare alcuno, ma tutta attenta a fare quel devoto officio, sfogava il suo dolore in amare lacrime, ed il suo amore nel baciare i miei piedi, ai quali amorosamente parlava nel suo interno, dicendo: O piedi sacrosanti del mio caro ed amato Maestro, che tanto vi siete affaticati per cercar me, indegna peccatrice! o sacre piante, quanto siete state afflitte, e quanto avete patito per la mia salute e per la salute del genere umano! Io non sarò più fatta degna di star con voi, e di rendervi l'ossequio che devo e che Mi detta l'amore! Mio caro ed amato Maestro, mio divino Salvatore, come farò a restar priva della vostra presenza? Amabile e adorabile mio Signore, come potrò più vivere in terra, se voi mi lasciate, mentre mi dichiaro di vivere solo per amar voi? E come i miei occhi potranno vedere morir voi, vita mia? E me, afflitta e sconsolata, chi sarà sufficiente a consolare, se l'unica mia consolazione deve morire fra breve? Mio divino Maestro, non abbandonate questa vostra serva e discepola: già sapete quante fatiche faceste per ridurla nella via della verità ed alla vostra sequela. Le mie iniquità sono la causa di tutti i vostri patimenti, e saranno la causa anche della vostra morte, mio dolcissimo Maestro, unico mio conforto, mio Liberatore! Con queste espressioni di vero affetta la Maddalena stava ungendo i miei piedi, ed io le lasciavo sfogare il suo amore ed il suo dolore.

SCANDALO DI GIUDA E DEGLI APOSTOLI
Frattanto il perfido Giuda si scandalizzò della devota azione, e si infuriò nel vedere spargere quel prezioso unguento. Fu tanta presa dulia passione dell'avarizia, che non poté dissimulare. Procurò di tirare gli altri al suo partito, passando parola, e dicendo che il prezioso unguento si sarebbe potuto vendere e darne il prezzo ai poveri, coprendo con questo pretesto di carità, la sua rea passione. Difatti anche gli altri si scandalizzavano dell'azione di Maddalena, ma non con passione, come Giuda, il traditore. Dicevano però, che veramente si poteva vendere ed aiutare i poveri, tanto più che avevo, nei miei discorsi, raccomandato tanto l'elemosina (1).
Vedendo i loro pensieri, e sapendo ciò che fra di loro mormoravano, difesi prima la Maddalena, badando la sua azione devota, e poi dissi loro che la lasciassero fare, perché ciò non era senza mistero; ed in quanto ad aiutare i poveri, avrebbero potuto far sempre loro delle elemosine, ma non più a me, perché io ero per lasciarli.
Tutti si rimisero alle mie parole, solo il perfido Giuda non si volle rimettere. Anzi, incalzandolo di più la tentazione, determinò di andare egli stesso dagli Scribi e Farisei, e darmi nelle loro mani, per avere il denaro dell'unguento, che stimava perduto. Non mancai di ispirare all'apostolo traditore di stare attento, di non lasciarsi vincere dalla passione e dalla tentazione, ma non volle dare udienza alle ispirazioni, e sempre più infuriato e appassionato prese la sua determinazione.
Ferito nel mio cuore dal dolore, rivolto al Padre lo pregai per l'apostolo traditore, acciò l'avesse illuminato facendogli conoscere il suo errore. Il Padre non mancò di dargli il lume, per conoscere il gran male che aveva determinato di fare. Ma l'apostolo si fece vincere dalla passione, opponendo resistenza ai lumi ed alla grazia che il Padre gli offriva. Tanto poté in lui l'avarizia, che si stabilì sempre più nella sua decisione.
Terminata intanto la funzione, Maddalena ruppe il vaso del prezioso unguento, in segno del suo dolore, e partì, avendola io internamente confortata.
Terminato il convito, non lasciai di dire varie cose per gloria del mio divini Padre e per la salute dei presenti, che tutti compunti mi stavano ad udire. Solo il discepolo traditore si trovava come su le spine, non potendo più soffrire la dilazione per andare ad effettuare il suo pessimo disegno.
Rese le grazie al divin Padre, come ero solito dopo il cibo, e compiuto il dovere di gratitudine con chi ci aveva invitati, parti con i miei apostoli. Anche il traditore mi seguì con gli altri, per non dare a vedere la sua determinazione. Tornato in casa di Maddalena e di Marta, e lasciati i miei apostoli affinché pregassero e poi prendessero qualche riposo, perché era già l'ora tarda, mi ritirai io con la mia diletta Madre e con le due sorelle, per consolarle in tanto travaglio. La Maddalena specialmente era trafitta dal dolore.

IL PATTO DEL TRADIMENTO
Intanto che mi trattenevo con esse, il discepolo traditore segretamente partì verso Gerusalemme. In quella notte parlò con gli Scribi e i Farisei, offrendosi lui stesso di darmi nelle loro mani, rimettendosi a loro per quanto gli avrebbero dato di denaro. Il traditore coprì anche con i Farisei la sua passione, dicendo loro, che per verità essi avevano ragione, perché io tiravo a me tutto il popolo, ed ero contrario ad essi, il che non dovevo mai fare: avendo egli conosciuta la verità e le loro ragioni, non poteva esimersi dal fare quelle parti, perché così voleva la giustizia. Molte furono le cose che il traditore disse loro. Da tutti fu acclamato, abbracciato, e chiamato uomo veramente di giudizio e di discernimento. Si stabilì il patto di dargli trenta denari, e dopo, tra i loro,applausi, partì, lasciando loro detto che sarebbe tornato a dare ad essi il modo e il segno con cui mi avrebbero potuto avere (1).
Stavo io, come ho detto, con la mia diletta Madre e con le due sorelle per consolarle. Quanta fosse la pena del mio Cuore nel vedere l'apostolo che già eseguiva il suo pessimo disegno, non vi è mente umana che possa comprenderlo. Sbrigatomi pertanto dalla compagnia delle due sorelle e della diletta Madre, mi ritirai solo ad orare al Padre. Adora pieno di amarezza, prostrato a terra, mi offri di nuovo, pronto alla morte, effondendo con gemiti e sospiri, la passione del mio Cuore, per la perdita del discepolo traditore, e per tutti quelli che sarebbero stati simili a lui, che allora avevo presenti. Ed, oh! sposa mia, quanto grande era il numero di questi traditori! Cioè, quanti dei miei amici e favoriti si sarebbero poi miseramente perduti per le loro infedeltà e per seguire le loro passioni sfrenate. Ebbi di tutti un gran dolore, e questo dolore offri al divin Padre, supplicandolo per la loro conversione. Vidi, che il Padre non avrebbe mancata di dar loro i suoi lumi e di offrire loro la sua grazia, ma che essi ostinati, sarebbero
periti miseramente. Fu tanta perciò la mia pena che da sola sarebbe stata sufficiente a darmi la morte. Il Padre non mancò di confortarmi, facendomi vedere tutte le anime che sarebbero state fedeli ed avrebbero corrisposto alla sua grazia con imitare i miei esempi. Perciò, consolato alquanto e rinvenuto dal mio grave cordoglio, esposi al Padre il mio desiderio.

L'EUCARISTICO SACRAMENTO - IL DESIDERIO DI GESù
Era questo un desiderio che sempre avevo avuto, di restare in terra fra gli uomini, e che sedendo alla destra del Padre, mi ritrovassi anche nel mondo. Perciò si stabilì, in quella notte, la mirabile e nuova invenzione di amore, di istituire il sacramento della Eucaristia. Rivolto al Padre lo pregai affettuosamente, per parte di tutti i miei fratelli; a volersi degnare di lasciare loro questo pegno di amore e della futura gloria. Gli dissi Padre mio amatissimo, voi vedete in quante miserie si trovano i miei fratelli! quanto potenti sono i nemici che fanno loro guerra! Che sarà del mondo se io, salendo al cielo, lo lascio, e resta privo della presenza mia? Che faranno le anime, se restano prive di questo conforto? Come potranno vincere i loro nemici? E voi, o divin Padre, se non avrete nel mondo uno, che di continuo vi porga suppliche e plachi il vostro sdegno verso i peccatori, come potrete trattenere il castigo da essi meritato? E per placarvi, soltanto io sarò sufficiente, essendo vostro Figlio diletto e Dio a voi eguale nella divinità. Come potrete essere soddisfatto dell'amore che vi devono tutte le creature, se io per esse non starò nel mondo, sempre amando ed offrendo a voi i miei meriti, in supplemento delle loro mancanze, ed in sconto dei loro errori? Così, restando io in terra, nel Sacramento dell'eucaristia, resterete voi soddisfatto, l'amore appagato, e le creature consolate. è necessario, ancora, o mio divin Padre, che io resti in terra nel Sacramento, perché gli uomini non si dimentichino di me e di quanto ho operato per essi; è necessario che per mezzo di detto Sacramento si rinnovi ogni giorno la memoria della mia
passione, ed io sia offerto di nuovo a voi per la salute delle anime, e per placare il vostro giusto sdegno verso i trasgressori della divina Legge (1). Udì il Padre le mie suppliche, ma facendosi avanti la sua divina giustizia, faceva conoscere che il mondo non meritava un tanto dono e che, tenuti presenti gli oltraggi che io e il divin Padre avremmo ricevuto in questo Sacramento dai cattivi e pessimi uomini, non consentiva che dovessi restare in terra, per essere tanto oltraggiato e vilipeso. Difatti, allora vidi tutte le offese, che in questo Sacramento avrei ricevuto, e nel vedere tante enormità, tanti e sì gravi strapazzi, restai ferito dal dolore. Offri quel dolore al Padre, per placare la divina giustizia. E siccome il mio dolore fu sommo, ed io di merito infinito, restò soddisfatto il Padre. Ardendo nel mio Cuore un incendio di amore infinito, non furono sufficienti le molte iniquità ad estinguere quel fuoco divino, onde si stabilì che io dovessi in tutti i modi restare in terra fra gli uomini, ed istituire questo divin Sacramento. L'amore stesso suggerì la nobile invenzione di restare coperto sotto gli accidenti del pane e del vino, affinché ricevendomi gli uomini in cibo ed in bevanda, rimanessero talmente uniti a me, da divenire una stessa cosa con me. Fu acclamata la nobile invenzione dell'amore, sempre grande e magnanimo, splendido donatore di sé e di tutto ciò che è in suo potere. Infatti, in questa occorrenza trionfò l'amore superando tutti gli ostacoli, per quanto grandi fossero; trionfò di tutto, e si stabilì il divin Sacramento, da istituirsi la notte stessa, in cui si sarebbe dagli uomini macchinata a me la morte, ed in cui sarei stato preso per essere ucciso.

FRUTTI DELL'EUCARISTIA
Stabilito ormai di istituire il divin Sacramento, risolsi ancora di comunicare alle anime, che con la debita disposizione mi avrebbero ricevuto in detto Sacramento, tutte le grazie e di far loro gustare la dolcezza e la soavità del mio spirito. Vidi allora che molte anime si sarebbero ritirate dal male, per mezzo di detto Sacramento, e molti sarebbero arrivati a grande perfezione e ad una santità sublime. Vidi che in molti avrei trovato le mie delizie, per la corrispondenza che avrebbero avuto verso tanta bontà e tanto amore, e, come il divin fuoco, si sarebbe sempre più acceso nelle anime, che degnamente mi avrebbero ricevuto in questo Sacramento. Vidi le virtù, che per questo avrebbero esercitato, la grazia che loro avrebbe conferita, la fortezza da vincere tutti i loro nemici. Di tutto ciò mi rallegrai, me resi grazie al divin Padre, lo lodai, e ringraziai per parte di tutti i miei fratelli, offrendogli i miei meriti, in ringraziamento di tanto dono. Allo stesso scopo di ringraziare offriti al Padre la mia continua ubbidienza ai suoi ministri, scendendo subito, quando il sacerdote pronuncia le parole della consacrazione nelle specie del pane e del vino e trasformandole nel mio corpo, sangue e divinità. Questa obbedienza, o sposa mia, è un atto di continuo abbassamento e di soggezione, che io, in tale occasione, pratico. Non riguardo se il sacerdote sia degno o indegno, sia santo o peccatore: sto sempre pronto al di lui comando. Gradì al sommo il divin Padre questa mia offerta, e si mostrò soddisfatto. Rese pertanto di nuovo le grazie al Padre, rimasi con un ardente desiderio, di istituire il detto Sacramento, bramando che arrivasse presto l'ora, tanto desiderata, in cui potessi fare un dono di tutto me stesso all'uomo. Di ciò sentivo consolazione, benché avessi anche dell'amarezza, perché vi sarebbe stato il perfido Giuda, che mi avrebbe ricevuto nell'anima sua, rea di tradimento contro di me. Vidi, che il traditore avrebbe preso in tale cibo la sua condanna, e, per sua colpa, il cibo di vita si sarebbe convertito per lui in cibo di eterna morte. Nella persona di Giuda traditore, vidi anche tutti quelli, che mi avrebbero ricevuto con l'anima macchiata di colpa grave. Nella mia afflizione,
se dovevo dare un tale cibo al traditore, risolsi di darlo, essendo il Sacramento istituito per tutti coloro che si accostano a riceverlo, cioè, per tutti i fedeli; ed essendo un dono generale, non si deve negare se non a quelli di cui è palese la colpa. Onde, chi è consapevole di delitto, non deve accostarsi a riceverlo, perché sa, che riceverebbe la morte, perché questo cibo come è vita per i buoni, così diviene causa di morte, cioè di dannazione, per i rei. E perciò, stabilito di donarmi a tutti generalmente, anche agli indegni, rimasi col mio solito desiderio, né si diminuì punto l'ardente mia carità e l'incendio di amore che avvampava nel mio Cuore.
Sento che sorge in te il dubbio, perché io ti dico che questo cibo di vita divenga per i rei cibo di morte e di loro maggiore dannazione. Ciò non ti apporti meraviglia: detto cibo, che è di vita, non può mutarsi: ma dico che diventa cibo di morte, perché chi lo riceve con l'anima rea di colpa grave, si fa reo di più grave colpa, perciò meritevole di maggiore castigo. E se la colpa grave dà morte all'anima, così l'anima, che riceve il mio corpo e sangue con rea coscienza, commette una più grave colpa, onde ne viene a ricevere la morte per la colpa che commette.

PRESSO LA MADRE - RIVELAZIONE DEL MISTERO
Avendo dunque stabilito tutto, terminata la mia orazione, andai a trovare la mia diletta Madre, alla quale partecipai la nobile ed amorosa invenzione di amore, di restare in terra sacramentata, e farmi cibo degli uomini. Stava la santa Madre orando, ed il suo spirito tutto aveva penetrato, avendoglielo già manifestato il divin Padre. Anche lei stava rendendo grazie al Padre per tanto beneficio; anche lei, in tale occasione, fu a parte della mia allegrezza e del mio dolore: dell'allegrezza per i buoni, vedendo i mirabili effetti che avrebbe operato questo cibo divino nelle anime, che degnamente lo ricevono; di dolore, nel vedere che tante anime indegne e macchiate di grave colpa, l'avrebbero ricevuto, riportandone grande male. Sentì anche grande amarezza per l'apostolo traditore, perché ebbe la certezza che in quella notte avrebbe messo in esecuzione la sua pessima determinazione. Perciò andai a consolarla, sfogando essa con me la sua grande pena.
Essendomi trattenuto alquanto con la diletta Madre a trattare di questo divin Sacramento, dicendole che in lei si sarebbero conservate le specie sacramentali da una comunione all'altra, e che sarebbe stata la favorita sopra tutti in quel tempo, perché mi avrebbe avuto sempre nel suo cuore, esultò il suo spirito, rimanendo confortata per un tale dono, e si preparò per riceverlo più degnamente e possederla. Lodammo perciò unitamente il divin Padre, e gli rendemmo nuove grazie, anche per parte di tutti i fedeli.

RITORNO E FINZIONE DI GIUDA
Fattosi giorno, il discepolo traditore tornò in Bethania, fingendo e tenendo nascosto il patto fatto con gli Scribi e i Farisei, e si unì con gli altri con ardita frante, aspettando che io andassi a ritrovarli. Essendo molta gente concorso per udire le mie parole e per essere ammaestrata circa la mia dottrina, io andai fra la turba convenuta, con la mia solita serenità, non mostrando al traditore alcun segano di sdegno; egli invece rimase risolto atterrito e confuso nel vedersi alla mia presenza, perché ciò sentivano tutti quelli che stavano in peccato.
Parlai a tutti, istruendoli e consolandoli. Esortai tutti a stare vigilanti ed e far sempre orazione: perché il nemico infernale è molto astuto ed insidia continuamente alla salute dell'uomo, cercando tutti i mezzi per fargli perdere la grazia divina. Inoltre li esortai a star vigilanti ;sopra le loro passioni, a non dar loro adito in modo alcuno, perché alla fine conducono al precipizio. Parlai dei castighi preparati ai rei, e del premio preparato ai buoni ed alle anime fedeli. Molto dissi sopra di questo, lasciando a tutti molti ammaestramenti. Tutti rimasero consolati e bene informati del modo con cui si dovevano comportare, per essere fedeli al divin Padre, che tanta grazia aveva fatto loro, nel mandare il suo unigenito Figlio per la salute del mondo. Solo l'apostolo traditore si dimenava, non potendo udir più le mie parale, perché gli andavano a ferire l'anima, sembrandogli che tutte le dicessi per lui. Ma fatto ormai più duro di una pietra, non si ammollì punto il sua cuore dominato dalla passione disordinata ed incalzato dalla tentazione. Quanta amarezza sentiva di ciò il mio Cuore!

INVIA DUE DEI SUOI IN GERUSALEMME
Terminato pertanto il mio discorso, e sbrigati tutti quelli che erano venuti per udirmi, inviai due dei miei apostoli a Gerusalemme, volendo la sera celebrale la Pasqua con i discepoli ed istituire il divin Sacramento. Per questo rimandai due a preparare il luogo e tutto ciò che bisognava, per celebrare la Pasqua, dicendo loro tutto ciò che ad essi sarebbe occorso, e incaricandoli di informare il padrone della casa, che volevo ivi celebrare la Pasqua con i miei discepoli, e che il tutto sarebbe riuscito felicemente (1).
Si sdegnò l'apostolo traditore perché non avevo commesso a lui quell'ufficio, essendo egli il provveditore, ed arrivò a capire che avevo penetrato il suo tradimento. Le divine ispirazioni lo muovevano a rientrare in sé ed a riconoscere il suo fallo. Ma egli, indurito, fece resistenza, procurando di star lontano dalla mia presenza per non arrendersi ai divini lumi ed alle chiamate interne. E mentre i due discepoli stavano preparando il Cenacolo, io, prisma di partire, volli licenziarmi dalla mia diletta Madre, dalle due sorelle e da Lazzaro loro fratello.

SI LICENZIA DALLA MADRE
Ritiratomi pertanto in disparte da solo a sola con la mia diletta ed afflitta Madre, presi da lei licenza, con dirle che era giunta l'ora in cui dovevo andare alla morte ed essere immolato, come agnello innocente, sull'altare della croce. Prima pregai il divin Padre ad assisterla e confortarla con la
sua divina grazia, poiché per tale partenza doveva essere trafitta dalla spada del dolore.
Ottenuta l'assistenza particolare del Padre, cominciai a parlarle con grande tenerezza d amore, dicendole Mia dilettissima Madre! a voi è noto che io devo morire ed essere sacrificato sull'altare della croce, per compiere la redenzione umana. Tale è la volontà del Padre mio. Pertanto resta ora che voi, Madre mia, mi diate licenza di andare alla morte. Vedo che la vostra anima viene trafitta dalla spada del dolore per sì dura separazione, ma la volontà del Padre si deve adempire prontamente. Anche il mio Cuore è trafitto dal dolore nel vedere voi, cara Madre, in tanto affanno, priva di ogni conforto: eppure devo lasciarvi in braccio al dolore. Deh, Madre amantissima, consolatevi al riflesso della vostra fedeltà ed amore verso il divin Padre, verso di me, vostro unico ed amato Figlio, e della servitù, che mi avete prestata con tanto affetto. La vostra mercede sarà incomparabile nel regno del Padre mio, dove voi risiederete come Regina. Pertanto vi rendo grazie di quanto avete patito per me e di quanto mi avete amorosamente compartito. Benedico le stille di latte che mi avete dato, le fatiche fatte nell'allevarmi e sostentarmi, i viaggi e le persecuzioni sofferte per salvarmi la vita insidiatami dall'empio Erode, il dolore sofferto per il mio smarrimento al Tempio, il cordoglio in tutto il tempo della mia predicazione. Quanto avete fatto per me, tutto benedico, e di tutto vi ringrazio. Assicuratevi, mia cara Madre, che essendo voi l'oggetto più gradito del mio amore, dopo il divin Padre, siete anche l'oggetto maggiore del mio dolore, per vedervi in tanto affanno. Voi, colomba innocente, senza macchia, voi Madre sempre cara e diletta dovete stare in sì gravi martiri, per mio amore! Ah, che il mio Cuore sente una grave angustia! Ma conviene soffrir tutto con amore, e consolarci al pensiero che adempiamo la volontà del Padre.
A tali parole, trafitta dal dolore la diletta Madre si prostrò a terra, adorò il divin Padre e tutta si uniformò
al suo volere; poi mi chiese perdono ce avesse mancato nell'adempimento del suo ufficio di serva e di Madre. Mi pregò a benedirla, e mi domandò la grazia di sentire nell'anima sua e nel suo corpo tutti i dolori, che ero per soffrire nella mia passione, e di trovarsi presente alla mia agonia ed alla mia morte. Tutto le fu da me promesso. Non poteva proferire parola la diletta ed amorosa Madre, per l'acerbità del dolore. Però andava replicando: Figlio mio, in quante pene vi vedrò! In quanti strapazzi, in quanti martiri! Deh, chi mi darà, o mio Figlio Gesù, che io muoia in cambio vostro! che io sola soffra tutto il dolore e tutte le amarezze! Ah, Gesù mio, caro Figlio! Devo rimanere priva di voi che siete la mia vera vita, l'unica mia consolazione, l'unico oggetto del mio amore?
Lasciai che desse per qualche tempo sfogo al suo grave cordoglio. Avendola poi confortata il divin Padre, volle esser da me benedetta. E pregandola a dare anche
a me la materna benedizione, la lasciai in braccio al dolore, tutta uniformata alla divina volontà, restando con lei parte del mio Cuore, in cui Ella viveva.
In tale occasione, vidi tutti coloro che si sarebbero separati nel mondo per adempire la divina volontà, e tutti quelli che avrebbe separato il duro colpo della morte. Anche di tutti questi intesi io il dolore e la compassione. Perciò rivolto al Padre, lo pregai di dare ad essi la sua grazia per soffrire una sì dura separazione, con l'uniformità al suo divin volere ed alle sue disposizioni e permissioni. Per ottenere ai miei fratelli tale grazia gli offri il mio dolore. Tutto mi promise il divin Padre, e vidi che l'avrebbe fedelmente eseguito. Vidi coloro che se ne sarebbero approfittati, uniformandosi al suo divino volere e soffrendo con pazienza la dura separazione. Di ciò mi rallegrai, e resi grazie al divin Padre, benché sentissi l'amarezza, nel vedere che molti non si sarebbero approfittati della grazia, anzi avrebbero dato in grande impazienza offendendo anche il Padre, col rivolgere lo sdegno verso di Lui, per le Sue disposizioni, senza riflettere che il Padre fa tutto per il bene delle anime, e tutto ordina con paterna provvidenza. Perciò domandai di nuovo al Padre maggior grazia per essi. Vidi che il Padre l'avrebbe data loro, per cui alcuni si sarebbero rimessi alla Sua divina volontà. Resegli, perciò, le dovute grazie, anche da parte dei miei fratelli, andai a licenziarmi da Lazzaro, Marta e Maddalena, miei amorevoli albergatori e discepoli amati.

SI LICENZIA DA LAZZARO, MARTA E MADDALENA
Li ringraziai di tutta la carità, l'amore e l'ossequio usati verso di me, della mia diletta Madre e dei miei apostoli, poiché tante volte ci avevano cibati e consolati. Li assicurai della eterna ricompensa, li esortai all'amore ed alla fedeltà verso il divin Padre e verso di me, loro Maestro. Raccomandai loro la mia diletta Madre. Per questa mia partenza i loro cuori furono feriti dal dolore, e molte furono le lacrime ed i sospiri, in particolare della Maddalena, che molto mi amava, come anche delle altre devote donne, che accompagnavano la diletta Madre; le consolai tutte con la promessa della mia risurrezione, dopo il terzo giorno.
Mi pregò la Maddalena di farne grazia di trovarsi presente alla mia morte. Glielo promisi, come anche alle altre, che erano venute in compagnia della mia afflitta Madre. Stava la Maddalena ai miei piedi, sfogando il suo dolore e l'amore, che mi portava. Essendo intanto arrivata l'ora di partire, li benedissi tutti, lasciandoli afflitti e addolorati.
Mentre io mi trattenevo con questi, la mia diletta Madre parlava in disparte con i miei apostoli, esortandoli all'amore ed alla fedeltà verso di me, loro Signore
e Maestro, pregandoli di non abbandonarmi nell'ultimo momento della mia vita, e di mostrarsi veri discepoli ed amici fedeli. Tutti le fecero grandi promesse e solo il perfido Giuda stava indurito. Ed ella mi raccomandò al traditore in modo particolare, sperando di muoverlo a compassione; ma non si arrese neanche per questo l'ostinato. Del che intese grande afflizione la mia diletta Madre. Pregò poi Giovanni, da lei molto amato, di informarla su quanto sarebbe occorso circa la mia persona. Tutto le promise il discepolo amato, e tutto eseguì fedelmente.

LASCIA BETHANIA
Terminati pertanto i colloqui, parti con i miei apostoli, dando di nuovo l'ultimo addio a tutti, lasciando quella casa colma di benedizioni, e tutti gli abitanti ripieni di dolore e di amarezza. Benedissi anche tutto il paese nel partire, supplicando il divini Padre affinché qui si effondessero le sue benedizioni e le sue grazie divine, avendo io ricevuto in tal luogo tante cortesie, essendovi stato ricevuto con tanta cordialità ed amore.
Andando pertanto con i miei apostoli verso Gerusalemme per celebrare la Pasqua, il discepolo traditore andava alquanto scostato da me, mentre tutti gli altri mi stavano vicini, molto afflitti e ripieni di timore; ma si illudevano che io non fossi per morire, e che i miei nemici non avrebbero avuto ardire di pormi le mani addosso per farmi prigioniero. Stando tra il timore e la speranza, mi facevano varie domande, alle quali con il solito amore e carità rispondevo, capacitandoli. Espressi loro la brama grande che avevo di fare quella Pasqua insieme, prima della mia morte, della quale Pasqua avevo avuto sempre un vivo desiderio. Intendevo dar loro il mio Corpo in cibo, ed il mio Sangue in bevanda, il quale mistero essi ancora ignoravano. Perciò camminavo con grande ardore, mostrandomi molto desideroso di presto arrivare. Il discepolo traditore diceva dentro di sé: Se fosse consapevole di quanto gli si è preparato, certo non andrebbe in Gerusalemme con tanta allegrezza, né mostrerebbe tanto desiderio di arrivare presto. Tanto l'aveva accecato la sua rea passione, che, quantunque gli avessi fatto capire chiaramente, che già mi aveva macchinato il tradimento, si andava illudendo che io non ne fossi al corrente.

ESORTAZIONE ALLA SUA SPOSA
Tu hai capito, sposa mia, in questo capitolo, come in tutti gli altri, che devi
stare bene attenta e vigilante sopra le tue passioni, non permettendo mai che esse dominino in te, ma devi sempre combattere per vincerle. Abbi in odio ogni acquisto temporale, perché, entrando a poco a poco nell'anima tua, l'avidità di possedere la roba, o il denaro, potrebbe tale avidità condurti al precipizio. Il nemico è sottile ed astuto, e sotto pretesti di bene, inganna molto le anime inconsiderate. Non ti fidar mai di te stessa, ma ricorri sempre al divin Padre, con le orazioni. Sta attenta ad eseguire le divine ispirazioni. Serviti dei lumi che ti dà il divin Padre, e non abusare della grazia, che io, vivendo in terra, ti meritai. Sta attenta nel respingere le tentazioni del nemico infernale, che tende molte insidie alla tua salute. Si certa dell'aiuto particolare della divina grazia. Si fedele nelle promesse. Non ti scordar mai di me, servendomi con esattezza e con fervore. Non ti scandalizzare mai delle azioni altrui. Non giudicare. Abbi una carità ardente verso i peccatori, pregando sempre per la loro conversione. Offri spesso al divin Padre i miei meriti, per placare la sua divina giustizia, irritata dalle molte e gravi offese, che di continuo riceve. Procura di far del bene a tutti, non escludendo neppur quelli dei quali sai che ti renderanno male per bene. Fuggi i rispetti umani, e, dove si tratta della gloria del divin Padre, abbi un cuor generoso per operare, senza alcun timore. Vivi distaccata da tutte le creature per sante che siano, onde, venendo l'occasione di doverne restar priva, o per la morte o per altro accidente, tu rimanga in tutto uniformata alla volontà del divin Padre. Non fare operazione alcuna, senza che prima non l'abbia trattata col divin Padre nell'orazione. Procura di consolare il tuo prossimo affitto. Si grata dei benefici, che ricevi tanto dal Padre mio, quanto dal tuo prossimo. Non si facile a sdegnarti, quando sei trattata male, ma sopporta tutto con pazienza e rassegnazione. Accompagna le opere tue esterne con sante disposizioni interiori e procura di conservare la pace del cuore in tutte le contrarietà: imitami fedelmente.

CAPO TERZO
Ritorna il Figliuolo di Dio in Gerusalemme, per celebrare l'ultima Pasqua con i suoi discepoli. Istituisce il divin Sacramento. Di ciò che operò nel suo interno sino a che andò all'orto di Getsemani ad orare, dove soffrì la penosa agonia.

ARRIVO A GERUSALEMME
Arrivato a Gerusalemme con i miei apostoli, prima di entrare nella città, la mia umanità intese rincrescimento per l'imminente morire, per tutto quello che avrei dovuto soffrire durante la mia acerbissima passione. Sebbene avessi bramato per tutto il corso di mia vita di morire e di patire per la salute degli uomini, tuttavia nell'appressarsi il tempo destinato, sentivo rincrescimento, volendo io assoggettarmi a tutte le pene e le amarezze, che suol sentire l'umanità, quando si vede vicina al patire ed al morire. Divenuto, però, animoso, mi rivolsi al Padre, offrendomi di nuovo a Lui, prontissimo ad eseguire il suo volere divino, e pregandolo del suo aiuto, nel colmo dei travagli in cui dovevo trovarmi, sia in quella notte dolorosa, come in tutto il resto della mia vita. Mi promise il Padre il suo favore e la sua assistenza, ed lo, generosamente, entrai nella città. Nel passare per la porta, vidi che in breve vi sarei fatto entrare legato, strapazzato, in mano dei miei fierissimi nemici, e tremai per l'orrore. Incoraggiato però dal Padre, entrai, ed andai addirittura al Cenacolo, dove tutto era preparato per la cena legale.
In questa circostanza, rivolto al Padre, lo pregai per tutti i miei fratelli, che si sarebbero trovati in angustie, costretti a soffrire travagli e patimenti, affinché il Padre li avesse animati e confortati con la sua divina grazia. E violi che il Padre l'avrebbe fatto, ed io ne intesi consolazione, offrendogli il mio rincrescimento e la tristezza interna. Avevo presenti tutti coloro che si sarebbero trovati in travagli ed angustie, e sentendo anche per essi la pena, mi consolai nel vedere la grazia e l'aiuto che loro avrebbe dato il divin Padre. Di ciò lo ringraziai anche da parte loro.

LA CENA
Arrivato nel Cenacolo, ed essendo stato tutto preparato da Pietro e da Giovanni, che avevo inviati prima, mi posi a tavola con i miei discepoli. Fatte le solite benedizioni e cerimonie, che in tale occorrenza si solevano fare, dissi loro di nuovo, che avevo avuto un gran desiderio di far quella Pasqua e mangiare con loro, perché era l'ultima che celebravo con essi, essendo vicino il mio patire (1).
Stando a tavola, mangiando l'agnello, dissi varie cose ai miei discepoli, facendo loro ben capire che in breve sarei stato dato in mano ai nemici, e fatto morire crocifisso, dopo molti strapazzi, battiture e scherni, e che uno di loro mi avrebbe tradito. Dicevo queste parole, e rimiravo tutti i miei apostoli, i quali, molto afflitti, uno per uno mi domandavano: « Sarei forse io? ». Senza rispondere io fissavo gli occhi sul traditore Giuda. Quando anche lui mi fece la richiesta, gli dissi: Tu lo sei (2); ma in modo che nessuno degli altri mi capì. Ed allora gli parlai al cuore e l'ammoni con grande amore, chiedendogli che cosa avesse ricevuto da me di male, da volermi sì brutalmente tradire. Gli ricordai tutte le grazie che gli avevo fatte, l'amore con cui l'avevo sempre trattato, gli dissi che, essendo uno dei miei più intimi familiari, cioè, del mio collegio apostolico, non doveva fare un azione così indegna. Gli offri il perdono del contratto fatto con gli Scribi e Farisei, ma, per quanto cercassi di toccargli il cuore, non si volle arrendere, perché armai indurita nel suo cattivo proposito. Grande amarezza sentivo nel vedere l'ostinazione del traditore.
I miei discepoli mi fecero chiedere da Giovanni, chi fosse il traditore, con 1 intenzione di togliergli la vita. Al quale risposi: E quello che ora intinge il pane nel mio piatto. Ciò non capirono i miei apostoli (1). Ma Giovanni, trafitto dal dolore, si addormentò sul mio petto: in questo sonno capì molti dei divini misteri (2). Udì, però, Giuda, che nello stesso tempo intingeva arditamente il pane nel mio pianto; per mostrare che egli era innocente, egli si prendeva quella (1) Joan., XII, 2226.

(2) In proposito leggiamo nei Colloqui, che Gesù diceva alla sua serva: «Giovanni, nell'ultima Cena che io feci con i miei Apostoli, intese che fra di essi ve ne era uno che doveva tradirmi, e mi domandò chi fosse, ed io avendoglielo significato, restò sorpreso da un cordoglio si fiero, e da una pena tanto grave, per l'amore che mi portava, che. privatolo de sentimenti, quasi preso da un profondo sonno, si addormentò sopra il mio petto. dove gli furono rivelati molti segreti celesti, ed in particolare sopra la mia passione e sopra la divinità unita alla mia umanità ». Vol. VI. Anche S. AGOSTINO (In Joan. tract. 36) fa eco a quanto qui si dice: [parte in latino non rivista]« In quatuor Evangelis vel potius quatuor libris unius Evangeli, sanctus Ioannes Apostolus non immerito secundo intelligentiam spiritalem aquilae comparatus, altius multoque sublimius alis tribus erexit praedicationem suam: et in eius erectione etiam corda nostra erigi voluit. Nam ceteri tres Evangelistae tanquam cum homine Domina in terra ambulant, et de divinitate eius panca dixerunt: istum autem quasi piguerit in terra ambulare sicut ipso exordio sui sermonis intonuit, erexit se non solum super terram, et super omnem ambitum aeris et coéli, ed super omnem etiam exercitum Angelorum, omnemque constitutionem invisibilium potestatum: et pervenit ad eum, per quem facta sunt omnia, dicendo: In principio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum, et Deus erat Verbum. Huic tantae sublimitati principi etiam coetera congrua praedicavit, et de Domini divinitate, quomodo nullus alius, est locutus; hoc ructabat, quod biberat. Non enim sine causa de illo in isto ipso Evangelio narratur, quia et in convivio super pectus Domini discumbebat. De illo ergo
pectore in secreto bibebat, ed quod in secreto bibit, in manifesto eructavit: ut perveniat ad omnes gentes non solum incarnatio Fili Dei, passio et resurrectio, ed etiam quod erat ante incarnationem unicus Patris, Verbum Patris, coaeternus generanti, aequalis ei a quo missus est».
. confidenza per mostrarsi amico, non traditore, affinché nessuno degli altri penetrasse che era egli il perfido. Vedendo tanta ostinazione nell'apostolo traditore, lo minacciai col dire: «Guai a colui che mi tradirà e meglio sarebbe per lui non esser nato » (1). Ma il traditore rimase indurito nella sua ostinazione. Vedendo, pertanto, nella persona di Giuda anche tutti i peccatori ostinati, che né per i molti benefici, né per le minacce si sarebbero convertiti, ne intesi più grave pena ed amarezza; onde il mio Cuore amareggiato per la loro ostinazione, si rivolse al Padre per conforto, offrendogli la sua sofferenza per placare la divina giustizia, molto irata verso il traditore. Ed il Padre restò placato e pronto ad inviare nuovi lumi al cuore indurito del traditore, come anche a tutti quelli, che sarebbero stati simili a lui nell'ostinazione. Vedendo tanta bontà del divin Padre, gli resi le dovute grazie.

LA LAVANDA DEI PIEDI
Ardendo il mio Cuore sempre più della fiamma divina e di immensa carità, e bramando di istituire presto il divin Sacramento, mi levai da tavola, e, deposta la veste di sopra, mi cinsi con un panno di lino bianco, e, facendo prendere dell'acqua in un catino, incominciai a lavare i piedi ai miei discepoli. Prima però di incominciare, offri al Padre quell'atto di abbassamento e di umiliazione, supplicandolo ad inserire un tale sentimento nell'anima non solo dei miei discepoli, ma anche di tutti i miei fratelli e seguaci. Perciò, rivolto al Padre, gli dissi: Chi sarà, o mio divin Padre, che ricusi di umiliarsi e di abbassarsi da ora in poi, se io, vostro Figlio, tanto mi umilio e mi abbasso spontaneamente, per insegnare al mondo una, virtù tanto a voi cara? E vedendo che molto pochi sarebbero stati quelli che l'avrebbero praticata e che in ciò mi avrebbero imitato, ne intesi grande amarezza; rivolto al Padre gli offri di nuovo quella mia azione, in sconto di tutta la superbia, il fasto e l'alterigia dei miei fratelli, perché si placasse verso di loro l'ira paterna. Vidi anche coloro che mi avrebbero imitato in tale virtù, e ne intesi consolazione: pregai il Padre, di dar loro la grazia di potersi sempre più umiliare, per rendersi a lui sempre più grati: perché il divin Padre ama molto chi pratica la suddetta virtù. Vidi, che il Padre avrebbe loro dato la grazia da me richiesta e gliene resi grazie da parte di tutti.
Volendo incominciare a lavare i piedi a Pietro, come capo degli apostoli, avendomi egli confessato per vero Figlio di Dio, essendo illuminato dal Padre, conobbe la mia dignità e la sua viltà, perciò ricusava, né valeva in modo alcuno che lo fossi così umiliato ai suoi piedi, per lavarglieli. Perciò, pieno di confusione, esclamava: Signore, voi volete lavare i piedi a me? voi dovete abbassarvi tanto? Io devo vedere voi lavare i piedi a me? Non sarà mai! Io, che sono un miserabile peccatore, devo permettere che voi mi laviate i piedi ? Non sarà mai Voi, Figlio di Dio! Io, servo indegno! E come potrò consentirlo ? Godevo, nel vedere l'umiltà di Pietro, e come già il divin Padre lo illuminava, per conoscere la sua bassezza e la dignità della mia persona. Tutti gli altri apostoli stavano attoniti ed anche essi con timore, conoscendo la loro bassezza e la maestà mia tanto umiliata.
Di ciò resi grazie al Padre. Solo il periodo Giuda biasimava dentro di sé l'azione che volevo fare. Ed io, rivolto a Pietro dissi: Che non conosceva allora quello che volevo fare e in che consisteva quell'atto; ma che l'avrebbe conosciuto dopo, perciò si lasciasse lavare i piedi da me, suo Signore e Maestro, altrimenti non avrebbe avuto parte con me. A queste parole Pietro si arrese, e si lasciò lavare i piedi, dicendo che anche il capo si sarebbe fatto lavare, perché non l'avessi privato di aver parte con me. Perciò io, genuflesso ai suoi piedi, glieli lavai con grande amore, stando l'apostolo tutto confuso e concentrato nel suo nulla. Mentre lavavo i piedi a Pietro, pregavo il divin Padre di fargli capire ilf significato di quella lavanda e ciò che operava nell'anima sua. Infatti, l'apostolo intese che era come rivestito di nuova grazia, e capì che l'anima sua veniva illuminata e purificata; perciò, tutto compunto, andava fra di sé replicando: Oh, mio divin Maestra, quanta grazia mi andate partecipando in questa azione di tanto vostro abbassamento, e quale esempio mi date di umiltà! Si sentì anche molto confortato, e con lo spirito raccolto, perché la grazia lo andava disponendo a ricevere il divin Sacramento.
Dopo aver lavato i piedi a Pietro, mutata l'acqua del catino, feci lo stesso agli altri miei apostoli, sentendo anch essi ciò che aveva inteso Pietro. Stavano tutti in :silenzio e confusi, non facendo resistenza, perché avevano udito ciò che aveva detto a Pietro. Perciò nessuno ardì più rispondere, e, solo ammirando l'atto eroico di umiltà, si confondevano e compungevano (1).
Arrivato al perfido Giuda, il traditore; la mia umanità intese orrore e rincrescimento, per il peccato che aveva, nell'anima; con tutto ciò, feci anche a lui ciò che avevo fatto agli altri, tenendo celato il sino tradimento. Risolsi però di dare un nuovo assalto al suo cuore indurito: stando per lavargli i piedi, gli dissi internamente: Oh, Giuda! tu vedi il tuo Maestro ai tuoi piedi umiliato. Tu sai pure che sono il Dio della Maestà, e soffrirà il tuo cuore di vedermi tanto abbassato ? Tu, creatura vilissima, avrai ardire di alzar il piede contro di me, e di darmi in mano dei nei? Giuda, torna al tuo caro Maestro! Riconosci il tuo grave errore! Chiedi perdono, mentre io telo offro ed il Padre è pronto a perdonarti! Riconosci la tua viltà, indegnità e miseria! Eccomi qui pronto, non solo per lavarti i piedi, ma per abbracciarti e per mondare l'anima tua da ogni colpa. Fece resistenza il traditore a sì amorosi inviti, e con faccia torbida ricusò la grazia offertagli: rigettò i divini lumi, e restò nella sua durezza, più che mai aggravato dalla colpa. Onde ferito il mio Cuore dal dolore, per tanta ostinazione, lo lasciai.

LA CARITà FRATERNA
Terminata la funzione, feci un ragionamento, lasciando loro un nuovo precetto: quello dell'amore scambievole, con cui si dovevano amare l'un l'altro con fraterna carità. Vedevo come si sarebbero trattati tra di loro i miei fratelli, e il poco amore con cui si sarebbero amati: anzi, come molti si sarebbero odiati, e come ognuno avrebbe procurato di opprimere il fratello, cercando il proprio interesse. Perciò intesi gran dolore. Ardeva il mio Cuore dal desiderio di vederli tutti uniti in carità perfetta, e vedendo che fra di loro vi sarebbe stata tanta disunione, intesi grande amarezza. Perciò, rivolto al Padre, Io supplicai di dare la sua grazia ai miei apostoli per capir bene il nuovo precetto; e poi a tutti i miei fratelli, affinché l'avessero messo in pratica. Vidi allora tutti quelli che avrebbero osservato il mio precetto, e ne intesi consolazione, benché sentissi dell'amarezza nel vedere il gran numero di coloro che non solo l'avrebbero trasgredito, ma di più conculcato.
Malgrado ciò, rivolto ai miei discepoli, prima di istituire il divin Sacramento, diedi logo il precetto della dilezione fraterna, perché ognuno conoscesse, che, essendo quello che stavo per istituire Sacramento d unione e d amore, non deve accostarsi a riceverlo, chi non ha questa unione ed amore col prossimo suo. Pertanto incominciai a dir loro: Io vi do un nuovo precetto, ed è che vi amiate l'un l'altro, come io ho amato voi. Avete veduto l'azione che io ora ho fatto, e l'esempio che vi ho dato. Voi mi chiamate Signore e Maestro, e dite bene, perché lo sono. Ora se io, che sono vostro Maestro, ho lavato a voi i piedi, voi non dovete ricusare di lavarvi i piedi l'un l'altro. Non deve il servo esser più del suo Signore, né l'invitato deve esser da più di chi l'invita. Amatevi perciò scambievolmente, come io ho amato voi. Sopportatevi fra di voi, come vedete che io ho sopportato voi con tanta carità ed amore. Amatevi, figlioli miei, perché da questo conosceranno che siete miei discepoli: se vi amerete scambievolmente (1).
Mentre dicevo loro queste parole, si andava inserendo nelle loro anime la dilezione, che loro comandavo e ne provavamo gli effetti. Anche il Padre li andava illuminando, onde capissero bene il peso del nuovo precetto, che davo loro. Difatti capirono e si accesero, di un vivo desiderio di metterlo in pratica. Allora fra di loro poteva dirsi che erano un sol cuore, rimirandosi con carità ed amor perfetto. Con questo si andavano sempre più disponendo a ricevere il divin Sacramento. Sentivo perciò molta consolazione nel vedere i miei discepoli uniti con perfetta carità e come avesse fatta sì buona impressione nella loro mente il comandamento dell'amor fraterno. Si amareggiava però molto il mio Cuore nel vedere, che il perfido Giuda stava ancora ostinato, e non poteva più sentire le mie parole, perché se ai buoni discepoli apportavano tanta consolazione, a lui, per la sua reità, apportavano noia e fastidio.
Vedendo che nei miei apostoli il mio precetto aveva acceso sentimenti di amore fraterno, bramai che simile effetto avesse causato a chiunque l'avesse udito predicare. Ne chiesi grazia al divin Padre, affinché avesse a tutti comunicato i lumi e la grazia che comunicava allora ai miei discepoli. Il Padre mio me lo promise. E vidi, che l'avrebbe fedelmente eseguito. E vidi tutti coloro che avrebbero approfittato di detta grazia, e ne intesi consolazione, ma intesi dell'amarezza nel vedere il numero grande di quelli che ne avrebbero abusato.

SUPPLICA PEI FRATELLI
Terminato il discorso ai miei apostoli, che mi avevano ascoltato compunti ed umili, stando fra di loro in perfetta carità, rivolto al
(1) Joan., XII, 1316; 34, 35.
Padre, Io supplicai di nuovo a nome dei miei fratelli, di degnarsi di concedere loro il grande benefici di restar io con essi nel Sacramento, fino alla consumazione dei secoli, offrendogli, da parte loro, tutti i miei meriti, per ottenere un sì gran dono. Gradì il divin Padre la supplica fattada me e molto più i miei meriti, che furono una moneta di prezzo infinito, meritevoli di ottenere il grande beneficio; con gli stessi miei meriti soddisfeci la divina giustizia per le offese che avrebbe ricevuto d agli uomini in questo divin Sacramento. Vidi allora di nuovo tutte le offese che avrebbe ricevuto in detto Sacramento da quelli, che, con rea coscienza, si sarebbero ad Esso accostati; vidi anche tutte le profanazioni a cui sarebbe stato esposto e ne intesi di nuovo un dolore sommo; e offri anche questo al Padre in soddisfazione di tutte le offese che avrebbe ricevuto il Padre si dichiarò soddisfatto.

L'ISTITUZIONE DEL SACRAMENTO EUCARISTICO
Intanto, ardendo sempre più il mio Cuore del desiderio di presto istituire il Sacramento, per donarmi tutto ai miei fratelli, e fare ad essi conoscere l'incendio della mia carità e del mio infinito amore, presi il pane nelle mie mani, ed, alzati gli occhi al cielo, resi grazie al Padre, perché si adempiva il mio desiderio, e poi lo ringraziai da parte di tutti i miei fratelli per il gran beneficio che ricevevano. Acceso vieppiù l'amore verso i miei fratelli, giunse all'eccesso mirabile. Spezzato, pertanto, il pane, avendolo prima benedetto, dissi ai miei apostoli: Prendete e mangiate e rimirando il pane, dissi: Questo è il mio corpo. Nel dire queste parale, ebbi intenzione di mutare la sostanza del pane nel mio vero e reale corpo, sangue, anima e divinità. Difatti, nel proferirle, rimasi tutto nelle specie del pane, cambiandosi questo nel mio vero corpo e sangue, come ho detto. In tale atto, untesi un godimento infinito, per l'infinito dono che feci di tutto me stesso all'uomo: e l'amore restò soddisfatto. Dando pertanto il pane a tutti i miei apostoli, sotto le cui specie si conteneva il vero corpo, anima e divinità, dissi loro che quello. era il mio Corpo dato per, essi, soggiungendo: Fate questo in memoria di me li ordinai allora miei ministri, e diedi logo la facoltà, che con le parole dette da me nella consacrazione, consacrassero il pane, il quale, si sarebbe subito cambiato nel mio vero corpo.
Dato loro il mio corpo in cibo, sotto le specie del pane, presi il calice, e di nuovo, alzati gli occhi, resi grazie al Padre, come avevo fatto nel consacrare il pane; lo diedi ai miei apostoli, dicendo loro: Prendete e bevetene ognuno la propria parte: questo è il mio sangue, che sarà sparso in remissione dei peccati. Essendosi convertito il vino nel mio vero sangue, i miei apostoli ne bevvero ciascuno la sua porzione, ed io, nel darlo loro, provai lo stesso godimento che avevo sentito nel dare ad essi il mio corpo sotto le specie del pane (1).

LA COMUNIONE
I miei apostoli, nel ricevere il mio corpo in cibo ed in bevanda, intesero internamente una somma consolazione, provando in quell'istante e gustando l'unione perfetta, che si fece tra l'anima loro e il mio spirito. Nel ricevere il mio corpo e la mia divinità, restarono rinvigoriti e confortati per la stretta unione; furono rivestiti di una nuova grazia; gustarono finalmente la soavità del cibo divinò, e rimasero infiammati, in un modo più perfetto, dell'amore verso di me, perciò, tutti, internamente, rendevano grazie per il cibo ricevuto. Solo il perfido Giuda, poiché aveva ricevuto un tale cibo con l'anima rea di grave colpa, e perciò preso la sua condanna, imperversò, ed il demonio si impossessò di lui, in modo che, provando in sé un inferno di inquietudini e turbamenti, bramoso di eseguire il pessimo contratto della mia vendita, non poteva più indugiare perché stava come sopra un fiero patibolo. A lui io dissi: Quello che tu vuoi fare, va , e fallo presto (2). Facendogli capire con queste parole che io sapevo tutto. Difatti partì in gran fretta il traditore, ed andò ad eseguire il suo pessimo disegno. Io rimasi con i miei undici discepoli, i quali non avevano capito il tradimento di Giuda, ché altrimenti l'avrebbero arrestato e fatto in pezzi, perché era molto grande l'amore che mi portavano e il dispiacere che avevano nel sentire, che uno di essi mi avrebbe tradito e dato in mano ai miei nemici.
Fu molto grande l'amarezza intesa per il discepolo traditore, tanto più che, nonostante l'avessi ripetutamente avvertito egli avessi dato tanti lumi e tanta grazia, volle restare nella sua ostinazione, ed unirsi con gli ostinati Farisei suoi pari. Costoro, dopo essere stati da me tanto beneficati ed aver ricevuto tanta luce, per mezzo della mia dottrina, si fecero accecare dalla loro malizia e rimasero nella loro durezza, cercando anche loro, con grande avidità, di togliermi la vita e darmi una ignominiosa morte. Oh, quanto, sposa mia, veniva trafitto il mio cuore da questi perfidi! Io non mancavo di soffrire tutto e di offrirlo al Padre in sconto delle loro iniquità.
Mentre stavo operando ciò che ho detto, si trovava la mia diletta Madre nel suo ritiro, orando (1). Col suo spirito, tutto penetrava e mi accompagnava negli atti interni, supplicando e rendendo grazie al divin Padre. Anche lei ricevé il mio corpo sotto le specie sacramentali (2), le quali si conservarono nel suo cuore, finché di nuovo fu consacrato il pane, dopo la mia risurrezione, e di nuovo mai ricevé Sacramentato, conservandosi in lei le specie sacramentali da una comunione all'altra (3).
Furono mirabili gli effetti che il mio corpo opero nella diletta Madre, sperimentando essa i giubili e le consolazioni, che aveva goduto nella mia incarnazione, quando scesi nel suo seno verginale. Fui da lei ricevuto ed accolto con tutti gli atti di ossequio e di amore, che mente umana non sa capire né intendere. Ed io ne godei in modo, che, anche se non avessi avuto altro grato accoglimento, che quello che ricevetti da lei sola, il mio amore sarebbe stato appagato: tanto mi gradi e tanto amorosamente mi accolse la mia diletta Madre.
Desiderai che tutti i miei fratelli mi avessero accolto con grande amore, ed offri questo mio desiderio al divin Padre, supplicandolo di dare, a chi mi avesse ricevuto nel Sacramento, un lume particolare, per conoscere la grandezza del dono e l'amore con cui avevo istituito questo Sacramento, affinché con una tale cognizione, si fossero accesi d amare, e con grande amore mi avessero ricevuto. Vidi, che il Padre l'avrebbe fatto, che molti ne avrebbero approfittato e, ricevendomi con ardente desiderio ed amore, avrebbero conseguito molta grazia ed avrebbero dato a me grande soddisfazione. Ne resi grazie al Padre, benché soffrissi dell'amarezza nel vedere la moltitudine di quelli, che si sarebbero abusati della detta grazia e dei lumi divini, non facendone alcun caso, privando me di detta soddisfazione, e se stessi di un bene tanto grande.

GIUDA ACCORDA LA CATTURA DI GESù
Stando dunque con i miei apostoli, cominciai di nuovo a parlare, perché erano già molto confortati. Dissi loro, che era giunta l'ora, in cui io dovevo lasciarli. Si riempirono di tristezza i miei apostoli, ed io li andavo consolando con parole di speranza e dei amore. Mentre li consolavo, sentivo nel mio Cuore dell'amarezza, perché il discepolo traditore stava già trattando con gli Scribi ed i Farisei, dai quali ricevé le trenta monete pattuite per la mia vendita. Sapeva il traditore, che, quando pernottavo in Gerusalemme, ero solito, per lo più, di andare all'orto di Gethsemani a passare la notte in orazione; e credette che io in quella notte, vi fossi già andato. Difatti vi andai (1). Si accordò coi Farisei di venire egli stesso per darmi nelle loro mani, additandomi, con finto segno di amicizia, alla coorte, che si metteva all'ordine per venire, nottetempo, a farmi prigioniero. Stavano i Farisei come pazzi, presi dal timore e dalla falsa allegrezza: dal timore, perché ancora non erano sicuri se sarebbe loro riuscito di potermi avere nelle mani, e poi perché, essendo già entrata la solennità, dicevano fra di loro: Non si dovrà farlo morire in giorno di Pasqua, perché forse si farà tumulto nel popolo. Ma i più perfidi dicevano: Purché arriviamo a dargli la morte, sia quando si sia, cosa importa? Se si può riuscire adesso, facciamolo pure, e leviamocelo davanti. E si consigliavano fra di loro, come potessero fare per darmi una morte ignominiosa, sopra un infame patibolo. Difatti si accordarono di fare ciò che poi fecero. Era la loro allegrezza molto grande, benché falsa, perché nel loro interno era cruccio, passione e un anticipato inferno. Con tutto ciò saltavano e battevano le mani in segno di allegrezza, perché Giuda li aveva assicurati che mi avrebbe dato nelle loro mani. Non trovavano riposo, aspettando l'ora stabilita, e riducendo intanto la coorte con molta segretezza. Dicevano fra di loro: Eppure sarà vero, che alla fine ci riuscirà di averlo nelle mani? Oh, che fortuna sarà la nostra. Non vi sarà più costui che ci inquieti e turbi la nostra pace! Tutto udivo, sposa mia, e puoi credere quanto grande fosse l'amarezza del mio Cuore!

AVVISI E CONFORTI
Mentre stavano così trattando i perfidi Farisei, io trattavo con i miei discepoli, ricordando loro di nuovo il precetto della fraterna dilezione (1). Li avverti di stare attenti, perché in quella notte sarebbero stati molto travagliati dal nemico infernale. Predissi loro tutto ciò che sarebbe seguito, dicendo che tutti avrebbero patito scandalo per me, in quella notte, e beato chi non si fosse scandalizzato: che tutti mi avrebbero abbandonato, ed a Pietro predissi che mi avrebbe negato. Egli mai rispose francamente, che non l'avrebbe fatto giammai. E perché era molto ardente l'amore che mi portava, diceva che, se fosse stato necessario, piuttosto che negarmi, sarebbe morto con me. Gli risposi che tre volte mi avrebbe negato, prima del canto del gallo. Ma non credette a quanto gli predicevo, fidandosi molto di sé (2). Sentendo che l'apostolo si fidava tanto di sé, ne intesi pena, e vedendo che molti dei miei fratelli l'avrebbero in ciò imitato, presumendo di sé e che poi sarebbero caduti come Pietro, pregai per essi il divin Padre, affinché desse loro lume e grazie per conoscere l'errore e per ravvedersi. Me lo promise il divin Padre, e vidi che Pietro si sarebbe ravveduto, come anche molti altri miei fratelli; intesi consolazione per il loro ravvedimento le ne resi grazie al Padre, benché sentissi dell'amarezza nel vedere che molti avrebbero abusato dei lumi e della grazia, e sarebbero rimasti nella loro infedeltà.
Seguitando a parlare con i miei discepoli, molte cose dissi loro; ma essi, perché molto angustiati ed intimoriti, appena capivano. Dissi che avevo molto da dire loro, ma che trovandoli così incapaci a comprendere, rinunciavo a parlare. Sarebbe venuto il tempo in cui il Padre mio loro avrebbe mandato lo Spirito Consolatore, per mezzo del quale avrebbero capito tutto, e tutto sarebbe stato loro suggerito (3).
Vedendoli tanto afflitti ne sentivo pena, ed andavo temperando, con parole di consolazione la loro tristezza. Voi, figliuoli miei, dicevo loro, siete molto afflitti per dover restar privi della persona mia. E in verità, avete ragione di rattristarvi. Ma non temete, che, dopo il terzo giorno risorgerò glorioso, ed allora sarete molto consolati. Per ora è tempo di tristezza, e motto più vi rattristerete per quello che seguirà di me, ma la vostra tristezza si convertirà in gaudio (1). Molti si rallegreranno e godranno per la mia passione e morte, ma questa loro allegrezza andrà a finire in eterno pianto. I principi avranno tutta la potestà sopra di me, ora che è giunto il tempo determinato dal Padre, in cui il Figliuolo dell'uomo deve essere dato nelle loro mani e condannato a morte per compir l'opera della Redenzione, ma in voi non avranno per ora potestà alcuna. E giunto il tempo, in cui devo glorificare il divin Padre e restare Lui glorificato in me ed io in Lui: affinché conosca il mondo che io amo il Padre mio e faccio tutto ciò che Egli vuole da me. Andiamo, perché è già arrivata l'ora nella quale devo dar principio alla mia acerbissima passione. Dico io: perché, se io non volessi, non vi sarebbe alcuno che potrebbe mettermi le mani addosso. Ma io voglio, perché questa è la volontà del Padre mio. Detto ciò ai miei discepoli, rivolto al Padre, lo pregai per tutti loro, e gli domandai molte grazie per essi, come anche per tutti i miei fratelli e seguaci. Raccomandai al Padre quel mio piccolo gregge, che mi aveva dato. Gli chiesi che, dove fossi andato io, cioè, al possesso dell'eterno Regno, ivi fossero i miei ministri, cioè coloro che avessero operato fedelmente. Tutto ciò che domandai al Padre, tutto mi concesse, ed io lo lodai e ringraziai (2).
In questa circostanza pregai il Padre di dare lume e grazia anche ai miei fratelli, ministri e seguaci e di consolare i loro prossimi, quando sanno che vivano in afflizione. E vidi, che il Padre l'avrebbe fatto. Vidi, però, che molti non avrebbero di ciò saputo giovarsi e che, di cuore molto duro, avrebbero lasciato i loro prossimi in gravi afflizioni, senza consolarli neppure con parole. Ne intesi quindi amarezza, e supplicai il Padre di consolarli Lui con la sua divina grazia ed interna consolazione. Me lo promise il divin Padre ed io gliene presi le dovute grazie.

VERSO IL GETHSEMANI
Avendo ottenuto dal Padre tutte le grazie che gli avevo domandato, ed avendo detto ai miei discepoli quel tanto che dovevo dir loro, per ben avvertirli e consolarli, mi avviai con essi verso. l'orto di Gethsemani. Andiamo, figliuoli miei, dissi loro, perché in breve sarò dato in mano ai miei nemici che si avventeranno addosso a me, come lupi affamati, per divorarmi. Tutto ciò vi dico prima, affinché vi prepariate a soffrire il travaglio, non restiate sbigottiti e vi armiate con lo scudo della fede e dell'orazione, perché il demonio vi crivellerà, come si crivella il grano (1).
Andavo verso l'orto con i miei undici apostoli, dicendo loro molte cose, onde restassero fortificati. Ed essi erano tutti intorno a me, afflitti e dolenti. Sentivo gran pena per la loro tristezza e li raccomandavo al divin Padre. Non potevano neppur parlare per l'afflizione e le lacrime, che tutti spargevano; quantunque li consolassi, era tanta l'afflizione che provavano, che non potevano fare a meno di piangere, perché era molto grande l'amore che mi portavano, e il doverne restar privi causava loro una tristezza profonda.
Nell'uscire dalla parta della città, mi voltai, e, vedendo tutto quello che in essa si operava contro di me, intesi grande amarezza per l'offesa al divin Padre, e per il male che, sopra di essa, sarebbe venuto. Rivolto al Padre lo pregai di perdonare e di trattenere il castigo. La benedissi, col desiderio che cadesse la divina benedizione sopra di tutti, bramando di render loro altrettanta bene, quanto grave era il male che preparavano a me, lasciando di ciò esempio ā tutti i miei seguaci, di far bene a chi fa loro del male, e di pregare per chi li calunnia e li perseguita, come avevo fatta io in tutto il corso della mia vita; pregai il Padre di dare Lume, grazia e virtù a tutti i miei seguaci, per poterlo fare. Vidi che il divin Padre l'avrebbe fatto, e che molti se ne sarebbero approfittati. Del che intesi consolazione, come anche provai dell'amarezza nel vedere il gran numero di quelli, che se ne sarebbero abusati.

ESORTAZIONE ALLA SUA SPOSA
Hai inteso, sposa mia, come ti devi preparare per ricevere il mio Corpo sotto le specie sacramentali; avendone un ardente desiderio e ricevendomi con amare e con anima monda da ogni colpa grave, quanto più sarà purificata l'anima tua, tanto, maggior grazia riceverai. A misura della fante che di questo cibo avrai, resterai saziata di beni spirituali, e mi darai molto gusto, compiacendomi io di unirmi e trattenermi nei cuori puri e mondi dia ogni macchia di colpa. Ti inculco la dilezione fraterna: di qui si conoscerà se veramente mi ami: se osserverai questa precetto, come anche tutto ciò che ti ho insegnato. Stai attenta, perché, essendo mia sposa e seguace, devi imitarmi in tutto. Procura di far bene a chi ti fa male, e prega per chi ti perseguita. Tu senti, che in tutta la mia vita ho pregato per i miei nemici, beneficandoli. Non ti accordar mai con chi mormora dei fatti altrui: anzi, fuggi da essi, e procura, per quanto puoi, che si conservi l'unione e la pace fra coloro con cui stai. Fa che ognuna prenda esempio da te nell'amore e nella carità verso il prossimo, come anche in tutte le altre virtù da me praticate ed a te con tanta carità ed amore insegnate, affinché chi ti vede e ti pratica passa dire di te: questa è una vera sposa e seguace del Crocifisso. Se farai ciò, mi darai molta gusto.


CAPO QUARTO
Dell'arrivo del Figliuolo di Dio nell'orto di Getsemani e della sua penosa orazione sudore di sangue e conforto dell'angelo e di ciò che operò nel suo interno sino a che fu dato in mano dei suoi nemici.

GIUDA SPIA IL MAESTRO E TRAMA LA CATTURA
Essendo arrivati all'orto, per orare al Padre, come ero solito fare, il discepolo traditore era venuto a spiare, se con i miei apostoli fossi partito dal Cenacolo, e fossi andato all'orto per orare. Trovando che già ero partito, si recò dai Farisei a darne la nuova. Del che tutti si rallegrarono; saltando e battendo le mani, facevano molta accoglienza al traditore. Chi lo lodava, chi l'abbracciava, e tutti festeggiandolo, gli dicevano: Solo tu ci potevi fare questo sì gran servizio. Veramente tu sei un grande uomo, degno di ogni lode! Stava, però, il traditore molto agitato, provando dentro di sé una infinità di confusioni. Credeva, che, dopo avermi dato nelle loro mani, sarebbe restato libero da quella grave agitazione, perché, diceva: " Non avrò da pensare ad altro". Tanto gli suggeriva il nemico infernale, e tanto credeva il miserabile. Perciò procurava di affrettarsi, per uscire presto sia dall'impegno che dal travaglio, che internamente sentiva, in modo che girava dall'uno e dall'altro come pazzo, avvertendo i soldati, che mi avessero ben legato e tenuto forte, perché facilmente sarei loro uscito di mano. Diceva loro: State attenti, perché facilmente vi scapperà. Io per me ve lo darò nelle mani, pensate voi a tenerlo. Sentendo questo, la coorte si provvide di funi, di catene, di armi, di bastoni, e determinarono di strapazzarmi in modo, che, restando oppresso dalle percosse, non potessi aver più forza e spirito neppure di muovermi. Tanta determinarono e tanto fecero, come sentirai. Stabilivano anche in che modo il traditore avrebbe dovuto darmi nelle loro mani. Chi diceva una cosa, chi un altra, quando il traditore risolvette la questione dicendo: io andrò avanti a tutti, mai appresserò a lui, e lo saluterò, dandogli un bacio; quello che vedete che io bacerò, è lui: perciò, avvicinatevi subito, prendetelo, tenetelo ben forte e mettetevi a lui dintorno da ogni parte, perché non vi fugga. A questa risoluzione tutti di nuovo saltarono per l'allegrezza, lodando l'invenzione pessima del traditore. Tutto ciò si operava in Gerusalemme, mentre io oravo al Padre e pregavo per tutti.

GES� NELL'ORTO COI SUOI - SUE PRIME PENE
Essendo arrivati all'orto, lasciai alla prima entrata otto dei miei apostoli, ai quali dissi, che orassero, affinché non li sorprendesse la tentazione. Orate figliuoli miei, dissi loro, perché ora è tempo di raccomandarvi molto al Padre, onde ottenere che vi liberi dalla tentazione, e vi dia aiuto e forza, essendo vicino il travaglio! (1). Restarono quivi mal volentieri i miei apostoli, presi da grave timore. Con tutto ciò, animati da me, rimasero a pregare, ma, poco dopo, si addormentavano.
Condussi Pietro, Giacomo e Giovanni vicino al luogo dove mi valevo porre ad orare, e quivi li lasciai, esortandoli a fare orazione (2). Condussi questi tre apostoli presso di me, perché erano stati spettatori della mia Trasfigurazione gloriosa, ed erano quelli, che, più degli altri, si mostravano ferventi. Pietro aveva protestato di voler morire con me, se fosse stato necessario; Giacomo e Giovanni si erano offerti di bere il calice. Lasciatili, dopo aver loro inculcato molto lo star vigilanti e l'orare, perché non entrassero in tentazione, mi allontanai da loro di poco e mi prostrai in terra, per orare al Padre mio.
La mia umanità aveva inteso rincrescimento ed orrore nell'entrare nell'orto, sapendo il grande travaglio e l'amarezza che mi era stata preparata. Animato, però, dal pensiero che andavo ad adempire la volontà del Padre, entrai con generosità, pronto a soffrir tutto. Essendomi posto ad orare al Padre, facendogli profonda adorazione, mi senti riempire tutto di un più grave timore ed amarezza, per l'imminente passione e morte. Intesi orrore per i gravi patimenti, che mi erano stati preparati, ed esposi al Padre il mio travaglio, dicendogli: Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice; nondimeno non si faccia la mia volontà, ma la tua; mostrandomi così pronto a soffrire tutto per adempire la volontà del Padre (1).
A questa richiesta mi senti riempire di maggiore tristezza, trovandomi come abbandonato dal Padre, il Quale lasciava che la parte inferiore, cioè, l'umanità mia sentisse tutto il travaglio e l'amarezza, senza, che la parte superiore, cioè, la divinità che era unita a me, mi desse alcun conforto (2). Stando quindi solo, abbandonato, senza alcun conforto, mi riempi di grave desolazione. Vidi allora tutte quelle anime che avrebbero patito travagli e tristezze interne, senza trovar conforto alcuno, permettendolo il Padre per altissimi fini. Per esse intesi dolore e pregai il Padre onde si degnasse di raddolcir loro la grave pena, offrendomi pronto a soffrire io tutta l'amarezza e tristezza; capi che il Padre avrebbe addolcito le loro amarezze, in virtù della tristezza sì grande che io soffrivo. lo gliene resi grazie da parte di tutti.
Non ti apporti meraviglia, il sentire che, essendo allora come abbandonato dal Padre, con l'umanità mia priva di ogni .conforto, da parte della divinità, che a me stava unita, intendessi ciò che il Padre avrebbe operato a favore dei miei fratelli, per i quali istantemente pregavo: questo abbandono era solo per la persona mia, per privare me d ogni conforto, non già per quello che riguardava il bene e l'utile dei miei fratelli.

SVEGLIA I SUOI
Stando, dunque, così in preghiera, vedevo che i miei apostoli si erano addormentati. Volli andare a destarli, perché non li sorprendesse la tentazione: vedevo il nemico infernale che si studiava molto per farli cadere in pusillanimità. Ed allora più che mai, per il tradimento di Giuda, aveva preso ardire, e la faceva da padrone crudele, istigando tutti contro di me, per procurare la mia morte, perché, stando io al mondo, gli erano di gran tormento le perdite che faceva. Non potendo il nemico penetrare, che io fossi veramente il Messia promesso, i demoni fecero fra di loro un conciliabolo, risolvendo di istigar tutta contro di me, e farmi patire, per mezzo dei ministri di giustizia, tutti gli strapazzi ed i tormenti immaginabili, sperando di farmi perdere la virtù della pazienza, che sino allora avevo esercitata, come anche per scoprire chi fossi.
Alzatomi pertanto dalla mia penosa orazione, andai a destare i discepoli che dormivano. Dissi loro che vegliassero ed orassero, perché non entrassero in tentazione (1). Destati i discepoli, e postisi di nuovo ad arare, tornai alla mia orazione.
Allora supplicai il Padre a volersi degnare di destare i miei fratelli, quando fossero sorpresi dal sonno pernicioso della tiepidezza e della trascuratezza dell'obbligo di attendere alla loro eterna salute. E vidi, che il Padre l'avrebbe fatto con vari e opportuni rimedi, secondo il bisogno di ciascuno. Per questo intesi qualche sollievo alla mia grave amarezza, benché sentissi molta pena, nel vedere che pochi se ne sarebbero approfittati, ritornando a dormire, come fecero i miei apostoli, che il nemico infernale procurava di opprimere col sonno, perché non facessero orazione; in tal modo stimava di poterli vincere facilmente. Vidi allora io tutti quelli cui il demonio avrebbe impedita l'orazione, perché, trovandoli sprovvisti di questa fortissima e potentissima arma, può vincerli molto facilmente. Per questo parlai tanto ai miei apostoli della necessità di fare orazione, e nella persona dei miei, apostoli, a tutti i miei fratelli. Pregai il divin Padre di dar lume a tutti, affinché conoscano questa verità, e la necessità grande che ognuno ha di orare, per poter vincere il nemico infernale. E vidi, che il Padre non avrebbe mancato di dare a tutti il suddetto lume. Vidi ancora che molti se ne sarebbero approfittati, e, con questa potente arma, avrebbero vinto i loro nemici, ottenendo molte grazie dal divin Padre.
Di ciò godei, benché sentissi grande amarezza nel vedere il numero grande di coloro che se ne sarebbero abusati, rimanendo vinti dai loro nemici infernali.
Volli anche lasciare esempio ai miei seguaci, che a volte devono lasciare i pi esercizi, per aiutare i loro prossimi bisognosi, in pericolo di perdersi, affinché tornassero poi a pregare, come vi tornai io.

L'AGONIA DI GESù
Genuflesso, adorato ancora il divin Padre, tornai a supplicarlo dicendo: Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice; non si faccia però la mia volontà (1), ma la tua. Volli anche in questo, lasciare esempio ai miei fratelli, insegnando il modo con cui devono pregare il Padre, esponendogli il loro desiderio, rimettendosi, però, tutti al divin beneplacito.
In questa seconda orazione, sentendomi abbandonato, mi riempi di più grave tristezza: e come derelitto, fintesi tedio e mestizia (2). Si rappresentarono alla mia mente tutti i patimenti che avrei dovuto soffrire nel corso della mia acerbissima passione: le ingiurie, gli strapazzi, le derisioni. Permisi alle dette passioni che mi tormentassero per soffrirne volontariamente tutta l'amarezza, la pena, lo sfogo sopra la persona mia, onde ottenere che restassero mitigate e raddolcite per tutti i miei fratelli, quando essi le avessero dovute soffrire per l'adempimento della volontà del divin Padre.
Trovandomi; perciò, in grande abbattimento, oppresso da tante pene, ricolmo di affanno, mi ridussi in mortale agonia, senza conforto alcuno. Vedevo anche la mia diletta Madre, che si trovava in grande affanno, perché sentiva, nel suo cuore amante, i crucci che io stavo provando; questo accresceva il mio travaglio. Tutti i miei discepoli dormivano, ed io ero solo, derelitto, abbandonato, tra sfinimenti di morte. Non vi era chi mi dicesse una parola di conforto. E ciò che più mi crucciava era l'abbandono del Padre. Prolungai con tutto ciò la mia penosa orazione, soffrendo allora nella mente tutto ciò che poi avrei sofferto nel corpo durante la mia acerbissima passione. O sposa mia, quanto vidi e quanto intesi di travaglio e di pena in questa penosissima orazione! Offrivo tutto al Padre in sconto delle offese, che riceveva dai miei fratelli.
Stando in sì penosa agonia, soffrivo anche una grandissima debolezza di forze corporali; prostrato colla faccia in terra, replicavo le preghiere al Padre; ma il Padre mi lasciò in grave affanno, dimostrando di non ascoltarmi.

VA A DESTARE I SUOI
Essendo stato per un pezzo a penare in tal modo, mi alzai a fatica dall'orazione, ed andai di nuovo a destare i miei apostoli, che dormivano, dicendo a Pietro: Simone, anche tu dormi? Non hai potuto vegliare neppure un ora con me? (1) Volevo con queste parole fargli conoscere, che, se non poteva stare per breve tempo in orazione e vegliare con me, come poi avrebbe potuto morire con me, se fosse stato necessario? Dissi queste parole a Pietro, e, nella persona sua, a tutti quelli che fanno promesse, di voler patire e soffrire grandi cose per amor mio e per imitarmi, e poi, all'occasione, non sanno soffrire neppure un incomodo, né la privazione di una minima soddisfazione, come sfece Pietro, che non seppe superare un po di sonno. Vidi allora tutti coloro che l'avrebbero imitato in questo suo darsi al sonno durante il mio grave travaglio, e ne intesi amarezza.
Svegliati i miei apostoli, dissi loro il mio grande patire: Sappiate che l'anima mia si trova in tristezza, sino a soffrire l'agonia di morte. Ciò dissi loro con parole molto compassionevoli; ma essi, sbigottiti ed oppressi dal sonno, non mi dissero neppure una parola di conforto.

TORNA ALL'ORAZIONE
Onde io, tutto afflitto e amareggiato, di nuovo ricorsi all'orazione. Prostrato in terra e adorata il divin Padre, Gli ripetei: Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice: non si faccia, però, la mia volontà, ma la tua. Il Padre neppure allora mi confortò, ma, lasciandomi abbandonato alla mestizia, alla tristezza e all'amarezza, mi riempì di un più grave affanno.

SUDA SANGUE
Allora si presentarono alla mia mente tutti i peccati dei miei fratelli, dal principio sino alla fine del mondo, con tutto il loro, peso, gravezza e misura. Vidi la mia persona che si era addossata tutto il peso per pagare alla divina giustizia una traboccante soddisfazione. Vidi l'ira paterna contro di me, per le colpe addossatemi. Vidi la gravezza delle offese al divin Padre, da me infinitamente amato. Vidi, di nuovo, la gravezza ed acerbità della mia passione e morte, per pagare il debita di tanti delitti. Vidi il numero grandissimo di quelli che si sarebbero dannati, per i quali sarebbero stati inutili i miei gravissimi patimenti ed il mio,sangue sparso con tanta carità ed amore. Vidi le offese di coloro che si sarebbero salvati, e che pur essendo anime elette, avrebbero offeso molto il divin Padre, ravvedendosi poi. Vidi tutto ciò che si sarebbe operato nel monda. Vidi la dignità della mia persona esposta a sì gravi tormenti, e il poco conto che i miei fratelli rie avrebbero fatto. Allora, immerso in un mare di crucci e di tormenti, rivolgendomi al Padre, provai un grandissimo dolore per le molte e gravi offese che aveva e che avrebbe ricevuto sino alla fine del mondo; ed in siffatto dolore caddi in terra bocconi, sudando vivo sangue, che, uscendo dal mio corpo, scorreva in terra a gocce ben grosse. Offri quel sangue al Padre per placare il suo sdegno, in caparra di quello che avrei sofferto durante la mia passione e morte, e di tutto il sangue che avrei in essa versato.
Stando in così grave tormento, bagnato di sanguigno sudore, agonizzante, caduto in terra, vedevo che il traditore Giuda e tutta la sbirraglia si erano adunati insieme per venire a prendermi. Ciò causava maggior cruccio al mio cuore afflitto, in modo che arrivarono al colmo le mie pene, i miei dolori e la mia amarezza. Mi trovavo in tale stato che sarei morto, se il Padre, con la sua potenza, non mi avesse conservato in vita. In me la divinità serviva solo per questo prodigio: che non restassi morto sotto il peso di sì gravi tormenti.
Alla fine si placò il Padre, per l'offerta che gli feci dell'acerbissimo dolore, della contrizione che avevo di tutte le offese del genere umano é del sudore sanguigno che versai; per cui, soddisfatta appieno la divina giustizia, Egli mandò un angelo perché mi confortasse e mi animasse a bere l'amaro calice della passione. essendo quella la volontà Sua (1).

SUPPLICHE E PENE
Udita la volontà,del Padre mio, e confortato dall'angelo, mi alzai da terra con generosità, bramando di adempirla. Riacquistate le forze, adorai di nuovo il Padre, lo ringraziai del conforto inviatomi, e gli offri tutto ciò che avevo patito, in sconto di tante offese del genere umano, supplicandolo di molte grazie per tutti i miei fratelli, in virtù di quello che gli offrivo.
Mentre stavo agonizzante, vidi tutti i miei fratelli ad uno ad uno, e non solo vidi tutte le offese che avrebbero fatte al Padre mio, ma anche tutti i loro bisogni e necessità, sia spirituali che temporali, e ne intesi compassione. Perciò, riavuto dalla penosissima agonia, pregai il divin Padre per tutti in generale, e per ciascuno in particolare, affinché si fosse degnato di soccorrerli con la sua divina grazia, secondo il loro bisogno. Gli domandai questo, in virtù di quanto avevo patito. Il Padre così fu placato per le offerte che gli avevo fatto e per la contrizione che per tutti avevo avuta e vidi, che non avrebbe mancato di fare quanto gli chiedevo. Di questo intesi consolazione, benché fu,più l'amarezza e soffri, nel vedere il gran numero di quelli, che se ne sarebbero abusati.
Supplicai ancora il Padre di dare ai miei fratelli un vero dolore di tutte le loro colpe, quando gliel'avessero domandato con umiltà, e specialmente e quelli, che, stando vicini alla morte, nella penosa agonia, ne hanno grande necessità. Questo glielo domandai in virtù della contrizione che io ebbi, allorché ero agonizzante. Vidi che il Padre gliel'avrebbe dato, e che molti, per questa contrizione, si sarebbero salvati. Io ne intesi consolazione e ne resi grazie al Padre. Ebbi però dell'amarezza, nel vedere che molti se ne sarebbero resi indegni, perché durante la loro vita, non l'avrebbero richiesta mai al Padre, ed in morte non se ne sarebbero neppur curati, per cui sarebbero periti miseramente.
Gli domandai ancora, in virtù della pena che soffri nella mia penosa agonia, che si fosse degnato di addolcire le amarezze dell'agonia a tutti i miei fratelli, e che, infine li avesse confortati, così come aveva fatto con me, mandandomi 1 angelo confortatore. Il Padre tutto mi promise, e vidi che avrebbe tutto eseguito fedelmente con paterno amore. Di sciò gli resi le dovute grazie, anche a nome dei fratelli.
Ottenuto tutto dal Padre, lo lodai e lo ringraziai per tanta misericordia e bontà, ed andai di nuovo dai miei apostoli, che dormivano, ma con timore, per quello che avevo detto loro prima; quindi soggiunsi che dormissero e riposassero anche, per quel breve tempo che ci restava, giacché non avevano potuto vegliare (1). Poi, ritirato di nuovo, mi offri al Padre, pronto a soffrire quanto mi era preparato nel corso della mia acerbissima passione, per adempire la sua volontà divina. Anzi, acceso da una brama ardente di patire, aspettavo l'ora con gran desiderio ed amore, perché si compisse l'opera dell'umana redenzione. Andai a destare i miei discepoli, dicendo : Alzatevi ed andiamo incontro ai miei nemici, perché si avvicina l'ora, nella quale il Figliuolo dell'uomo sarà dato in mano ai peccatori. Ecco, che si appressa il traditore (1).
Si destarono i miei apostoli, ma tutti sbigottiti, per le suddette parole, ed intimoriti, perché, non avendo orato, come io avevo ordinato doro, si trovarono privi della forza e della virtù, che suole apportare all'anima la fervente orazione.

ESORTAZIONE ALLA SUA SPOSA
Hai inteso, sposa mia, come sia necessaria l'orazione; perciò ti stia a cuore la pratica di questo sì importante esercizio, non trascurandola giammai, perché tu sia ben provvista di armi per combattere contro i tuoi nemici infernali, contro le tue passioni, ed anche per ottenere dal Padre mio le grazie, per te per i tuoi prossimi. Offri spesso la contrizione che ebbi, in questa mia penosa orazione, con il sangue che sparsi, per la conversione dei peccatori e per ottenere il perdano delle offese e ti assicuro che il Padre mio gradirà molto quest'offerta; domandagli anche una vera contrizione ed il dolore per te e per i tuoi prossimi, specialmente per i peccatori, perché piace molto al Padre mio un cuore contrito ed umiliato. Nella tua orazione domanda tutte le grazie necessarie per te e peri tuoi prossimi, e, se vedi che non sei esaudita, non ti perdere d animo, ma continua a domandare. Non ti stanchino masi il tedio e la tristezza che, a volte, proverai in questo esercizio, ma uniformati sempre alla divina volontà. Hai inteso il modo con cui devi orare e domandare: esponendo il tuo bisogno, o il tuo desiderio, e rimettendoti alla volontà del Padre. E, quando intendi la sua volontà, eseguiscila con prontezza, senza replica, senza turbamento, come feci io, quando, udita la volontà del Padre, che dovessi bere l'amaro calice, subito mi alzai ed andai incontro ai miei nemici. E fa tutto con amore e desiderio. di dar gusto al mio divin Padre.

CAPO QUINTO
Come il Figliuolo di Dio fu preso e legato dai suoi nemici nell'orto di Getsemani. Del bacio di Giuda, il traditore, e dei molti strapazzi che ricevette dai ministri di giustizia nell'esser condotto in Gerusalemme ed indi in casa di Anna, e di ciò che operò nel suo interno sino a che tu condotto da Caifa.

IL BACIO DI GIUDA
Mentre stavo con i miei apostoli, dissi loro che già veniva la coorte a prendermi e mi avviai ad incontrarla. Essi stavano alquanto indietro, pieni di timore. Veniva la coorte in gran silenzio, onde non fosse da me sentita, perché temevano che fuggissi; tenevano le lanterne serate, perché non si vedesse il lume.
Venne avanti Giuda, il traditore, e, salutandomi con maniere cortesi e fingendosi amico e discepolo, come prima del tradimento, mai disse: Dio vi salvi, o Maestro! Ed io gli risposi con amorosa voce: Amico, a che sei venuto? Ed egli, appressandosi sfacciatamente al mio volto, mi diede il sacrilego e finto bacio, in segno di amore e di vera amicizia. Non respinsi il traditore, mia con altrettanto amore, quant'era la sua indegnità e finzione, diedi un nuovo assalto al suo cuore indurito dicendo: Ah, Giuda! Tu con questo baciò tradisci il Figliuolo dell'uomo! A queste parole, ed ai lumi che allora gli impetrai dal Padre, il traditore incominciò a conoscere il sino tradimento, ma non si arrese. Si ritirò, però,indietro con la coorte, che stava all'entrata dell'orto, per prendermi; nessuno,però, osava avvicinarsi per mettermi le mani addosso.
Per il fatto di Giuda, fu ferito il mio Cuore da fierissimo dolore. Provai, o sposa mia, un grande orrore nel vedere presso di me quel sacrilego ed il suo sordido volto appressarsi al mio, per baciarmi con la sua infame bocca. Allora si rinnovarono in me le amarezze e le angustie, perché vidi tutti i sacrileghi, che, con sfacciata fronte, sarebbero venuti a ricevermi nel Sacramento dell'Eucaristia, introducendomi dentro le loro sordide anime, macchiate di grave colpa. Intesi orrore e pena grave, vedendo la stretta unione che, in quell'atto, si sarebbe fatta fra il mio e il loro spirito, e vedendo che tante volte mi sarebbe convenuto umiliarmi ed avvilirmi tanto. Offri questa mia umiliazione ed abbassamento al divin Padre, in supplemento delle offese gravissime che, con questo mezzo, avrebbe ricevuto.
Parlai poi internamente al traditore e gli dissi Ah, Giuda, hai avuto tanto cuore di tradire il tuo Maestro, che tanto ti ha amato e beneficato! E come hai potuto fare ciò? E possibile che tanta carità, tanta bontà, tanto amore, non sia stato sufficiente a spezzare il tuo duro cuore? Deh! torna a me contrito del tuo fallo, ché ancora sei in tempo e ti offro il perdono. Resisté anche a questo il traditore, e più si indurì dopo il suo grave misfatto, che ben conobbe, ma inutilmente, perché disperò della divina misericordia.
Nel finto bacio del traditore vidi tutti coloro che l'avrebbero imitato nella finzione e nel tradimento dei loro prossimi. Ne intesi grande amarezza, che offri al Padre mio, supplicandolo di illuminarli e di fare loro conoscere il grave male, che è il tradire il prossimo, mostrando amicizia ed in realtà trattandolo peggio di un nemico. Vidi che il Padre l'avrebbe fatto, e che molti avrebbero approfittato dei lumi divini, emendandosi. Di ciò intesi consolazione, benché provassi dell'amarezza nel vedere che molti sarebbero restati nella loro perfida Ostinazione, come l'empio Giuda, e sarebbero perirti miseramente. Vidi anche tutti gli innocenti che sarebbero stati traditi e calunniati dai malvagi; pregai il Padre di dar loro la sua grazia ed i suoi aiuti speciali, per sopportare il tradimento e le calunnie ad imitazione mia, e di far conoscere la loro innocenza, come anche la malizia dei traditori e calunniatori. Vidi, che il Padre l'avrebbe fatto per l'onor suo e dei suoi veri servi, e che i perfidi sarebbero stati conosciuti ed aborriti, come avvenne a Giuda, che, stando nella sua disperazione, non trovò alcuno che lo sollevasse. Chi lo incontrava infatti rivolgeva altrove gli sguardi per non vederlo, perché il suo stesso aspetto spirava orrore, anche a quelli con i quali si era confederata; infatti riportando il denaro ai principi dei sacerdoti e ai Farisei, dicendo loro che aveva errato, che aveva tradito e venduto il sangue di un innocente e di un giusto, tutti rimasero sorpresi dall'orrore e rivolsero la testo altrove per non vederlo.

ROVESCIA I SOLDATI A TERRA E LI RIALZA
Stando, come dissi, vicino all'uscita dell'orto con la coorte vicina a me per farmi prigioniero, nessuno osava pormi le mani addosso: non si potevano appressare. Volendo far conoscere che spontaneamente mi davo nelle loro mani, le che, se non avessi voluto, non sarebbe mai riuscito loro di prendermi, dissi: Chi cercate? Risposero: Cerchiamo Gesù Nazzareno.
Alle quali parole risposi: Sono io. Dissi queste parole con voce maestosa, ed essi caddero in terra, come tramortiti, sentendo il tono della mia voce. Valli con questo far conoscere la mia potenza, e che io erra il vero Figlio di Dio; ma essi se ne servirono per maggiormente infuriare contro di me: perché, avendo, l'animo mal disposto, ed essendo istigati dai demoni, non fecero conto del lume e della potenza usata contro di loro; per la quale, se avessero voluto, potevano pentirsi del loro fallo e riconoscere me per il vero Messia promesso loro.
Stando così rovesciati in terra, ebbi di essi grande compassione. Il Padre, sdegnato verso di loro, voleva con la sua divina giustizia, fulminarli tutti, e farli precipitare negli abissi infernali, come meritavano. Ma io lo pregai di placare lo sdegno, e di contentarsi, che tornassero al loro primo essere. Lo pregai anche per il loro ravvedimento. Per alcuni non furono vane le mie suppliche, perché, servendosi dei lumi e della grazia, che impetrai loro dal divin Padre, si ravvidero dopo la mia morte; pochi però mi confessarono come vero figlio di Dio, mentre i più rimasero nella loro ostinazione e durezza.
Placato pertanto il divin Padre per le mie suppliche, ordinasi che quegli scellerati tornassero al foro primo essere. Disfatti, rialzatisi, alcuni dei più perfidi, si avventarono contro i miei discepoli, perché non conoscevano quale fosse la mia persona, essendo rimasti sbigottiti per la caduta. Ed io dissi di nuovo: Chi cercate ? Essi risposero: Gesù Nazzareno. Allora dissi di nuovo: Sono io. Se cercate me; lasciate liberi questi, e prendete me. Con questa parola davo loro licenza di prendermi, altrimenti non l'avrebbero potuto giammai.

PERCOSSE ED INGIURIE E MANSUETUDINE DI GESù
A queste parole lasciarono liberi i miei apostoli e si avventarono tutti contro di me. Ed, oh, sposa mia, quanto gravi furono le ingiurie che alcuni mi dicevano, quante le percosse che mi davamo, quanti gli strapazzi! Erano decisi a ridurmi a tal segno, che nessuno mi potesse più riconoscere. E difatti lo fecero.
Nel vedermi addosso tutti quei fieri ed arrabbiati manigoldi, puoi credere quanto fosse grande la pena e l'amarezza del mio nuore! Perciò dissi loro: Siete venuti a prendermi con funi e bastoni, come se fossi un ladro ed un infame assassino. Eppur sapete, che sono stato continuamente nel Tempio ad insegnare la celeste dottrina. Perché ora mi trattate così male? Dissi loro queste parole con tanta dolcezza ed amore, che anche i cuori di ferro si sarebbero mossi a pietà. Eppure quei perfidi si indurirono più che mai. Questa gente era stata ammaestrata da Giuda e dai Farisei, che avevano loro detto di essere forti, perché con la dolcezza delle mie parole incantatrici, li avrei fatti arrendere. Ed essi, stando su l'avviso, si facevano violenza e si sforzavano di trattarmi altrettanto male, quanta pera la dolcezza con cui trattavo con essi.
Il perfido Giuda, vista la mia cattura, e sentiti i molti e gravi strapazzi che mi facevano, partì; sentirai dopo ciò che successe di lui. Mentre stavo fra le mani dei nemici, i miei apostoli si ritirarono; rimasero solo Pietro e Giovanni. Pietro, nel vedere i grandi strapazzi e le percosse, mise mano ad una sciabola, e tirò un colpo ad uno, che, più di tutti, mi maltrattava; voleva recidergli la testa, ma gli tagliò un orecchio. Rimproverai allora l'apostolo, e preso l'orecchio di quel perfido, glielo risanai; ma essendo quello tanto infuriato contro di me, non pensò al beneficio che gli avevo fatto, per cui risanato, mi mise di nuovo le mani addosso, più infuriato di prima.

CATTURA UMILIANTE E PENOSA DI GESù
Mi gettarono in terra, mi legarono le mani e le braccia, e mi misero la cintura al collo. ed ai piedi una grossa catena. Mi percuotevano coi pugni sulla testa, negli occh�. Mi davano dei morsi nelle braccia, mi calpestavano i piedi, mi davano delle bastonate, mi strappavano i capelli, mi davano dei calci, degli urtoni, chiamandomi mago, seduttore, vagabondo, infame, ambizioso; dispregiatore della legge, ipocrita, capopopolo; tutte ingiurie che contro di me avevano udito dagli Scribi e dai Farisei. Io stavo sotto la pioggia di tante percosse e di tante ingiurie, come un agnello mansueto; non mi adiravo, non mi lagnavo, ma offrivo tutto al Padre. Allora la mia umanità sentiva tutti i dolori e i martiri assai più di quello che lo possa sentire alcun altro mortale: perché molto gentile e delicata era la mia complessione.
Quei fieri ministri ristavano tutti intorno, come cani arrabbiati e come tori furiosi. Urlavano, fremevano, facevano rumore e fracasso per l'allegrezza di essere riusciti ad avermi nelle loro mani. Sotto la pioggia di tante percosse, di tante ingiurie, di tanti strapazzi, vedendo che così ricompensavano l'amore che avevo loro dimostrato ed i molti benefici che ad essi avevo fatto, ne sentivo grande amarezza. In quei ministri che facevano a gara a chi più mi potesse percuotere ed oltraggiare, vedevo tutti quelli, che, per le loro colpe, erano responsabili delle pene, che io soffrivo proprio per soddisfare le colpe di tutti.
Non credere, sposa mila, che io li guardassi coni orrore e con sdegno. Anzi, soffrivo tutto con grande amore, ed era mio desiderio che essi approfittassero di sì grande beneficio; la mia maggior pena era, prima per le offese del Padre, e poi nel vedere che molti non avrebbero goduto del frutto della redenzione per colpa loro, e che tanti miei patimenti sarebbero stati inutili per essi. Oh! questo sì che mi passava l'anima, e come una spada mi feriva il cuore! Da quando fui preso dai miei nemici, ed incominciai a patire per le loro mani, volli sospesa anche la poca consolazione ed i gusto che mi apportava il vedere le anime, le quali avrebbero approfittato delle grazie che loro meritavo dal mio divin Padre, e mi avrebbero imitato nelle spie pene, perché durante la mia passione volevo rimaner privo di ogni conforto e consolazione, e soffrire tutta l'amarezza ed il dolore.
La stessa mia diletta Madre mi serviva di grande amarezza, perché la vedevo in tanto grave cordoglio; Essa sentiva nel suo cuore tutto quello che io pativo, edera immersa in un mare di amarezze e di dolori. Oh! quanto mi accresceva la pena, il vedere quell'innocente immacolata colomba, in tanti martiri, ed il suo cuore, veramente amante, gin tanti dolori! Io non avevo chi mi confortasse in tante pene; Lei non aveva chi la consolasse in tanti e si gravi affanni. E così, uniti insieme, stavamo totalmente abbandonati al dolore ed alle pene. Non rivolgevo il pensiero a quelli che ci avrebbero compatito ed imitato, per privarmi anche di questa consolazione; lo rivolgevo, invece, verso coloro che avrebbero tanto patito per amor mio. Vedevo i dolori e le sofferenze di tutti i martiri, di tutti quelli che avrebbero molto patito per amor del mio nome. Di ciò sentivo grande compassione ed amarezza; così, in tutto e per tutto, si andavano, accrescendo le mie pene interne e quelle esterne per mano dei miei nemici. Questo lo praticai per tutto il tempo della mia passione, e l'offrivo al Padre, in sconto dei peccati di tutto il genere umano, soffrendo per miei fratelli, non escludendone neppure uno solo dalla possibilità del beneficio, e soddisfacendo appieno alla divina giustizia per tutti.

OGGETTO DI SCHERNO E DI TORMENTI
Avendo alquanto sfogato sopra la persona mia il loro furore, dopo avermi i perfidi, caricato di percosse e di Ingiurie, cominciarono a trascinarmi versa la città, con le funi e le catene, dandomi delle bastonate, dei calci e dei pugni. Altri si trastullavano e, battendo le mani, con risate sconce, dicevano: Evviva, abbiamo avuto nelle nostre mani il mago, il malfattore. E tutti alzavano la voce. Altri mi tiravamo per lue orecchie, altri per i capelli. I demoni che li istigavano, quando, vedevano. che alcuni si stancavano e cessavano di percuotermi ed oltraggiarmi, li assalivano con più violenza, in modo che, infuriati più che mai, tornavano a tormentarmi con maggior crudeltà. Ero spesso fatto cadere, per gli urtoni impetuosi che mi davano, e per la violenza che facevano nel tirarmi con le fumi. Alcuni andavano avanti,altri dietro, altri mi stavano dintorno, come ara stato loro ordinato dall'empio Giuda e dai Farisei: alcuni di questi vennero dietro alla coorte, segretamente, per vedere se riusciva loro di farmi prigioniero e se ero trattato come avevano ordinato. Avendo tutto veduto, se ne tornarono lieti in Gerusalemme a darne avviso agli altri, onde si fossero rallegrati. Infatti ne fecero grande festa.

L'ORA DELL'INFERNO
Andavo in mezzo a quei perfidi, gin sommo silenzio, non aprendo, bocca, non lamentandomi della crudeltà ed inumanità, lasciando tutti liberi di sfogare sopra di me l'ira,e lo sdegno, avendo loro detto, che quella era la loro ora e l'ora della potestà delle tenebre. Vedendo le furie infernali la mia invitta pazienza, vieppiù si infuriavano sospettando che veramente potessi essere il Figlio di Dio; ma, non potendo avere sicurezza alcuna, procuravano di istigarne maggiormente i ministri a maltrattarmi. Poi dicevano non essere possibile che il Figlio di Dio si fosse tanto, avvilito e dato in potere di gente infame e perversa. Così non potevano assicurarsi del vero.
Mentre ero così trattato offrivo tutto al divin Padre in sconto delle offese che riceveva, lo pregavo di dare a tutti li miei fratelli e seguaci un invitta pazienza nelle ingiurie e negli strapazzi, che avrebbero ricevuto dai malvagi, come anche dalle furie infernali, che si sarebbero servite dei cattivi per tormentare i buoni. Allora vedevo tutte le pene che avrebbero sofferto i miei seguaci dagli empi per istigazione dei demoni. Pregai per tutti ed ottenni per essi dal Padre la grazia di soffrire tutto con pazienza e rassegnazione. Vidi il premio che questi avrebbero acquistato per la loro sofferenza, e resi grazie al divin Padre di tutto, come anche degli aiuti spirituali che avrebbe dato loro.
Vedendomi tanto sfigurato, che non si riconosceva più la mia persona, intesi qualche rincrescimento nella mia umanità di dover comparire in pubblico, dinanzi a tutta Gerusalemme, ed esser deriso da quanti mi avrebbero veduto; mia offri tutto al Padre, mostrandomi pronto a soffrire ogni umiliazione. Volevo sentire nella mia persona tutti i rincrescimenti e lue confusioni che avrebbero inteso i miei fratelli nelle loro pene, travagli e derisioni, offrendoli al Padre per ottener loro la fortezza e la pazienza in tutte le occasioni di dispregi; derisioni e patimenti, ed anche perché non potessero dire all'occasione: io soffro questo travaglio, che Gesù Cristo, mio esemplare, non ha sofferto. Tutto ciò che la creatura potrà incontrare di travagli, di ingiurie e di pene, sempre troverà che io ne ho sofferte assai maggiori, senza paragone alcuno.

LO DEFORMANO NELL'UMILIAZIONE - ABBANDONATO
Gli iniqui, già si erano accordati di maltrattarmi in modo, che non fossi neppure riconosciuto; poiché sapevano che il mio volto ed i miei sguardi erano di tanta virtù, che attiravano i cuori, conciliando l'amore di chi mi rimirava con buona volontà; si studiarono perciò in tutto e per tutto di deformarmi, affinché le turbe, vedendomi, non avessero compassione dei me, né si rivolgessero contro di loro e contro i Farisei. Perciò mi percuotevano spesso il volto con guanciate e gli occhi con pugni, e mi dicevano: Ora va, e con i tuoi sguardi tira a te i popoli interi. Quanto sentivo questo affranto, e quanto dolore soffriva, non vi è chi lo possa comprendere! I miei occhi, pieni di sangue, si erano tanto gonfiati, che appena vedevo la luce. Naso e labbra, a causa delle monte percosse e delle cadute, erano tumefatte, tanto che il mio aspetto metteva compassione anche ai cuori più duri. Sulla fronte e su un ciglio aveva ammaccature e urna ferita sanguinante, per aver battuto, cadendo, su di un sasso. I denti erano parte rotti e parti smossi, per i pugni e per le cadute. Le guance peste e nere, e tutto il volto ridotto in maniera, che non vi era più effigie di uomo. Tutto il corpo era pesto, e le braccia, per i morsi che mi avevano dato, stillavano sangue. I piedi ammaccati e anneriti, e parte delle unghie staccate. Le mani gonfie e annerite per la strettezza delle funi con le quali stavano legate.
Ridotto in tale stato, mi condussero alla città di Gerusalemme, tra fischiate, urli, battimenti di mani, ingiurie; ognuna faceva a gara a strapazzarmi, per far cosa grata agli Scribi e ai Farisei, i quali avevano promesso buona mancia, a chi più mi avesse malmenato. Ed io mi trovavo, in mezzo a sì crudele gente, da tutti abbandonato.
I miei apostoli erano fuggiti, spaventati; solo Pietro e Giovanni mi seguivano, ricolmi di timore e di amarezza. E Pietro camminava assali lontano da me, per il timore che aveva di udire tanto strepito, e di vedere le tante percosse che mi davano. Ed io soffrivo tutto con grande amore. Compativo molto i miseri che tanto mi straziavano, e pregava il divin Padre di perdonar loro un sì grave eccesso. Ed alle furie infernali dicevo dentro di me: Sfogate pure, spiriti ribelli, il vostro furore, perché, in breve, vedrete chi sono io, e sentirete ciò che cadrà sopra di voi! Progettavo infatti di incatenare Lucifero, e dei fulminare tutta i maligni spiriti negli abissi infernali, dopo la mia morte, come a suo luogo sentirai.
Offriva poi tutti i patimenti per amar dei miei fratelli e per ciascuno in particolare, secondo le offese che il divin Padre avrebbe da essi ricevuto. Il Padre si mostrava soddisfatto, ed io lo lodavo e ringraziavo a nonne dei miei fratelli, e mi offrivo pronto a soffrire tutta per amore suo, e per la salute del genere umano. Lo pregavo dei aiutarmi in tonti miei travagli e patimenti: ed il Padre mi dava la forza di soffrire, facendo un continuo miracolo di conservarmi in vita, per patire infatti molte volte sarei morto sotto la pioggia di tante percosse e di tanti strapazzi; perché la mia umanità sentiva tutto e la divinità stava come nascosta in me, per privare l'umanità del gaudio che le avrebbe apportato il sentirsi unita alla divinità. Voleva il Padre che io rimanessi immerso allora in un puro patire, senza mescolanza di consolazione alcuna, per meritare ai miei fratelli la divina consolazione nelle loro pene, travagli e patimenti.

IN CITTà - UMILIAZIONI
Mi fecero poi passare il torrente Cedron a guado, tirandomi con le funi, e la mia umanità intese molta patimento. dentro quelle acque.
Arrivati infine alla città, sebbene fosse notte, era accorsa molta gente ;per vedermi, istigata dagli Scribi e dai Farisei, e molto più dalle furie infernali. Al mio arrivo, incominciarono ad ingiuriarmi, chiamandomi seduttore, mago, incantatore. Sei alla fine caduto in mano della Giustizia! Ora pagherai il fio dei tuoi incantesimi e delle tue falsità. Queste furono le accoglienze che ricevei nell'entrare in città. Ve ne erano anche di più perfidi che mi tiravano dei sassi, avvicinandosi, per farlo: perché essendo circondato dagli sbirri e dai soldati, non potevamo farlo da lontano. Vi furono anche di quelli che, cui sassi, mi pestavano le spalle. Nell'entrare per la porta della città così strapazzato, alla mia mente si rappresentarono quelle anime infelici, che, abusando del beneficio della redenzione e morendo impenitenti, sono consegnate in mano dei nemici infernali, dai quali, introdotte nell'abisso infernale, vengono tormentate sopra ogni umano intendimento. Vedendo gli strazi che lue misere avrebbero patito in tale luogo, e i tormenti che loro stanno preparati per tutta un eternità, ne intesi una gravissima pena; come anche provavo grande amarezza nel vedere, che, quasi tutti quelli che mi tormentavano, sarebbero caduti in sì grandi tormenti. Bramando, che tutti ne fossero restasti liberi, offri per essi e per tutti i miei patimenti al divin Padre, supplicandolo che si fosse degnato di liberarli da tanta miseria, dando loro li suoi lumi e la sua grazia. E vidi che il Padre l'avrebbe fatto; ma intesi dell'amarezza nel vedere l'esiguo numero di coloro che ne avrebbero approfittato, ed il numero quasi incalcolabile dei miseri, che avrebbero abusato della misericordia divina (1).

è CONDOTTO AD ANNA
Entrando così straziato e sfigurato nella città, mi condussero nella casa di Anna, che era vicina. Questo fu il primo tribunale al quale fui presentato. Anna mi aspettava con grande desiderio dei vedermi: perché era precorsa la voce, che, essendo stato catturato dai ministri, mi avevano Oltremodo strapazzato e percosso. Del che tutti si rallegrarono. Vi erano anche molti Scribi e Farisei, che mi aspettavano, per vedermi e rallegrarsi della cattura, ed anche per ingiuriarmi e maltrattarmi: perché allora ognuno si faceva lecito di trattarmi peggio che avesse saputo. Intesi gran de rincrescimento per essere condotto a questo tribunale, perché sapevo la gravezza degli oltraggi che vi avrei ricevuto. Nonostante ciò, animato, andai con pronta volontà di soffrire tutto, per adempire la volontà del Padre, e per lasciare ai miei seguaci l'esempio di praticare le virtù che con invitta pazienza esercitai io.
Entrato in casa di Anna, Giovanni, che mi seguiva, partì ed andò a portare la funesta novella alla mia diletta Madre, la quale in spirito sapeva e vedeva tutto, trovandosi perciò in gravissimo cordoglio. Ira compativo molto e si accrescevano in me le pene per i suoi interni dolori ed amarezze.

NEGAZIONE DI PIETRO
Vidi che anche Pietro, il quale da lungi mi seguiva, entrò in detta casa, dietro a quelli che mi accompagnavano (1). Tutto ripieno di timore e di amarezza, avrebbe voluto fuggire anche lui, ma era sì grande l'amore che mi portava, che non gli bastava 1 animo di abbandonarmi. Entrò tutto timoroso interrogato da una servente, e riconosciuto per uno dei miei discepoli, negò di esserlo. Procurava di farsi violenza e di tenere nascosto il timore e la tristezza che sentiva, per dimostrare che non era della mia sequela. Andò a porsi con la donna al fuoco per scaldarsi, essendo l'aria rigida, perché era notte. Essendosi messo nell'occasione, l'apostolo cadde di nuovo e mi negò. E lo fece per tre volte, come gli avevo predetto (2). Tutto ciò accadde mentre io stavo alla presenza di Anna (3).

INTERROGATORIO DI ANNA
Giunto alla sua presenza, Anna mi rimirò con ciglio grave, altero e superbo, come anche quelli che si trovavano coro lui. Tutti pareva volessero fulminarmi con gli sguardi, rimirandomi con occhi torbidi e maligni e ingiuriandomi. Restarono però tutti attoniti nel vedermi tanto mal ridotto e sfigurato. Dicevano fra di loro: Veramente la coorte ha secondato i nostri desideri.
Io stavo con il capo chino, con gli occhi fissi in terra, con le mani legate, in atto umile, con serenità di volto, in profondo silenzio. A tale vista Anna mi chiese, che ne era dei miei discepoli. Fece ciò perché mai vide solo, in mano della coorte le da tutti abbandonato. In quello stesso momento Pietro mi stava rinnegando. Puoi credere quanta amarezza sentissi in questa interrogazione fattami per scherno! Alla quale, io non diedi risposta alcuna. Il mio Cuore era oppresso dal dolore per le negazioni di Pietro, che già sentivo. Pregavo il Padre di illuminarlo, e fargli conoscere il suo fallo. Difatti il Padre lo illuminò, ed, al cantar del gallo, si ricordò dei quanto gli avevo predetto, ed io, rimiratolo internamente, lo ripresi con molta dolcezza. Alle interne parole ed allo sguardo amoroso, 1 apostolo si pentì, si compunse, e proruppe in amarissime lacrime, dicendo fra sé : O Maestro, da me tanto amato! eppure sono caduto in sì grave eccesso di negarvi, mentre Voi pativate tanto per mostrarci il Vostro grande amore e sopportavate i più gravi tormenti per la salute delle nostre anime. Ferito nel cuore dal dolore, andò a piangere il suo fallo. Pietro corrispose alla grazia ed ai lumi, sperando il perdono, che subito ottenne.
Non cosi Giuda, il traditore, che, essendo tornato in sé, e conosciuto il suo grave delitto, disperò, facendo anche questa ingiuria alla divina infinita misericordia, per la quale non vi è peccatore, per grande che sia, che, contrito dei suoi falli, non trovi il perdono e la divina misericordia in favor suo. Vide anche il perfido Giuda i molti strapazzi e le percosse che ricevetti dai ministri di giustizia, e, conscio di esser lui la causa di tanti miei. patimenti, si empì d amarezza e di disperazione insieme, in modo che il vivere gli sembrò impossibile, avendo dentro di sé un inferno di crucci e di tormenti, perché tutte le sue passioni la laceravano, come tanti cani arrabbiati, ed i demoni lo tormentavano con la disperazione, procurando di indurlo a darsi la morte. Temevano si convertisse come Pietro, per il quale molto si turbò il nemico infernale, che cercava di far cadere e perdere tutti.

è SCHIAFFEGGIATO
Mentre stavo alla presenza di Anna, soffrivo grande amarezza. Vedendo che io non rispondevo alla richiesta che mi fece dei miei discepoli, me la rinnovò, perché, sapendo che uno di essi mi aveva tradito dandomi nelle loro mani, con tale richiesta pensò di schernirmi ed accrescermi l'amarezza, per darmi motivo di lamentarmi di loro; ma, vedendo che io non rispondevo, mi chiese, con voce più altera, quale fosse la dottrina che insegnavo. A questa richiesta risposi, che avendo parlato sempre pubblicamente, interrogasse quelli che erano presenti, i quali si erano trovati molte volte ad udire la mia parola. Tutti gli astanti restarono feriti da questa risposta: perché non potevano dire cosa alcuna dei male contro di me, essendosi manifestata la mia dottrina santissima, e le mie opere tutte perfette. Perciò fremettero con sdegno; ed un servo, alzando arditamente la mano, mi diede un orribile schiaffo, dicendo: Così rispondi al Pontefice? Questo fu quel perfido, al quale avevo sanato l'orecchio, quando mi avevano fatto prigioniero. Si chiamava Malco, ed era uno dei più perfidi e più duri di cuore.
Tutti fecero festa a questo orrendo schiaffo, dicendo: O servo veramente valente e di spirito ! e battevano le mani per l'allegrezza, ridendo tutti sconciamente, anche il Pontefice.
L'orrendo schiaffo mi fracassò la testa, che era molto indebolita per le percosse e le cadute, sicché appena la potevo reggere; la guancia, che già era tutta pesta, stillò sangue per la violenta percossa, e si ingrossò molto, in modo che mi rese più sfigurato. E l'iniquo servo invitava gli astanti a rimirarmi, schernendomi e beffeggiandomi. Ecco, o sposa mia, a quale segno mi ridussi in casa di Anna: ad essere schiaffeggiato peggio di un vilissimo malfattore, e da un vilissimo servo, senza che alcuno riprendesse la sua temerità ed il suo ardire. Anzi, fu da tutti lodato ed applaudito, tanto era fiero l'odio ed il livore che quei perfidi avevano contro di me: si facevano lecito di usare ogni ingiustizia.

MANSUETUDINE DI GESù
A questa percossa parlai al percussore, dicendogli: Se ho parlato male, danne testimonianza: ma se ho parlato bene, perché mi percuoti? Gli dissi ciò con voce sommessa e umile, anche perché, avendomi il detto servo inteso parlare molte volte al Tempio, desse testimonianza al Pontefice delle mie parole, se fossero state riprovevoli; ma, non potendo far questo, perché io avevo parlato sempre bene, gli richiesi perché mi avesse percosso. E ciò gli dissi,perché il servo rientrasse in se stesso, e si pentisse del grave fallo. Ma egli s indurì più che mai, mentre io, nel tempo stesso che mi aveva percosso, ero pronto a perdonargli, anzi bramavo la sua conversione. E pregai il divin Padre non solo di trattenere il castigo che meritava un sì grave eccesso, ma anche di perdonargli. Ma il perfido non corrispose alla grazia ed ai lumi divina (1).
Nella circostanza dell'orribile guanciata, vidi tutti quelli che avrebbero imitato questo perfido ed ingrato, che dopo aver ricevuto il beneficio dell'orecchio risanato,
mi fece dei grandi maltrattamenti, e poi ardì percuotermi, alla presenza del pontefice. E vidi, ed oh con quanto orrore! che molti dei miei fratelli, dopo aver ricevuto molte e molte grazie, avrebbero offeso gravemente il mio divin Padre, con offese pubbliche e scandalose; per essi sarebbero state derise ed oltraggiate le grazie del Padre anno e le cose del divino servizio, ed applaudite dai cattivi le male operazioni degli empi. Di ciò intesi grande amarezza.
La mia umanità ebbe grande confusione per quella percossa, e ne intese sommo dolore, che offri al Padre, in sconto della gravissima offesa che aveva ricevuta nella mia persona. Il Padre con questo si placò e trattenne il castigo verso quel perfido. Gliel'offri anche in sconto di tutti quelli che, all'occasione, avrebbero imitato quel sacrilego, e lo supplicai del perdono per tutti, e della grazia che, riconosciuto il loro fallo, si fossero pentiti e ravveduti. E vidi, che pochi se ne sarebbero approfittati, ma che i più sarebbero restati nella loro ostinazione e perfidia: di ciò ne provai grande amarezza.
Lasciai in questo fatto un raro esempio, a tutti i miei seguaci, di soffrire con pazienza e per amor mio anche le percosse, e di imitarmi; e pregai il divin Padre di dar loro la grazia di poterlo fare. Vidi che il Padre gliel'avrebbe data, ma molto pochi sarebbero stati quelli che l'avrebbero praticato, approfittandosi della detta grazia. I più non solo non l'avrebbero voluto soffrire, ma n avrebbero fatto vendetta con grandi risentimenti. Il vedere, o sposa mia, lo scarso numero di quelli che avrebbero imitato i miei esempi, mi cagionava una più crudele pena ed amarezza.
Essendo stato trattato in tal modo alla presenza di Anna, il mio Cuore si preparava a soffrire maggiori pene e dispregi. Dicevo al divin Padre: Padre mio, eccomi pronto a soffrire tutto, purché resti soddisfatta appieno la divina giustizia. Io mi sono addossato i debiti di tutti i miei fratelli, e sono pronto a darvene una paga traboccante. Solo vi prego, o Padre mio, del vostro aiuto, e che si plachi il vostro giusto sdegno verso tutti quelli che vi offendono, trattando così male la mia persona. Placatevi, o mio divin Padre, perché questi non sanno ciò che si fanno. Il Padre, a queste mie suppliche, restava placato, benché venisse continuamente irritata la divina giustizia dalle molte e gravi offese che riceveva nella mia persona.
Lo pregai anche di volersi degnare di are un simile sentimento a tutti i miei seguaci, affinché fossero
pronti a soffrire tutti i tormenti e i dispregi per imitarmi; avessero pregato per quelli che li oltraggiano, e tutto offrendo al divin Padre in sconto delle offese che riceve dai loro persecutori; Io supplicai ancora di rimunerare la loro sofferenza. E vidi che il Padre avrebbe concesso detta grazia a tutti i miei seguaci. Vidi anche tutti coloro che se ne sarebbero giovati ed il premio che loro stava preparato. Vidi però, che molti ne avrebbero abusato, ricusando di imitarmi. Intessi amarezza, nel vedere come la creatura, vile per se stessa, avrebbe rifiutato di praticare ciò che praticavo io loro capo, Maestro e vero Figlio di Dio.

è CONDOTTO A CAIFA - UMILIAZIONI
Essendo stato trattato, come hai inteso, Anna ordinò ai ministri, che gli fossi levato davanti, perché non poteva soffrire la vasta di una persona sì vile e deforme. In verità ero ridotto in stato, da non aver più figura di uomo, tante erano state le percosse.
Fui condotto fuori di quella casa, accompagnato da fischiate, da ingiurie e da percosse e tirato, a forza con funi e catene, per essere condotto da, Caifa, che mi stava ad aspettare con impazienza, insieme a molti Scribi e Farisei, tutti bramasi di vedermi, e di maltrattarmi (1). Le furie infernali pori non riuscivano a capirne donde potesse procedere in me tanta pazienza, tanta tolleranza, tanta umiltà. Temevano molto, che potessi essere veramente il Messia, perché la virtù da me praticata in tanti oltraggi, in tanti strapazzi e percosse erra sopra ogni umano potere: ma i superbi non potevano persuadersi, che il Figlio di Dio volesse tanto abbassarsi da divenire meno che uomo; perciò si affaticavano a suggerire a coloro che mi conducevano, sempre nuovi modi per tormentarmi maggiormente, dicendo: Se è puro uomo, alla fine cederà e cadrà, almeno in impazienza; e se è Figlio di Dio, non è possibile che non faccia vendetta di tanti oltraggi che riceve. Perciò, seguitiamo ad istigare i ministri e tutti contro di lui, finché arriviamo a sapere chi sia. Difatti, andavano istigando sempre più quei perfidi contro di me, suggerendo loro i modi più crudeli per tormentarmi. Ed essi li eseguivano senza compassione, come se io fossi stato una bestia indomita e non un uomo: tutti erano privi di umanità verso la persona mia.

ESORTAZIONE ALLA SUA SPOSA
Hai udito, o sposa mia, quanto soffri, quando fui preso dai miei nemici: le percosse, le ingiurie, gli strapazzi che ebbi a subire in questo tribunale: l'esempio di umiltà, di mansuetudine, che ho lasciato a te, ed a tutti i miei fratelli e seguaci. Per imitarmi dovrai anche tu soffrire tutto con invitta pazienza e con generosità; non dovrai fuggire mai l'occasione di patire; nelle ingiurie e nei torti, che ti saranno fatti, dovrai mantenere il silenzio, e, quando sarà necessario che tu parli, dovrai parlare con umiltà e mansuetudine. Ti ho insegnato anche come devi pregare il divin Padre per chi ti offende, ed offrire i tuoi patimenti in sconto delle offese che il divin Padre riceve da quelli stessi che ti offendono e ti maltrattano. Sta bene attenta ai lumi ed alla grazia che ti dà il divin Padre, onde mi possa imitare perfettamente. Abbi sempre in mente quanto ho patito e sofferto io, essendo Figliuolo di Dio: tutto ho fatto per lasciare a te ed a tutti i miei seguaci un raro esempio, di come vi dovete comportare in tutte le occasioni. Così non ricuserai mai di soffrire e di patire ciò che ti si presenterà, se terrai fissi gli sguardi in me, tuo esemplare. Io, in tutta la mia vita, praticai quello che insegnavo; ma, nel tempo della mia passione, lo praticai in modo mirabile, come vai sentendo. Ti avverto ancora di non diffidar mai della divina misericordia, quantunque ti conosca colpevole; ed esorta anche tutti a confidare: perché hai inteso come fossi pronto a perdonare le ingiurie e le offese più gravi; anzi,con quanta liberalità offrivo il perdono al traditore Giuda, a Mallo, ed a tutti quelli, che tanto mi maltrattavano. Anche tu in questo imitami, come seguace e fedele sposa: non solo nel perdonare ai tuoi prossimi le ingiurie ed i maltrattamenti, ma nel pregare per essi, e nell'offrire al divin Padre, quella tua sofferenza, perché si plachi con essi e perdoni loro, domandandoglielo anche tu, dia parte loro. E fa tutto di buon cuore e con vero zelo, perché le loro anime si salvino e tornino all'amicizia di Dio. E quando vedrai che le tue suppliche sono esaudite dal Padre, rallegrati e ringrazialo da parte di tutti quelli che avranno ottenuto le grazie, che per essi domandi.

CAPO SESTO
Come il Figliuolo di Dio fu condotto da Caifa e giudicato reo di morte. Dei patimenti che soffrì nel restante di quella notte. Dei falsi testimoni trovati contro di lui e di ciò che operò nel suo interno sino a che fu condotto da Pilato.

VIAGGIO DOLOROSO ED UMILIANTE
Uscito dalla casa di Anna, mi condussero in casa di Caifa, dove molti stavano ad aspettarmi, perché non volevano andare a riposare, prima di avermi visto. E, quantunque sapessero che ero stato presa, e stavo legato in mano della coorte, con tutto ciò vollero avere la soddisfazione e la consolazione di vedermi con i propri occhi. Pertanto i ministri mi tiravano con gran fretta per le strade, essendo venuta gente a dire che si fossero affrettati, perché Il Pontefice mi aspettava con impazienza, volendo poi andare a riposare.
Poiché ero così violentemente tirato, spesso cadevo in terra, perché la mia umanità era molto indebolita, per i patimenti sofferti. A forza di percosse e di tirature di funi, mi facevano rialzare. Mi conducevano con strepito, ingiuriandomi e maltrattandomi, affinché la gente che udiva, si fosse tutta rivoltata contro di me. Difatti non vi era chi di me avesse compassione. Per lo più tutti dicevano: Ecco che alla fine è caduto, in mano della giustizia: si è scoperto chi egli è. Chi l'avrebbe mai pensato, che fosse stato tale ? Veramente i nastri superiori avevamo ragione di Odiarlo tanto!
Non mancò, chi anche dalle finestre mai accompagnasse con ingiurie e schermi, beffandomi e deridendomi. Tra questi ed anche fra quelli stessi che mi conducevano e mi malmenavano, molti da me erano stati risanati da varie infermità. Ed io, nel vedere tanta crudeltà e tanta ingratitudine, sentivo, una somma amarezza.
Avendo poi io i capelli lunghi, facevano a gara chi più ne potesse strappare. Li tiravano con tale empietà, da ridurli così mal conci, che più non si distinguevano se non dal colore. Infatti, deformarono tutto ciò che in me pareva loro potesse conciliare l'amore, affinché mettessi orrore in chi mi rimirava. Tanta era la loro malizia! Ed io offrivo tutto al Padre, in sconto delle offese che riceveva, ed offrivo la deformità in cui mi avevano ridotto, in sconto dei peccati dei miei fratelli, i quali pongono tutto il loro studio nell'ornarsi per comparire e piacere alle creature. Io allora vedevo tutto e ne sentivo amarezza. Dicevo: Ecco quanto cari mi costano i vostri vani ornamenti, e lo studio che ponete nel comparire, per piacere alle creature! Ecco ciò che soffro per pagare alla divina giustizia le vostre vane soddisfazioni! Ah, almeno trovasse in voi corrispondenza l'amore con cui io pago i vostri debiti, e vi ricordaste di quanto ho patito per voi! E vedendo che la maggior parte ne sarebbe vissuta dimentica, ne sentivo una grande amarezza.
Sappi, sposa mia, che andavo spesso lamentandomi in tal modo con i miei fratelli. Vedendo la loro incorrispondenza e la loro ingratitudine a tanta bontà ed a tanto amore, il mio Cuore soffriva gran pena, perché bramava che tutti si giovassero delle grazie, che loro impetravo dal Padre mio, e corrispondessero all'amore che portavo ad essi ed al beneficio loro concesso. Rivolto poi al divin Padre, gli offri me stesso così sfigurato e lo pregai che, per quanto soffrivo, si fosse degnato di dare ai miei fratelli lume e grazia da conoscere il loro errore, sì da avviarsi ad ornare l'anima, che deve piacere a Lui, e non il corpo per piacere
alle creature. Vidi che il Padre l'avrebbe fatto, e che molti ne avrebbero approfittato, rinunziando a tutte le vanità e pompe mondane, contentandosi di vivere sotto umili vesti, per seguire me, povero ed abietto. Soffri però molta e grave amarezza nel vedere il numero stragrande di quelli che sarebbero andati perduti dietro le vanità e le pompe mondane. Ma ciò che più mi affliggeva era il vedere che, anche quelli che si dichiaravano miei seguaci ed imitatori, si sarébbero perduti dietro queste pazzie e vanità mondane, che non servono se non a nutrire la loro passione di amor proprio. Con tali sentimenti essi disgustano molto il divini Padre, e restano privi degli ornamenti nobilissimi, che il Padre darebbe alle loro anime, per mezzo della sua divina grazia.

IN VEGLIA
Andando, come già ho detto, in casa di Caifa, e soffrendo molti strapazzi ed ingiurie per la strada, nell'avvicinarsi alla casa del Pontefice, la mia umanità sentì grande rincrescimento, per i molti maltrattamenti e i dispregi, che mi erano stati preparati. Ma animato dall'amore con cui soffrivo, e tutto rimesso alla volontà del Padre, andavo con il desiderio di soffrire per l'amore e la salute di tutti i miei fratelli.
Molti stavano alle finestre della casa del Pontefice, per sentire, dal rumore delle fischiate, quando fossi arrivato, e darne a lui la nuova. E, quantunque fosse di notte, pure stavano elle finestre, non temendo né arda, né freddo, e patendo tutti il sonno, per dare soddisfazione al Pontefice, agli Scribi e ai Farisei: tutta la servitù era in veglia. Ed io, nel vedere questo, sentivo grande amarezza, perché si rappresentavano alla uria mente tutti quelli che avrebbero vegliato e patito molto per le loro vane soddisfazioni, e per sfogare le loro ree passioni, e che invece per la salute delle loro anime, e per il servizio e la gloria del divin Padre, non avrebbero potuto né voluto soffrire cosa alcuna, sembrando loro molto grave ogni leggero incomodo, ed ogni piccolo patimento insoffribile e difficile. Perciò, pregavo il divin Padre di illuminarli e di far loro conoscere l'inganno in cui vivono. E vidi che il Padre l'avrebbe fatto, e che molti, servendosi dei lumi divini, avrebbero procurato di soffrire incomodi e patimenti per la loro eterna salute e per il servizio e la gloria del divin Padre. Di ciò ne resi grazie al Padre. Ma senti dell'amarezza nel vedere il gran numero di quelli che si sarebbero abusati dei lumi divini, non facendone conto alcuno, e che avrebbero patito e sofferto molto per le loro vane soddisfazioni e capricci. Io offrivo al Padre quella veglia dolorosa in sconto delle loro colpe.

DINANZI A CAIFA ED AL SINEDRIO
Arrivato, pertanto, in casa del Pontefice Caifa, tutti quelli della coorte incominciarono a far festa, chi saltando e chi battendo le mani per l'allegrezza: facevano tutto per aderire agli Scribi e ai Farisei, che stavano ad aspettarmi.
Entrai in quella casa col capo chino, cogli occhi bassi, pieno di confusione, per la figura deforme in cui mi trovavo: solo, in mano dei nemici, da tutti abbandonato. Tutti erano contro di me, non essendovi uno solo che avesse per me un po' di compassione. Ero pieno di confusione, per vedermi tanto sfigurato, perché volevo soffrire tutte le pene, che un puro uomo avrebbe sofferto, se si fosse trovato in quello stato deplorabile. E nel soffrire quelle pene, andavo compatendo tutti i miei seguaci, che, per amor mio e del mio Nome, avrebbero patito travagli e confusioni. Domandavo per essi al Padre mio la grazia e la virtù, onde avessero sofferto con generosità, come lo soffrivo per loro amore.
Arrivai frattanto alla presenza del giudice, che sedeva in trono, con volto serio, gonfio di superbia. Intorno all'ampia sala erano, in gran numero, egli Scribi e i Farisei, tutti con aria seria, mostrando autorità sopra di me. Mi guardavano con occhi torbidi ed irati, come se volessero uccidermi con i loro sguardi. E pur vedendomi già tanto mal ridotto e sfigurato, si accrebbe tuttavia in essi l'odio e la vendetta contro di me, essendo io divenuto l'oggetto del loro sdegno e furore per i molti benefici che loro avevo fatto.

INTERROGATORIO E CONDANNA
Io stavo Come un agnello mansueto, in mezzo a quei lupi rapaci, alla presenza dell'empio giudice, alle interrogazioni del quale, non diedi mai risposta, essendo falso tutto ciò che mi chiedeva e di cui mi avevano accusato quegli empi e crudeli. Tutti gli astanti fremevano, perché non davo alcuna risposta. Vi fu chi disse al Pontefice, che, essendo io un ipocrita, non rispondevo, perché, stimandomi innocente, pretendevo che anche il giudice mi stimasse tale: per questo stavo in atteggiamento umile, ma in verità, ero un superbo ardito, che, con tanta sfacciataggine, riprendevo tutti, quando predicavo al Tempio. Poi ognuno degli astanti disse il suo sentimento e parere contro di me. Furono molte le accuse che mi fecero in questo tribunale, tutte false ed infami, tacciandomi da seduttore, da prevaricatore, da superbo, da indemoniato, amico di gente infame, che avevo commercio coi pubblicani, che mangiavo e bevevo con essi, che volevo essere Re, e mi chiamavo Figlio di Dio. E nel dire tutte queste ed altre cose contro di me; le accompagnavano con ingiurie e maldicenze. Dopo che si furono sfogati alquanto, stando io ad udire tutto in profondo silenzio, che offrivo al Padre, in sconto dei loro gravi peccati, alla fine mi interrogò il Pontefice, in Nome di Dio vivo, perché gli dicessi, se veramente ero il vero Figlio di Dio, come gli avevan detto che da me stesso mi ero dichiarato. Il Pontefice mi fece questa interrogazione, non per sapere se io fossi veramente il Figlio di Dio, ma per sentirlo dire dalla mia bocca alla presenza di tutti; e per prendere motivo di condannarmi, se l'avessi confessato; di deridermi e farmi restar confuso e svergognato alla presenza di tutti, se l'avessi negato. Quantunque fosse cattiva la sua intenzione, io risposi a questa domanda, per il rispetto e la riverenza che avevo al divin Nome, e gli confessai, alla presenza di tutti, che io ero veramente il figlio di Dio, e che mi avrebbero veduto sopra le nuvole, per giudicare il mondo. Appena ebbi proferita questa parola di verità, furono tante le fischiate, i battimenti di mano, e le ingiurie che quella sala sembrava un luogo di confusione o di vendetta. Irato per la risposta e pieno di sdegno, il giudice esclamò: Ha bestemmiato, e perciò lo faccio reo di morte. Alzando le voci, tutti gridavano: è reo di morte. Strappatesi le vesti in due parti, in segno di ira e di vendetta, ordinò che fossi posto in carcere per il resto della notte (1).
Gli Scribi e i Farisei presero, poi, motivo dalle parole che avevo detto al giudice, confessandomi vero Figlio di Dio, per far credere, che fossero vere anche tutte le altre falsità che mi opponevano. Dicevano al Pontefice: Come non ha negato questa falsità, così è reo anche di tutte le altre. E fini considerato tale. Né io volli discolparmi, ma tacqui. Tra tutte le falsità che dissero di me in questo tribunale, due sole cose erano vere: che io mi chiamassi Figliuolo di Dio, cioè, che chiamavo Iddio, mio Padre celeste, e che mangiavo coi pubblicani. Questo era accaduto qualche volta, ma non perché fossi uno cui piacesse il mangiare e bere, come essi dicevano: infatti la mia vita in questo fu molto parca; patii molto la fame e la sete, ed il mio solito cibo era pane ed acqua; ma trattai con i pubblicani per convertirli. E se mangiai con essi fu, perché vedendo il mio modo di vivere, restassero edificati, ed anche per non lasciare l'occasione, che mi si presentava di bene ammaestrarli.
Soffrii tutte le ingiurie e le false imposture, con somma pazienza, per insegnare ai miei fratelli, che, molte volte, si deve tacere e soffrire; ma, quando è necessario parlare per la gloria del divin Nome, lo si deve fare con libertà e franchezza, come io confessai pubblicamente che ero il vero Figlio di Dio, quantunque sapessi, che tale confessione mi sarebbe costata molte derisioni ed ingiurie, e per essa mi avrebbero dichiarato reo di morte.
In questa circostanza vidi tutti quelli, che per la confessione del'mio Nome e per dichiararsi cristiani, avrebbero sofferto tormenti dai tiranni e dai nemici della mia fede, e che sarebbero stati condannati ad una morte assai penosa. Sentii grande amarezza per tutti, ché io vidi non sol tutti quelli che sarebbero morti per la confessione del mio Nome, ma anche tutti i tormenti che avrebbero sofferto, uno per uno, distintamente, ed intesi allora nel mio intero tutta la pena che essi avrebbero sofferto nei loro corpi. La offri al divin Padre, supplicandolo di volersi degnare di raddolcir le loro sofferenze in virtù della pena, che allora soffrivo io. Lo pregai di dare loro fortezza e generosità nel patire e perseveranza, sino alla fine. E vidi, che il Padre l'avrebbe fatto, e di ciò gli resi grazie. Vidi ancora, con mia somma amarezza, tutti quelli che si sarebbero arresi, rinnegando la mia fede. Oh, quanto fu grande il mio dolore nel vedere così disonorato il divin Padre, e perdute irreparabilmente tante anime ! Perciò offri quel mio dolore al Padre, e lo pregai del suo aiuto, dei suoi lumi e della sua grazia per tutti quei miserabili. E vidi, che il Padre glieli avrebbe dati, e per questo molti si :sarebbero convertiti e ravveduti. Ne resi grazie al Padre; ma intesi dell'amarezza nel vedere il numero grande di coloro, che sarebbero rimasti nella loro, ostinazione ed infedeltà: e, perciò, sarebbero miseramente periti.

VIENE CONDOTTO IN UNA STANZA IMMONDA - UMILIAZIONI
Avendo ordinato il giudice, che gli fossi levato davanti, e che fossi posto in carcere per il resto della notte, ben custodito dati ministri, perché non scappassi dalle loro mani, mi condussero, a, forza di percosse, in una stanza sordida, dove stavano delle immondezze.
Intanto gli Scribi e i Farisei rimasero a consigliarsi con il Pontefice, di ciò che dovevano fare della mia persona. Si accordarono di farmi condurre, la mattina per tempo, da Pilato,giudice gentile e governatore, e di trovare testimoni che mi avessero accusato, per farmi condannare alla morte di croce. Era questa, allora, la morte più ignominiosa ed infame, che il giudice gentile soleva dare ai malfattori. Mi vollero condurre da Pilato, perché loro non potevano condannarmi ad una morte così umiliante. Onde, risolto ed aggiustato tutto, partirono, per andare a riposare. Vi furono, però, quelli che non vollero prendere né riposo né cibo, finché non mi videro morto in croce. Perciò, usciti dalla casa del Pontefice, vi fu chi andò ad ordinare la croce e chi i chiodi, affinché quando Pilato avesse data la sentenza, si potesse subito eseguire e non vi mancasse cosa alcuna. Vi fu anche chi restò in casa di Caifa, andando dietro alla sbirraglia, per attizzarla a strapazzarmi e tormentarmi nel resto di quella notte. E vollero prendersi la soddisfazione di vedermi tormentare con i propri occhi. Difatti, quei perfidi ministri di giustizia, vedendo che i Farisei gradivano molto che mi avessero tormentato, fecero a chi mene poteva far di più. Questi erano attizzati e fortemente istigati dai demoni. Incominciarono i più giovani ed insolenti a strapazzarmi.
O quanto, sposa mia, soffri in quella notte dolorosa! Non vi è mente che lo possa comprendere. E siccome le creature si fanno lecito di commettere nella notte ogni sorta di peccati, così quei perfidi si permisero dei farmi ogni sorta di maltrattamenti e di ingiurie. Ed io soffri tutto con pazienza, e lo offrivo al Padre, in sconto di tutte le offese, che nelle notti funeste, riceve dai mici fratelli. Tutte sì rappresentarono in quella notte alla mia mente: tutto vidi e per tutti patii, come ora udrai.
In primo luogo mi bendarono gli occhi, chiamandomi falso profeta, dicendomi che, allora,era veramente il tempo di far loro conoscere le mie profezie. Incominciarono a percuotermi, con pugni in testa, sulle spalle, ne1 petto, dicendomi che profetizzassi ed indovinassi chi di loro mi aveva percosso. Altri con calci, altri con bastonate, altri mi tiravano i capelli, altri la barba, altri le orecchie, dicendo tutti: Gran profeta, indovina chi di noi ti percuote. Altri, cavandosi le scarpe, mi percuotevano con le medesime, in segno di disprezzo. Altri mi acciaccavano i piedi, altri mi pigliavano per la carne delle braccia e della vita, e la torcevano fortemente. Altri mi davano delle guanciate.
Stavo io, sposa mia, sotto la piena di tante percosse, in grande silenzio e con invitta pazienza. Altri mi torcevano il collo e mi facevano girare intorno. Sentivo molto il dolore delle percosse e degli strapazzi. E mentre vedevo tutte le offese che il divin Padre, nelle funeste notti, avrebbe ricevuto, gli offrivo la soddisfazione, pagandogli con i miei dolori e disonori, tutti i debiti, che, con la divina giustizia, avrebbero contratto i miei fratelli.

IL MASSIMO DEI DILEGGI E DEGLI OBBROBRI
Essendosi trastullati un pezzo, in tal mordo, i ministri, stanchi di tormentarmi, mi levarono il sordido panno, che mi avevano posto sugli occhi, e, fattomi sedere, incominciarono a dire che, pretendendo di essere Re, mi dovevano dare i meritati ossequi., Difatti, preso vigore e incitati sempre più dalle furie infernali, incominciarono a farmi dei disprezzi, salutandomi con le spalle rivolte a me, e facendo tutti a gara a chi più potesse dileggiarmi. Incominciarono,poi, a sputarmi in faccia: ognuno procurava di raccogliere delle flemme,per gettarmele con impeto sul volto. Furono tanti gli sputi, che arrivarono a ricoprirmi tutto il volto, in modo che sino gli occhi ne erano pieni. Non ci vedevo più e non potevo pulirmi, perché avevo le mani legate dietro alla cintura. Mi empirono di sputi anche la bocca, tanto che mi sentivo soffocare. Errano, poi, si fetenti e stomachevoli, che la mia umanità soffrì un grande tormento ed una grande pena. Nel gettarmi in faccia quei fetenti sputi, mi ingiuriavano dicendomi: Bisogna che noi aggiungiamo ornamento al tuo bel volto, ché tanto conto facevi della tua bellezza, che volevi essere da tutti amato, onorato e rispettato. Prendi, ora, questi ossequi e questi ornamenti per la tua bellezza e per la vaghezza del tuo aspetto! Ora si vede come era posticcia la tua bella presenza! sì presto si è tutta deformata. Ora sì, che puoi andare a cacciare i demoni, perché il tuo aspetto stesso, sì orribile, li farà fuggire. Or va, e tirati dietro le città intere con i tuoi sguardi! Mi dicevano tutto ciò, e mi andavano sempre percuotendo, senza stancarsi, perché erano aizzati dalle furie infernali, l'e quali, vedendo la mia grande sofferenza, infuriavano sempre più, non potendo arrivare a capire chi io fossi; per scoprirlo, inventavano ogni sorta di disprezzi, di ingiurie, di strapazzi, che la loro malizia sapeva ritrovare, suggerendoli a quei ministri crudeli, perché me li avessero fatti. E quelli erano pronti ad eseguire tutto ciò che loro veniva suggerito. Non poterono mai, i demoni, resistere ai miei comandi, e non potevano stare alla mia presenza, perché soffrivano grande tormento; perciò fuggivano da me. Sentivano farsi anche una grande violenza, e perdendo le forze, restavano atterriti ed abbattuti, e non potevano sapere donde provenisse ciò. Provarono tutto questo nel tempo in cui vissi fra gli uomini; ma, durante la mia passione, restarono in libertà, ed ebbero tutta la possibilità di esercitare contro di me la loro rabbia ed il loro furore, servendosi dei ministri di giustizia. Lo permise il Padre, ed io volli soggiacere alla loro insolenza ed al loro furore, affinché con questa mia sofferenza, potessi meritare a tutti i miei fratelli la grazia di essere liberi dalle insolenze delle furie infermali, e di poterne allontanare da sé e mettere in fuga; perché, divenuti i suddetti spiriti ribelli privi di forza e di potare, sarà loro possibile di fare soltanto ciò che, per altissimi fini il divin Padre permetterà. Perciò, soffrendo io i molti strapazzi, le insolenze e i tormenti inventati da quei maligni spiriti, li offrivo al divin Padre, supplicandolo di dare, a tutti i miei fratelli, virtù, e dominio sopra gli spiriti infernali, affinché essi non abbiano alcun potere, né dominio sopra nessuno. Vidi, però, che molti sarebbero stati travagliati in varia modi dai suddetti spiriti, e che il Padre l'avrebbe permesso per altissimi suoi fini. Di ciò ne intesi .pena, e pregai il Padre di dare fortezza a tutti quelli, che sarebbero stati travagliati, e di liberarli dalle plani di un nemico sì fiero. Vidi, che il Padre l'avrebbe fatto, e gliene resi grazie. Intesi, però, dell'amarezza nel vedere, che molti sarebbero restati sempre travagliati da sì fiero nemico; perciò adorai i profondi giudizi del divin Padre e le sue divine permissioni, e lo pregai della sua grazia ed assistenza per tutti coloro che sarebbero stati travagliati. Vidi che il Padre l'avrebbe fatto, ed lo gliene resi grazie a nome di tutti.
Continuando a soffrire molti strapazzi e percosse da parte degli stessi crudeli ministri, alla fine essi si presero giuoco di me, balzandomi da una parte all'altra. Salendo sopra un banco, che vi era per sedere, mi prendevano per i capelli, alzandomi in aria, e mi rigettavano in terra. Furono tanti, sposa mia, gli strapazzi e le percosse che ricevetti nel resto di quella notte, che, se la divinità non avesse conservata in vita l'umanità, sarei morto più volte, soffrendo tali dolori e patimenti, che si rendevano molto sensibili alla mia umanità (1).
Assai maggiore, però, erano la pena ed il dolore interno che soffrivo, nel vedere le offese del divin Padre, l'ingratitudine delle creature, per le quali pativo, e i dolori della mia diletta Madre, che, in spirito, vedeva e sentiva tutto nel suo amante ed afflitto cuore. Non trovavo alcun conforto nelle mie pene, tanto esterne che interne, puoi quindi capire in parte, quanto grande fossero il mio dolore, la mia pena e la mia amarezza. Offrivo tutto al Padre in sconto delle offese, che riceveva.

RACCOLGONO FALSI TESTIMONI
Intanto alcuni degli Scribi radunavano falsi testimoni, per accusarmi al presidente Pilato, affinché mi condannasse a morte. Promisero buona mancia a quelli che trovarono. Sebbene le accuse non fossero sufficienti per potermi condannare a morte, dicevano: Ci sarà la nostra autorità, per cui il presidente farà quanto gli chiederemo. Vedevo ed udivo tutto, ed ogni cosa accresceva pena ed amarezza al mio Cuore divino, che si trovava immerso in un mare amarissimo di affanni e di dolori, senza un minimo conforto. Mi dava motivo di consolazione il vedere, che soddisfacevo in tutto e per tutto alla divina giustizia, per i peccati di tutto il genere umano; ma il vedere che continuamente veniva irritata con nuove offese, mi era causa di più crudele amarezza.
Molte furono de accuse, che prepararono i maligni. Insegnavano ai testimoni quello che,dovevano dire, cioè Che mi avevano udito dire che in tre giorni volevo riedificare, il Tempio; che avevo negato dei pagare il tributo a Cesare, e che avevo detto non doversi pagare; che pretendevo il regno; che pervertivo il popolo; che riprendevo e predicavo senza che alcuno me ne avesse data l'autorità; che avevo commercio col demonio; che, per opera del demonio, facevo molti miracoli. I falsi testimoni promisero di dir tutto, ed amiche con giuramento, se fosse stato necessario. Si rallegrarono moto di ciò giri Scribi, sembrando già ad essi, che sarebbero arrivati a conseguire il loro intento.
Io sentivo tutto, e ne provavo grande amarezza. Mi offri al Padre, pronto a soffrire in sconto delle molte e gravi offese, che avrebbe ricevuto dai miei fratelli, specialmente da quelli che testimoniano il falso contro gli innocenti, che tutti ebbi allora presenti alla mia mente, e per i quali intesi grande amarezza e dolore. Pregai il Padre che, in virtù del mio dolore e amarezza, si fosse degnato di illuminarli, facendo conoscere loro il grave errore, e avesse data ad essi la grazia di potersi emendare e di fare penitenza del loro peccato. Vidi che il Padre l'avrebbe fatto, e che alcuni si sarebbero ravveduti e, dopo aver confessata la loro falsità, ne avrebbero fatta la dovuta penitenza. Di ciò resi grazie al Padre. Ma soffri dell'amarezza, nel vedere che molti sarebbero restati nel loro errore e nella loro falsità. Pregai il divin Padre di dare virtù, grazia e fortezza. agli innocenti, affinché soffrano tutte le calunnie e le falsità con invitta pazienza, come le soffri io per amore di tutti i miei fratelli e in sconto dei loro errori. Vidi che il divin Padre avrebbe eseguito ciò che gli chiedevo. Vidi inoltre che si sarebbe palesata la loro innocenza, e di ciò ne resi grazie al divin Padre, anche a nome di tutti. Quantunque stessi sotto la pioggia di tante percosse, ingiurie e strapazzi, che non mi facevano avere un momento di requie, non lasciai mai di pregare il Padre per tutti i miei fratelli, e di offrirgli tutto in sconto delle loro colpe, non escludendo nemmeno coloro che mi tormentavano con tanta empietà; pregavo il divin Padre di volersi degnare di dare grazia a tutti i miei seguaci di imitarmi anche in questo; cioè, che, stando travagliati e tormentati dai cattivi, non tralascino di offrire tutto al Padre, e di pregarlo per quelli stessi che li travagliano e tormentano. Vidi che il Padre avrebbe dato loro la detta grazia, e che essi ne avrebbero approfittato. Di ciò resi grazie al divin Padre, pur sentendo grande amarezza nel vedere i miei seguaci in tanti travagli e in tante pene. Pregai Il Padre mio, che, in virtù di quella mia amarezza, si fosse degnato di consolarli tra tante loro angustie, perché mi contentavo di restar io privo di ogni consolazione. Vidi che il Padre l'avrebbe fatto con paterno amore, riempiendo le loro ariane di consolazione in mezzo aghi stessi travagli e patimenti. Di ciò gli resi grazie.
Stando fra tanti strapazzi e tormenti, ridotto ad uno stato veramente compassionevole, non trovai, nel cuore di quei perfidi, né compassione né carità, perché il loro cuore era divenuto carne una pietra verso di me, senza sentimento di pietà alcuna.
Spuntato il giorno, vennero tutti in causa di Caifa per vedermi; vennero anche molti dei detti Scribi e Farisei e, vedendomi tanto mal ridotto e sfigurato, incominciarono a ridere e a beffarmi con motti di scherno e parole ingiuriose; lodando i ministri, che avevano avuto tanto spirito da ridurmi in sì misero stato.

SUPPLICA IL PADRE
La mia umanità non si reggeva più in piedi, e, rivolto al Padre, lo pregai del suo aiuto, affinché potessi soffrire il molto di più che mi restava. Lo pregai anche, ricorrendo a lui i miei seguaci e fratelli, a domandargli l'aiuto e la grazia di poter patire gli strapazzi e quant'altro Egli permette che sia loro fatto dalle creature, si degni concederlo con prontezza. Vidi che il Padre non avrebbe mancato di farlo. Di ciò lo ringraziai da parte di tutti.
Devi sapere, sposa mia, che durante la mia passione, mi trovavo spesso privo affatto di forze, in modo che la mia umanità non poteva più reggere a tante percosse e strapazzi. Allora domandavo forza al divin Padre, e Lui me la dava. La mia umanità riprendeva allora vigore da poter reggere ai molti patimenti. Sempre, però, mi umiliavo a domandarla al Padre, quantunque l'avessi potuta avere con un atto della mia volontà. Con tutto ciò, volli vivere in tutto e per tutto soggetto al mio divin Padre, ricorrendo sempre al suo aiuto, e mostrandomi in tutto soggetto a Lui. Lo pregavo anche, ogni volta che gli domandavo la suddetta grazia, che si fosse degnato di dar lume a tutti i miei fratelli, affinché essi pure avessero fatto ricorso a Lui in tutti i loro bisogni, domandandogli con ogni umiltà e confidenza, il suo aiuto. Vedevo che il Padre l'avrebbe fatto. Vidi che molti se ne sarebbero prevalsi . ed avrebbero trovato pronto il soccorso. Di ciò resi grazie al Padre, benché sentissi dell'amarezza, nel vedere che molti non si sarebbero giovati della grazia, anzi, ne avrebbero abusato, per cui avrebbero patito con più pena ed avrebbero inteso molto il travaglio, rivolgendosi essi alle creature invece di chiedere aiuto al divin Padre. Perciò pregai di nuovo il Padre di illuminarli, facendo loro conoscere l'errore. Vidi che molti si sarebbero ravveduti e, ricorrendo al Padre, sarebbero restati consolati ed aiutati. Di ciò resi grazie.

GIOVANNI PRESSO MARIA SS
Mentre stavo in tanti patimenti, si accrebbe molto il mio dolore, perché, essendo andato Giovanni ad avvisare la mia diletta Madre, di quanto mi era accaduto in quella notte: della cattura, degli strapazzi che mi avevano fatto, di come si diceva da tutti; che mi avrebbero fatto morire, la diletta Madre si riempì, nel sentirlo raccontare, di una più grave pena ed amarezza. Così crebbe anche la pena del mio Cuore nel vederla in sì grave affanno. La Maddalena pure, con tutte le altre devote donne, furono prese da fierissimo cordoglio, e, tutte meste e addolorate, piangevano amaramente. Io non tralasciavo di pregare il Padre acciò le confortasse e desse loro fortezza da soffrire tante angustie, giacché, per allora, non potevo consolarle di persona, essendo divenuto l'oggetto del loro dolore. Risolvettero di venire, con la mia diletta Madre e col discepolo amato, per vedermi e farmi compagnia nelle mie pene. Misero tosto in atto il proposito e si avviarono verso Gerusalemme, spargendo molte lacrime e sospiri lungo il cammino. La diletta Madre, che più di ogni altra era afflitta, con generosità veramente mirabile, andava sconsolando e confortando tutte. Ed io mi riempivo di una più grave pena, nel pensare al dolore che avrebbe sofferto la mia afflitta Madre nel vedermi, con i propri occhi, ridotto in uno stato sì deplorabile e compassionevole, che non era rimasta in me figura di uomo. Offri il mio dolore al Padre, pregandolo che si degnasse di dare forza e virtù alla diletta Madre, affinché,con tutta rassegnazione, avesse potuto soffrire sì grave pena e dolore: come anche alle altre devote donne che l'accompagnavano, specialmente alla Maddalena, che molto mi amava, e molto si affliggeva.

MACCHINAZIONI DEI FARISEI
Essendo spuntato il giorno, ed adunati gli Scribi e i Farisei davanti al Pontefice Caifa, stabilirono, di nuovo, di mandarmi da Pilato, accompagnato dai falsi testimoni; vollero venire anche alcuni di essi, per mostrare la loro autorità al Presidente, perché, se non avesse voluto condannarmi alla morte di croce, essi l'avrebbero minacciato, per indurlo a far ciò che essi pretendevano.
Ricevuto, pertanto, l'ordine da Caifa, intimarono ai ministri di condurmi fuori da quella prigione. E questi mi trassero fuori a forza di pugni, calci ed urtoni, mentre io tacevo e non mi lamentavo punto della loro inumanità. Mentre uscivo da quella casa, per essere condotto dal presidente, pregai il Padre di perdonar loro tutti gli strapazzi, che mi avevano fatto, le percosse, che mi avevano dato, e ingiurie e i disonori, che vi avevo ricevuto. E lo pregai anche di degnarsi di trattenere il castigo da essi meritato, offrendomi di soffrire tutto in sconto delle loro iniquità. Ciò che feci in questa casa, lo feci anche in tutti gli altri tribunali, dove fui condotto. Il Padre lo gradiva molto; con ciò restava placato, ed io lodavo la sua infinita bontà ed il suo amore.

ESORTAZIONE ALLA SUA SPOSA
Hai udito, sposa mia, le gravi ingiurie, gli affronti, le percosse e gli strapazzi, che ricevei in casa del perfido Pontefice, che favoriva molto i miei nemici, dando loro tutta la Libertà di maltrattarmi. Alla mattina, avendo egli saputo lo stato in cui mi avevano ridotto, non volle vedermi, temendo di muoversi a compassione. Da ciò puoi carpire come fosse ridotta la mia umanità! Tu sai che devi aiutarmi in tutto, e, se non puoi soffrine i patimenti corporali, per la debolezza della tua umanità, ricorri al divin Padre, affinché almeno tu possa soffrire i patimenti, che Egli stesso ti invia: perciò, domandargli sempre la sua grazia ed il suo aiuto. Per quanto riguarda poi, il soffrire le ingiurie, gli affronti ed i disprezzi, non puoi scusarti in alcun modo, perché devi soffrire tutto, quando te ne capiti l'occasione, e soffrirlo con pazienza, in silenzio, offrendo tutto al divin Padre, in sconto delle tue e delle altrui colpe, per placare la divina giustizia. E, per dar valore alle tue offerte ed alle tue opere, le devi offrire sempre unite con i miei patimenti e con i miei meriti; così saranno molto grate al divin Padre, ed atterrai facilmente tutte le grazie, che, per essi, gli domanderai,
se saranno espedienti per la salute tua e dei tuoi prossimi. Non si trovi in te falsità alcuna: essendo costretta, in qualche occasione, a parlare, parla con sommissione e di la verità, anche se ti dovesse costare monti travagli e derisioni. Prendi esempio da me, che confessai di essere Figliuolo di Dio, sebbene mi costasse tante ingiurie, derisioni, e sapessi che per questo mi avrebbero dichiarato reo di morte. Interrogato in Nome di Dio, lo confessai, assoggettandomi a tutte le derisioni e gli strapazzi. Sai come ebbi sempre un cuore amoroso e pacifico verso tutti coloro che mi strapazzavano e disonoravano. Ora voglio che anche tu abbia un simile cuore con chi ti offende; sia lontana da te ogni ombra di sdegno e di rancore. Sta bene attenta, perché mi dispiacerebbe molto se sentendo, continuamente, quanto fosse pacifico ed amoroso il mio Cuore, si trovasse poi in te lo sdegno ed il rancore, cosa troppo disdicevole ad una mia sposa e seguace, e, quel che è più, ad una da me ammaestrata continuamente con tanta carità e con tanto amore. Approfittati di tutto, non mancare in cosa alcuna, e sii in tutto diligente.

CAPO SETTIMO
Come il Figliuolo di Dio fu condotto a Pilato, indi ad Erode: delle ingiurie ed accuse che ricevé in questi due tribunali e di ciò che operò nel suo interno sino a che fu condotto di nuovo a Pilato.

VIAGGIO UMILIANTE E PENOSO
Uscito dalla casa di Caifa, era ormai giorno. La sera si era già divulgata la nuova della mia cattura, e, molti della città, ed anche forestieri, i quali erano venuti per la solennità della Pasqua, corsero a vedermi. La plebe, già rivoltata tutta contro di me, stava preparata per schernirmi e maltrattarmi, volendo far cosa grata agli Scribi e ai Farisei. E questi perfidi, venivano ad accompagnarmi, benché alla lontana, affinché il popolo, vedendoli, pigliasse animo, e facesse a chi più poteva strapazzarmi e schernirmi.
Appena uscito dalla casa di Caifa, essendosi riunita gente per vedermi, incominciarono a gridare e far strepito. Chi diceva un'ingiuria, e chi un'altra. Tutti concorrevano a maltrattarmi. Alcuni mi chiamavano mago, stregone, incantatore; altri, falso profeta; altri, seduttore; altri, ambizioso e superbo. Ognuno procurava di ingiuriarmi, né vi mancò chi mi tirasse delle immondezze. Fra questi ve ne erano molti, che, da me, erano stati risanati: essi si mostravano più fieri degli altri, per far cosa grata ai Farisei.
I ministri, poi, mi tiravano spietatamente con le funi, facendomi spesso cadere, dandomi delle bastonate,
specialmente sulla testa e sul dorso, percuotendomi ed ingiuriandomi continuamente. Chi per le strade, chi dalle finestre, quasi tutti concorsero a vedermi; ingiuriarmi e maltrattarmi. Gli Scribi e i Farisei, vedendo che la plebe si era già voltata tutta contro di me, ne sentivano grande allegrezza. Dicevano i perfidi fra di loro: Veramente Iddio ci favorisce, avendo permesso che tutti siano arrivati a conoscere costui, e che tutti si siano rivoltati contro di Lui, perfino quelli che Lui ha risanato. Solo Iddio ci poteva consolare in questo! Ciò :dicevano i malvagi. Di questo ne restava gravemente offeso il divin Padre, e sdegnato contro di loro. Ma io gli offrivo i miei patimenti in sconto delle loro colpe, ed il Padre si placava.
Lungo il viaggio io procedevo con gli occhi fissi in terra, col volto sereno ed umile, soffrendo tutto con amore. Sentivo grande amarezza nel vedere, che non vi era alcuno che avesse compassione di me. Tutti prendevano motivo dalla deformazione a cui mi avevano ridotto, per schernirmi e burlarsi di me. Dicevano: Ha risanato tanti infermi, ed ora non può liberare se stesso dalle percosse e dalle cadute. Si vede proprio che faceva tutto per opera diabolica; infatti adesso che sta in potere della giustizia, non può più operare. Così ero accompagnato fra ingiurie, fischiate e schiamazzi. E quelli che avevano un po' di compassione per me, stavano ritirati, non facendosi vedere, per timore degli Scribi e dei Farisei.
In questo viaggio, rivolto al divin Padre, offrivo tutto in sconto delle offese, che riceveva, allora, nella mia persona, e che avrebbe ricevuto poi da tutti i miei fratelli. In questi dolorosi viaggi, e nell'esser condotto ai tribunali, vedevo tutti coloro che, per amor mio, sarebbero stati condotti davanti ai giudici tiranni, e gli strapazzi che sarebbero stati fatti loro dai ministri di giustizia, le percosse e le ingiurie che avrebbero sofferto; perciò sentivo per loro grande compassione. Pregavo il divin Padre che, in virtù di tutti i miei patimenti e strapazzi, si fosse degnato di alleggerire loro le pene, e di dare ad essi fortezza in sì gravi travagli e patimenti. Vidi che il Padre l'avrebbe fatto, e vidi, che questi avrebbero sofferto tutto con grande costanza, fortezza ed amore, per la grazia che io avevo impetrato loro dal divin Padre. Di ciò gli resi grazie. Vidi anche la fierezza e la crudeltà dei giudici tiranni verso quelli che avrebbero confessato il mio Nome, ed io sentivo amarezza per tanta crudeltà e tirannia. Pregai il Padre di illuminarli, facendo ad essi conoscere la virtù di quelli che erano tormentati per loro ordine. Vidi che il Padre l'avrebbe fatto, ma che essi avrebbero abusato dei lumi divini, respingendoli da sé, ed esercitando sempre più la loro fierezza, verso i confessori della fede. Di ciò intesi pena maggiore, e supplicai di nuovo il divin Padre, perché avesse dato loro un più potente lume e la cognizione della verità confessata da coloro che per essa davano anche la vita. Ed il Padre mi promise di fare ciò. E vidi, che il Padre l'avrebbe fatto, e che qualcuno se ne sarebbe approfittato e si sarebbe convertito. Di ciò resi grazie al Padre, sentendo, però, maggiore amarezza nel vedere che la maggior parte ne avrebbe abusato.
Vedendo, poi, che tutti quelli che emano spettatori dei miei tormenti, invece di compatirmi, si rivolgevano contro di me, ne senti grande pena ed amarezza; rivolto al Padre, lo pregai, per l'amarezza che soffrivo nel vedere tutti contro di me, di consolare i miei fratelli e seguaci, mostrando come molti, nel vederli costanti nel patire, si sarebbero convertiti. Lo pregai anche di illuminare tutti gli spettatori dei loro patimenti, affinché, conoscendo la verità della fede nelle opere meravigliose che avrebbero fatto coloro che per la detta confessione erano tormentati, si fossero convertiti alla fede e cognizione di Lui. E vidi che il Padre l'avrebbe fatto, e vidi anche la moltitudine dei convertiti che avrebbero confessato il nome mio. Di ciò ne resi grazie al divin Padre, pregandolo di dar loro il dono della perseveranza. Intesi, però, dell'amarezza nel vedere il numero grande di quelli, che avrebbero abusata della grazia, rimanendo nella loro cecità ed infedeltà.

ORRIBILE MORTE DI GIUDA
Intesi anche una pena più grave per l'apostolo traditore, il quale, avendo veduto i molti strapazzi che avevo sofferto nella cattura, e sapendo i gravi tormenti che pativo nei tribunali, rientrato in sé, conobbe il suo errore, ed entrò in smania terribile. Provando un inferno di pene dentro di sé, andava ricordando tutti gli avvisi che gli avevo dato, le grazie che gli avevo fatto, la benignità e mansuetudine con cui l'avevo trattato, l'amore che sempre gli avevo dimostrato, ma tutto ciò gli serviva di cruccio e di tormento. Il misero entrò in una fierissima disperazione. Pensò che si sarebbe calmato andando dai Farisei a confessare il suo errore ed a rendere il denaro avuto, per liberarmi dalla morte. Difatti lo fece. Ma fu vana la sua risoluzione: perché, essendo andato dai Farisei, ed avendo reso il loro denaro, col dire che aveva tradito il sangue del giusto, fu da quelli schernito, anzi, aborrito da tutti; per l'orrore che metteva il suo aspetto, tutti gli voltarono le spalle. Ed egli, gettato giù ivi il denaro, partì disperato. Io bramava la conversione del traditore, e non mancai di pregare il Padre per lui, ma il perfido, che aveva sempre abusato della grazia, che con tanta liberalità gli erga stata offerta, si rese incapace di riceverla ancora, ed eseguì pertanto ciò che gli suggerì il nemico infernale, al quale aveva voluto obbedire in tutte le perfide suggestioni. Difatti si diede la morte da se stesso, non potendo più soffrire la disperazione ed il cruccio che in sé sentiva, per il male commesso (1). Così fece un altro male: quello di diffidare della misericordia divina, e di credere che per lui non vi potesse essere più remissione. Intesi, perciò, grande amarezza nel vedere la pessima fine del traditore. Rivolto al Padre, lo pregai, per il dolor e che sentivo, che si fosse degnato di illuminare tutti i miei i fratelli, specialmente quelli, che sarebbero caduti in gravi errori, affinché non diffidassero mai della divina misericordia, quantunque fossero ridotti al colmo dell'iniquità. Non disperino mai, ma, con animo dolente e cuore contrito, riscorrano alla divina misericordia, la quale è sempre pronta a perdonare al peccatore dolente! Vidi, che il Padre l'avrebbe fatto. Vidi anche il numero grande di coloro che, dopo aver commesso molti errori, si sarebbero pentiti, e, confidando nella misericordia divina, l'avrebbero conseguita. Di ciò resi grazie al div�n Padre. Intesi, però, dell'amarezza, nel vedere che molti avrebbero fatto la pessima fine di Giuda, il traditore: facendo ingiuria alla divina misericordia, essi avrebbero diffidato, e sarebbero miseramente periti. Per questo motivo si accrebbe molto l'amarezza del mio Cuore, il quale, fra tante pene ed affanni, non aveva neppure una stilla di consolazione. Volli soffrire tutto ciò, per meritare la divina consolazione per tutti i miei fratelli nelle loro pene.

DINANZI A PILATO
Andando, dunque, per questo viaggio, tanto strapazzato e vilipeso, arrivai in casa di Pilato, dove fui condotto alla sua presenza con i falsi testimoni che mi accusarono. Stavo dinanzi a lui, con la mia solita serenità e con gli occhi fissi in terra. Fui interrogato circa le accuse che mi facevano. Io non diedi risposta alcuna. Gli Scribi ed i Farisei non entrarono, per non contaminarsi, dovendo celebrare la Pasqua. I perfidi si fecero scrupolo di entrare in casa di un gentile, quando avevano l'anima contaminata da tante iniquità. Vollero comparire osservanti della Legge, e invece ne trasgredivano i maggiori precetti. Essi non entrarono nel pretorio di Pilato, ma insegnarono bene ai ministri ciò che avrebbero dovuto dire di me e stavano fuori, per mettere timore al presidente, con la loro autorità.
Pilato ebbe compassione del mio aspetto, ridotto ad uno stato che avrebbe mosso a pietà le pietre, nonché i cuori umani. Eppure i perfidi ebrei non ebbero di me pietà alcuna. Il presidente, vedendo che io non rispondevo alle molte accuse, credette che fossi innocente, e, per liberarsi dal condannarmi, e per non incorrere nello sdegno dei Farisei, risolvé di mandarmi ad Erode, tanto più, che, essendovi fra di loro poco buoni rapporti, sperava di ristabilire l'amicizia, rimettendo al suo giudizio la mia causa; segno questo della stima che aveva di lei. Dopo varie domande Pilato, vedendo che appena mi reggevo in piedi, mostrò compassione di me e disse che mi avevano ridotto così malamente, da dover temere che potessi sopravvivere per poco. A tali parole i ministri risposero con grande arroganza, dicendo che mi avevano percosso e strapazzato per le violenze che avevo fatto loro nel voler fuggire dalle loro mani. Io non, risposi a queste falsità: soffri tutto con pazienza. Il presidente credette a quanto gli dissero contro di me, ed ordinò ai ministri di condurmi ad Erode (1). Di ciò furono contenti anche gli Scribi e i Farisei, perché pensavano che sarei stato sempre più strapazzato ed oltraggiato. Difatti i ministri, ricevuto l'ordine, mi condussero ad Erode così legato, fra fischiate, strilli, percosse ed ingiurie. In questo viaggio ricevetti più disprezzi dalla gente, perché, essendosi fatto giorno, si erano adunati molti, che mi accompagnavano con dispregi ed ingiurie.
Essendo stato accusato e maltrattato nel tribunale dei Pilato, soffrii tutto con invitta pazienza. Rivolto al divin Padre, gli offri tutto a nome e da parte dei miei fratelli, giacché soffrivo per la loro salute eterna. In questo tribunale vidi tutti quelli che sarebbero stati falsamente accusati, pregai il diva Padre, affinché avesse loro dato virtù e forza da soffrire tutto con pazienza e rassegnazione. Vidi, che il Padre l'avrebbe fatto. Vidi tutti coloro che mi avrebbero imitato, soffrendo, con invitta pazienza, tutte le ingiurie e le falsità. Vidi il premio che a questi era preparato dai Padre e gliene resi grazie.
Nel sentire che il presidente ordinava che fossi condotto and Erode, ne intesi rincrescimento, perché vedevo gli affronti e gigli scherni che mi erano preparati. Tuttavia vi andai volentieri, per avere occasione di offrire al divin Padre nuove e inaudite ingiurie, fra cui quella di essere trattato da pazzo.
Vidi che Pilato si servì di questa occasione, per far pace con Erode, e che io, a forza di strapazzi, dovevo servire loro da mezzano, per pacificarsi. Abbracciai tutto volentieri, contentandomi di servire di occasione, perché si unissero fra di loro. Per ciò pregai il divin Padre di farmi la grazia per i miei fratelli, ché quando sono in disunione fra di loro, abbiano lume di servirsi di me per riunirsi; e dando un occhiata alla mia vita, passione e morte, e, ad imitazione mia, perdonino a chi li offende, e tornino in pace col loro prossimo. Vidi che il Padre avrebbe loro dato il detto lume e la grazia di poterlo fare. Di ciò gli resi grazie, vedendo che molti se ne sarebbero prevalsi. Intesi, però, dell'amarezza, nel vedere il numero grande di quelli, che ne avrebbero abusato.

UMILIAZIONI E PENE
Condotto da Erode, con i soliti strapazzi, ingiurie e percosse, i ministri mi tiravano con violenza, per accelerare il viaggio, perché dai Farisei era stato loro ingiunto di fare in fretta, sembrando loro troppo lunga la dimora, per il desiderio che avevano di darmi presto la morte. Dicevano fra di loro: Bisogna sbrigarsi, affinché non sopraggiunga qualche impedimento che ci lasci delusi.
Durante questo viaggio mi andavo offrendo al Padre, pronto a soffrire tutte le ingiurie e gli strapazzi, per soddisfare appieno la divina giustizia in sconto di tutti
i peccati del genere umano. Furono molte le ingiurie che ricevetti da ogni sorta di gente. I più dicevano: Questo è colui che operava tanti prodigi, che faceva tanti miracoli, che predicava con tanta sapienza, che si tirava dietro le città intere? Or vedete, come faceva tutto per opera diabolica! Così parlavano i forestieri, perché i ministri mi andavano presentando con tal marchio di infamia. Erano queste parole come tante spade, che passavano il mio Cuore, per le offese del divin Padre; tutto a Lui offrivo. Poi rivolto col pensiero ai miei seguaci, dicevo: Chi di voi potrà lagnarsi, dal momento che io ho sofferto tanto, per la vostra salute, per lasciarvi un esempio da imitare, sicché arrivate a possedere l'eterna beatitudine, meritata da me per voi a costo di tante pene? E chi potrà ricusare il patire, mentre io soffro tanto per amor vostro, per salvar l'anima vostra? Nel dire ciò, vedevo tutti coloro che mi avrebbero imitato, che avrebbero patito e sofferto molto per amore del mio Nome, e sentivo compassione per le loro pene. Sentivo, poi, dell'amarezza nel vedere il grande numero di quelli, che, dichiarandosi miei seguaci, non vogliono soffrire, cosa alcuna, e si mostrano molto delicati e risentiti nelle ingiurie e nei dispregi. Pregavo il divin Padre di illuminarli, perché conoscano l'inganno in cui si ritrovano; è mio seguace solo chi soffre con pazienza e con amore: le opere san quelle che distinguono i miei seguaci, non le parole. Vidi, che il Padre non avrebbe mancato di dar loro il lume, e che alcuni se ne sarebbero prevalsi, ravvedendosi dell'errore, imitando i miei esempi, patendo e soffrendo generosamente con pazienza, ciò che i cattivi avrebbero loro fatto soffrire con ingiurie, affranti, percosse, falsità. Ne resi grazie al Padre, sentendo, però, dell'amarezza nel vedere il gran numero di quelli che avrebbero abusato del lume divino, vivendo nel loro inganno; dichiarandosi cioè miei discepoli e seguaci con le parole, ma con i fatti rimanendo seguaci del mondo: perché camminano tanto lontani dai miei esempi, non volendo soffrire cosa alcuna, risentendosi molto in tutte le occasioni in cui dovrebbero patire e soffrire qualche cosa per amor mio, e imitarmi nelle pene e nei dispregi.

DINANZI ALLA CORTE - è SCHERNITO DA TUTTI
Essendo pertanto giunto in casa di Erode, subito fui beffato e deriso da tutta la sua corte, perché mi vedevano così deformato: Ognuno mi disse delle parole ingiuriose e impertinenti. Ed io, rivolto al Padre, mi offri di nuovo a Lui, pronto a soffrire tutto. Lo pregai del suo aiuto, dicendogli: Vi prego, mio divin Padre, di avere pietà del vostro Unigenito Figlio! Non mi abbandonate in tanto bisogno! Datemi il vostro aiuto e la forza di resistere a tutte le percosse e gli strapazzi ! Placate il vostro sdegno verso i miei fratelli, le iniquità dei quali stanno tutte sopra di me, per pagarne a voi il debito. Voglio pagarlo con prezzo traboccante, non solo per soddisfare appieno, per tutti, la divina giustizia, ma anche perché vi sopravanzi di molto, a ffinché voi, o Padre mio, usiate sempre in maggiore abbondanza la vostra misericordia verso tutti i miei fratelli. Il divin Padre gradiva le mie suppliche e le espressioni, che gli erano presentate dal mio Cuore veramente amante e fedele, e ani dava il suo aiuto, onde io, come uomo, potessi soffrire tutto, e resistere a tanti strapazzi, senza questo aiuto sarei morto più volte.
Ottenuta la grazia per me, subito pregai per i miei fratelli, che mi stavano molto a cuore, e li tenevo sempre fissi nella mente. Sebbene soffrissi e patissi tanto per essi, e vedessi la loro ingratitudine e durezza, non ebbi mai verso di loro un minimo sdegno, nemmeno verso quelli che tanto mi tormentavano ed oltraggiavano. Anzi, soffrivo tutto con grande amore per essi, come per tutti gli altri, bramando che i miei fratelli avessero avuto un cuore così amoroso e caritatevole verso i loro prossimi. Inoltre avrei desiderato che, se avessero dovuto soffrire per causa loro, l'avessero fatto con l'amore e la carità, con cui io pativo e soffrivo per coloro che mi oltraggiavano e percuotevano. Perciò, rivolto al Padre, lo pregavo di dare a tutti simili sentimenti di amore e di carità. Vidi, che il Padre l'avrebbe fatto, ma che molti neppur vi avrebbero fatto riflessione, ma sarebbero stati anzi dominati e vinti dalle loro passioni. Vidi il piccolo numero di quelli che avrebbero approfittato di tale grazia, ed il grande numero di quelli che si sarebbero rifiutati di imitarmi. Di ciò intesi amarezza, perché non sarebbero stati adempiuti le mie brame e il desiderio del mio Cuore.
Avvisato, pertanto, Erode, che ero stato mandato a lui da Pilato, perché giudicasse la mia causa, si rallegrò: anzitutto per l'onore che gli faceva Pilato, poi perché aveva grande desiderio di vedermi e di sentirmi parlare. Erode aveva udito dire grandi cose di me: dei miracoli che facevo, della dottrina che insegnavo, perciò bramava di conoscermi, per vedermi operare qualche prodigio.
Arrivato alla sua presenza, si turbò Erode e mi disprezzò perché ero tanto deformato. Gli era stato detto delle mie mirabili attrattive e della vaghezza del mio aspetto; per cui vedendomi in quello stato, pensò di essere stato burlato, e domandò ai ministri, se veramente fossi quel Gesù Nazzareno, tanto famoso per opere mirabili. Gli fu risposto che ero proprio quello, ma che operavo tutto per opera diabolica, e che avevo commercio coi demoni. Per queste risposte si turbò vieppiù Erode, e si fece cattivo concetto di me. Prese ad interrogarmi come operassi i miracoli, e quali dottrine insegnassi. Io non diedi mai risposta. Erode mi minacciò di volermi condannare a morte, se non davo a lui risposta. Ma io continuai a tacere. Questo perfido non meritava di udire dalla mia bocca alcuna parola per molti motivi. Non vide e non seppe cosa alcuna da me, perché volevo fargli capire che non doveva cercare di sapere la mia dottrina e di vedere i miei miracoli, per curiosità e con fine cattivo.
Vedendomi stare in tanto silenzio, sì infuriò contro di me e mi chiamò pazzo e senza intendimento; ordinò ai suoi servi di dame una veste derisoria ai ministri, perché mi vestissero con quella e mi riconducessero, da Pilato, dicendogli che lui non sapeva che farsene di uno scimunito senza giudizio. La veste era bianca, quale si metteva a coloro che pretendevano onori e grandezze, per schernirli, trattarli da pazzi, e prendersi giuoco dì essi. Ciò si faceva alla gente vile e plebea. A questo ordine chinai la testa, adorai la sapienza divina unita a me, ed intesi grandissima amarezza nel vederla trattata da stolta. Oh, qui sì, che il Cuore fu ferito da fierissimo dolore! la divina sapienza dichiarata pazza da un infame ed iniquo giudice! Rivolto al Padre, gli offri quella gravissima ingiuria in sconto dei peccati dei miei fratelli, specialmente di quelli che avrebbero commesso nei riguardi della sapienza divina. Allora vidi, che la maggior parte dei miei seguaci sarebbero stati ritenuti come pazzi dalla gente mondana. Di ciò intesi grande amarezza. Vidi, che gli iniqui e scellerati avrebbero giudicato pazzi quelli che avessero seguito le mie orme, ed imitato i miei esempi; perciò, rivolto al Padre, lo pregai, di dar loro la sua grazia e virtù, da soffrire tutto con pazienza e rassegnazione, per amor suo, e per imitarmi in ciò che, con tanta pazienza io soffri nell'essere trattato anche da pazzo, quantunque fossi la sapienza del Padre.
I ministri, ricevuto il comando, in tutta fretta mi vestirono con quella veste, alla presenza di Erode, che fu i1 primo a deridermi e schernirmi, imitato poi da tutta la sua corte e da tutti quelli che mi conducevano. Erode dopo ordinò che, in tal modo, fossi condotto da Pilato, al quale dovevano dire che gli aveva mandato un pazzo, di cui non sapeva che farne, e perciò lo rimandava a lui (1).

SULLA VIA - UMILIAZIONI
Difatti fui condotto fuori della casa di Erode, facendo tutti a gara a chi più mi poteva schernire, percuotere, ingiuriare. Ebbi grande confusione nell'uscire da quella casa con la veste derisoria, che mi dichiarava pazzo, già vedendogli scherni e gli affronti, che per il viaggio avrei ricevuto. Offri la mia confusione al divin Padre, e vidi la grande confusione che avrebbero avuto i miei fratelli e seguaci nel dover soffrire simili ingiurie e derisioni per amor del mio Nome; perciò volli soffrirne io tutta la confusione e l'amarezza, acciò fosse raddolcita la confusione e l'amarezza loro con la divina consolazione, che allora ad essi meritai dal divin Padre, con la mia offerta. Fatto così animoso, di nuovo mi offri al divin Padre, pronto a soffrire tutto con grande amore.
Appena uscito dalla casa di Erode, si udirono le fischiate e i battimani di tutta la plebe insolente, che mi seguiva per schernirmi ed oltraggiarmi, come bramavano gli Scribi e i Farisei, che a bella posta l'avevano fatta adunare.
In questo viaggio ricevei degli affronti. Vi furono molti che mi tiravano delle immondezze; e chi mi vedeva si faceva lecito di schernirmi ed oltraggiarmi, gridando: Il matto, lo scimunito, lo stolto! Andavo io, sposa mia, in questo viaggio, con la mia solita serenità di volto e molto più di cuore, non avendo sdegno o passione con alcuno, sentendo solo l'amarezza grande per le, offese, al divin Padre: perciò gli offrivo tutto, in sconto delle offese che riceveva, supplicandolo di placare lo sdegno verso quella gente, che non sapeva ciò che faceva, la quale era anche molto istigata dai demoni. Ed il Padre si placava alle mie suppliche ed alle mie offerte.
Quando gli Scribi e i Farisei mi videro in quella figura e con la veste derisoria trattato da pazzo, si rallegrarono molto. Dicevano: Oh, come Iddio permette che siano adempiti i nostri desideri, e che tutti vedano che costui è veramente un pazzo, un ambizioso, come noi per tale l'abbiamo sempre conosciuto e predicato a tutti! Ecco che si verificano le nostre parole. Ora vedrà la turba chi era lui, e chi siamo noi; se avevamo ragione di trattarlo male, e di volerlo levare di mezzo! Restava per ciò molto offeso il divin Padre ed adirato contro di loro, i quali andavano predicando, quali grazie e favori di Dio, gli affronti che essi mi facevano, e tutto ciò che inventava contro di me la loro malizia e l'odio che mi portavano. Essi, perfidi, mi disonoravano e mi propalavano per un infame, per uno stregone, poi vedendo che la plebe aderiva alle loro iniquità e alle loro ree passioni, dicevano che erano grazie che loro faceva Iddio:con questo offendevano gravemente la divina bontà. Ed io gli offrivo tutto, in sconto dei loro gravissimi peccati, supplicando il divin Padre di placare lo sdegno; ed il Padre si placava; ma il mio Cuore, ferito dal dolore, stava in continua amarezza.

ESORTAZIONE ALLA SUA SPOSA
Hai udito le molte ingiurie, gli strapazzi, le derisioni che soffri in questi due tribunali, e come fui trattato da pazzo dall'iniquo Erode; ed il silenzio che tenni. Impara a soffrire con pazienza ed a mantenere il silenzio, tacendo specialmente nelle cose in cui non vi è la mia gloria e la salute dell'anima tua, cioè, il tuo profitto spirituale. Ché se la carità del prossimo lo richiedesse, allora devi parlare liberamente. Fuggi la vana stima delle creature e per farlo meglio tieni celati i tallenti e le grazie, che dalla liberalissima mano del divin Padre hai ricevuto godendo che altri ti stimi sciocca e di poco talento, come vedi che feci io alla presenza di questo Re superbo ed iniquo. Anche negli altri tribunali hai inteso che non feci mai mostra della mia divina sapienza, ma per lo più tacqui, passandomela in silenzio. Ti stia a cuore l'umiltà che io praticai, e vedi a quale stato di abbassamento mi ridussi, essendo dalla plebe più vile maltrattato, ingiuriato, affrontato. Mi umiliai, né mai feci atto di risentimento. Sappi, sposa mia, che questa virtù è molto cara a me, per esser virtù mia propria. Quanto più la praticherai, tanto più mi sarai gradita.

CAPO OTTAVO
Come il Figliuolo di Dio fu condotto di nuovo a Pilato, che lo esaminò e ordinò poi che Gesù fosse flagellato. Fu anche coronato di spine. Di ciò che operò nel suo interno sino a che fu condannato alla morte di croce.

ZIMBELLO DI TUTTI
Essendo stato mandato da Erode a Pilato, ed avendo sofferto in questo penoso viaggio ciò che hai inteso, arrivato in casa di Pilato, fui anche qui ricevuto con fischiate e derisioni. I perfidi ministri facevano della persona mia come una palla, sbalzandomi ora in una parte, ora in un'altra, acciò tutti mi vedessero e si burlassero di me; tirandomi con le funi come una bestia da macello; essendo essi come cani arrabbiati, e tentando di divorarmi con le percosse, le ingiurie e gli strapazzi.
Mi mettevo spesso a riflettere sopra la dignità della mia persona: facevo ciò per sentire maggior pena nel vedermi ridotto in quello stato. Offrivo tale pena al divin Padre in sconto delle offese che riceveva nella persona mia, da Lui infinitamente amata. Gradiva il Padre mia le offerte, che gli facevo con un Cuore tutto amore, soffrendo volentieri per soddisfare la divina giustizia e placare l'ira paterna. Soffrivo con amore anche per la salute di tutti i miei fratelli, e bramavo che i miei seguaci soffrissero i propri travagli con amare ed allegrezza, perché così facendo sono graditi al Padre. Perciò gli offrivo l'amore e l'allegrezza con cui li soffrivo io, e per il compiacimento che ne aveva, lo pregavo di dare ai miei seguaci il sentimento e la buona volontà, di soffrire tutto con amore e con allegrezza, per adempire la divina volontà, e per far cosa grata al divin Padre. Vidi che il Padre non avrebbe mancato di dare un tale sentimento a tutti, e che molti se ne sarebbero approfittati: di ciò gli resi grazie. Intesi però dell'amarezza nel vedere che molti se ne sarebbero abusati, privando se stessi del merito, ed il divin Padre del compiacimento e del gradimento.

INTERROGATORIO DI PILATO
Arrivato alla presenza di Pilato, mi derise anche lui, e si burlò dei me nel vedermi con quella veste. Sentendo che Erode mi aveva rimandato a lui, perché non sapeva che fare di me, tenendomi per un insensato e trattandomi da pazzo, si pose ad esaminarmi. Tiratomi in disparte mi esaminò più sottilmente. Vedendo che da principio non gli davo risposta, mi disse che pensassi che lui aveva potestà di condannarmi o di lasciarmi in libertà. Alle quali parole risposi, che lui non avrebbe avuto potestà alcuna sopra di me, se non gli fosse stata data dall'alto. Volli con questa parola fargli conoscere, che se il Padre mio non avesse voluto, lui non avrebbe avuto potestà di condannarmi. Restò Pilato ammirato della risposta, ed ebbe un chiaro lume da conoscere la mia innocenza. Fece riflessione all'invitta pazienza e alla mia tolleranza, e tornò ad interrogarmi, se veramente ero il Re dei Giudei, e se pretendevo il regno, come essi mi accusavano. Io risposi che il mio regno non era dì questo mondo. A queste parole Pillato rimase molto più persuaso della mia innocenza, ed ebbe in animo di liberarmi dalla morte. Ebbe tanto lume, che se vi avesse corrisposto si sarebbe potuto convertire e riconoscermi per quello che ero. Ma lo disprezzò. Con tutto ciò disse agli Ebrei, che non trovava in me causa alcuna per la quale mi potesse condannare alla morte, come essi volevano: perciò mi prendessero e mi condannassero conforme la loro legge, e giudicassero loro la mia causa. A queste parole, i Farisei infuriati incominciarono a fremere, e parlarono arditamente a Pilato, minacciando di volerlo accusare a Cesare. Ebbe timore Pilato, delle loro minacce, ma con tutto ciò, perché conosceva la mia innocenza, non volle condannarmi. Disse loro: Che male ha fatto? perché volete che lo condanni alla morte? I perfidi Farisei arditamente gli risposero, che ero un malfattore, che meritavo la morte, e che se non fossi stato tale essi non mi avrebbero dato nelle sue mani. Conobbe Pilato la loro malignità verso di me e l'odio fierissimo che mi portavano, perciò si turbò molto, ma non volle per allora condannarmi a morte, cercando di placarli, col farmi flagellare. Ebbe però l'intenzione, se non si fossero placati, dopo che fossi stato flagellato, di condannarmi, come essi chiedevano. Perciò ordinò che fossi legato alla colonna e battuto. In tutto questo fatto soffri nel mio Cuore grande amarezza e dolore per le offese al divin Padre, e per tutto ciò che si rappresentava alla mia mente. Stavo alla presenza di Pilato come reo e malfattore. Vedevo allora tutti coloro che sarebbero stati giudicati dai giudici cattivi e perfidi, e quanti imputati sarebbero stati condannati a gravi patimenti da quelli che hanno maggiore reità di loro. Vidi i lumi divini che il Padre avrebbe dato a questi empi, acciò conoscano la loro reità, e come spesso i giudici siano più colpevoli di quelli che devono condannare. Vidi ancora che avrebbero sprezzato i lumi divini, abusando della grazia. Intesi perciò grande amarezza. Vidi pure che non solo i rei sarebbero stati sottoposti a molto patire dai giudici cattivi, ma che anche gli innocenti sarebbero soggiaciuti a gravi tormenti. Di ciò ne intesi maggiore amarezza, e per essi pregai il divin Padre, onde avesse dato loro la sua grazia e la forza di soffrire tutto a mia irritazione. In tutti i miei patimenti, rimiravo la moltitudine delle offese, che avrebbero fatto i miei fratelli al divin Padre, e per ciascuno di essi gli davo la debita soddisfazione e molto più, perché una sola delle mie pene sarebbe bastata a soddisfare per tutti, come anche una goccia del mio sangue. Ma io lo volli spargere tutto e volli soffrire ogni sorta di dolori e di tormenti, per far vedere ai miei fratelli quanto amavo il Padre e quanto amavo anche loro. E volli lasciare ad essi un vivo esempio, affinché mi avessero imitato, ed avessero patito molto per la gloria del mio divin Padre e per la loro eterna salute. Nel vedere tutti quelli che mi avrebbero imitato, resi grazie al Padre e lo pregai per essi del suo aiuto. Intesi ancora dell'amarezza per la moltitudine di quelli che sarebbero andati, non solo molto lontano dagli esempi che ho loro lasciato, ma che ne sarebbero vissuti del tutto dimentichi.

LA FLAGELLAZIONE
I1 presiedente Pilato ordinò per me le battiture con verghe, come si costumava di fare allora verso coloro che avevano commesso qualche delitto, che non li facesse rei di morte, onde si correggessero dei loro falli. Con questo voleva che anch'io mi correggessi di quelle cose di cui mi accusavano i Farisei, sperando nello stesso tempo che si placasse il furore dei medesimi. Furono contenti i Farisei che Pilato mi avesse con dannato ai flagelli, perché avessi anche quell'ignominioso tormento. Dicevano fra di loro: Adesso lo condanna ad esser battuto; di qui a poco lo condannerà ad esser crocifisso. E risolvettero di non partire, fintantoché Pilato non mi avesse condannato alla morte. Difatti riuscì loro, perché tirarono Pilato al loro volere a forza di minacce.

IL DENUDAMENTO
Avendo avuto, i perfidi ministri, l'ordine di battermi, si armarono di fierezza, e, condottomi al luogo destinato, mi fecero circolo d intorno, ordinandomi che mi spagliassi non solo della veste bianca, che mi avevano posto indosso, ma anche dei miei vestimenti. Oh qui sì, che restò ferito il mio Cuore più che mai! Anche la mia umanità intese un sommo rincrescimento. Intanto la divina giustizia voleva restar soddisfatta di tutte le offese che avrebbe ricevuto dai miei fratelli contro la purità. Essendomele io addossate tutte, e dovendo soddisfare per tutti, chinai la testa e mi esposi a quella somma confusione ed erubescenza. Difatti ubbidii ai fieri manigoldi. Due volte soffrii la somma confusione di essere spogliato affatto delle mie vesti: una fu alla colonna, per soddisfare le molte e gravi offese che i miei fratelli avevano ed avrebbero fatto al mio divin Padre, peccando contro la purità. La seconda volta restai spogliato affatto sul Calvario, alla vista di tutta la gente. Qui senti maggiore confusione, perché fui fatto morire in tal modo, in alto sulla croce. Questo fu per pagare la divina giustizia per i peccati che contro la purità avrebbero commesso tutti coloro che sono consacrati al culto divino. E siccome questi sano di più grave offesa al Padre, così fu a me di maggiore confusione e di più grave tormento. Avendo ricevuto l'ordine dai manigoldi di spogliarmi, mi levai la veste bianca, e la strinsi al petto, dicendo al divin Padre: Ecco, o Padre, che il vostro Unigenito è stato ritenuto pazzo, e l'eterna Sapienza è stata derisa e oltraggiata. Perciò di nuovo io vi offro questa grave ingiuria, in sconto di tutte le offese che su questo particolare ricevete dai miei fratelli. Per questa mia sofferenza vi supplico di dar lume a tutti quelli che si comportano da veri pazzi, lasciando Voi, fonte di ogni bene, per andar dietro alle pazzie del mondo fallace ed ingannatore. Perciò, vi prego, o mio divin Padre, di volervi degnare di dare a tutti una vera sapienza, cioè il lume da conoscere le pazzie del mondo ingannatore, onde si rivolgano a voi, vera fonte di sapienza. Vidi, che il Padre mi avrebbe consolato, facendo ciò di cui lo pregavo. Vidi tutti quelli che avrebbero approfittato de1 detto lume, e ne resi grazie al Padre. Intesi però dell'amarezza nel vedere il gran numero di quelli che ne avrebbero abusato. Nello spogliarmi della mia veste, si rappresentarono alla mia mente tutte le anime, che si sarebbero spogliate della bella veste dell'innocenza per mezzo della colpa, e ne intesi una somma amarezza. Rivolto ad esse, dissi loro: Ah, incaute! per voi ora soffro così grave confusione e tormento! Almeno, giacché io patisco tanto, ve ne sapeste approfittare col tornare a penitenza!
Nel levarmi la veste mi ricoprii tutto di un verginale rossore. Vidi anche tutte le vergini, che sarebbero state tormentate sopra questo particolare, e di cui sarebbe stata molto insidiata la purità. Per esse pregai il divin Padre, acciò avesse dato loro fortezza e spirito da soffrir tutto ed uscir vittoriose, in virtù di ciò che allora io soffrivo. E vidi, che il Padre l'avrebbe fatto, assistendole e proteggendole con paterna cura. Di ciò resi grazie al divin Padre, anche per parte loro.
Spogliato delle mie vesti, tutti quei perfidi incominciarono a deridermi, dicendo: Ecco quello che pretende di essere Re! Vedendo il mio corpo tutto ricoperto di un verginale rossore, dicevano: Veramente questo rossore è la porpora reale da te meritata. Ed in questo dicevano il vero, benché in altro senso. Si doveva la porpora verginale alla mia innocenza, come Re delle vergini. Ecco qua, mi dicevano, la tua ricchezza, le facoltà del tuo regno: un'estrema povertà e nudità! Anche in questo dicevano il vero: perché io sono i1 Re di coloro che vivono in povertà e nudità di spirito, distaccati da tutto. Tali appunto devono essere i miei seguaci, i quali militano sotto la mia bandiera. Rivolto al Padre lo pregai, per la mia nudità, che si volesse degnare di dar lume a tutti i miei fratelli e seguaci, acciò conoscano come devono spogliarsi,di tutto, per seguire me, e con il lume desse loro anche la grazia di poterlo fare. E vidi, che il Padre l'avrebbe fatto. E vidi ancora tutti quelli che se ne sarebbero approfittati e l'avrebbero messo in pratica; di ciò lo ringraziai. Intesi però dell'amarezza nel vedere il numero grande di quelli che se ne sarebbero abusati, e non sarebbero mai arrivati ad un totale distacco da tutte le cose, e ad una vera nudità di spirito; quindi non sarebbero mai giunti and uno stato di vera perfezione, come io desideravo. Rivolto al Padre lo pregai di nuovo di illuminarli e far loro conoscere, che per seguirmi, devono spogliarsi dei tutto, anche di se stessi. Vidi che il Padre avrebbe dato loro un nuovo lume, e per questo e per una maggiore grazia, che pure avrebbe dato, molti si sarebbero approfittati. Di ciò resi grazie al Padre. Intesi però dell'amarezza, nel vedere che molti ancora si sarebbero abusati.
Essendo così spogliato, ed avendomi i perfidi molto schernito, vidi tutti quelli che per imitarmi sarebbero stati scherniti e motteggiati dagli empi, perciò offri i miei scherni al Padre pregandolo di volersi degnare di dare a tutti una grazia particolare, in virtù di ciò che io soffrii, affinché avessero sopportato con pazienza tutte le derisioni e gli scherni, che in circostanze simili loro sarebbe convenuto soffrire. E vidi, che il Padre l'avrebbe fatto ed io lo ringraziai anche per parte di tutti.

LA CARNEFICINA
Mentre stavo, in tal modo, aspettando di esser legato alla colonna, non ardivano gli empi di toccare il mio corpo verginale denudato, perché sentivano dentro di sé un gran timore: credettero che fosse per naturale compassione; perciò, fattisi animo ed istigati molto più dai demoni, mi si avventarono addosso come cani arrabbiati. Mi legarono fortemente alla colonna, con le mani incrociate, cioè una sopra l'altra, stringendo tanto la fune, che i miei polsi rimasero risegati dalla legatura, e si gonfiarono le mani con mio grande patimento. Essendo stato legato, incominciarono, i più fieri e barbari, a battermi con verghe e funi nodose, e con gravide violenza, mi pestarono tutto il corpo, senza pietà e compassione. Sentivo un estremo dolore, perché oltre la delicatezza della mia umanità, ero anche tutto pesto per le percosse avute, onde i colpi mi si rendevano più sensibili e dolorosi.
Offrivo ogni colpo al divin Padre, per pagare i debiti di tutti i miei fratelli e di ciascuno in particolare, secondo le loro offese. Domandai aiuto al divin Padre, per poter soffrire così dura carneficina: in verità vi sarei morto, se il Padre non avesse fatto il miracolo di conservarmi in vita per più patire. Mentre stavo ricevendo i fieri colpi, invitavo tutti i miei fratelli e seguaci a venire in questo luogo a contemplarmi. Allora li invitavo, acciò poi vi fossero venuti. Invitavo anche tutti i peccatori, dicendo loro: Venite voi tutti, che con tanta facilità offendete il divin Padre ! Venite e vedete, quanto care costano a me le vostre soddisfazioni illecite e le vostre colpe! Venite anche voi tutti, miei seguaci, e vedete quanto cara mi costa la vostra eterna salute! Venite, tutti, venite! Rimirate il vostro fratello, Dio e uomo, quanto per voi patisce! Così dicendo, vedevo tutti quelli che mi avrebbero contemplato in queste pene, e la compassione che di me avrebbero avuto. Vidi, inoltre, che molte anime amanti si sarebbero appassionate per i miei dolori. Vidi tutti coloro che, per mio amore, avrebbero battuto e flagellato il proprio corpo per imitarmi nel patire. Vidi anche tutti i peccatori, che sarebbero accorsi all'invito, ma per più tormentarmi, perché non avrebbero avuto che un pensiero di passaggio, senza aver di me compassione. Sentivo estremo cordoglio nel vedere quelli, per cui maggiormente pativo, che appena avrebbero rivolto io sguardo verso di me, perciò con essi mi lagnavo: Ah crudeli e spietati! dicevo loro: è possibile, che tante pene, tanti dolori, tanto sangue, non vi muovano a compassione? Eppure sapete che soffro per voi! Rivolgevo sempre il pensiero al divin Padre, pregandolo di avere compassione delle loro anime. E per il sangue, che per. essi spargevo con tanto amore, lo pregavo di perdonar loro.
Essendo ormai tutto pesto il mio corpo, incominciò a versare sangue in gran copia. Mi sentivo mancare per il dolore e per la debolezza, ne vi era chi mi desse soccorso. Quei crudeli ministri si stancavano e si davamo il cambio, subentrando gli uni agli altri. Si posero in animo di far macello del mio corpo, battendo con rabbia e furore: se tante percosse mi avevano dato per l'addietro, senza che alcuno desse loro licenza, puoi pensare quante me ne diedero quando dal presidente fu loro ordinato. Stavano quivi in disparte anche figli Scribi e i Farisei, istigando i manigoldi, perché facessero a gara a chi mi potesse percuotere, per fare ad essi cosa grata. Il sangue scorreva in terra ed era da me rimirato ed offerto al Padre. Dicevo: Questo sangue sarà la lavanda delle anime che vi ricorreranno, per essere mondate dalle loro colpe. Quelli stessi che mi flagellavano, erano tinti del mio sangue, il quale schizzava sopra di loro. Di ciò sentivo grande amarezza, perché il sangue che sopra di loro cadeva, serviva ad essi per maggiore condanna. Allora si rappresentavano alla mia mente tutte le anime infelici, per le quali il mio sangue si spargeva per loro maggiore condanna, perché non se ne sarebbero volute approfittare. Vedendo calpestato il mio sangue, che scorreva in terra, da quei barbari, si rappresentavano alla mia mente tutti quelli che avrebbero calpestato il sangue mio con le loro iniquità: di ciò sentivo grande dolore. Pensavo che una sola stilla di quel sangue era di tanto valore, che sarebbe stato sufficiente a riscattare tutto il genere umano, e nel vederlo tanto conculcato e disprezzato, ne sentivo un grande cordoglio. Rivolto al Padre Io supplicavo, dicendogli: Padre mio, vi offro questo sangue, sparso con tanto amore, per la salute di tutto il mondo, e vi supplico, per i suoi meriti e per il suo valore, di dare ai miei fratelli tutte le grazie che sono loro necessarie, per la loro eterna salute. E come io non risparmio fatiche e patimenti, così voi non lasciate di dare ad essi ciò che è necessario e molto più, onde tutti quelli che vogliono, si possano salvare. Mi udiva il divin Padre e mi esaudiva, ed io lo ringraziavo a nome di tutti. Sentivo però dell'amarezza nel vedere il numero grande di quelli che ne avrebbero abusato.
Essendo il mio corpo ridotto quasi tutto ad una piaga, scorrendo gran copia di sangue in terra, ed essendo stanchi, i manigoldi temettero che morissi, perciò lasciarono di battermi: perché temevano che non fossi arrivato a lasciare la vita sopra la croce, come bramavano. Si erano però messi in cuore di ridurmi ad uno stato tale che non potessi più sopravvivere, se mai il presidente avesse negato di sentenziarmi alla morte, perché ne stavano con qualche timore. Dicevano: Se mai il presidente lo lasciasse in libertà, non ha da esser più uomo. Difatti mi ridussero ad uno stato, che l'umanità mia, se non fosse stata sostenuta dalla divinità, non avrebbe potuto più vivere. Tante furono le percosse e gli strapazzi che mi fecero.
Vedendo che quei barbari non si saziavano mai di tormentarmi, senti grande amarezza; tanto più che si rappresentarono alla mia mente quelli, che hanno, tanta crudeltà verso i loro prossimi, che non si saziano mai di travagliarli e di perseguitarli. Onde rivolto al Padre lo supplicai di valersi degnare di illuminarli, facendo conoscere il grande male che fanno, e la crudeltà che usano verso i loro prossimi. Vidi, che il Padre avrebbe dato loro il lume da poterlo conoscere, e la grazia di emendarsi, e che alcuni se ne sarebbero approfittati. Di ciò ne resi grazie al Padre. Vidi però il numera grande di quelli che ne avrebbero abusato e ne intesi grande amarezza. Supplicai il divin Padre di volersi degnare dei dare pazienza a tutti quelli che sarebbero stati perseguitati dagli empi. Vidi che il Padre l'avrebbe fatto ed io lo ringraziai.

IL RE DEI DOLORI
Sciolto pertanto dalla colonna, caddi in terra sopra il mio proprio sangue. Caddi per l'estrema debolezza a cui era ridotto il mio corpo. Eppure a tal vista quegli spietati non si mossero a compassione; vedendomi così in terra più morto che vivo, non vi fu chi si movesse ad aiutarmi, acciò mi fossi potuto rialzare. Anzi, quel ministro crudele e spietato, chiamato Malco, mi diede delle bastonate e dei calci. O quanto, sposa mia, intesi la crudeltà di quel ministro, che era stato da me beneficato poche ore prima, nell'orto di Gethsemani, avendogli risanato l'orecchio tagliato. Fu lui che più d ogni altro mi percosse e maltrattò. Vedendomi così in terra, tutto una piaga, ricoperto del mio proprio sangue, tornarono di nuovo a schernirmi. Mi dicevano: Oh, questa sì che è una porpora che ti sta bene, fatta dal tuo sangue ! Ora sì, che sei veramente il Re che pretendi di essere! Difatti, dicevano il vero: perché io bramavo di essere il Re dei dolori, per acquistare l'eterno regno a tutti i miei fratelli.
Soffrivo tutte le derisioni, le ingiurie, le molte e spietate percosse, senza dire neppure una parola, o fare un atto di dispiacimento. Eppure tanto silenzio, tanta pazienza e tanta mansuetudine, non mosse mai a compassione quei perfidi e duri cuori: se fosse stata una bestia ne avrebbero avuto pietà. Solo per me non vi fu chi avesse un atto di compatimento. Grande sollievo è per chi patisce, l'essere compatito. Ma io, anche di questo mi volli privare, perché le mie pene, fossero pure, volendo con questo meritare il sollievo e la consolazione dei miei fratelli nei loro patimenti, nelle loro angustie ed afflizioni. Perciò tutto offrivo al Padre supplicandolo delle dette grazie, non escludendo da esse nessuno.

BURLE CRUDELI
Stando così in terra, né potendomi rialzare, mi ordinarono che mi rivestissi con le mie vesti, le quali stavano in terra. Si prendevano giuoco, con i calci, di gettarle ora da una parte ora dall'altra, per vedermi andare carponi per terra a prenderle. Perciò rivolto al divin Padre, lo pregai del suo aiuto, per potermi rialzare. Ed alzatomi mi rivesti della via veste, la quale subito si attaccò a tutto il mio corpo piagato.
Vedendomi ridotto a tale stato, puoi credere quanto fosse grande l'amarezza del mio Cuore, riflettendo alla dignità della mia persona, tanto avvilita, vilipesa, oltraggiata e tutta impiagata. E vero, che godevo di patire per l'amor grande che portavo al genere umano, ma l'amarezza del mio Cuore era molto grande, nel vedere che questo amore sarebbe stato tanto conculcato e sì malamente corrisposto; quei fieri e crudeli manigoldi, mi rappresentavano tutti i peccatori ostinati, che avevo sempre presenti, e per cui tanto pativo. E benché soffrissi per tutti, nondimeno gli ostinati accrescevano le mie pene e l'amarezza del mio Cuore.

INCORONAZIONE DI SPINE
Stavano le furie infernali molto confuse, nel vedere tanta fortezza, tanta pazienza e mansuetudine in me, né potevano capire donde potesse ciò venire. E dicevano: Questi non è puro uomo: se fosse puro uomo non potrebbe soffrire tanto. Che sia il Figlio di Dio? Non può essere mai che un Dio si assoggetti a tante pene ed a tanti oltraggi. E dicevano: Chi sarà mai? E per indagarlo, cuggerivano ai manigoldi nuove invenzioni da tormentarmi, dicendo: Qualche segno alla fine darà, acciò noi possiamo intendere chi sia.
Difatti, avevano suggerito ai manigoldi di tormentarmi maggiormente. Mentre quelli che mi avevano flagellato si stavano prendendo gioco di me, altri andarono a formare una corona di acutissime spine, ed altri a cercare una porpora vecchia, tutta lacera. Questo fu per consiglio dei Farisei, avendolo suggerito ad essi il nemico Infernale, onde mi vestissero da Re di scherno, perché dicevano che pretendevo di essere loro Re. Volevano essi farmi comparire da Re, perché tutti mi schernissero, e così condurmi alla presenza di Pilato, in figura di Re, ma con la stima che essi ne facevano, cioè di Re finto e da scherno.
Difatti, trovata la porpora, e formata la durissima corona di acute spine, vi fecero sopra delle risate, saltando e battendo le mani per la nuova e dolorosa invenzione. Non avevano, i perfidi, licenza alcuna di trattarmi in tal modo e di maltrattarmi con tanta empietà ma si facevano lecito di fare tutto ciò che volevano sopra la mia persona, perché avevano gli Scribi e i Farisei dalla loro. Io era solo, né avevo nessuno per me, né vi era uno solo che difendesse la mia causa, e chi li riprendesse per tanta empietà. Eppure nella città molti da me erano stati beneficati, molti ancora eseguivano la mia dottrina. Ma tutti questi stavano ritirati per timore dei Farisei. Vedendo allora quelli che avrebbero patito molto, senza che vi fosse alcuno che di loro avesse avuto pietà e compassione, e che nelle loro pene e travagli sarebbero stati da tutti abbandonati, ne intesi grande amarezza. Pregai il divin Padre, acciò si fosse degnato di consolarli, difenderti e liberarli. Vidi che il Padre l'avrebbe fatto con somma provvidenza. Vidi anche il. premio preparato a chi in tal modo patisce, e ne resi grazie al divin Padre.

LA PORPORA
Avendo i perfidi preparato tutto per vestirmi da Re di scherno, mi condussero in un'altra stanza, ordinandomi che mi fossi di nuovo spogliato della mia veste, la quale era tutta attaccata con il sangue coagulato. Intesi molto rincrescimento, nel dovermi di nuovo togliere la veste, per il dolore che di nuovo dovevo sentire; ma offrendomi al Padre, pronto a far tutto, gli domandai il suo aiuto e con stento e dolore intenso, mi levai la veste. Difatti mi posero indosso la lacera porpora.
Nel togliermi la mia. veste, offri quel dolore al Padre, pregandolo di dare ai miei fratelli, specialmente a tutti i miei seguaci, fortezza, virtù e grazia da spogliarsi affatto dell'amor di se stessi, della carne e del sangue, per poter speditamente seguirmi per la via da me calcata e ad essi insegnata. Vedendo che per far questo ci vuole una grazia particolare, più volte ne pregai il divin Padre in modo speciale, e vidi, che il Padre l'avrebbe fatto. Vidi tutti quelli che se ne sarebbero prevalsi, e per il dolore che soffri, pregai il Padre di dare ad essi la consolazione in tale distacco. Vedendo che il Padre l'avrebbe fatto, gliene resi le grazie, anche per parte loro. Intesi però dell'amarezza, nel vedere il numero grande di coloro che avrebbero abusato di tanta grazia.

LA CORONA DI SPINE
Avendomi vestito con la porpora, la quale pure si attaccò alle mie piaghe, mi fecero sedere, tirandomi per i capelli e percuotendomi. Stavo a sedere,non già per mio riposo, ma per loro comodità, perché mi potessero porre in testa la corona di spine, la quale era fatta in modo, che mi coprisse tutta la testa. Intese rincrescimento la mia umanità alla vista di questa tormento; ma l'amore con cui pativo, subito mi faceva abbracciare tutto con allegrezza, domandando però sempre al Padre il suo aiuto, sì da poter soffrire ogni tormento.
Stando a sedere, ricoperto con la porpora, mi posero in testa la corona di spine, e parte con le mani ferrate, parte con i bastoni, la calcarono con grande forza sopra il mio capo: restando la fronte, le tempie e tutto il capo traforato. Fu così acerbo il dolore che intesi in questo aspro tormento, che sarei morto, se il Padre non mi avesse sostenuto, facendo che la divinità unita a me, mi servisse per conservare in vita la mia umanità, e darle forza da soffrire.
In questa dolorosissima incoronazione, tutto il mio corpo si riempì di un acerbo dolore, in modo che le fierissime punture che sentivo nella testa, le sentivo anche per tutta la vita, esacerbandosi le mie piaghe, e sentendo un tremare in tutte le membra, per l'eccessivo tormento. Il sangue, in gran capi, scorreva per tutto il corpo dalla testa piagata. Si riempirono i miei occhi, la bocca, né mi potevo asciugare, perché mi avevano legate le mani. Non morii, ma soffri i dolori della morte penosa, che avrei fatto, se la divinità non mi avesse sostenuto.
Nella circostanza dell'incoronazione, invitai di nuovo tutti i miei fratelli, affinché venissero a contemplarmi, e vedessero quanto soffrivo per loro amore, e quanto care mi costavano le loro colpe. Vidi tutti quelli che sarebbero accorsi per contemplarmi ed imitarmi, e che avrebbero compatito le mie pene, ed a questi impetrai molte grazie dal divin Padre. Vidi inoltre tutti coloro che sarebbero accorsi, ma per più tormentarmi, come fecero gli spietati Ebrei, che con moltiplicate offese accrescevano a me il dolore. Per questi pregai il divin Padre a perdonare. Sentendo poi le asprissime punture, si rappresentarono alla mia mente tutti quelli, che con i superbi ed indegni pensieri, avevano la maggior parte nei miei aspri dolori. Di essi mi dispiacevo, per vederli senza compassione alcuna verso di me, che tanto pativo per loro, e ne sentivo un aspro dolore. Mi crucciava poi l'offesa del divin Padre, ed a Lui mi offrivo in quella forma sì dolorosa. Vedevo il Padre adirato col peccatore, e lo supplicavo a voler placare lo sdegno, in virtù del mio patire, che offerivo in sconto di tutte le offese che riceveva; ed il Padre si placava.
Rivolto poi a tutte le anime a me fedeli, che pure avevo presenti alla mia mente, le invitavo a seguirmi ed imitarmi nelle mie pene. Vidi tutti quelli, che molto avrebbero patito per amor mio, e ne intesi compassione, e supplicai il divin Padre a dar loro copiosa mercede, per quanto avrebbero sofferto per mio amore. Lo supplicai anche, per il dolore che sentirono tutte le membra del mio corpo nel tormento, e che per la dura incoronazione soffriva il mio capo, di volersi degnare di dare un sentimento di dolore e di compassione a tutti i miei fratelli, membra mistiche di me, loro Capo. Vidi, che il Padre l'avrebbe dato. Vidi anche, che tutti quelli che sarebbero stati uniti, membri di me, loro Capo, avrebbero inteso il dolore e la compassione vera e cordiale. Intesi però dell'amarezza, nel vedere la moltitudine di coloro che, come membri recisi dal mio corpo, per la colpa, non avrebbero avuto né dolore, né alcun sentimento di compassione per le mie pene: molto mi afflisse la loro crudeltà ed ingratitudine.
Domandai poi al divin Padre le grazie per tutti i miei fratelli, che avessero avuto volontà di fuggire la colpa, affinché li avesse assistiti con la sua divina grazia, dando loro forza di resistere a tutti i mali pensieri di superbia, di vendetta, e. di tutto ciò che è sua offesa. Vidi, che il Padre sarebbe stato pronto a dare ad essi la suddetta grazia. Vidi tutti quelli che se ne sarebbero prevalsi, ne resi grazie al divin Padre; intesi però dell'amarezza per tutti quelli che se ne sarebbero abusati. Vidi la moltitudine di coloro, che, in questo campo, avrebbero commesso ogni sorta di colpa, senza alcun ritegno, non facendo conto alcuno dei molti e gravi peccati, che con i loro pensieri, continuamente fanno. Ed oh, quanto fu grave il mio dolore e l'amarezza dèl mio Cuore, per queste sì gravi offese! Rivolto al Padre lo pregai per il mio grande dolore, a volersi degnare di dar loro un nuovo lume e maggior grazia. E vidi, che il Padre lo avrebbe fatto, e che alcuni se ne sarebbero approfittati e si sarebbero ravveduti: di ciò resi grazie al Padre mio. Intesi però dell'amarezza nel vedere la moltitudine di coloro che si sarebbero abusati anche di questo.

LA CANNA
Stando così coronato, afflitto, e pieno di amarezza, quei barbari mi fecero un nuovo affronto, mettendomi in mano una canna per scettro regale: acciò in tutto e per tutto comparissi Re finto e da scherno. Intese molta amarezza il mio Cuore anche per questo scherno. In quella canna, vidi tutti quelli che sarebbero instabili nel divino servizio, vuoti d ogni virtù, e pieni di leggerezza. Nel veder tali anime, che dichiarandosi della mia sequela a parole, ma con i fatti stando lungi da me, avrebbero dato occasione a molti di deridere e mettere in scherno le cose del divino servizio, ne intesi amarezza. Rivolto al Padre lo pregai di illuminarle facendo loro conoscere il loro errore. Giacché stanno nelle mie mani, giacché si dichiarano della mia sequela, si pongano ad operare con senno; lascino le leggerezze e si applichino alla pratica delle vere virtù. E vidi, che il Padre non avrebbe mancato di dare loro il detto lume, e che alcune se ne sarebbero approfittate, e operando con senno si sarebbero stabilite nel divino servizio e nella pratica delle vere virtù: per loro resi grazie al Padre. Intesi dell'amarezza nel vedere la moltitudine di quelle che se ne sarebbero abusate. Esse, non facendo conto dei lumi divini, sarebbero restate sempre nel loro misero stato, piene di vanità, di leggerezze e vuote affatto di ogni virtù.

IL RE DEI DOLORI
Avendomi quei perfidi, così accomodato, si posero tutti sconciamente a ridere ed a schernirmi, chiamandomi il falso Re. Dicevano: Oh. adesso sì, che sei veramente Re come ti sei proclamato! Difatti dicevano il vero, perché nel mondo altro non pretesi che di adempire la volontà del Padre mio, di patire tutti i tormenti per soddisfare la divina giustizia per tutti i peccati, ed essere Re dei dolori, acciò tutti i miei seguaci prendessero esempio da me e si animassero a patire molto per l'acquisto della gloria, che ad essi meritavo con tante pene e tormenti.
Vedendomi ridotto a stato sì deplorevole, dissi all'amore che ardeva nel mio Cuore: Sarai ormai contento, giacché sono ridotto a tale stato. Vedendo che le brame dell'amore ancora non erano soddisfatte, e che molto più desideravano di patire, mi animai a soffrire maggiore pena e più gravi tormenti. Rivolto al Padre lo supplicai, con dirgli: O mio divin Padre! giacché l'amare che arde nel mio Cuore ha una fame insaziabile, di sempre più patire, per mostrarvi la sua grandezza, fate che questo infinito amore, così bramoso di pene, penetri nel cuore dei miei fratelli, onde anche essi siano avidi di patire, per far conoscere a voi l'amore che vi portano. Vidi, che il Padre mio non avrebbe mancato di adempire questa mia domanda, e che tutti i cuori che avrebbero racchiuso in sé questo beato incendio, non si sarebbero saziati mai di patire, cercando sempre nuove invenzioni di pene, per testificare al divin Padre l'amore che gli portano, ed imitare me, loro Redentore. Di questo resi grazie al divin Padre. Intesi però dell'amarezza, ed oh quanta! nel vedere la moltitudine dei cuori, che, per esser pieni dell'amore del mondo e di se stessi, chiudono affatto la porta al divino amore, perciò non sanno bramare altro che delizie, spassi e piaceri, fuggendo il patire. A questi cuori feci sentire i miei rimproveri, chiamandoli ingrati ed infedeli, perché vanno sì lungi, dall'acquisto dall'amore del divin Padre. Essendo essi tanto amati dal divin Padre e da me, che tanto pativo per loro amore, corrispondono con ingratitudine e disamore.
IL LUDIBRIO DI TUTTI
Stavo dunque a sedere, ricevendo molte ingiurie e scherni, dai fieri ministri, i quali erano molti; perché tutti i servi più vili di Anna, di Caifa e di Erode mi seguivano per schernirmi ed oltraggiarmi; vi erano poi i manigoldi, la sbirraglia, e la gente più vile. I Farisei stavano fuori. in disparte ed attizzavano i ministri di giustizia, affinché mi avessero sempre più maltrattato. Anche essi vomitavano contro di me imprecazioni, ingiurie e bestemmie esecrande. I demoni si affaticavano molto ad istigare tutti quei perfidi, e suggerire loro sempre nuove invenzioni per più tormentarmi. Fremevano molto nel vedere la mia invitta pazienza e tolleranza, e pur non potendo arrivare a capire, se fossi il vero Figlio di Dio, ne dubitavano molto per i segni che in me vedevano. Non potevano però trattenersi di non operare conforme la loro malizia e perversità, che è di procurare sempre che tutti facciano del male. Però, quantunque avessero grande timore e sospetto, che io fossi veramente il Messia, con tutto ciò, istigavano i ministri di giustizia, i Farisei, la plebe, e tutti contro di me, procurando che ognuno mi oltraggiasse e gravemente offendesse Iddio nella persona mia, perché conoscevano chiaramente la mia santità ed innocenza.
Suggerirono, i perversi ribelli spiriti, ai ministri, un nuovo atto di scherno verso di me: che ognuno di essi mi venisse a prestare ossequio con quegli atti di disprezzo, che sa inventare la malizia diabolica. Difatti, incominciarono a venire avanti a me ad uno ad uno per salutarmi come loro Re. Fu questo da tutti applaudito, quantunque avessero molta fretta, perché i Farisei si volevano sbrigare, facendomi presto morire. Ma siccome si trattava di tormentarmi e di schernirmi, non si curavano troppo di perdere tempo. Chinando ognuno il ginocchio, mi dicevano: Ti saluto Re dei Giudei. E schernendomi, mi percuotevano. Ognuno fece a gara a chi più mi sapeva schernire. Alcuni mi tiravano la barba e mi sputavano in faccia, altri mi tiravano i capelli, con mio grande tormento; altri mi tiravano le orecchie, alcuni mi davano calci e pugni, altri delle bastonate, altri ancora mi scuotevano la vita e mi torcevano la testa. Pigliando la corona di spine per una punta, la giravano, e così mi torcevano il collo in tutti i modi. Io sentivo un asprissimo tormento, ma quando mi pigliavano per la corona, mi si rendeva molto più doloroso, perché le spine mi tormentavano. Chi mi dava dei pugni sulle spalle, sul petto, sulle braccia; chi le bastonate sulle gambe; chi, infine, mi pestava i piedi.
Io stavo in sommo silenzio, senza dire parola alcuna, soffrendo con invitta pazienza, ed offrendo tutto al divin Padre. Vedevo che quasi tutti i ministri avevano le mani e i vestimenti tinti del mio sangue. Sentivo grande amarezza, che quel sangue prezioso fosse maneggiato ed oltraggiato da sacrileghi.
Furono tante le percosse, le ingiurie, gli affronti, le insolenze che soffri in questa occasione da quegli spietati, che non vi è mente che possa arrivare a comprenderli. E tutto facevano con furore e sdegno.
Mentre stavo ricevendo ciò che ora ti ho detto, offrendo tutto al divin Padre, vedevo che quasi tutti i miei fratelli avevano qualche parte in ciò che da quei perfidi ricevevo; perciò offrivo al Padre ciò che pativo, per tutti in generale, e poi in particolare per ciascheduno, secondo le loro colpe, onde il Padre restasse soddisfatto. Poi per ciascuno gli domandai la grazia che era necessaria per la sua eterna salute. Il Padre me la prometteva, come difatti non manca di darla. Resta che la maggior parte ne abusa e la disprezza non facendone conto alcuno.
Vedendomi così schernito da quei perfidi, si rappresentavano di nuovo alla mia mente, tutti coloro che per amor mio, e per la confessione del mio Nome, sarebbero stati scherniti ed oltraggiati, e che tanto avrebbero patito. Intesi compassione di essi, e supplicai il divin Padre a dare loro grazia, forza e virtù da soffrire tutto con pazienza. Gli domandai ciò in virtù di quanto pativo io. Di più lo pregai a dare ad essi gusto e consolazione nelle loro pene, raddolcendole con la sua divina grazia, visita e consolazione interna. Vedendo che il Padre avrebbe eseguito tutto fedelmente, lo ringraziai, e lodai la sua infinita bontà.
Sentivo, sposa mia, una continua pena ed amarezza nel mio Cuore, perché i perfidi, che mi tormentavano ed oltraggiavano con tanta empietà, rappresentavano alla mia mente tutti gli ostinati peccatori, dai quali tanto sarei stato offeso ed oltraggiato.
Intanto che i perfidi mi facevano tali atti di scherno, chiamandomi Re finto, invitai tutti i miei fratelli a venire a riconoscermi ed adorare come loro vero Re e Signore. Li invitai con desiderio che tutti mi avessero riconosciuto per tale. Allora vidi tutti coloro che sarebbero accorsi all'invito, e vidi quanti mi avrebbero riconosciuto per loro Re e Signore. A tutti promisi la mia protezione ed assistenza, e mi offri a reggerli e governarli con amore e sollecitudine. Li offri tutti al mio divin Padre affinché li avesse protetti. Vidi anche tutti quelli che non riconoscendomi per loro Re e Signore, mi avrebbero molto offeso ed oltraggiato. Di essi intesi urna grandissima amarezza, e per essi pregai il divin Padre, perché li avesse illuminati, e avesse fatto conoscere il gran danno che loro sarebbe derivato per andar dietro ad altri signori, che avrebbero precipitato le loro anime e privato me dell'ossequio e dell'onore dovutomi: Vidi, che il Padre avrebbe dato loro lume, accompagnandoli con la sua divina grazia, e che molti se ne sarebbero approfittati: dopo aver riconosciuto il loro errore, si sarebbero pentiti, e, rivolti a me, mi avrebbero adorato e confessato per loro Re e Signore. Di ciò resi grazie al divin Padre, pregandolo di dare ad essi i suoi aiuti speciali e la perseveranza. Vidi, che il Padre l'avrebbe fatto con grande amore. Intesi poi dell'amarezza nel vedere il grande numero di coloro che si sarebbero abusati del lume e della grazia, che il Padre avrebbe loro compartito con tanto amore, e che mi avrebbero voltato le spalle, riconoscendo altri per loro Re e Signore. Fu molto grande la pena che questi fecero soffrire al mio Cuore.

è CONDOTTO A PILATO
Avendo i perfidi, terminato di fare quegli atti di scherno, si risolvettero di condurmi alla presenza del Presidente Pilato, perché mi avesse veduto in tale figura, ed anche lui mi avesse schernito in loro compagnia. Volevano anche fargli vedere la vile stima che facevano della mia persona; ed in quale basso concetto mi tenevano. Perciò mi ordinarono di alzarmi. Tiratomi per le funi con cui stavo legato, a forza di percosse, ingiurie, gridi e fischiate, mi condussero alla presenza di Pilato.
Quando Pilato mi vide in sì deplorabile stato, si turbò e restò ammirato della loro fierezza e crudeltà, ma non li riprese, dicendo dentro di sé: Costoro hanno sfogato abbastanza la loro rabbia e furore, e, senza dubbio, lo lasceranno andare, ed io sarò libero dal condannarlo.

INTERROGATORIO - SILENZIO DI GESù
Mi fece Pilato altre interrogazioni circa le colpe che mi attribuivano. Io non risposi, perché gli avevo parlato prima, egli aveva, con poche parole, fatto conoscere la mia innocenza.
Gli avevo impetrato anche il lume dal Padre, onde conoscesse la dignità della mia persona e la verità della mia dottrina, in modo che se avesse corrisposto, non solo non mi avrebbe condannato ai flagelli ed alla morte, ma si sarebbe anche lui convertito. Ma Pilato sprezzò i lumi divini, facendosi vincere dal timore e dal rispetto umano.
Vedendomi Pilato in tale figura, risolvè di condurmi sopra una loggia, dei dove si vedeva tutto il popolo che stava ad aspettarmi, con molti Scribi e Farisei. Tutti, con impazienza e coni rabbia stavano ad aspettare che Pilato mi condannasse alla morte di croce, perché i Farisei andavano aizzando la turba, con le loro persuasioni, affinché avesse gridato, strepitato, e domandato a Pilato, che mi facesse morire. E se non l'avesse voluto fare, l'avessero assediato e costretto a farlo per forza. Perciò si affaticavano molto i perfidi Farisei, girando e rigirando intorno alla turba ebrea, promettendo a tutti il loro favore, la loro grazia e protezione. Avevano già dato ordine che si portasse la croce, che tenevano in disparte. Tenevano in ordine anche le cose necessarie per crocifiggermi, facendo tutto con grande cautela e sollecitudine. Io vedevo tutto, e ne sentivo grande amarezza. Nelle persone degli ebrei, vedevo coloro che si sarebbero lasciati sedurre dalla gente maligna e perversa; e nelle persone degli Scribi e dei Farisei vedevo tutti quelli che pongono il loro studio e la loro sollecitudine nel tirare la gente al male. Vedevo quanto sono tutti solleciti per le cose temporali, mentre per la salute delle loro anime non spendono neppure un pensiero. Di tutto sentivo grande amarezza e dolore, Rivolto al divin Padre lo pregavo di dare a tutti lume da conoscere il loro errore, e la grazia da emendarsi. E vidi che il Padre non avrebbe mancato di farlo e che alcuni se ne sarebbero approfittati. Di ciò resi grazie al Padre. Intesi però dell'amarezza nel vedere la moltitudine di quelli che avrebbero abusato della grazia, e disprezzato i lumi divini. Per questi intesi grande amarezza.

GESù ABBANDONATO DA TUTTI
Sentivo poi che per tutta la città di Gerusalemme si sparlava molto di me. Essendosi divulgato dappertutto, che io ero fatto prigioniero, e dal Pontefice Caifa condannato e dichiarato reo di morte, ognuno diceva, che veramente ero quello di cui i Farisei avevano sempre predicato, cioè: uno stregone, uno che aveva commercio col demonio, e che per opera del demonio aveva fatto tutti i miracoli. Molti ringraziavano Dio, che avesse permesso che fossi stato scoperto e preso dalla giustizia, per farmi morire. Tutti quelli che erano stati sanati da me, si reputavano disgraziati, perché avevano ricevuto la salute per mezzo mio. Tutti contro di me, mi ingiuriavano e maledicevano.
Il mio Cuore era ferito da acuto dolore, per sentir tutto ciò che ora ho detto. Molto dolore sentivo per le offese del divin Padre, al quale offrivo il mio dolore in sconto delle offese sì gravi che riceveva.
Alcuni pochi stavano forti nella fede, credendo alla mia dottrina ed alla santità della mia persona. Ma questi stavano ritirati per timore molto confusi. Per essi io non mancavo di pregare il Padre, onde avesse dato loro fortezza, e li avesse tenuti saldi nella fede. Difatti il Padre non mancava di assisterli con la sua grazia. Così in tempo di tanta tribolazione, venivano confortati, e si ricordavano di quanto loro avevo detto, cioè, che sarei morto, e il terzo giorno sarei risuscitato. E così, anche con questa speranza, si andavano consolando.

GESù E LA MADRE SUA
Vedevo tutti i miei apostoli dispersi ed afflitti in amaro pianto, ripieni di timore e di tristezza; e pregavo il divin Padre ad assisterli, consolarli e fortificarli nella fede. Il Padre non mancava di farlo, quantunque se ne rendessero indegni, per avermi abbandonato in tempo di tanto travaglio.
Vedevo la mia diletta Madre, la quale sentiva nel suo cuore tutte le mie pene e i miei dolori. Ed oh, quanto mi tormentava il vederla in tanto strazio! Era per me un grande martirio il vedere martirizzata per mio amore, quella purissima ed innocente colomba.
Spesso parlavo al di lei cuore e l'animavo al patire, e pregavo il divin Padre a confortarla; Egli lo faceva con paterno amore. Dicevo poi alla diletta Madre che mi accompagnasse nelle offerte e nelle domande, che rivolgevo al mio divin Padre. E Lei non mancava punto di eseguire quanto da me le era insinuato. Vedevo che il Padre si compiaceva molto delle sue offerte, perciò lo ringraziavo, unito con la medesima. Erano molti i sospiri di compassione, che mi inviava il suo cuore amante, e i desideri di più patire per mio amore. Spesso mi diceva: O Gesù mio! amato Figlio! quanto sarei contenta se io sola soffrissi tutte le vostre pene, e voi, mia vita, foste esente da ogni dolore! Poi tutta uniformata alla volontà del Padre, chinando la testa, l'adorava e lodava nell'opera sua. Adorava i suoi decreti e le sue permissioni. Di ciò il Padre molto si compiaceva.

ESORTAZIONE ALLA SUA SPOSA
Hai inteso, sposa mia, i molti e gravi tormenti che soffrii nell'essere flagellato alla colonna e coronato di spine. Hai inteso l'invito che facevo a tutti i miei fratelli, acciò mi venissero a contemplare, per vedere quanto patii per loro amore. Hai inteso che invitai tutti a venire a riconoscermi per loro Re e Signore. Hai inteso gli scherni e gli strapazzi che soffrii. Perciò non ti sembrerà difficile di imitarmi e soffrire con pazienza quanto ti sarà fatto di male dai prossimi tuoi, sia in fatti, sia in parole. Rallegrati quando ti vedi schernita e disprezzata, perché allora hai occasione di imitarmi in qualche cosa. Hai inteso la confusione ed il rossore che provai nell'essere spogliato, per la flagellazione. Anche in questo devi imitarmi, qualora tu senta qualche parola contro la purità: abbi confusione e rossore. Così si sollecita a cacciare da te anche i pensieri. Ricordati che la purità è un candore che ogni piccola cosa appanna e macchia. Vivi distaccata non solo da tutte le cose create, ma anche da tutte le cose appartenenti a me: spogliata affatto di tutto. Non vi sia cosa alcuna che tenga occupato il tuo cuore, acciò possa abitare in esso l'amare di Dio e di me tuo Sposo. Mentre pativo alla colonna e nell'essere coronato di spine, invitavo tutti i miei fratelli a venirmi a contemplare; ora invito te, come mia sposa, a venirmi a contemplare. Rimirami! osserva bene quel che patii, e sta' attenta, perché come sposa fedele, devi in tutto e per tutto assomigliare a me. Quanto più sarai simile a me, tanto più mi sarai grata e sarai da me amata. Godo molto nel vedere le mie spose in qualche modo simili a me nelle pene, perché poi nella gloria saranno molto a me dappresso e possederanno una gloria sublime. Non tralasciare di imitarmi anche nelle offerte al divin Padre, e di accompagnare coll'interno tutte le tue opere esterne. Avverti, che in questo ti voglio molto sollecita e diligente. Ti stia a cuore inoltre, la conversione dei peccatori, non tralasciando mai di pregare per essi e di offrire al Padre mio la mia Passione, per la loro conversione. Si in tutto sollecita, fedele e amante sposa.

CAPO NONO
Come il Figliuolo di Dio da Pilato fu mostrato al popolo. Viene posposto a Barabba. E condannato alla morte. Di ciò che operò nel suo interno sino a che ricevette la croce sulle spalle.

GESù PRESENTATO AL POPOLO
Il presidente avendo determinato di farmi vedere al popolo nella figura compassionevole in cui mi avevano ridotto i miei nemici, affinché avesse pietà di me, come lui stesso l'aveva avuta nel rimirarmi, mi fece condurre sopra una loggia, dove potessi esser veduto da tutti. Vi intervenne anche lui, e con parole di compassione, levando la porpora dall'impiagato petto, disse ad alta voce: Ecco l'uomo! volendo, con queste parole, far loro conoscere che non vi era in me più sembianza d'uomo, essendo tutto lacero e piagato, ridotto in uno stato che poco più avrei potuto vivere.
A tali parole esclamarono, prima i Farisei, e poi con essi tutto il popolo: Levacelo davanti, e dà ordini che sia crocifisso. A queste parole restò molto confuso il presidente; e non sapendo che modo trovare per liberarmi, senza perder la loro grazia, propose ad essi l'infame assassino e omicida Barabba. Lo paragonò con me, domandando, chi di noi due volevano che liberasse; perché nella solennità si liberava uno dalla morte. Il popolo, appena udita la proposta, incominciò a gridare ad alta voce: Viva Barabba, e muoia Gesù Nazzareno! Restò molto disgustato il presidente per la pessima elezione, e tornò di nuovo a dir loro, con volto adirato, cosa doveva fare di me, perché lui mi conosceva innocente. Allora incominciarono tutti ad alzar le grida, dicendo di nuovo: Levacelo davanti e condannalo alla morte di croce. Crocifiggilo, perché è un malfattore! Allora Pilato, pensando di metterli in reputazione, disse loro: Ma volete che io faccia crocifiggere il vostro Re? Allora più che mai alzarono la voce, e cominciarono ad ingiuriarmi, dicendo al presidente, che non avevano altro Re che Cesare. E di nuovo tutta la turba sgridò: Crocifiggile!

I FARISEI SI IMPONGONO
I Farisei si mostrarono adirati verso i1 presidente, perché differiva tanto la sentenza. Gli dissero che doveva credere a loro, che se il Nazzareno non fosse stato un malfattore non glielo avrebbero portato avanti, perché la loro coscienza non comporterebbe che si condannasse un innocente. Pilato, preso dal timore, per le minacce e per le parole serie dei Farisei, si indusse a dare la condanna, quantunque conoscesse chiaramente che ero del tutto innocente. Ma rivolto, al popolo, adisse: Io non voglio aver parte alcuna nella morte di questo innocente. Ed essi gridarono, che si addossavano tutta la colpa, e che il mio sangue fosse caduto sopra di loro e dei loro discendenti. Dissero questo, per ottenere che il presidente li avesse soddisfatti, e mi avesse con più libertà condannato alla morte.
Infine Pilato si fece vincere, e per far vedere che lui non aveva parte alcuna nella mia morte, si lavò le mani, poi pronunciò la sentenza, condannandomi alla morte di croce, benché conoscesse chiaramente la mia innocenza. Scrisse pertanto la sentenza, poi la lesse al popolo; tutti stettero ad udire con grande attenzione. Finito di leggere, furono tante le grida, le fischiate, i battimani, i salti che facevano per l'allegrezza, che ognuno fosse arrivato al colmo della consolazione. Gridarono: Evviva il Presidente! E tutti lo lodavano,
specialmente i Farisei, chiamandolo uomo prudente, che avendo voluto prima esaminare bene la causa, infine, conoscendo la mia reità, mi aveva condannato come meritavo. Molti di essi, per sfogare 1'allegrezza che sentivano, si abbracciavano insieme dicendo: Eppure siamo arrivati al nostro intento! Oh che fortuna è stata la nostra! Oh che consolazione abbiamo avuto in questo giorno! Ora sì che vivremo quieti, felici e contenti, perché non avremo più chi turbi la nostra pace!

AMAREZZA DI GES� E SUPPLICHE
In tutto questo fatto, stetti sempre col volto sereno, con gli occhi fissi in terra, con la mente ed il cuore rivolto al divin Padre ed a tutti i miei fratelli, per i quali tanto pativo e pregavo. Ah, sposa mia, quanto fu grande l'amarezza del mio Cuore in tutto ciò, che finora ho narrato! Quanto dolore, quanta pena, quanta angustia e mestizia nel vedere le offese del divin Padre, la perfidia e l'odio degli Scribi e Farisei e di tutta la plebe, tanto da mie beneficata, tanto amata, per la cui salute tanto pativo! Ma essi non vollero giovarsi di tanta mia bontà, mentre per quello che avevo loro insegnato e per i benefici che loro avevo fatto, potevano esser divenuti atti perfetti e santi.
Intese rincrescimento la mia umanità, quando Pilato mi condusse alla presenza di tutta l'adunanza. Rivolto al Padre lo pregai del suo aiuto per soffrire tutto ciò, che quivi mi sarebbe occorso. Mi offri pronto ad andare al patibolo, affinché tutti vedessero l'amore che loro portavo, fino a soffrire per la loro salute così grandi pene.
Arrivato sulla loggia, invitai tutti i miei fratelli, affinché fossero venuti a contemplarmi. E mentre il popolo gridava: Levacelo davanti e condannalo alla morte , vedevo tutti quelli che si sarebbero uniti a . loro, e mi avrebbero tanto disprezzato, che nemmeno avrebbero voluto vedermi, né udir raccontare, quanto per la loro salute io abbia patito. Di ciò intesi grande amarezza. Il mio Cuore veniva ferito anche da un altro dolore,perché le invenzioni che Pilato trovava per liberarmi, tutte riuscivano in mio grandissimo disonore e tormento. Allora si rappresentarono alla mia mente tutti coloro cui il divin Padre avrebbe dispensato sempre nuovi lumi e nuove grazie di salvezza, delle quali essi si sarebbero serviti per offenderlo ed aggravare maggiormente di colpe le loro anime, a più grave loro condanna, per il mal'uso che ne avrebbero fatto. Nel vedere, poi, che quel popolo ingrato, non aveva compassione alcuna di me, intesi grande amarezza, perché si rappresentarono alla mia mente quanti non avrebbero avuto mai un minimo sentimento di dolore per le mie pene. Sapendo che io per essi ho tanto patito, non ne fanno alcun conto, né si rivolgono a me neppure con un atto di compassione. Perciò rivolto verso di loro, dicevo: Ah crudeli, ingrati! Per voi patisco tanto, e voi neppure rivolgete gli sguardi verso di me, né avete compassione alcuna delle mie pene! E rivolto al Padre, lo pregavo di illuminarli, di farli rientrare in sé e conoscere la loro ingratitudine. Vidi che il Padre l'avrebbe fatto, e che per questo alcuni si sarebbero arresi e dopo aver conosciuto chiaramente, quanto io ho patito per loro amore, avrebbero avuto qualche compassione delle mie pene, e avrebbero approfittato del beneficio. Di ciò ne resi grazie al Padre. Intesi però dell'amarezza, nel vedere la moltitudine di quelli, che di tutto si sarebbero abusati.
Essendo dal presidente messo in comparazione con l'iniquo ed infame Barabba, intese il mio Cuore una grande amarezza, e la mia umanità una somma confusione. Vidi, che molti dei miei seguaci sarebbero stati trattati in tal modo. Intesi pena, nel vedere gli innocenti esseri ritenuti cattivi e perversi, e da molti paragonati agli empi, per non essere conosciuta la loro virtù, che, per lo più è nascosta agli occhi degli uomini. Perciò, rivolto al Padre, lo pregai di dar lume a tutti, acciò da ognuno sia conosciuta la bontà e la virtù delle anime giuste. Vidi che il Padre l'avrebbe fatto, e che molti l'avrebbero conosciuta, benché i più si sarebbero abusati di questo lume, ed avrebbero ritenuto per gente cattiva, i buoni. Vidi però che il Padre molte volte l'avrebbe permesso, perché i buoni abbiano occasione di meritare, e di imitarmi anche in questo.
Nell'udire poi l'elezione che fece il popolo di liberare Barabba, ritenendo la mia persona più indegna e meritevole della morte, di quello che fosse l'infame Barabba, puoi credere, sposa mia, quanto grande fosse il mio dolore e quanta l'amarezza del mio Cuore! Allora si rappresentarono alla mia mente tutte le anime, che avrebbero imitato in questo gli empi Ebrei, posponendo la persona mia alle loro soddisfazioni, al peccato, all'iniquità. Udivo anche sgridare, se non con le parole, con i fatti: Muoia Gesù Nazzareno, e viva il peccato ! Muoia il giusto e viva l'empio! Cioè: Muoia l'onore, la gloria di Dio, e viva la nostra rea soddisfazione! Oh! quanto dolore e quanta pena sentiva il mio Cuore per questi iniqui! Rivolto al Padre, lo supplicai, per l'angustia e il dolore, che sentivo, che si fosse degnato di illuminarli, affinché conoscessero il loro grave errore, la pessima elezione che facevano e l'offesa di Dio. Vidi, che il divin Padre non avrebbe mancato di dar loro lume e tutti gli aiuti necessari per ravvedersi e che molti se ne sarebbero approfittati, riconoscendo il loro errore, ed emendandosi. Di ciò resi grazie al divin Padre. Intesi sperò dell'amarezza nel vedere il numero grande di quelli che se ne sarebbero abusati, continuando nel loro errore. E perché ne sentivo una pena molto grande, bramando che il divin Padre, la sua gloria ed il suo onore, fossero anteposti a tutte le loro soddisfazioni, pregai di nuovo Il Padre per tutti quelli ostinati, affinché avesse dato loro maggior lume e più potente grazia ed aiuti. Vidi che il Padre avrebbe soddisfatto alla mia domanda, e che per questo alcuni si sarebbero ravveduti. Del che resi grazie al Padre. Intesi però una più grave amarezza nel vedere che molti, anche di questo, si sarebbero abusati.
Si rappresentò allora di nuovo alla mia mente l'altra proposta fatta, circa la persona mia ed il genere umano, nel divin concistoro, cioè: se si doveva lasciare perire il mondo immerso nella colpa, oppure se doveva la persona mia, cioè, l'eterno Verbo, incarnarsi, patire e morire, per riscattare e salvare il mondo perduto. Posponendo la mia persona al genere umano, elessi di patire e morire, perché il genere umano si salvasse e restasse redento. Vedendo, allora, che gli uomini si mostrarono così ingrati a tanta mia carità e a tanto amore, contraccambiando questa mia amorosa elezione con quella pessima, fatta da loro, di un infame ladro assassino da liberarsi in vece mia, ne intesi luna grande pena ed amarezza. Rivolto al Padre, lo supplicai di perdonare tutti gli ingrati, in virtù del mio dolore. E rivolto ad essi mi lamentai della loro somma ingratitudine e mala corrispondenza a tanta carità ed a tanto amore, supplicando il Padre di illuminarli, facendo loro conoscere l'ingratitudine con cui rispondevano al mio infinito amore. E vidi, che il Padre li avrebbe illuminati, e che molti, a questo chiaro lume, si sarebbero ravveduti: avrebbero conculcata la colpa, anteponendo in tutto la gloria divina e il divin onore, facendo vivere nelle loro anime la grazia e morire il peccato e l'iniquità. Di questo resi grazie al Padre, supplicandolo di continuare a dare a questi i suoi lumi ed aiuti speciali. Intesi però della amarezza, nel vedere la grande moltitudine di quanti si sarebbero abusati, ed avrebbero disprezzato i lumi divini, restando nella loro durezza ed ingratitudine. Per questi supplicai di nuovo il divin Padre con grande istanza, affinché avesse dato loro maggiori lumi e grazie. E vidi, che il divin Padre l'avrebbe fatto, e che per questo alcuni si sarebbero ravveduti. Di ciò resi grazie al divin Padre, e lo supplicai di dare loro nuova grazia, affinché fossero stati stabili nel bene, da loro conosciuto ed eletto. E vidi che il Padre l'avrebbe data loro, ed io lo ringraziai anche per parte loro. Intesi però una più grande amarezza, nel vedere tutti coloro che avrebbero abusato dei nuovi lumi, che loro avevo impetrato, rimanendo nella loro ostinazione e somma ingratitudine; perciò sarebbero miseramente periti. Nel vedere, poi, che gli Scribi e i Farisei presenti erano quelli che, con i loro mali esempi e cattive persuasioni, facevano pervertire tutto il popolo, tirandolo al loro pessimo partito, perché essi erano i primi a gridare, e dietro ad essi si accordava la plebe, si rappresentarono alla mia mente tutti i superiori cattivi ed indegni del grado che tengono, che con i loro mali esempi e cattive persuasioni, avrebbero fatto pervertire la plebe, e le persone ignoranti e vidi. Di ciò intesi una grande amarezza, e per questi pregai molto il divin Padre, acciò avesse dato lumi e fatto conoscere che da essi procede, in buona parte, tutto il mule che si fa dalla plebe. Vidi che il Padre non avrebbe mancato di dar loro il detto lume, e per questo alcuni sarebbero entrati in se stessi, e, conosciuto il proprio errore, si sarebbero emendati. Di ciò resi grazie al divin Padre. Intesi però dell'amarezza nel vedere la moltitudine di quelli per cui la grazia sarebbe stata vana. Vedendo che, per causa loro, molti sarebbero periti, rivolto di muovo al Padre, lo supplicai di tornare misericordiosamente ad illuminarli, con lumi più potenti e stimoli gagliardi al cuore. Vidi che il Padre l'avrebbe fatto, e che per questo alcuni si sarebbero ravveduti. Di ciò resi grazie affettuose al Padre. Intesi però dell'amarezza, ed oh quanto grande! nel vedere la moltitudine di quelli che, ad imitazione degli empi Scribi e Farisei, sarebbero rimasti nella loro durezza ed ostinazione, ciechi volontari, anche in mezzo a tanta luce.
Nel vedere che il presidente Pilato, pur conoscendomi e dichiarandomi innocente, si lasciò indurre a condannarmi come reo e malfattore, e dichiarò di non aver colpa nella mia morte, lavandosi le mani; si rappresentarono alla mia mente tutti quelli, che operano il male con i fatti, e con le parole si dichiarano innocenti. Cioè: operano in modo, che il loro prossimo resti danneggiato e poi, con le parole, lo compatiscono e lo difendono. Per questi ciechi, stolti, ed anche maliziosi, pregai il divin Padre, acciò li avesse illuminati, onde conoscano il loro errore. Vidi che il Padre l'avrebbe fatto, e che alcuni si sarebbero approfittati: conosciuto il loro errore, si sarebbero emendati, ed avrebbero fatta la penitenza del male arrecato al loro prossimo. Di ciò resi grazie al divin Padre, Intesi però dell'amarezza, nel vedere la moltitudine di questi che sarebbero restati nel loro errore, per l'abuso dei lumi divini e della grazia.
Vidi tutti i giudici, che, a persuasione dei maligni e perversi, avrebbero dato la sentenza contro gli innocenti. Di costoro intesi grande dolore ed amarezza, e supplicai il divin Padre ad illuminarli facendo loro conoscere il grande male che operano. Vidi che alcuni, riconosciuto il loro errore, ne avrebbero fatto la penitenza e si sarebbero emendati. Intesi però dell'amarezza nel vedere il grande numero di quelli che, abusando dei lumi divini, e disprezzando la grazia, sarebbero rimasti nel loro errore. Rivolto al Padre, lo supplicai per tutti gli innocenti, che sarebbero stati dagli empi giudici condannati come rei, affinché avesse dato loro la sua grazia e gli aiuti speciali, per soffrire l'ingiustizia e la condanna, con pazienza, ad imitazione mia. Vidi che il Padre non avrebbe mancato di dar loro la detta grazia. Vidi anche il grande premio che per questi stava preparato.
Feci poi una supplica assai premurosa al Padre, acciò nel mondo si fosse amministrata la giustizia con rettitudine; che fossero puniti i rei, conforme i l'oro delitti, e lasciati liberi gli innocenti. Vidi che in questo si sarebbe mancato molto, e ne intesi grande dolore ed amarezza. Supplicai di nuovo il divin Padre ad illuminare tutti quelli che amministrano la giustizia, facendo conoscere loro lo stretto conto che dovranno rendere al tribunale della giustizia divina. Vidi che il Padre non avrebbe mancato di dare ad essi chiari lumi, e vedendo tutti coloro che se ne sarebbero approfittati, ne resi grazie al divin Padre. Intesi, però, dell'amarezza, nel vedere il numero grande di quelli, che ne avrebbero abusato, e la sentenza di morte eterna, che per questi stava preparata.
Mentre si leggeva al popolo la sentenza della mia morte, nel vedere la finta allegrezza di tutti dico finta: perché il loro cuore non era contento, ma inquieto si rappresentò alla mia mente la funesta sentenza di eterna morte, che io stesso avrei fulminata contro le anime reprobe, e la vana e finta allegrezza che avrebbero dimostrato gli spiriti infernali. Allora il mio Cuore restò immerso in un mare di amarezza e di dolore, e soffri tutta la pena, che non avrei poi intesa nel condannarle. Rivolto al mio divin Padre, gli dissi O Padre mio amatissimo ! Voi vedete il dolore e l'amarezza che soffro nel vedere che io stesso dovrò fulminare la sentenza di eterna morte contro tutte le anime, che con tanto sangue ho redento, e alle quali, con tanti stenti e patimenti, ho meritato l'eterna beatitudine. Questo è un dolore che al presente mi passa il Cuore. Rivolto alle anime reprobe, che tutte avevo presenti, mi lamentai molto con esse: è possibile, infelici ed insensate, dicevo loro, che vogliate a forza strapparmi di mano la sentenza della vostra condanna? Dite su, che posso fare io per salvarvi? E voi, infelici, di tutto vi volete abusare? Ah! tornate in voi, misere! tornate! Riconoscete il vostro errore! Tornate al vostro giudice ora, che è padre amoroso, e sta pronto per abbracciarvi! Non vi lasciate ingannare dai nemici infernali, né accecare dalle vostre ree passioni e disordinati affetti! Rivolgete gli sguardi verso di me, e vedete quanto cara mi costa la vostra eterna salute, e quanto patisco per liberarvi dall'eterna morte! Questi inviti feci allora a tutte le anime ree, che si sarebbero volute dannare, e mi proposi di farli a tutti i loro cuori, e, con muta loquela, far udire a tutti queste amorose e dolci chiamate. Vidi che molti se ne sarebbero approfittati e si sarebbero convertiti a via di verità. Per questi resi grazie al divin Padre. Intesi però una grande amarezza nel vedere il numero, quasi innumerabile, di quei miseri, che si sarebbero di tutto abusati, e che avrebbero voluto far sempre i sordi alle mie voci ed ai miei dolci inviti.

RIMORSO DI PILATO
Letta che fu la sentenza della, mia morte, il presidente Pilato mi lasciò nelle mani dei ministri di giustizia, affinché mi avessero condotto fuori, perché gli Scribi e i Farisei, con tutto il popolo, mi aspettavano con impazienza, non potendo più soffrire la dilazione della mia morte.
Si ritirò il presidente in parte soddisfatto, per gli applausi che gli avevano fatto gli Scribi ed i Farisei con tutto il popolo, ma, con il cuore amareggiato, perché conosceva chiaramente il grande male che aveva fatto, condannando, ad una morte sì infame, un innocente, per istigazione di gente maligna ed appassionata, quali erano i Farisei, che ben conosceva. Onde restò con una grande tristezza e con timore che gli sopraggiungesse il castigo, come poi gli successe (1).
Nella persona di Pilato vidi tutti coloro che, dopo aver fatto il male, sentono la pena, perché conoscono di aver errato; ma, ad imitazione di Pilato, si ritirano a considerare il male fatto, mia non si convertono, né si pentono: restano nel loro travaglio, aspettando il castigo, il quale non tarda molto a sopraggiungere. Per questi inconsiderati, supplicai il divin Padre di illuminarli, acciò,conoscendo di aver errato, si convertano, e, ricorrendo al Padre delle misericordie, facciano penitenza del male commesso e non si diano in preda alla disperazione. Vidi che il Padre avrebbe loro dato lume, e che alcuni se ne sarebbero approfittati. Di questo resi grazie al Padre. Intesi però dell'amarezza nel vedere il gran numero di quelli, che sarebbero rimasti nel loro errore.
Rivolto di nuovo al divin Padre, lo pregai, che, per aver io chinato il capo e ricevuta volentieri la sentenza di morte, mostrandomi in tutto e per tutto obbediente ai suoi divini decreti, morendo volentieri per la sapute del genere umano, si fosse degnato, in virtù di quella mia pronta obbedienza, di dar lume a tutti i miei fratelli e seguaci, onde chinino il capo ed obbediscano in tutto e per tutto ai divini precetti e consigli evangelici, da mie lasciati; acciò, adempiendo la divina legge, siano fatti degni dell'eterna retribuzione. Lo pregai inoltre di degnarsi di dar loro grazia ed aiuti speciali, affinché l'avessero potuto fare. Vidi che il Padre non avrebbe mancato di esaudirmi, e che monti se ne sarebbero approfittati; avrebbero chinato il capo ed obbedito ai divini comandi. Del che resi grazie al Padre. Intesi però dell'amarezza, nel vedere la moltitudine di quelli, che se ne sarebbero abusati, e non si sarebbero mai ridotti ad obbedire ai divini comandi. Per questi ostinati trasgressori, pregai di nuovo il divin Padre con grande istanza, di illuminarli, e dar loro gagliardi stimoli al cuore. Vidi che, per questa nuova grazia, alcuni si sarebbero ravveduti, ed avrebbero volentieri obbedito e chinato il capo ai divini precetti. Di questi resi grazie al divin Padre. Vidi però la moltitudine degli ostinati trasgressori, che, malgrado i lumi e le grazie del divin Padre, non si sarebbero mai voluti arrendere, restando nella loro durezza ed ostinazione. Di essi intesi una somma amarezza.
Lo supplicai ancora di dare a tutti i miei seguaci una grazia particolare, affinché prendano tutte le cose contrarie ed avverse, dalle sue divine mani, non guardando la creatura che fa soffrire, ma la divina disposizione, che tutto permette per bene e profitto delle loro anime. Vidi che il divin Padre avrebbe dato loro la detta grazia, e che molti se ne sarebbero approfittati. Di ciò gli resi grazie. Intesi però dell'amarezza nel vedere la moltitudine di quelli, che se ne sarebbero abusati non accomodandosi mai a ricevere tutto dalle mani del divin Padre; e così facendo, non avrebbero acquistato alcun merito, anzi, molto detrimento per le loro anime. Questi causavano al mio Cuore grande dolore ed amarezza.

ESORTAZIONE ALLA SUA SPOSA
Hai inteso, sposa mia, i miei patimenti, e come mi comportassi, tanto con il mio divin Padre, come con i miei fratelli. Procura di imitarmi. Hai udito la pessima elezione che il popolo ebreo fece, posponendo la persona mia all'iniquo Barabba. Perciò, sta bene attenta: procura in tutte le cose di eleggere sempre il più perfetto, e di anteporre in tutto e per tutto la gloria e l'onore divini. Questo ti stia a cuore! Odia il peccato e fuggilo, tenendolo lontano da te, acciò là mia grazia, 1'amor mio regnino in te. Muoia in te l'iniquo Barabba, e viva sempre io in te. Con questo voglio dirti, che quando mai la colpa si appressasse a te, per volere entrare nell'anima tua, tu le devi dare la morte, cioè, scacciarla subito da te: così vivrò sempre io in te con la mia grazia. Hai udito la mia pronta obbedienza nell'accettare la sentenza di morte vituperosa. Non volere essere dissimile a me. Obbedisci perfettamente agli ordini dei tuoi maggiori, e molto più ai divini precetti e consigli. Non mancare mai all'obbedienza, se non in casi di grave necessità; perché avendone il voto, devi, con maggiore esattezza, praticare questa virtù. Ricevi infine tutte le cose che ti succedono, tanto prospere come avverse, dalle mani del tuo Padre celeste, ringraziandolo sempre, tanto del bene, come del male: assicurandoti che il Padre ti ama molto, e tutto ciò che dispone di te, tutto lo fa con paterno amore, per bene e profitto dell'anima tua. Procura, dunque, di mostrarti mia seguace e fedele sposa.

CAPO DECIMO
Come il Figliuolo di Dio ricevette la croce sulle SS. spalle. Del viaggio che fece per andare alla morte e di ciò che operò nel suo interno finché arrivò al monte Calvario per essere crocifisso.

GESù NELLE MANI DEI NEMICI
Essendo lasciato dal presidente nelle mani dei miei crudeli nemici, perché mi conducessero a morte, questi, come lupi e cani arrabbiati, mi si avventarono addosso, e, chi per le corde, chi per i capelli, mi condussero giù, dove gli Scribi e i Farisei, con tutto il popolo, si stavano, con grande desiderio, ad aspettare, ed ivi arrivato, fui da tutti ingiuriato, schernito ed oltraggiato. Battendo le mani dicevano: Ecco che alla fine, o seduttore, sei arrivato ad avere la sentenza da te meritata! Gridavano ad alta voce, dicendo: Mago, stregone infame, trasgressore, superbo; arrogante, vile, raffinato, seduttore, finto, ribelle, incantatore! Ognuno faceva a gara a chi più ne poteva dire contro di me, per l'odio che mi portavano, o per far cosa grata agli Scribi e ai Farisei, i quali furono i primi ad ingiuriarmi.
Stavo alla loro presenza, e ricevevo tutte le ingiurie con volto sereno, offrendole tutte al divin Padre, in sconto delle loro colpe. Sentivo però nel mio Cuore grande dolore ed amarezza, per le divine offese.
I demoni, che li istigavano, restavano sempre più attoniti nel vedere tanta mia sofferenza ed imperturbabilità, e sempre più andavano sospettando che io potessi essere il vero Messia. Con tutto ciò, non sapevano persuadersi, che se fossi stato il vero Messia, mi fossi assoggettato a sì strani tormenti, e che il divin Padre avesse trattenuto il castigo, per tanta sfacciataggine e crudeltà dei miei nemici. Perciò dicevamo fra di loro Non può esser mai che un Dio si assoggetti a tanti patimenti, a tante ingiurie, e che tanto si avvilisca la suprema maestà. Impazienti, nel vedere in me tanta virtù, non sapevano più che cosa inventare per farmi fare qualche atto d'impazienza. o di collera, verso chi tanto mi oltraggiava. Perciò si univano a consiglio, per trovare nuovi modi di farmi tormentare ed oltraggiare da quei fieri ministri, i quali erano privi di umanità e pieni di malizia e di crudeltà verso di me. Io mi mostravo pronto a soffrire tutto con pazienza ed allegrezza.

RIPRENDE LA VESTE E LA CORONA
Avendo i crudeli sfogato il loro animo nell'ingiuriarmi e schernirmi, gli Scribi e i Farisei ordinarono che fossi rivestito delle mie vesti, perché, andando per la città, fossi meglio riconosciuto da tutti (1). Difatti mi diedero la mia veste, acciò mi fossi rivestito. Mi strapparono a viva forza la porpora, sicché si riaprirono le mie ferite, ed incominciò il mio corpo a grondare sangue. Mi levarono la corona di spine, a viva forza, con grande empietà, e dalle ferite grondava il sangue in tanta copia, che bagnato il volto, il petto, le spalle e tutto il corpo, ne cadeva gran copia in terra.
Offrivo quel sangue al divin Padre, e lo supplicavo di placare lo sdegno che aveva verso i ministri crudeli. Il Padre, nel vedere il mio sangue, si placava.
Fu molto grande l'amarezza del mio Cuore, nel vedere che quegli inumani carnefici, non si muovevano punto a compassione di me; ma quanto più mi vedevano impiagato, tanto più si accendevano di furore e di odio contro di me.
Rivestito pertanto della mia veste, tornarono di nuovo a mettermi in capo la corona di spine, e a farmi nuove ferite con grande crudeltà. Fu molto il dolore che perciò senti e lo spasimo per le nuove ferite, essendo già la mia testa tutta addolorata. Rivolto a quelle anime, che con tanta facilità tornavano a peccare, e che avevo tutte presenti, mi lamentavo dicendo loro: Ah, crudeli, spietate! Cessate una volta di offendere tanto il divin Padre! Non vedete quanto tormento accrescete alla mia umanità piagata, con aggiungere ferite a ferite? Lo sapete, che le vostre replicate colpe sono causa di tanto mio tormento e dolore! Vedendole tanto ostinate nella loro iniquità, rivolto al Padre, tutto dolente, gli dicevo: Padre mio amatissimo! Ecco, con questo nuovo tormento, pago il debito, che tante anime, con replicate colpe, contraggono verso la divina giustizia. Perciò perdona loro, perché non sanno ciò che si fanno.
Ecco, sposa mia, qual era la vendetta che facevo contro quelli, che erano causa di tante mie pene e dolori: impetrare loro il perdono e scusarli avanti al Padre. Tanto era grande l'amore che a tutti portavo, che mentre ero tormentato per i loro peccati, chiedevo al Padre perdono e pietà per essi, offrendo i miei patimenti, in sconto delle loro colpe, ed impetrando tutte le grazie, che conoscevo essere ad essi necessarie per l'eterna salute. Vedevo che questo mio infinito amore era contraccambiato con tanta ingratitudine e crudeltà, puoi credere quanto si accrescesse l'amarezza del mio divin Cuore.

I DUE LADRONI CON GESù
Mentre stavano operando ciò che ho detto intorno alla mia persona, ordinarono che fossero condotti due ladroni, che erano stati condannati anch'essi alla morte di croce, per i loro misfatti (1). I Farisei, tutti affaccendati, giravano ora da una parte, ora dall'altra, perché si effettuasse il loro pessimo disegno: si erano accordati di condurmi al Calvario e di farmi passare in mezzo alla città, con quei due malfattori accanto, cioè: io, in mezzo ad essi, ed alquanto avanti, come capo dei malfattori e come ladro; perché dicevano, che volevo usurpare il regno, per cui dovevo essere dichiarato anche capo dei ladri.
Ed io, a questa loro risoluzione, dicevo fra di me Purtroppo, è vero che sono ladro; ma ladro che rivoglio il mio; cioè, le vostre anime, che stanno nelle mani del nemico infernale, e le voglio ripigliare a prezzo del mio sangue, che ora spargo con tanto amore. Ma voi, ciechi, non volete restare liberi dalla dura schiavitù, volete perdervi, disprezzando e calpestando lo stesso sangue, che è il prezzo della vostra redenzione. Rivolto al Padre, lo pregai dicendo: Padre mio amantissimo, illuminate tutte le anime da mie redente, fate conoscere il grande beneficio che concedo loro, riscattandole dalla dura schiavitù di Lucifero, e ricomprandole con il mio proprio sangue. Ah, Padre mio! Troppo mi costano le anime dei miei fratelli! Troppo prezioso è il prezzo della loro redenzione! Perciò, vi prego, mio divin Padre, di illuminarle, affinché si prevalgano di un sì grande beneficio. Vedendo che il divin Padre non avrebbe mancato di comunicare a tutti i suoi lumi divini, lo ringraziai, e lodai la sua infinita bontà e misericordia. Intesi però una grande amarezza nel vedere il grande numero di quelli che se ne sarebbero abusati, disprezzando i lumi divini, e la grazia che il Padre, con tanta liberalità, offriva a tutti.
Essendo venuti i due ladri, che dovevano essere crocifissi, quando videro la persona mia sì mal ridotta, si risentirono, stimando troppo vituperio venire in mia compagnia, al luogo del supplizio. A tal segno si ridusse la mia perdona: egli stessi malfattori mi disprezzarono. Una di essi si pose ad ingiuriarmi: fu quel perfido che si perdè, perché non cessò mai di oltraggiarmi con ingiurie e con motti impertinenti; anche l'altro ladro mi andava ogni tanto ingiuriando; ma vedendo la mia invitta pazienza, restò ammirato, e fra di sé andava dicendo : Costui ha una gran pazienza, né si risente di tante ingiurie e di tante percosse. Con queste riflessioni andava disponendosi a ricevere un lume particolare, per il quale mi riconobbe e poi mi confessò per vero Figlio, di Dio, come ti dirò. Nel sentire, che quei due ladri e malfattori si vergognavano di essere condotti al patibolo in mia compagnia, si rappresentarono alla mia mente tutte le anime peccatrici, che reputavano disonore operare il bene e praticare le virtù da me insegnate. Compatendo la loro cecità, supplicai il divin Padre di illuminarle, affinché conoscessero il loro errore e si vergognassero di reputare disonore l'operare il male. Vidi che il Padre avrebbe dato loro il detto lume, e che alcune sarebbero rientrate in se stesse, e si sarebbero emendate, come fece il buon ladro, che, ricevuto il lume, si convertì. Di ciò resi grazie al Padre. Intesi però dell'amarezza, nel vedere il gran numero di quelli che se ne sarebbero abusati, come fece il cattivo ladro.

PRECEDE L'ARALDO
Essendo in ordine tutto ciò che era necessario, per condurmi al patibolo, i Farisei ordinarono che andasse avanti un trombettiere, affinché per tutte le strade divulgasse la causa per la quale i principi dei sacerdoti ed il presidente Pilato mi avevano condannato a morte, e pubblicasse tutte le false accuse che si erano fatte contro di me. Fecero questo acciò tutti mi ritenessero un malfattore ed ingannatore, e nessuno avesse avuto compassione di me, anzi, tutti si rallegrassero alla nuova della mia morte.
Allora si rappresentarono alla mia mente tutti gli uomini perversi ed iniqui, che sarebbero andati seminando per il mondo false dottrine. Tante infamie avrebbero detto contro la mia divina legge, ed avrebbero, col loro veleno, fatto pervertire tante anime. Per essi intesi un grande dolore ed il mio cuore si riempì di una grande amarezza. Rivolto al divin Padre, tutto dolente, lo supplicai dei suoi divini lumi, del suo aiuto e grazia per tutte le povere anime, che da quegli iniqui sarebbero state pervertite, acciò stessero salde e costanti nella vera fede, da me insegnata. Lo pregai che si degnasse di abbattere quei mostri di iniquità. Vidi che il Padre non avrebbe mancato di dare a tutti la sua grazia, i suoi lumi, onde conoscessero la verità della divina legge, e disprezzassero le falsità degli uomini iniqui e ribelli. Vidi tutti coloro che sarebbero stati forti e costanti. Per questi pregai di nuovo il divin Padre di assisterli e dar loro la perseveranza nella vera fede: e vidi che il Padre l'avrebbe fatto. Del che gli resi grazie anche a nome di tutti. Vidi poi ciò che avrebbero patito per la confessione della vera fede, e supplicai il Padre del suo aiuto particolare per tutti. Vidi infatti che il Padre l'avrebbe loro dato con grande amore. E di ciò lo ringraziai. Intesi però una grandissima amarezza nel vedere la moltitudine degli infelici, che sarebbero precipitati nell'eresia, abbandonando la vera fede. Rivolto al Padre, lo supplicai con grande istanza, acciò avesse ispirato i suoi servi e ministri fedeli, di prendersi l'impegno e 1'ufficio della predicazione, e di andare a convertire quelle anime cieche e pervertite. E vidi che il Padre non avrebbe mancato di farlo. Gli resi grazie, nel vedere che molte, per le loro sante persuasioni, si sarebbero convertite, abbracciando di nuovo la vera fede. Intesi però dell'amarezza, nel vedere il grande numero di quelli che sarebbero rimasti nell'infedeltà, perciò sarebbero miseramente periti, per avere abusato dei lumi divini e dell'aiuto di persone fedeli e bramose della loro salute. Per questi infelici non lasciavo giammai di pregare il divin Padre. Lo pregavo inoltre di dar forza, virtù e fervore a tutti coloro che si impiegano nella conversione delle anime, specialmente degli infedeli, affinché possano resistere alle molte fatiche e patimenti. Vidi che il divin Padre l'avrebbe fatto con somma provvidenza. Vidi ciò che, nel praticare tale esercizio, sarebbe loro convenuto patire dai perfidi infedeli e nemici della vera fede. Ne intesi una grande amarezza e compassione, e supplicai il divin Padre di aiutarli, consolarli e confortarli nei loro patimenti. E vidi che il Padre l'avrebbe fatto con grande amore, e gli resi le dovute grazie, anche a nome loro.

ABBRACCIA LA CROCE
Mentre stavo con i due ladri, mi fu presentata la croce, perché vollero, i crudeli, che la portassi da me. Quantunque fossi sì mal ridotto, che stavo quasi spirante, con tutto ciò dicevano fra di loro Costui è molto robusto. Ha resistito a tanti tormenti, resisterà anche a questo. Se vedranno che manca sotto il peso, la leveremo, acciò lo possiamo far morire crocifisso.
Alla vista della grande croce, tutto il popolo incominciò a gridare ed a far festa. Ed io, vi fissai i miei amorosi sguardi. A tal vista si liquefaceva il mio Cuore per 1'amore che ad essa portavo, perché la croce doveva essere l'altare, su cui mi dovevo sacrificare, vittima all'eterno mio Padre, per la salute del genere umano. Perciò la salutai amorosamente, e con essa sfogai le mie amorose brame (1). L'abbracciai con grande dimostrazione di amore, e la ricevei dalle mani di quegli empi, come datami dalle mani del mio divin Padre. A Lui rivolto, dissi: Mio divin Padre; ricevo volentieri e con grande amore, dalle vostre divine mani, questo legno di ignominia. Ma d'ora innanzi sarà di gloria, per i miei seguaci. Voi sapete, da quanto tempo io desidero di abbracciarla, e di morire sopra di essa, per testificare a voi ed al mondo tutto, quanto grande è l'amore che vi porto, e che porto a tutto il genere umano: per obbedire a voi e per salvare gli uomini, io morirò sopra questa croce, e mai sacrificherò a voi, vittima innocente, per riscattare il mondo perduto. Vi prego dunque, o mio divin Padre, di farmi la grazia, che tutti i miei fratelli e seguaci vivano amanti della croce. Illuminateli voi, affinché conoscano il grande bene che apporterà alle loro anime la croce, se da essi sarà, volentieri e di buon cuore abbracciata. Date loro, o mio divin Padre, un grande amore al patire, per l'amore col quale io tanto patisco per la loro eterna salute. Date virtù alla croce di debellare l'inferno, e porre in fuga gli spiriti ribelli. Datele la virtù di comunicare consolazione a tutte le anime, che volentieri l'abbracciano, ad imitazione mia. Fate, infine, che tutti la ricevano con l'amore e la rassegnazione con cui io ora la ricevo. Udì il divin Padre le mie richieste e le esaudì. Vidi allora tutte le anime che avrebbero approfittato delle grazie che loro avrebbe fatto il divin Padre. Vidi quanti sarebbero stati amanti della croce, e che l'avrebbero abbracciata volentieri. E rivolto ad essi, dissi: Seguitemi pure, amici fedeli, per il sentiero del Calvario! Venite pure, fratelli e compagni miei, venite e seguitemi; perché dove andrò io, verrete anche voi. Io vi spianerò la via, con l'andare avanti, come vostro Capo. Per me prenderò tutto l'amaro, tutto l'aspro; anche per voi resterà l'asprezza e l'amarezza; ma sarà molto raddolcita! Voi sarete confortati e consolati, mentre io, per meritarvi la consolazione, mi spoglio affatto di ogni conforto, ed abbraccio il solo e puro patire. E vidi tutti coloro che avrebbero udito i miei amorosi inviti e con tanta generosità e prontezza mi avrebbero seguito, e ne resi grazie al divin Padre. Vidi anche il gran numero di quelli che avrebbero fuggito ed odiato la croce, e con tutto il loro potere avrebbero fuggito il patire, perciò sarebbero andati molto lontani dalle mie vestigia. Rivolto ad essi li esortai a non evitare la croce, e li invitai amorosamente a seguirmi. Ma intesi una grande amarezza nel vederli ostinati e sordi ai miei dolci inviti. Allora rivolto al Padre lo supplicai di illuminarli, acciò conoscessero il loro errore, e conoscessero anche che, andando così lontano da me, conviene loro soffrire maggiori travagli; e più grave sarà la croce, che essi incontreranno, per seguire i dettami del mondo, di quello che non sarebbe se prendessero la loro croce e seguissero me, loro capo e Maestro. Vidi che il divin Padre non avrebbe mancato di dare a tutti il detto lume, e che alcuni se ne sarebbero prevalsi, e si sarebbero posti a seguirmi, con molta consolazione delle loro anime; ed lo ne resi grazie al Padre. Intesi però una grande amarezza, nel vedere il grande numero di quelli che, abusando dei lumi divini, sarebbero sempre andati lontani dalle mie vestigia. Li vedevo, i miseri, gemere sotto il grave peso, che loro impone il mondo ingannatore, senza dar loro una stilla di vera consolazione. Di essi ebbi grande compassione, e non lasciai mai di invitarli a porsi alla mia sequela, quantunque facciano i sordi ai miei inviti. Vedevo che alcuni avrebbero conosciuto chiaramente il loro travaglio, eppure non si sarebbero mai risolti di lasciare il mondo, per seguire me, che con tanto amore li invitavo. Per la loro ostinazione, sentivo una più grave amarezza, e compassionavo la loro cecità, non mancando di rimproverare la loro ostinazione; in modo che alla fine, dopo molti rimproveri e molti inviti, vedevo alcuni che si sarebbero posti a seguirmi. Per questi rendevo grazie al divin Padre, e lo pregavo di perdonare loro la tanta resistenza fatta ai miei inviti, e il lungo indugio a ravvedersi e porsi alla mia sequela. Vidi che il Padre si sarebbe mostrato loro benigno e cortese, non negando ad essi la grazia che compartiva ai primi e più solleciti a seguirmi. Di ciò lo ringraziai e lodai la sua infinita bontà e clemenza. Intesi però dell'amarezza, ed oh, quanto grande! nel vedere l'ostinazione di molti, che si sarebbero abusati di tanti lumi, di tanti inviti e di tanta grazia.

L'ISCRIZIONE DELLA CROCE
Mentre i ministri di giustizia stavano per mettermi la croce sulle spalle, i Farisei mandarono a dire al presidente Pilato di fare una iscrizione da mettere sopra la croce, affinché, come capo dei malfattori, si leggesse anche sopra il patibolo il mio nome, per mia maggiore ignominia, e per distinguermi dai due ladri. Lo scritto, in poche parole, doveva manifestare la causa principale per la quale mi crocifiggevano; dissero cioè che volevo usurpare il regno della Giudea. Pilato fece l'iscrizione, e la fece senza rifletterci. Scrisse: Gesù Nazareno, Re dei Giudei. Ciò fu ordinazione del mio divin Padre, che volle che fossi dichiarato Re, anche sopra l'infame patibolo. Come io nobilitavo ed esaltavo la croce coll'esservi crocifisso sopra, così, essendovi il mio corpo, volle che vi fosse scritto anche il mio Nome, e fossi dichiarato vero Re: perché con la mia morte, mai acquistavo il Regno, non solo della Giudea, ma di tutto l'universo, ed anche di tutte le anime: ricomprandole con la mia morte e col mio sangue, divenivo `infatti loro Re ed assoluto padrone.
Non credette il presidente di fare ingiuria ai Farisei; perciò, dopo averla scritta la mandò loro. Ma essi, leggendola, si infuriarono, e tornarono da Pilato, perché la rifacesse, dichiarandosi molto offesi da lui, per avere scritto: Re dei Giudei. Ma Pilato stette forte, né volle in modo alcuno mutare l'iscrizione. I Farisei, dopo avere strepitato, si quietarono, né vi fecero più riflessione !per allora, permettendolo il divin Padre, onde si eseguisse la sua divina ordinazione (1). Vidi allora tutte le anime che si sarebbero opposte ai divini decreti, e che si sarebbero tanto affaticate affinché si seguisse nel mondo il loro sentimento. Di esse ebbi grande compassione, perché le vedevo affaticarsi invano, mentre ciò che il divin Padre ha decretato, conviene che si eseguisca. Perciò, rivolto al Padre, lo pregai di far loro conoscere l'errore in cui si trovano. E vidi che il Padre non avrebbe mancato di illuminarle, e che, per questo lume, molte si sarebbero rimesse alle divine disposizioni. Di questo gli resi grazie. Intesi però dell'amarezza nel vedere il grande numero di quelli che si sarebbero abusati di detto lume, ed avrebbero tormentato sempre se stessi e gli altri, senza mai poter arrivare ad effettuare i loro disegni: perché le creature tutte devono assoggettarsi ai divini decreti, di buona voglia, essendo essi immutabili.

SULLA VIA DEL CALVARIO
Stando con la croce, che tenevo con le mie mani appoggiata a me, i perfidi me la posero sulla spalla, dalla parte destra, lasciandomi sciolte le mani, perché la potessi tenere. Al primo movimento, la croce colpì la corona di spine, per cui intesi grande dolore nella mia addolorata testa. Mi avevano poi legate le braccia con corde, e una corda avevano legato alla cintura. Mi posero una grossa e lunga fune al collo, con la quale mi teneva un perfido manigoldo, gli altri mi tenevano per la corda della cintura, ma in modo che potessero stare discosti alquanto da me, perché fossi veduto da tutti. Mi precedevano il trombettiere e molti ministri di giustizia, come anche d'intorno e dietro venivano altri, seguiti dalla plebe. Ai lati venivano i due ladri, alquanto dietro di me. Dopo, tutta la plebe alla lontana, venivano gli Scribi e i Farisei, cioè, quelli che non mi lasciarono mai, bramosi di vedere tutto, e che si erano prefissi di non voler partire, se non dopo che fosse stata eseguita la mia sentenza di morte. Vi venivano anche per il timore che fossi loro uscito di mano; oppure, che qualche persona di autorità fosse venuta, e mi avesse levato dalle mani dei ministri di giustizia. Dicevano fra di loro: Costui si è fatto tanti amici e tanti aderenti: chi sa che non vengano con violenza a levarlo dalle mani dei carnefici? perciò seguiamolo, acciò, vedendoci, abbiano soggezione e timore di noi. Questi erano i più perfidi, che non stimavano né onore, né reputazione, avvilendo anche il loro grado, per soddisfare alla loro sfrenata passione. Così si incominciò il doloroso viaggio, alla volta del Calvario. In tutto questo fatto, non apri mai bocca per dire neppure una parola. Il mio Cuore stava immerso in un mare di amarezza.
Ricevuta la croce sulla spalla, intesi la gravezza del peso, in modo che non potevo reggerla. Rivolto al divin Padre, lo pregai del suo aiuto, e di darmi le forze, affinché la potessi portare. Accrebbe la divinità le forze all'umanità, ma non le scemò il dolore; anzi, accrescendosi in me le forze, si accresceva anche il dolore; perché per questo appunto, si accrescevano le forze al mio corpo, affinché sentisse anche maggiore pena e sofferenza. Rivolto al Padre lo supplicai per tutti i miei fratelli e seguaci, che tutti vedevo, specialmente per quelli che sono molto aggravati dal peso della croce, ed aggravati sopra le loro forze. Lo supplicai di dare anche ad essi aiuto e forza per soffrire e portare la croce, di sì gran peso alla loro debole umanità. Vidi che il Padre non avrebbe mancato di dare loro aiuto e fortezza, e di ciò lo ringraziai.
Intese poi la mia umanità una grande ripugnanza per dover passare in tal modo per la città, dove stavano quasi tutti in aspettazione per vedermi, ed il dover comparire, in tal guisa, per le contrade, come capo di ladri e di malfattori. Ne sentivo una grande amarezza, tanto più che vedevo tutti gli scherni che mai sarebbero stati fatti, tutte le ingiurie e le molte insolenze che avrei ricevuto. Rivolto al Padre lo supplicai di nuovo del suo aiuto. L'amore infinito che stava nel mio Cuore, mi fece abbracciare tutto con amore, rassegnazione e prontezza grande, e mi offri al divin Padre, pronto a soffrire tutto. Vidi allora tutti coloro che avrebbero auto grande ripugnanza di dover soffrire le ingiurie e gli scherni, di dover comparire in pubblico, ed essere ritenuti persone indegne e cattive, di essere pubblicamente infamati, scherniti e vilipesi, essendo per altro la loro vita innocente. Di questi ebbi grande compassione. Rivolto al Padre lo pregai del suo potente aiuto e della sua grazia speciale per essi, onde con generosità, soffrano tutto per amor suo; e ad imitazione mia, portino pubblicamente questa grande croce. Vidi che il Padre non avrebbe mancato di fare quello di cui lo supplicai, e che essi si sarebbero prevalsi dei lumi e della grazia, e con generosità avrebbero sofferto tutto, portando pubblicamente la croce e sopportando ogni ingiuria ed ignominia con grande coraggio. Ne resi grazie al divin Padre, ed essi furono da me rimirati con grande amore, come miei cari fratelli, seguaci, ed imitatori. Vidi anche coloro che non avrebbero voluto mai soffrire cosa alcuna, che sarebbero stati pieni di amor proprio, esigendo da ognuno un rispetto grande, amando il decoro della propria persona, non volendo soffrire alcuna ingiuria, o sinistra opinione del popolo, vergognandosi di portare la croce in pubblico, o di essere tenuti in poca stima dalla gente mondana. Di questi intesi grande amarezza, perché sarebbero andati tanto lontani d ai miei insegnamenti, e non avrebbero mai fissato gli sguardi su ciò che io, per loro esempio, soffrii. Perciò supplicai il divin Padre di illuminarli, facendo loro conoscere l'errore in cui si trovano, quando per coprire la loro ripugnanza, trovano variai pretesti, sotto figura di bene. Vidi che il Padre avrebbe dato loro il detto lume, che alcuni si sarebbero ravveduti, ed avrebbero posto sotto i piedi ogni rispetto umano ed ogni vana stima di se stessi, portando pubblicamente la croce, abbracciando l'ignominia ed ogni altro obbrobrio, che il mondo suol far soffrire ai miei seguaci. Per essi resi grazie al Padre, supplicandolo di continuare con i suoi lumi divini e con l'assistenza della sua divina grazia. Intesi però una grande amarezza nel vedere la moltitudine di quelli che di tutto si sarebbero abusati, e sarebbero andati tanto lontani dai miei esempi, vergognandosi di portare la croce in mia compagnia, e di essere vilipesi e scherniti dal mondo ingannatore.
Mentre camminavo con la mia croce, mi offrivo al Padre, ad ogni passo, soffrendo tutto per amore. Perciò lo pregavo di voler dare ai miei fratelli e seguaci un tale sentimento, cioè di soffrire con amore e per amore, e di tener lontano da essi ogni ombra di vanità e di ambizione, di essere stimati dagli uomini per gente buona e virtuosa. Feci molte volte questa richiesta al divin Padre, perché vedevo che questa passione avrebbe tenuto ingannati molti, e fatto perdere ad essi tutto il merito dell'opera buona e dei patimenti sofferti: perché il demonio astuto, non potendoli vincere ed impedire il bene da essi intrapreso, procura, con tutto il suo potere di porre in testa ad essi la vanagloria. Vedendo che, in questo, il nemico avrebbe riportato delle vittorie, spagliando le anime di tutto il merito, ne intesa una grande amarezza, perciò molto mi affaticai presso il divin Padre, acciò si fosse degnato di illuminare tutti i miei fratelli e seguaci, onde stiano attenti, né si facciano ingannare dall'astuto nemico. Vidi che il divin Padre non avrebbe mancato, con i suoi lumi, di far conoscere un sì grande errore, e che molti se ne sarebbero approfittati, fuggendo ed aborrendo la vanagloria. Di essi resi grazie al divin Padre, supplicandolo della sua continua assistenza, e del suo aiuto in tutte le loro virtuose operazioni. Intesi però una molto grande amarezza, nel vedere il grande numero di quelli che si sarebbero abusati dei lumi divini e della grazia, e che in tutte le operazioni avrebbero cercato sempre la vana stima e la gloria mondana, e con questo, sarebbero venuti a perdere tutto il merito del bene che fanno e di quanto patiscono, perché il fine loro non è retto, né ciò fanno per piacere al divin Padre e per imitar me, nelle pene e nei patimenti, ma per essere lodati e stimati dagli uomini e per acquistar credito presso di essi. Ed oh, quanta pena questi poveri ciechi e insensati facevamo soffrire al mio povero Cuore! Perciò tornavo sempre a supplicare il divin Padre, affinché li avesse illuminati ed avesse fatto conoscere il loro errore. Vedevo che alcuni infine si sarebbero ravveduti della loro vanità e pazzia, con dare udienza agli interni rimorsi, e con ricevere i lumi divini. Di ciò lodavo il divin Padre, restando però sempre amareggiato il mio Cuore, nel vedere il grande numero di quelli che si sarebbero abusati di tutto rimanendo nella loro cecità e pazzia.
Seguitando il viaggio per la città, dove mai convenne passare, per andare alla porta, che conduceva al Calvario, furono molte le ingiurie e gli scherni che da tutti ricevevo. Chi stava sulla porta, chi alle finestre: tutti vomitavano ingiurie e maledizioni verso di me. Mi furono tirate anche delle immondezze. Andavo io, sposa mia, col capo chino, con gli occhi fissi in terra, col volto sereno, senza turbamento alcuno: Invitavo i miei fratelli e seguaci, dicendo loro: Venite e vedete in qual modo dovete anche voi portare la vostra croce! Osservate come la porto io, che sono il vostro Maestro e la vostra guida! Vedete la mansuetudine, il silenzio, la sofferenza, l'amore! Osservate i miei dolori e patimenti! Sappiate che dovete imitarmi nelle virtù che in me risplendono!

LE CADUTE DI GESù
La croce ad ogni passo mi batteva sopra la corona di spine, e mi faceva soffrire un aspro tormento. La spalla era già tutta piagata. In questo viaggio andavo soffrendo degli svenimenti per l'asprezza del dolore, e spesso cadevo sotto il grave peso. Nelle cadute, ero percosso dai manigoldi con le aste e con i bastoni, facendomi con impeto rialzare. Era tanto lo spasimo che sentivo che non vi è finente che lo possa penetrare. Mi si sconvolgevano tutte le ossa, e sopra il dorso ne restarono scoperte alcune e smosse, restando le mie spalle tutte impiagate.
Mi si rappresentavano alla mente tutte le anime, che essendosi poste alla mia sequela, ed essendo molto avanti nella virtù, cadono dal dritto sentiero, ed incorrono in gravi errori. Di ciò sentivo un grande dolore ed amarezza. Rivolto al divin Padre lo supplicavo per quello spasimo che sentivo, che si fosse degnato di illuminarli e di fare and essi conoscere i1 loro grave errore. Vidi, che il divin Padre l'avrebbe fatto, ed avrebbe usato verso di loro la sua grande misericordia, col dar loro l'aiuto per rialzarsi e tornare di nuovo alla mia sequela. Vidi quanti si sarebbero approfittati della grazia e dei lumi: e ne resi grazie al divin Padre. Vidi però quelli che, dopo caduti, non si sarebbero più rialzati, e abusando delle grazie divine, sarebbero stati sempre nei loro errori. Di questi intesi grande amarezza, tanto più che sarebbero stati di scandalo ai loro prossimi, ed occasione a molti incauti, di seguirli nei loro errori. Quando cadevo sotto il grave peso, privo di forze, i perfidi alzavano grida, battendo le mani, fischiando e saltando. Nell'udirli tripudiare in tal modo, si accresceva una grande amarezza nel mio Cuore, e si rappresentava alla mia mente tutta la festa che fanno i demoni e la gente perversa, quando vedono cadere in qualche grave mancamento quelli che sono della mia sequela, che si dichiarano miei discepoli ed imitatori. Perciò si accresceva allora la mia amarezza e confusione. Molti erano quelli che mi rinfacciavano i miracoli che avevo fatto, e la liberazione di tanti infermi e storpi. Mi dicevano: Perché ora, o gran profeta, non ti liberi dalle mani della giustizia ? Vedi, se veramente eri un mago, un indemoniato! Ora che sei nelle mani della giustizia, non puoi fare più niente! Questi, per lo più, erano i saluti che mi facevano quelli che stavano alle finestre per vedermi. Mi dicevano: Ora va a pagare il fio delle tue furberie; ben ti sta Ed io, rivolto al Padre, lo supplicavo di perdono per tutta quell'ingrata e cieca gente, e gli offrivo i miei dolori, in sconto delle loro colpe e di quelle di tutti i miei fratelli.

LA PIETOSA VERONICA
Camminando avanti, fui veduto, alla lontana, dalla devota Veronica, la quale, mossa a compassione, per scorgere il mio Volto pieno di sangue e anche di sputi perché gli inumani non cessarono mai di farmi tale oltraggio prese un panno di lino, e corse velocemente ad asciugarmi il Volto. Ma fu subito dai manigoldi rigettata e schernita. Mi pose il panno sul Volto, con grande compassione, dicendomi Oh, povero Gesù! A che stato vi hanno ridotto i vostri nemici! Per queste compassionevoli parole, e per l'atto caritativo che mi usò, e molto più per la generosità da lei usata, nel spassare fra i manigoldi, fu ricompensata da me con un segno di amore straordinario, lasciandole impressa nel panno la mia effige. Ma la scolpii molto più nel di lei cuore, e finché visse, non se ne dimenticò mai, e sempre pianse amaramente, per amorosa compassione. La donna, toltomi il panno dal Volto, fu da me rimirata con grande amore. Del quale sguardo restò ferita, e visse amante di me ed anche delle mie pene. Avvedutasi poi subito del mio ritratto nel panno, corse frettolosa a contemplarlo, ed a sfogare l'amor suo in amare lacrime.
A questo fatto, invitai ancora tutti i miei seguaci a venire a vedere ;il mio Volto deformato e sì mal ridotto, e ad avere di me una compassione amorosa. Vidi tutti quelli che sarebbero accorsi all'invito, e contemplando le mie pene e la deformità del mio Volto e di tutta la persona mia, ne avrebbero avuto sentimento di compassione. Ed io, fissai fin d'allora sopra le loro anime i miei sguardi amorosi, lasciando impressa nel loro cuore la memoria delle mie pene ed accendendoli del mio amore. Vedendo la Loro gratitudine e compassione, ne resi grazie al divin Padre, e lo supplicai di dar loro una copiosa mercede. Intesi dell'amarezza, ed oh quanta! nel vedere la moltitudine di quelli, che non solo non sarebbero accorsi al mio invito, a contemplare le mie pene, ma, ad imitazione degli iniqui Ebrei, si sarebbero burlati, schernendo quelli che vi sarebbero accorsi. Di costoro intesi una più grave pena. Non mancai però di scusarli presso il divin Padre.

L'INCONTRO DELLA MADRE
Seguitando il doloroso viaggio, mi tiravano quei crudeli con gran fretta e mi accompagnavano con ingiurie e percosse, senza pietà né compassione. Dove mi rivolgevo, trovavo materia di dolore e di amarezza: per me non vi era alcun conforto. Avendo camminato alquanto, giunse la mia diletta ed afflitta Madre. Oh! quanta pena ed amarezza soffrì il mio Cuore nel vederla immersa in un mare amarissimo di affanni! Mi vide da lontano, e fu da me rimirata. Parlai al di lei cuore e d invitai ad appressarsi. Ed ella, spinta dall'impeto dell'amore, corse ad abbracciarmi per l'ultima volta. Passò in mezzo alla turba insolente ed ai carnefici, ed arrivata alla mia presenza, restò priva di respiro, per la ferita crudele che sentì il suo afflitto ed amante cuore. Non poté proferire altra parola che questa: Gesù, mio Figlio! E mi abbracciò, e nell'abbracciarmi restò anch'ella bagnata del mio sangue e punta dalle spine, ma molto più, ferita nuovamente nel cuore. Le dissi: Cara madre, fatevi animo, perché più gravi dolori vi conviene soffrire. Altro non potei dirle perché anch'io ero ferito dal dolore nel vederla in sì grave affanno. Si parlarono i nostri cuori, animandosi l'un l'altro a soffrire e ad eseguire la volontà del Padre.
Ma appena mi ebbe abbracciato, i crudeli manigoldi la discacciarono. Io le dissi: Seguitemi, cara Madre! Ed ella, pronta, mi seguì, non molto da lungi, sino alla cima del Calvario. L'amante Maddalena, il discepolo Giovanni e le altre devote donne pure mi seguivano, ricolme d'affanno, in compagnia della diletta Madre. In questo fatto vidi tutti i genitori, che avrebbero provato grande travaglio e dolore per i loro figli, che sarebbero stati uccisi dai loro nemici, o per mano della giustizia. Di loro ebbi grande compassione, e rivolto al divin Padre, lo supplicai di dare ad essi fortezza e grazia da poter soffrire sì gravi colpi. Vidi che il Padre non avrebbe mancato di farlo. Vidi tutti quelli che si sarebbero rassegnati ed avrebbero sofferto il travaglio con pazienza, e ne resi grazie al Padre. Intesi però grande amarezza nel vedere la moltitudine di quelli, che dando nell'impazienza, e non volendosi in modo alcuno rassegnare, avrebbero molto offeso il divin Padre, col rivoltarsi contro di Lui, prorompendo in lamenti, trattandolo da crudele ed ingiusto. Nel vedere questi tali (ve ne sono molti al mondo), fui riempito di una più grave amarezza. Rivolto al divin Padre, lo supplicai, per quella mia rassegnazione e per quella della mia addolorata Madre, che si volesse degnare di illuminarli, e fare ad essi conoscere il loro grave errore. Vidi che il Padre l'avrebbe fatto, e che alcuni si sarebbero ravveduti, e chiesto perdono al divin Padre, si sarebbero emendati: di ciò resi grazie al Padre. Intesi però dell'amarezza nel vedere che molti sarebbero rimasti nel loro errore: non si sarebbero mai voluti arrendere e rimettersi alle divine permissioni, lasciandosi accecare dal forte amore, in modo che, scordati di Dio, si sarebbero dati in preda alla passione, vivendo sempre in rancore ed amarezza.
Essendo così seguito dalla mia cara Madre e dai diletti discepoli, Giovanni, Maria Maddalena, con le altre devote donne, soffrivo un altra pena, perché questi, con il loro cordoglio, accrescevano a me il dolore, e mi servivano di doppia croce. Essendo immerso in tanti dolori ed in tante amarezze, non li potevo consolare, perché io stesso ero la causa del loro grande dolore. Perciò, rivolto al Padre, lo supplicai di volersi degnare di consolarli Lui e confortarli. Li confortò il Padre e li animò a seguirmi: ma non li consolò, perché questo era tempo di pene e di dolore. Vidi allora tutte le anime, che essendo afflitte e sconsolate, non hanno chi le sollevi e le consoli nelle loro pene ed affanni. Perciò, rivolto al divin Padre, lo supplicai a volersi degnare Lini di confortarle, perché dove si valgono, trovano materia di tristezza e di dolore. Vidi che il Padre l'avrebbe fatto, con grande amore, specialmente a quelle anime che patiscono con rassegnazione e per suo amore. Di ciò resi grazie al Padre.
La mia diletta Madre sentiva tutte le bestemmie e le ingiurie, che contro di me vomitavano i perfidi manigoldi, e le molte percosse che mi davano, erano al di lei cuore tante spade che la ferivano. Anche lei mi andava accompagnando nelle offerte, supplicando il divin Padre di perdonare loro, e di trattenere il castigo, che vedeva star fulminante su di loro.

LA CORREDENTRICE
Nel resto del cammino la diletta Madre mi andava accompagnando con atti di compassione e di amare, e le sue voci interne penetravano nell'intimo del mio Cuore. Spesso mi diceva: O amato Figlio, a quale stato vi hanno ridotto i vostri nemici!
O come le colpe del genere umano sono vendicate dall'ira paterna sopra di voi, Figlio innocente? Quanto è grande l'amore che portate alle vostre creature, mentre, per la loro salute, tanto soffrite! Potessi io sola soffrire tutte le vostre pene, purché voi, mio amato Figlio e. Signore, ne foste esente! Quanta consolazione ne avrei! Ma giacché voi solo dovete e volete soffrire tutto, io abbraccio volentieri il dolore che ne provo. E poi rivolta al divin Padre, gli diceva: Padre amatissimo, io vi offro tutte le pene ed i martiri del vostro e mio unigenito Figlio, ed uniti a questi, vi offro anche i miei dolori ed il martirio del mio cuore, per soddisfare la divina giustizia, per i peccati del genere umano! Se più pene volete da me, eccomi pronta a soffrirle. Mandate pure sopra di me il castigo: tutto accetto volentieri, dalle vostre paterne mani.
In questi atti la diletta Madre dava molto gusto al Padre mio. Io parlavo al di lei cuore, l'animavo, e spesso le andavo replicando: Consolatevi, cara Madre, purché voi sola siete quella che non avete parte alcuna nelle mie pene. Ed essendo voi la più afflitta e dolente per i miei martiri, sarete anche quella, che più d ogni altro ne godrà la ricompensa. Cosi andavo spesso animandola a soffrire il grande martirio.
Essendo arrivato alla porta, per la quale dovevo uscire dalla città ed andare al Calvario, feci una terribile caduta. Si affollarono tutti i ministri di giustizia a percuotermi ed a farmi rialzare. Soffrii un grande dolore e sconvolgimento di tutte le ossa, con sfinimenti mortali. Domandando aiuto al divin Padre, per poter proseguire il viaggio, mi riebbi in forze per andare avanti.

SUPPLICA PER L'INGRATA GERUSALEMME
Uscito dalla città, fissasi il pensiero all'ingratitudine e crudeltà di quel popolo, tanto da me beneficato. Vedendo ricompensati i benefici, con tanta ingratitudine e crudeltà, rivolto al divin Padre, lo pregai di perdonare, per i meriti di quanto io avevo operato per sua gloria, nella medesima città, dicendogli: Padre amantissimo, avete veduto quello che ho operato in questa città, per vostra gloria e come ho in tutto adempito la vostra divina volontà! Ora vi prego, per il compiacimento che avete avuto di me, e per i meriti da me acquistati, che vi vogliate degnare di perdonare ai miei nemici tutte le offese che quivi ho ricevuto. Vi prego ancora, che vogliate illuminare questa cieca nazione, onde conosca il beneficio grande che le avete fatto, di mandare ad essa il Messia promesso: e giacché non mi ha voluto riconoscere ora vivente, fate che mi conosca almeno dopo la mia morte, affinché goda il frutto della redenzione. Udì il divin Padre le mie suppliche, e vidi che non avrebbe mancato di illuminarli e di fare ad essi molte grazie; ma vidi la loro durezza: conoscendo chiaramente la verità, pure avrebbero voluto restare nella loro ostinazione e cecità. Vidi però, che alcuni non avrebbero mancato di corrispondere ai lumi divini e di convertirsi alla verità della mia fede. Fu molta l'amarezza che soffrii nel vedere l'ostinazione di quel popolo, tanto beneficato, e l'ingratitudine che usava verso di me. Vidi anche l'ingratitudine di tutti i miei fratelli, e ne intesi una grande amarezza. Vidi tutta l'ingratitudine che avrebbero usata verso il mio divin Padre, al quale dopo tanti e sì grandi benefici, non sanno che recare sempre maggiori offese. Di questo intesi una più grave amarezza. Rivolto al divin Padre gli offrii la mia gratitudine e la corrispondenza al suo amore, in supplemento di quanto mancano i miei fratelli. Il Padre lo gradiva e si chiamava soddisfatto. Io lo ringraziavo e lodavo la sua infinita bontà. Lo ringraziavo anche a nome di tutti i miei fratelli, per supplire al loro mancamento.

è TRATTATO QUALE VILE GIUMENTO
Andavo con la pesante croce verso il Calvario, molto stanco ed affaticato, curvo, rendendomisi troppo gravoso il peso della croce. Sudavo, e col sudore si mischiava il sangue, che usciva dall'impiagato corpo. Ero molto affannato, e quei crudeli mi facevano violenza a camminare di buon passo, per la fretta che avevano di farmi presto morire. Si levava spesso anche il lume dai miei occhi; per l'estrema debolezza e per lo spasimo che sentivo in tutto il mio corpo. A volte perciò mi fermavo alquanto, per respirare. Ed allora quei crudeli, mi spingevano a gran forza: chi con calci, chi con percosse, mi facevano camminare. L'estremità della grande croce andava battendo per terra ad ogni passo; a causa di questo sentivo in tutta la mia persona un grande dolore. Pensavo alle replicate offese contro il divin Padre e ne soffrivo una più grande amarezza. Gli offrivo i miei patimenti ed aspri dolori, in sconto delle continue offese che riceveva.

GLI VIENE LANCIATA UNA GROSSA PIETRA
Essendomi una volta fermato alquanto per respirare, un perfido mi lanciò una grossa pietra sotto il fianco sinistro: da ciò ricevetti una grande ammaccatura con acuto dolore. Rivolto al Padre lo supplicai del perdono per quel ministro spietato. Poi rivolto a tutti quelli che mi tormentavano, dicevo loro internamente: è possibile che in vai sia estinta ogni pietà, e non si trovi compassione alcuna verso di me, nei vostri cuori induriti? Vedendo che infuriavano sempre più, venivo ferito da una maggiore pena, più per i loro peccati, che per i miei aspri dolori.

INCONTRA LE PIE DONNE
Alcune devote donne si posero a seguirmi; erano della plebe più povera; piangevano per compassione, e dalla sbirraglia erano maltrattate. Mi voltai a rimirarle, in segno della mia gratitudine, e con quello sguardo pietoso ed amoroso, le consolai, parlando ad esse ed esortandole a piangere sopra di loro e sopra i loro figli, non sopra di me, perché anche per esse vi sarebbe stato molto da patire, perché, se tanto si scaricava il flagello sopra di me, cosa sarebbe stato poi sopra di loro? (1). Volevo loro significare con questo, che se il peccato era tanto punito nella persona mia innocente, essendomelo solo addossato, cosa sarebbe stato sopra il peccatore, per il quale stanno preparati gli eterni tormenti? Perciò le esortai a piangere le colpe loro, quelle dei loro figli, cioè, dei loro prossimi e di tutto quel popolo ingrato e ribelle. Rivolto al Padre, lo supplicai di dar lume a tutte le persone che hanno qualche compassione delle mie pene, acciò, conoscendo la causa dei miei dolori, che sono le colpe, si pongano a deplorare non solo le loro, ma anche quelle di tutti i peccatori, affinché per le loro suppliche e per le loro lacrime, vengano a conseguire il perdono, e trovino misericordia presso il divin Padre, non solo per esse, mia anche per i loro prossimi; perché il Padre non scaccia mai da sé un anima, che, contrita ed umiliata, lo supplica del perdono: ed è sempre pronto ad usure misericordia, specialmente a chi, riconosciuto il suo errore, si pente,e ricorre a Lui. Vidi che il Padre non avrebbe mancato di illuminarli, e che molti si sarebbero prevalsi dei lumi e della grazia, e per mezzo di questi, molti peccatori si sarebbero convertiti, avrebbero conseguito il perdono é sarebbero stati liberati dagli eterni tormenti. Di ciò resi grazie al Padre. Intesi però una grande amarezza nel vedere la moltitudine di coloro che se ne sarebbero abusati, perché non avrebbero pianto i peccati altrui, nemmeno quelli dei loro congiunti, né i propri: perciò sarebbero stati sottoposti a gravissimi tormenti e crucci interni, nella presente vita e nella futura, per essere condannati agli eterni supplizi. Supplicai inoltre il divin Padre di dare lume e grazia a tutti quelli che per il grado o per l'obbligo, devono consolare i loro prossimi afflitti, affinché non manchino di farlo, quantunque essi si trovino nei travagli e nelle afflizioni maggiori; ma soffrendo con pazienza il travaglio loro, consolino anche gli altri, come feci io, che trovandomi in sì grave afflizione, non lasciai di confortare quelli, che per me si affliggevano e mai si appressavano.

VEDE LE ANIME CHE SALGONO IL MONTE DELLA PERFEZIONE
Salendo il monte Calvario, con molta mia pena e dolore, e con grande fatica per la pesante croce, vedevo tutte le anime che si sarebbero incamminate al monte della perfezione, tra pene e travagli, con la loro croce. Vidi tutti i loro patimenti, e quanto avrebbero sofferto per arrivare alla cima del detto monte, cioè, alla sublime altezza della perfezione. Furono da me compatite e con grande amore riguardate ed animate. Rivolto al divin Padre lo supplicai di volersi degnare di assisterle con la sua grazia, di rinvigorirle, di consolarle e confortarle; perciò gli dissi: Padre mio amatissimo, abbiate compassione di questi miei fratelli e seguaci! Aiutateli, confortateli, consolateli con le vostre visite interne, animateli con la speranza del premio, perché io mi contento di restar privo di ogni consolazione e di ogni conforto, volendo per me tutta l'amarezza, acciò essi siano consolati e confortati. Assisteteli, onde seguitino il cammino incominciato; date loro il dono della perseveranza e fate ad essi, ogni tanto, gustare la dolcezza del vostro amore e la vostra soavità, affinché rinvigoriti, camminino con passi più veloci e con più ardore. Udì il divin Padre le mie suppliche e mi promise di fare quello di cui lo supplicavo, e vidi, che l'avrebbe eseguito fedelmente. Di ciò gli resi affettuose grazie, anche da parte di tutti i detti miei fratelli e seguaci. Ebbi poi un vivo desiderio, che tutti i miei fratelli si fossero incamminati per questo monte della perfezione, e che tutti fossero giunti alla cima di esso. Vedendo, che molto pochi sarebbero stati quelli che ci sarebbero saliti, e che molti, incominciando a salire, sarebbero poi tornati indietro, ne intesi una grandissima amarezza. Supplicai il divin Padre di illuminarli, facendo conoscere il loro errore. Vidi, che per i detti lumi, alcuni si sarebbero ravveduti, ponendosi di nuovo sul diritto sentiero. Per questi domandai il dono della perseveranza. Vidi che molti sarebbero giunti alla cima della perfezione: per questi resi grazie al divin Padre. Intesi però dell'amarezza, nel vederne molti che, abusando dei lumi divini e della grazia, con farle resistenza, sarebbero rimasti nel loro errore: anzi, avrebbero camminato a passi veloci per la via della perdizione.
Nel salire il monte, poi, andavo ogni tanto invitando i miei fratelli a seguirmi. Vedevo tutti quelli che sarebbero accorsi all'amoroso invito, e per questi impetravo multe grazie dal divin Padre. Sentivo però dell'amarezza, nel vedere il grande numero di quelli, che avrebbero fatto sempre i sordi ai miei inviti, seguendo il mondo ingannatore ed il demonio, loro fierissimo nemico. Di essi, oh quanto, sposa mia, sentivo dolore ed amarezza! Rivolto al Padre, lo supplicavo con grande istanza, acciò li avesse illuminati facendo conoscere i1 loro inganno, la loro miseria, lo stato miserabile in cui si ritrovano. Vidi che il Padre non avrebbe mancato di fare quello di cui lo pregavo, e che alcuni se ne sarebbero approfittati. Di questi rendevo grazie al Padre. Sentivo però dell'amarezza nel vedere la moltitudine di quelli che se ne sarebbero abusati, seguendo sempre i loro nemici, che infine li avrebbero condotti alala perdizione.

ULTIMA CADUTA
Andavo in tal modo seguitando il viaggio, ed essendo tanto indebolito, caddi di nuovo, sotto il grave peso. In quest'ultima caduta, mi ridussi in fin di vita, provando un grandissimo sfinimento di forze, per la veemenza del dolore e per lo spargimento di tanto esangue, privo affatto di forze, in modo che non potevo più rialzarmi. Quegli spietati mi diedero delle percosse con le aste e con calci, tirando le funi con violenza. Ed accorgendosi che la mia umanità non poteva più reggere, ebbero timore che restassi quivi morto. Ed affinché mi potessero far morire, come bramavano, inchiodato sulla croce, per mia maggiore ignominia, risolvettero di scaricarmi della croce. Mentre stavo così per terra, privo affatto di forze, mi dicevano delle ingiurie, mi tiravano per i capelli, facendo soffrire un grande tormento alla mia testa piagata.

COSTRINGONO SIMONE CIRENEO
Non si trovava chi volesse portare la mia croce, reputandolo tutti vituperio ed infamia, perfino i manigoldi più vili. Stando in questo contrasto, passò Simone, detto il Cireneo. Vedutolo i soldati e la sbirraglia, lo presero a forza, e lo costrinsero a portare la mia croce. Ricusò questo più volte, ma infine, costretto dai ministri, gli convenne portarla (1).
Stando il Cireneo presso di me, per prendere la croce, mi osservò, ed io lo rimirai con occhi compassionevoli. Fissai molto più lo sguardo nell'anima sua, di modo,che restò preso da un grande amore verso di me e da una tenera compassione. Supplicai per lui nello stesso tempo il Padre, affinché l'avesse illuminato. Difatti, lo fece il divin Padre. Così, per avere compassione delle mie pene, mi credette innocente, perciò si prestò a portare il legno d ignominia. Ricevutolo sulle sue spalle, intese riempirsi 1'anima di compunzione e di consolazione. Gli si rese assai leggero il peso della croce; e conoscendo tutti gli effetti, che il legno della croce in lui operava, di buon cuore la portò, e ringraziava Dio, ad ogni passo, per la grazia ricevuta. Anzi, bramò di morir lui stesso sulla croce. I manigoldi, nel vedere che il Cireneo portava la croce con tanta facilità e con tanta allegrezza, dopo che l'ebbe ricevuta, si stupirono, come all'improvviso si fosse così mutato, e mostrasse tanta forza e vigore nel portarla. Ebbero anche qualche raggio di luce divina, impetrata ad essi dal Padre; ma si estinse subito in essi, perché non vi fecero riflessione e lo cacciarono da sé, dicendo tutti, che il Cireneo, essendo persona di grande forza, voleva mostrare il suo valore. Si posero, allora, tutti a deriderlo per questo fatto, che non fu se non ordinazione del divin Padre e mia, per lasciare esempio convincente a tutti i miei fratelli, che anch'essi devono portare la croce, o per forza o per amore: non vi è chi ne sia esente, avendola portata io, loro Capo e guida.
Volli, col fatto del Cireneo, far ancora vedere, come si renda leggera ed anche soave la croce a quelli che di buon animo ed allegramente la prendono dalle mani di Dio. E quantunque venga loro presentata da gente perversa e cattiva, con tutto ciò è sempre ordinazione divina, e di buon cuore la devono ricevere e con generosità portarla. Vidi allora, nella persona del Cireneo, tutti quelli che di mala voglia ricevono la croce. Questi sono quasi tutti, perché all'aspetto della croce, ognuno si spaventa. Perciò supplicai il divin Padre di illuminarli, perché conoscano la consolazione e la soavità che sta nascosta nella croce, dopo che fu portata da me, e l'abbraccino di buon cuore. Vidi che il Padre avrebbe dato loro il detto lume, e che essi, servendosene, ne avrebbero sperimentata grande consolazione, portando con grande amore la loro croce, soffrendo con pazienza ed anche con generosità tutti i travagli che nella vita presente sogliono accadere. Vidi inoltre tutte le anime, che sarebbero subentrate, come il Cireneo, a portare la mia croce, cioè, che si sarebbero poste ad imitarmi e seguire le mie orme nelle cose di grande patimento, quali le predicazioni, le conversioni delle anime, il patire e soffrire molto per il mio nome, per la propagazione della vera fede, per la gloria e l'onore del divin Padre, per la riforma dei costumi del secolo corrotto e delle religioni rilassate. Per tutti questi pregai il Padre dei suoi divini aiuti, delle sue grazie particolari, e lo ringraziai lodando e benedicendo la sua infinita bontà.

ESORTAZIONE ALLA SUA SPOSA
Hai inteso, sposa mia, in che modo portai la croce, cioè: con pazienza, con fortezza, con generosità, con silenzio e con amore. Procura in questo di imitarmi, col portare volentieri la croce, che il Padre celeste ti manda. Hai inteso, come domandavo al Padre d aiuto per poter portare la croce: ma non troverai giammai che gli domandassi che mi alleggerisse il peso, e che mi diminuisse le pene acerbissime che soffrivo. Ora anche tu, quando ti trovi abbattuta e priva di forze, ricorri al divin Padre e supplicalo del suo aiuto e della sua grazia, non perché ti diminuisca il patire: in tal modo lo pregheresti di diminuirti anche il merito. Inoltre ti mostreresti a me contraria, onde non saresti poi rimirata dal Padre, con l'amore di mia vera seguace e sposa fedele: perché gli chiederesti il contrario di ciò che gli domandavo io, e resteresti priva anche del grande premio che ti tiene preparato. Domandagli bensì, che ti dia forza, spirito, virtù e grazia da poter portare la tua croce, in quel modo appunto in cui la portavo io, tuo sposo, maestro ed esemplare. Né ti vergognare giammai di portare la mia croce, in qualsiasi modo. Voglio dire, che tu soffra con pazienza tutte le derisioni, le ingiurie, gli affronti che ti saranno fatti, per seguirmi nell'esercizio delle virtù, come io ne soffri tanti per tuo amore. Hai inteso ancora, quanto era grande la carità che ardeva nel mio Cuore verso miei fratelli, e che con tutti i miei aspri dolori, non lasciai giammai di pregare per essi il divin Padre; come consolai le devote donne che mi accompagnavano, quantunque fossi tanto afflitto ed angustiato. Così tu, quando ti troverai travagliata, angustiata. derelitta, non tralasciare per questo di porgere al prossimo tuo quel sollievo che ricerca da te, e di cui ha bisogno. Tieni per te ed in te la tua afflizione, e consola il prossimo tuo, perché a te non mancherà mai la divina consolazione, né sarai afflitta sopra le tue forze. E quando ti paresse di essere soverchiamente angustiata, non temere, perché la grazia divina sta con te. Non tralasciare mai di pregare anche per tutti i tuoi prossimi, come senti che facevo io ad ogni respiro.

CAPO UNDICESIMO
Come il Figliuolo di Dio, arrivato che fu al Monte Calvario, fu abbeverato di fiele mischiato, spogliato e inchiodato sulla croce. Di ciò che operò nel suo interno finché fu inalberata la croce e posta a vista di tutto il popolo.

SUL CALVARIO: VISTA ORRIBILE
Arrivato al Monte Calvario, molto stanco ed afflitto, in modo che più non potevo reggermi in piedi, privo affatto di forze, domandai aiuto al divin Padre, per poter sostenere gl. asprissimi e crudeli tormenti, che mi stavano preparati. Rinvigorì la divinità le forze alla mia indebolita umanità. Vidi tutti gli strumenti che erano preparati per tormentarmi. Intese la mia umanità un grande rincrescimento per gli orribili tormenti; ma l'amore infinito, che nel mio Cuore ardeva verso il divin Padre, ed anche verso il genere umano, mi animò e mi riempì di un ardente desiderio di patir tutto, per eseguire la volontà del Padre, e per la salute di tutti i miei fratelli. Feci un offerta di me stesso al Padre, mostrandomi pronto a soffrire tutto con amore.
Vedevo i manigoldi ed i soldati far festa, ed applicati nel preparare ciò che occorreva per la mia crocifissione. Chi metteva all'ordine una cosa e chi l'altra, e tutto si faceva con grande fretta. Io ero spettatore di tutto, senza che vi fosse chi mi dicesse una parola di conforto. I due ladri, che erano venuti in mia compagnia, erano da molti confortati ed animati a soffrire il supplizio, dovuto ai loro misfatti; io solo, essendo stimato il più infame, fui lasciato da tutti in preda al cordoglio. Anzi, fui da molti ingiuriato e schernito.
In questo fatto, vidi tutti quelli che, dovendo soffrire gravi tormenti per la gloria del divin Padre, sono lasciati abbandonati in braccio al dolore ed all'angustia, e pregai il divin Padre di consolarli, animarli e dar loro spirito e fortezza, per soffrire tutto per suo amore, ad imitazione mia. E vidi che il Padre l'avrebbe fatto con grande amore. Vidi anche tutta la ripugnanza ed il rincrescimento che avrebbero avuto nel dover soffrire i tormenti. Per questo ancora porsi suppliche al Padre, acciò avesse accresciuto in essi l'amore verso di Lui. E vidi che il Padre l'avrebbe fatto, ed essi, per l'amore ardente verso il divin Padre, avrebbero preso grande coraggio e si sarebbero mostrati pronti a soffrire tutto per amore. E vedendo che tanti e tanti sarebbero corsi al martirio, ed avrebbero sofferto tanti tormenti, ne lodai il divin Padre, e lo supplicai di alleggerire loro le pene, offrendomi io pronto a soffrirle tutte, acciò essi, fra i loro tormenti, trovassero consolazione. Ed il Padre in questo mi compiacque e di ciò lo ringraziai. Vidi, come tanti martiri si sarebbero burlati dei tormenti, chiamandoli piuttosto loro delizie, per l'amore che ardeva nel loro cuore, e per la divina consolazione che inondava l'anima loro. Di ciò resi grazie al Padre, restando io soddisfatto, che, in virtù dei miei patimenti, e delle mie suppliche, essi restassero consolati negli stessi tormenti. Pregai inoltre il divin Padre per tutti quelli che erano spettatori delle mie pene, onde li avesse illuminati facendo loro conoscere la verità, cioè, che io ero il loro vero Messia. Vidi, che il Padre l'avrebbe fatto, ma vidi anche 1'ostinazione di quei perfidi. Vidi però, che dopo la mia morte, molti l'avrebbero confessato con grande sentimento. Lo pregai ancora per tutti quelli che sarebbero stati spettatori del martirio e dei tormenti di quanti per la confessione del mio Nome, li avrebbero sofferti; affinché li avesse illuminati e fatto conoscere la verità della fede e della mia dottrina. Vidi che il Padre l'avrebbe fatto. Vidi la moltitudine di coloro che ricevendo i lumi divini, si sarebbero arresi alle verità della fede, e che molti avrebbero sparso il sangue e data la vita, per la verità della medesima. Per questi resi grazie al divin Padre. Intesi però dell'amarezza, nel vedere il gran numero degli ostinati che sarebbero rimasti nelle loro tenebre e cecità.

IL REDENTORE E LA CORREDENTRICE
Stava la mia diletta Madre alquanto lontana da me, non potendosi appressare per la moltitudine dei soldati e della sbirraglia. Non cessava però di parlarmi al Cuore con le sue voci amorose, le quali erano da me ben capite. Mi spiegava il suo cordoglio ed il dolore del suo cuore amante. Non cessavo di animarla a patire ed a sempre più rassegnarsi alla volontà del Padre e ad accompagnarmi nelle suppliche ed offerte: Ecco, Madre mia amatissima, che siamo giunti alla cima del monte, dove il vostro unico Figlio deve esser sacrificato; e voi, cara Madre, mi offrirete al Padre, quale già sono, vittima innocente, per pagare i debiti di tutti i miei fratelli, e redimerli dalla schiavitù di Lucifero. Voi, Madre amorosa, sarete la prima, unita, con me, a fare al divin Padre questa offerta, e la prima a dargli questa soddisfazione e compiacimento. Sarà poi, ogni giorno, più volte offerta al Padre, dai miei fedeli; ma voi siete quella che prima di ogni altro gliela farete nell'atto stesso in cui sarò immolato. Consolatevi, dunque, cara Madre, per questo privilegio; cioè: che la vittima innocente da voi offerta per l'umana redenzione, è anche parto delle vostre viscere, e frutto del vostro purissimo seno. Si rinvigoriva ed animava la diletta Madre, e conoscendo l'amore infinito che io portavo al divin Padre, procurava anche lei dei accendersi sempre più nel di Lui amore, col desiderio ardente di più patire, se fosse di gradimento del Padre, e se fosse stato possibile patire. Vedeva anche l'amore ardente e la carità immensa che avevo io per il genere umano, ed anche in questo mi accompagnava, patendo volentieri per la salute di tutti. Vedeva, come io rimiravo tutti i miei nemici con amore grande, e che per essi pativo, non escludendone neppure uno solo, ed in questo ancora mi imitava, perché anche lei rimirava tutti i miei nemici, che tanto mi oltraggiavano, con grande amore perfino gli stessi crocifissori, non avendo avversione alcuna verso di loro, anzi, pregando molto per essi. In tutto procurava, la diletta Madre, di imitarmi, e di ricavare in se stessa un perfetto originale di me, suo Signore e Figlio amatissimo.
Vedendo la mia diletta Madre tanto attenta e sollecita d imitarmi in tutto e per tutto, ebbi un ardente desiderio che tutti i miei fratelli l'avessero imitata. Di ciò (porsi supplica al Padre, acciò avesse dato a tutti un ardente desiderio e grazia di poterlo fare. E vidi che il Padre non avrebbe mancato di darlo ad essi, specialmente ai miei seguaci. E vidi, che alcuni si sarebbero approfittati della grazia; e di ciò resi grazie al divin Padre. Questi furono rimirati da me con grande amore, e mi proposi di dar loro tutti gli aiuti necessari per tale effetto. Vidi quanti si sarebbero abusati della detta grazia, e non avrebbero accolto in sé il desiderio, che il divin Padre avrebbe dato loro; perciò sarebbero andati molto lontani dalla mia imitazione. Per questi intesi una grande amarezza, e con essi mi lamentavo, vedendo il poco canto che avrebbero fatto dei miei esempi e delle grazie che, con tanta sollecitudine, loro meritavo dal mio divin Padre.

LA BEVANDA DISGUSTOSA
Stando sul Calvario, ed avendo fatta intera oblazione di me al Padre, mostrandomi pronto a soffrire tutto con grande amore e desiderio, per adempire la divina volontà, da quei crudeli mi fu data l'amarissima bevanda, per rinvigorire la mia umanità, acciò potessi sostenere il grande tormento della crocifissione. Era quella composta di aceto con fiele ed altre cose potenti, disgustosissime al palato, in modo che sarebbe stata sufficiente a darmi la morte, se la divinità non mi avesse sostenuto in vita, tanto era pessima la bevanda. Mi fu portata col dirmi che prendessi quel ristoro e conforto, giacché ero tanto abbattuto di forze. Stavano tutti attenti per vedere se la bevevo. E dicevano: Prendi questo conforto, meritato da te, infame seduttore! Meglio di questo non si conviene alla tua infamia. Tu hai tanto amareggiato gli Scribi e i Farisei, ed anche i principi dei sacerdoti, con le tue infamie e ribalderie; ora, da (parte loro, ti si presenta questa bevanda. Tutto ciò mi dicevano con altre ingiurie e gesti impertinenti, ai quali io non risposi parola alcuna. Chinai la testa, e gustai qualche sorso di quella pessima bevanda, ricusando poi di berla (1). Nel gustarla contremarono tutte le mie viscere e la mia bocca restò sommamente amareggiata. Essi si contentarono che io non la bevessi, pensando di darmela a poco a poco. Mi ingiuriarono però con molti motti impertinenti, dicendo che non la bevevo perché non era secondo il mio genio e gusto. Mi dicevano: Infame, seduttore, l'avresti ben trangugiata tutta, se fosse stata di vino ottimo! o se ti fosse stata data da qualche infame pubblicano, o da qualche indemoniato, seduttore par tuo! Non risposi alcuna parola, ma stando in silenzio, trattavo col divin Padre, e lo pregavo di perdonar loro sì grande empietà. Molti furono, sposa mia, i misteri racchiusi in questa amarissima bevanda, che io gustai, in modo, che le mise viscere ne restarono tutte amareggiate. Fino allora, solo il mio Cuore era stato sempre amareggiato dal dolore, le viscere però erano state esenti dall'amarezza, come anche la mia lingua e il palato col gusto. La mia umanità aveva sofferti grandi tormenti in tutte le parti del corpo, solo le viscere non avevano ancora sofferto i tormenti sensibili: ma perché le iniquità del genere umano erano arrivate al sommo, cioè sin dove può arrivare la malizia, era necessario che io, dovendo dare un intera soddisfazione alla divina giustizia, arrivassi al sommo delle mie pene, e che in tutta la mia persona ne dovessi soffrire i tormenti: e perché nelle viscere non vi erano penetrati i flagelli, vi penetrò l'amarissima bevanda, volendo io dare alla divina giustizia un intera e sovrabbondante soddisfazione per tutte le offese che dall'uomo avrebbe ricevuto. Fu per me di grande tormento tale bevanda, restando tutto amareggiato. Rivolto al divin Padre gli offri questa mia amarezza e tormento, in sconto di tutte le offese che dai miei fratelli avrebbe ricevuto in questo particolare genere di cose. Vidi allora tutti quelli che, con i peccati del gusto, avrebbero offeso il divin Padre, e lo pregai, per quel tormento che allora soffrivo, che si fosse degnato di illuminarli, di fare ad essi conoscere il loro errore, dando loro grazia di emendarsi. E vidi che il Padre l'avrebbe fatto. Vidi allora tutti coloro che si sarebbero prevalsi della grazia, si sarebbero emendati e ne avrebbero fatto anche penitenza: e di ciò resi grazie al Padre. Vidi poi quelli che in questa specie di patimenti avrebbero, con grande amore, procurato di imitarmi, con mortificare il loro gusto con bevande amare e disgustose. E per questi pregai il Padre di fare ad essi gustare la dolcezza dell'amor suo, e di riempire di consolazione il loro spirito. E vidi che il Padre l'avrebbe fatto. Del che gli resi grazie a nome di tutti. Vidi inoltre tutti quelli che, aggravati da varie infermità, avrebbero dovuto gustare bevande amare e cose molto disgustose. Di essi ebbi grande compassione, perché, per conforto dei loro mali, e per esserne liberati, avrebbero tanto patito nel gusto. Per questi domandai al divin Padre, una totale rassegnazione a soffrire tutto con pazienza, pregandolo di dar loro la sua grazia, acciò possano sostenere il travaglio; e a dar loro anche il premio, col restituire ad essi la salute, se è giovevole per la salvezza dell'anima; ed a quelli a cui non é espediente, lo pregai di dar la ricompensa, col raddolcire ad essi l'amarezza e le pene della morte, tutto mettendo in sconto delle loro colpe. Vidi che il Padre l'avrebbe fatto con grande amore, e di tutto gli resi grazie. Intesi poi dell'amarezza, ed oh quanto grande! nel vedere, come la maggior parte dei miei fratelli avrebbero abusato della grazia da me richiesta al divin Padre, specialmente i peccatori più grandi, che in queste particolari contingenze avrebbero commesso tante colpe, delle quali, perché ostinati nel vizio; non si sarebbero mai voluti ridurre a penitenza, abusando sempre dei lumi e della divina grazia.
Avendo gustato, come ho detto, alquanto della pessima ed amara bevanda, ne lasciai una gran parte, ed invitai tutti i miei fratelli a fare altrettanto. Venite, dissi loro, e gustate ognuno di questa amara bevanda, che ora ho gustato io. è veramente amara e disgustosa al senso, ma la sperimenterete gustosa, ed oh quanto! allo spirito. Gustate pure dell'amarezza della bevanda, che ora gusto io, perché questa vi meriterà l'eterna consolazione, e se sarete a parte delle mie pene, delle mie amarezze, sarete anche a parte della mia gloria e della beatitudine eterna. Vidi, che molto pochi sarebbero accorsi a quest'invito, e che, per non gustare poche stille di amarezza, sarebbero rimasti privi, non solo della dolcezza che suole comunicare allo spirito, ma anche dell'eterno gaudio: perché non arriverà giammai a possedere l'eterno riposo, chi non vuol gustare dell'amarezza della mia passione, e non vuol soffrire cosa alcuna: mentre è necessario che ognuno, che vuol venire dove sono io, cammini per quella strada che ho calcato io. Chi non mi segue, chi non mi imita, chi ricusa di soffrire ciò che il Padre gli invia per la salute della sua anima, va molto lungi da me, e chi va lungi da me, non verrà dove sono io. Intesi una grande amarezza nel vedere il numero grande di questi tali, e fui ripieno di tristezza, perché il mio desiderio era che tutti accorressero all'invito. Mi proposi però di non cessare mai d'invitarli a bere l'amaro calice, sintantoché si fossero arresi. E vidi che alcuni, alla fine, dopo molti inviti, avrebbero accettato di farlo. Difatti l'avrebbero gustato col soffrire tutti i travagli, e col mortificare tutti i loro gusti ed appetiti. Per essi resi grazie al divin Padre, ma intesi dell'amarezza nel vedere il grande numero degli ostinati. E più,si accrebbero la mia amarezza e il mio dolore, quando vidi la grande moltitudine di quelli, che sarebbero accorsi agli inviti del mondo, loro nemico ed ingannatore, che sotto apparenza di bene, cioè di gusti e di piaceri, porge loro una stilla di miele, che poi fa loro gustare quale è, cioè, fiele amarissimo, senza conforto alcuno.

VIENE SPOGLIATO CON CRUDELTà
Mentre stavo tutto amareggiato ed addolorato, i manigoldi mi ordinarono che mi spogliassi, e per farlo con più prestezza ed empietà, mi si avventarono addosso, per farlo loro stessi. Mi levarono dal capo la corona di spine, ed il sangue incominciò di nuovo a grondare dalle ferite. Mi levarono dopo la veste a forza, la quale era tutta attaccata alle piaghe, sentendo io un grande dolore. Si ricoprì il mio corpo di sangue, e si riaprirono tutte le piaghe, in modo che divenni una piaga sola. Si vedevano le ossa spolpate in più parti del corpo, specialmente sugli omeri. Ed essendo così denudato e tutto impiagato, fui da tutta la spietata gente deriso ed oltraggiato. Mi posero di nuovo la corona di spine in capo, facendomi nuove ferite, con mio grande tormento.
In questo fatto la mia umanità intese un grande rincrescimento, per dover restare di nuovo spagliata, alla vista profana di tutto quel popolo scellerato, che con occhi maligni e licenziosi, si erano posti a rimirarmi. Ma riflettendo, che dovevo soddisfare la divina giustizia per i peccati dei miei fratelli; mi animai a soffrire quel rossore, che fu per me molto grande e doloroso. Vidi i peccati di tutti quelli, per i quali allora venivo spogliato, e ne intesi una più grande confusione, perché erano i peccati di coloro che, dedicati al servizio del divin Padre, si danno in preda ad una vita licenziosa, lacerando, anzi, strappandosi di dosso la bella veste dell'innocenza e l'ornamento della purità. Vidi anche tutti quelli che, essendosi astretti con voto a conservare il prezioso tesoro della castità, 1'avrebbero poi perduta, con tanta ignominia ed offesa del mio divin Padre. Vidi le piaghe putride ed incurabili, che avrebbe fatto nelle loro anime questa sorta di colpe. E di tutto intesi grande confusione, amarezza e dolore. Rivolto al divin Padre, lo supplicai del suo aiuto, dei suoi lumi e della sua grazia per quei miserabili, acciò, riconosciuti almeno i loro falli, ne avessero fatto penitenza e si fossero emendati. Vidi che il Padre non avrebbe mancato di farlo: e perché era molto adirato contro questi miserabili, io, per placarlo, gli andavo replicando le offerte, delle quali il Padre mio molto si compiaceva e restava placato. Vidi poi, che molti, per i lumi divini e per la grazia da me impetrata loro, si sarebbero ravveduti del loro grave fallo e si sarebbero emendati, facendo anche penitenza dei loro peccati. Di questi resi grazie al divin Padre. Vidi però il grande numero di quelli che si sarebbero mostrati ostinati, sprezzando i lumi divini e la grazia, e che avrebbero continuato nei loro errori. Per loro intesi una più grande amarezza.
Vidi ancora tutte le vergini innocenti, che sarebbero state straziate dai carnefici, per la confessione del mio Nome e per sostenere la verità della mia fede. E vidi, che molte di esse avrebbero sofferto il grande martirio e rossore della nudità, perché dai manigoldi sarebbero state denudate ed oltraggiate, con parole indegne. Di queste ebbi una grande compassione. E supplicai il divin Padre di volersi degnare di difenderle dagli insulti dei nemici, e dare ad esse virtù e fortezza da poter soffrire con generosità un sì grave tormento e confusione. E vidi, che il Padre l'avrebbe fatto con grande amore e provvidenza, prendendosi la cura di difendere e custodire la loro purità ed innocenza. Di ciò gli resi grazie; poi, rivolto ad esse, che mi erano tutte presenti, le animai, le incoraggiai, le esortai alla sofferenza, e dicevo loro: Specchiatevi in me, che essendo la stessa innocenza e purità, mi convenne soffrire sì grande rossore e confusione, per soddisfare gli altrui delitti, io, sposo purissimo delle vostre caste anime. Vi serva di esempio, e perciò animatevi a soffrire sì grande rossore, perché vedete come lo soffro anche io, per le colpe altrui. Proposi anch'io di volerle custodire e difendere dagli insulti dei nemici, acciò non vi fosse stato chi avesse ardito accostarsi ad esse, e restasse così intatto il loro candore. Per queste supplicai il divin Padre di voler preparare un più grande premio nel regno dei cieli.
Mentre gli spietati carnefici mi ponevano di nuovo in capo la corona di spine, producendomi altre ferite, si rappresentarono alla mia mente tutte le anime che avendo camminato per qualche tempo per là via della virtù, tornano di nuovo ad oltraggiare il divin Padre, con ricadute in colpe gravi. Di queste intesi una grande pena. Vidi il numero grande di esse e ne intesi amarezza e dolore. Perciò, rivolto al divin Padre, lo supplicai, per i miei aspri dolori, di volersi degnare di richiamarle di nuovo a penitenza ed alla mia sequela. Vidi che il Padre l'avrebbe fatto in vari modi; a chi con gagliardi stimoli al cuore, ed a chi con minacce e castighi. E vidi, che alcune si sarebbero ravvedute, si sarebbero poste a seguirmi per la via del patire, ed avrebbero fatta grande penitenza dei loro errori. Di esse resi grazie al. Padre. Intesi però dell'amarezza nel vedere la moltitudine di quelle che sarebbero rimaste nella loro cecità ed ostinazione.
Nel sentire poi le derisioni di tutto quel popolo infame e ribelle, vidi tutte le derisioni e gli scherni che sarebbero stati fatti contro coloro che tengono in pregio l'innocenza e la purità, e che la custodiscono; cosa che ai cattivi mondani serve di tormento; e perché non possono far altro, si mettono a deriderli ed a schernirli. Ne intesi una grande amarezza. Supplicai il divin Padre a dare fortezza e pazienza a quanti avrebbero dovuto soffrire simili derisioni. E vidi che il Padre l'avrebbe fatto con grande amore. Lo supplicai poi di dar lume a tutti i disgraziati, che fanno un tale oltraggio alla purità e all'innocenza; acciò conoscano il loro errore e si emendino. E vidi, che il Padre l'avrebbe fatto, e che alcuni si sarebbero emendati. Di questi resi grazie al Padre. Intesi però dell'amarezza nel vedere il grande numero che sarebbe rimasto nella cecità, perché ostinato nell'errore.

SI OFFRE SULL'ALTARE DELLA CROCE
Essendo all'ordine tutte le cose necessarie per inchiodarmi sulla croce e crocifiggermi, mi ordinarono, i manigoldi, che mi stendessi sulla croce. Postomi ginocchioni sulla stessa croce, adorai il divin Padre, e ad esso mi offri pronto ad esser crocifisso. Intese la mia umanità rincrescimento per dover soffrire quegli aspri dolori; ma l'amore, che nel mio Cuore ardeva, mi animò ad eseguire la volontà divina, perciò, fatta di me stesso un offerta intera al Padre, mi coricai sopra il duro legno, con grande dolore di tutte le lacere membra.
Appena coricato, quegli spietati, con grande fretta, mi posero le mani addosso,e molti di essi, saltando e sollazzandosi, gridavano: Ecco che siamo arrivati a soddisfare le nostre richieste! Ecco che siamo giunti alla fine ad inchiodarlo sulla croce, castigo da lui meritato! Tutti alzavano la voce, facendo una grande confusione, tutti uniti ad ingiuriarmi e ad oltraggiarmi. Mi presero i manigoldi per le braccia. E chi mi teneva i piedi, chi le mani, chi porgeva i chiodi, chi i martelli. Ognuno di loro voleva avere qualche parte nella mia crocifissione. Nel vedermi toccare tanto spietatamente da quegli infami e crudeli ministri, sentivo una grande amarezza; mentre si rappresentarono alla mia mente, tutti i pessimi sacerdoti, che con le loro mani sacrileghe, avrebbero toccato e maneggiato il mio corpo, sul sacro altare. E di ciò ne ebbi un grande orrore ed una grande amarezza. Vidi tutti gli strazi che mi avrebbero fatto, e tutti gli oltraggi, come se i crudeli ministri me li facessero sull'altare della croce, dove dovevo essere immolato. E di ciò intesi grande dolore. Rivolto al divin Padre il quale, nel vedere il mio dolore e l'amarezza del mio Cuore, e per la loro iniquità, stava con essi molto adirato lo supplicai per i miei dolori, a volersi placare, e degnarsi di dar loro luce e grazia, onde si ravvedano, e conosciuti i loro gravissimi errori, si emendino e ne facciano penitenza. Vidi che il Padre, in virtù delle mie suppliche, avrebbe dato loro il detto lume e la grazia, mostrandosi anche pronto al perdono. Vidi che alcuni si sarebbero approfittati, e per questi resi grazie al Padre. Restai però con una grande amarezza, nel vedere la moltitudine di quelli che si sarebbero di tutto abusati, e rimanendo nei loro errori avrebbero continuato a compiere iniquità. Vidi i grandi castighi preparati a questi pessimi ed iniqui sacerdoti, e ne intesi compassione, quantunque fossero da essi più che meritati.

LA CROCIFISSIONE: LA MANO DESTRA
Stese le braccia sulla croce, per ordine dei carnefici, prima mi inchiodarono la mano destra, e ciò fu con mistero: perché la mia crocifissione era a me procurata dai nemici, ma prima decretata dal divin Padre, ed Io dalla destra del Padre presi quel tormento, per soddisfare la divina giustizia e per salvare il genere umano. Intesi prima lo spasimo nella mano destra, perché questa a tanti doveva aprire la porta dell'eterno Regno. Difatti la prima fu la destra a sentire il dolore, e la prima fu la destra che donò il Paradiso al ladro. Volli anche soffrire prima il dolore nella mano destra, e sentire quanto spasimo mi conveniva sopportare per salvare le anime perdute e per aprire loro il sentiero e l'entrata al Paradiso.
Stesa pertanto la mano sul forame già fatto nella croce, uno spietato ministro vi pose il chiodo, ed a colpi di martello l'inchiodò sulla croce. A questo tormento sì grave si risentirono pel dolore tutte le mie membra, e mi arrivò sino al Cuore. Dissi allora all'amare che quivi ardeva: Sarai ormai soddisfatto, o amore insaziabile, mentre arrivano i tormenti di far sentire spasimo anche al Cuore. Ma l'amore non pago, domandava più pene. Ed io, rivolto al divin Padre, lo pregai di volersi degnare di darmi forze ed aiuto,perché già mi sentivo mancare. Ed il Padre fece che la divinità desse vigore all'umanità, acciò potesse sostenere i più aspri tormenti. Ed io, tutto rassegnato alla volontà del Padre, mi mostravo pronto a soffrire tutto con grande amore; e non lasciavo di domandare ogni tanto forza ed aiuto al Padre, quantunque questo mi servisse per farmi sentire di più i patimenti.
Inchiodata che fu la mano destra sulla croce, rivolto al Padre, lo supplicai, per quel dolore che soffrivo, di volersi degnare di adoperare la sua destra onnipotente, in favore di tutti i miei fratelli, non solo con perdonar loro tutte le colpe, ma col dare la grazia di emendarsi e mutar vita, dicendogli: Voi, Padre mio amatissimo, fate con la vostra destra, che tutti i miei fratelli erranti, si riducano al diritto sentiero della virtù. Mutateli voi, con il potere del vostro braccio, e riempite tutte le loro anime di benedizioni. Stendetela pure sopra tutti, e siano tutti protetti dalla vostra destra. Fate, infine, che tutti si ritrovino alla destra, nel giorno dell'universale giudizio, vengano tutti a possedere quel Regno, che io ora merito loro, a costo di tante pene. Udì il divin Padre la supplica, ed esaudì le mie richieste. E vidi tutte le grazie, tutte le benedizioni, tutta la protezione e tutta la mutazione delle anime, che Lui avrebbe operato con la sua destra onnipotente, e di tutto gli resi affettuose grazie. Intesi però dell'amarezza, nel vedere che molte anime si sarebbero abusate delle grazie che la destra del Padre avrebbe loro dispensate. Invitai ancora tutte le anime giuste ad entrare in questa piaga, per conservarsi e per crescere nelle virtù. Invitai anche tutti a venire a questa piaga a domandare l'entrata al Paradiso, e ad offrirla al Padre, acciò, per i meriti di essa, l'avesse loro donato. E vidi quanti sarebbero accorsi all'invito, e per essi domandai al Padre molte grazie, ed in particolare che li avesse introdotti nell'eterno Regno. Vidi però, con mia grande amarezza, tutti quelli che avrebbero ricusato l'invito, e che sarebbero stati sempre sordi alle mie voci amorose. Intesi poi un più aspro dolore, nel vedere che la mia diletta Madre sentiva nel suo cuore i colpi di martello, e che il chiodo le penetrava il cuore con aspro dolore, ed io, parlando al di lei cuore, la compativo e la invitavo ad offrire anche lei il suo dolore al Padre, con tutti gli atti con cui glieli offrivo io, e che avesse domandato anche lei tutte le grazie che io gli domandavo per i miei fratelli. E la Madre amorosa mi accompagnava con grande coraggio e fortezza, dando molto gusto al divin Padre.

LA MANO SINISTRA
Intanto i ministri, legato l'altro braccio, lo stiravano con gran forza, perché non arrivava al forame che era stato fatto alla croce. In questo stiramento sentii grande dolore: si incominciava a dividere la legatura delle ossa, e ad aprirsi le ossa del petto. Grande era perciò il dolore! Ma molto più grande fu l'amarezza e la pena che soffrivo, perché in questo fatto vedevo tutte le anime infelici, che si sarebbero lasciate tirare a forza dai loro nemici, cioè: demonio, mondo e carne, a commettere le colpe, e che non avrebbero fatta ad essi la dovuta resistenza. Vedevo la potenza di questi nemici e ne sentivo una grande amarezza. E rivolto al Padre lo supplicai, per quello spasimo che allora sentivo, che avesse indebolito le forze nemiche, ed avesse dato fortezza e grazia a tutti i miei fratelli, per poter loro resistere stando forti alle loro violenze. E vidi, che il Padre l'avrebbe fatto, e di ciò lo ringraziai. Vidi però la grande moltitudine degli incauti, che si sarebbero lasciati tirare dalle loro frodi, e non si sarebbero prevalsi della grazia. Ed oh, quanto fu grande la mia amarezza! Li invitavo a resistere e a star forti, dicendo loro: Ecco il mio braccio che vi darà fortezza! Non vi allontanate da me! Accorrete ai miei inviti! Non seguite i vostri nemici! perché vi tireranno agli abissi infernali. Ma essi, sordi alle mie chiamate, si lasciano tirare, e non curandosi dei loro strapazzi, per un momentaneo piacere, si dilungano da me, e si lasciano strascinare dai loro nemici, volendo a forza fuggire da chi solo può dare ogni bene vero ed ogni vera consolazione.
Essendo stirato il braccio, con grande crudeltà, ed arrivata la mano al forame, fu inchiodata sulla croce. Ed oh, quanto grande fu il mio dolore e quello della mia diletta Madre, che tutto sentiva nel di lei cuore! Inchiodata questa mano, fu tanto lo spasimo, che mi sentivo mancare in tutto. Domandai di nuovo aiuto al divin Padre, per poter soffrire maggiori pene. In questo fatto, vidi tutte le anime che sarebbero precipitate negli eterni tormenti, per seguire gli allettamenti del demonio, del senso e del mondo, loro nemici; e che sempre si sarebbero allontanate da me, disprezzando i miei inviti amorosi. Intesi, oh quanta! amarezza e dolore, vedendo che tutte, nel giorno del finale giudizio, sarebbero state alla sinistra, ed avrebbero avuta la sentenza di eterna pena. Allora, tutte le mie ossa e tutte le giunture si sconvolsero, per lo spasimo, ed il mio interno soffriva indicibile dolore ed amarezza, in modo che già ero privo di ogni conforto; ma in questo poi le mie pene arrivarono a sommergermi in un mare di dolore. Rivolto a tutti quei miseri, dissi loro: Venite, venite a questa piaga amorosa, a domandare la liberazione dagli eterni tormenti! In questa nascondetevi, ed udite i suoi dolci inviti: ché questa piaga vi chiamerà sinché avrete vita, né cesserà mai di chiamarvi ed invitarvi a ricorrere ad essa, a riconoscere i vostri errori ed a farne penitenza. Vidi che tutti si facevano sordi a queste mie voci. Ed io più forte chiamai ed invitai. E vidi, che alcuni alla fine, sarebbero accorsi all'invito, e rientrati in se stessi, avrebbero conosciuto i loro errori, e, fattane penitenza, per i meriti di questa piaga, avrebbero scampato gli eterni supplizi. Per questi resi grazie al Padre. Invitai poi tutti ad entrare nella detta piaga, per trovare lo scampo dai logo crudeli nemici. Intesi poi una grande amarezza nel vedere il numero di quelli che avrebbero dispregiato i miei inviti, e sarebbero eternamente periti.

IL PETTO DI GESù
Sentivo poi un asprissimo dolore nel petto, per essersi aperto e tutto scompaginato. Offri questo grande dolore al Padre, col dirgli: Mio divin Padre, Voi vedete, come il mio petto si è tutto fracassato e si è aperto! Perciò, io vi offro questo spasimo che ora soffro. Giacche si è aperto, fate, in virtù di questo mio aspro dolore, che traspiri la fortezza dal mio petto a quello di tutti i miei fratelli! Voi, Padre mio, vedete, che essendo il mio petto la stessa fortezza, ora dai miei nemici è stato fracassato. Ed è di ragione che la fortezza del mio petto patisca e si trovi in affanni e senta la debolezza, per meritare al petto dei miei fratelli fortezza e costanza. Perciò vi prego di nuovo, o divin Padre, di darla loro, acciò siano forti e costanti nel patire. Il Padre udì le spie suppliche e le esaudì. E vidi che avrebbe dato tanta fortezza a tutti i confessori della fede, ed a tutti i martiri, ed a tutti coloro che si pongono alla mia sequela. Di ciò gli resi affettuose grazie. Intesi però dell'amarezza, nel vedere che molti si sarebbero serviti della fortezza per maggiormente offendere il divin Padre e star forti nei loro errori e falsi dogmi.

POSIZIONE PENOSISSIMA
Inchiodate già le mani, le quelli stavano tanto stirate, che appena potevo respirare, con grande stento andavo respirando. Le spalle poi, che già erano tutte una piaga, e di cui si scoprivano le ossa, stavano attaccate alla croce con mio asprissimo dolore. La testa pure stava appoggiata alla croce, e ne sentivo uno spasimo indicibile, perché le spine della corona mi tormentavano. Ed ai tanti miei martiri, non vi era neppure uno che avesse compassione; anzi erano tutti infuriati contro di me: chi non mi poteva tormentare con le percosse, mi tormentava con le ingiurie. Grande era l'amarezza del mio Cuore per tanta crudeltà. Rivolto al Padre, gli offrivo tutti quegli spasimi, e spesso gli andava replicando: Padre mio, grandi sono le offese che ricevete dal genere umano! Ma mirate come grandi sono anche i miei dolori. Perciò vi prego, per tutti questi spasimi, di placare il vostro giusto furore, e perdonare loro.

CROCIFISSIONE DEI PIEDI
Avendo inchiodate le mani, mi legarono i piedi con funi, ed incominciarono a stirarli spietatamente, perché non arrivavano ai forami, già fatti nella croce, onde ne sentivo un asprissimo tormento. O quanto, sposa mia, era grande il mio dolore! Mi sentivo morire di spasimo: perciò ad ogni istante supplicavo il Padre del suo aiuto, e la divinità andava ogni momento facendo il miracolo di conservarmi in vita.
Quei perfidi si erano consigliati ed avevano determinato il modo di crocifiggermi, cioè, non come gli altri crocifissi, mia in modo più doloroso, inchiodandomi i piedi l'uno sopra l'altro. E questo fu con grande mistero, benché essi lo facessero per mio maggiore tormento. Ma nell'inchiodarmi non poteva loro riuscire: perciò prima mi inchiodarono il piede destro. Parte di loro tenevano le braccia della croce, e parte tiravano le corde, a cupi erano legati i piedi; ed inchiodato il piede destro, passarono ad inchiodare il sinistro. Ed essendo stato così alquanto stirato, svelsero il chiodo del piede sinistro, e tirato a forza di tenaglie il chiodo del piede destro, l'inchiodarono sopra il sinistro, con mio grande spasimo sicché fui crocifisso con quattro chiodi come si costumava, ma prima di inalberare la croce, essendo già il corpo stirato, mi inchiodarono il piede destro sopra il sinistro con un solo chiodo, di grossezza maggiore di quelli delle mani (1).
In questo fatto si racchiuse il mistero della divina giustizia e della misericordia, perché andando queste del pari, infine la misericordia vinse e sovrabbondò la giustizia. L'ira si mitigò, e la misericordia sovrabbondò. Il rigore di giudice cedette all'amore di padre; si unirono insieme e si baciarono, e la giustizia cedette il primato alla misericordia: sicché, avendo per l'addietro camminato del pari, per i miei meriti, la giustizia si contentò di cedere il primato alla misericordia; ed io ne resi grazie al divin Padre, per parte di tutti i miei fratelli. Lodai la giustizia divina ed esaltai la misericordia.
Quando mi inchiodarono il piede destro, offrii l'aspro dolore al Padre, e lo supplicai di volersi degnare di dar lume a tutti quelli che camminano per il diritto sentiero dell'eterna salute, acciò non errino nel cammino, e seguitando il loro viaggio, arrivino al termine bramato. Intesi poi un grande dolore, quando vidi tutte le angustie ed i travagli che avrebbero sofferto quelli, che vogliono andare per il diritto sentiero: pregai il divin Padre di assisterli con la sua grazia, e li invitai tutti a venire ad abitare in questa piaga, perché quivi sarebbero stati confortati, animati ed illuminati. Vidi tutti gli assalti che ad essi avrebbero dato i loro nemici perciò ancora li invitai a ricorrere a questa piaga; che quivi avrebbero trovato scampo sicuro. Vidi inoltre tutte le colpe che avrebbero commesso questi, che camminano per la dritta strada della salute, e quantunque non fossero gravi, tuttavia ne intesi dolore: perché le offese del divin Padre, quantunque leggere, erano a me di grande tormento, per l'amore immenso che gli portavo, e perché conoscevo il suo merito infinito. Perciò offri al Padre i dolori che sentivo, in sconto di tutte le loro mancanze; ed il Padre si mostrò pronto al perdono ed anche a concedere loro la grazia di ravvedersi subito ed emendarsi.
Nell'inchiodatura del piede sinistro, intesi 1'asprissimo dolore per la piaga, e molto più perché vidi tutti coloro che camminano alla perdizione. Nel vedere la gravezza delle loro colpe, ero molto amareggiato, e rivolto al Padre gli offrii i miei dolori in sconto di tutte le loro iniquità, e lo supplicai di illuminarli e far conoscere il loro grave errore, e come camminano per la via della perdizione. Lo pregai della sua misericordia infinita verso di essi; e perché vedevo che la divina giustizia sarebbe stata sempre in atto di castigarli, lo pregai, che avendo ceduto il primato alla misericordia, avesse trattenuto i castighi ed avesse dato luogo alla misericordia, onde questa li avesse aspettati a penitenza. E vidi, che la giustizia avrebbe trattenuto i castighi, e la misericordia li avrebbe benignamente aspettati a penitenza. Vidi, che molti avrebbero approfittato di sì grande beneficio, riducendosi infine a penitenza. Di questi resi grazie al Padre. Intesi però dell'amarezza, ed oh quanto grande! nel vedere il grande numero di coloro che avrebbero abusato della misericordia e della bontà divina, così paziente nell'aspettarli a penitenza, e che perciò sarebbero periti miseramente; provando alfine i rigori della divina giustizia, la quale per tanto tempo aveva trattenuto i castighi.
Mentre mi inchiodavano i piedi uno sopra l'altro, intesi un più grande dolore: vidi allora tutte le anime sopra le quali avrebbe tanto sovrabbondata la divina misericordia, e che infine, quantunque per le loro colpe avrebbero dovuto provare i rigori della giustizia, sarebbero arrivate a godere e ad esaltare eternamente la divina misericordia: perché si sarebbero ravvedute, ed avrebbero corrisposto ai benefici divini. Di queste, ne resi grazie al divin Padre. Intesi però un aspro dolore ed una grande amarezza nel vedere la moltitudine di quelli che di tutto si sarebbero abusati, anche di tanta misericordiosa bontà loro usata e che, miseri, sarebbero infine periti, facendo sì che prevalesse su di loro la giustizia divina, per avere, in vita, disprezzata la misericordia.
Terminata la crocifissione, e stando la croce in terra, soffri un tormento incomparabile. Grande era lo spasimo: ogni momento soffrivo sfinimenti di morte, levandosi il lume dai miei occhi per l'asprezza dei dolore. Supplicavo di continuo il divin Padre del suo aiuto, e la divinità non mancava di darmi forza per resistere e soffrire gli asprissimi tormenti.

ESORTAZIONE ALLA SUA SPOSA
Hai udito, sposa mia, quanto furono acerbi i dolori della mia crocifissione, e quanto furono più grandi quelli del mio interno, quanta l'amarezza del mio Cuore, quanto grande la mia sofferenza! Perciò procura di imitarmi nel patire tutti i mali corporali con rassegnazione, senza lamentarti, perché i tuoi mali non arriveranno giammai ad assomigliarsi ai miei. Hai udito quale fu il ristoro che ricevetti dopo tanti patimenti: un amarissima bevanda, e tanto pessima, che era sufficiente a darmi la morte. E tu non andare in cerca di consolazioni nelle tue angustie, se vuoi assomigliarti a me. Mortifica anche il tuo gusto; non ti lamentare delle cose disgustose, perché non lo saranno quanto l'amara bevanda che gustai io. Non cercare diletto nel cibo, ed abbi sempre alla memoria il fiele di cui fui abbeverato: così ti sarà facile il mortificarti. Sta bene attenta nel prevalerti della divina misericordia, e non abusare delle molte grazie che ricevi. Temi sempre la divina giustizia, perché quantunque adesso sia molto ritenuta nel castigare, verrà poi il tempo in cui farà provare i suoi rigori a tutti coloro che abusano della misericordia. In tutte le tue angustie e travagli, in tutte le tentazioni ed assalti dei tuoi nemici, ricorri alle mie piaghe, perché in queste troverai sicuro scampo. Quivi sia la tua dimora, perché quivi troverai ogni conforto e consolazione. Offri ogni pena continuamente al divin Padre, acciò ti conceda tutte le grazie necessarie per la tua eterna salute e per quella dei tuoi prossimi. Hai udito quanto grande fu la mia confusione nell'essere spagliato dai perfidi manigoldi, e nell'essere maneggiato dalle loro sacrileghe mani. Perciò ti ammonisco a star bene attenta nel tenere l'anima lontana da ogni macchia d'impurità, benché minima. Perciò custodisci con gelosia la purità, che a me con voto hai consacrata: e fuggi tutte le occasioni che possono far patire qualche detrimento a sì nobil fiore. Sta attenta, perché ci vuol molto poco ad illanguidirlo. E sappi che io nelle mie spose ricerco una grande cautela e diligenza nel custodirlo; molto mi dispiacciono le trascuratezze nel campo delicato di questa virtù. Custodisci infine l'anima tua e si diligente nel tenerla monda da ogni colpa, acciò ricevendomi sacramentato, io senta gusto e piacere dal contatto e non disgusto ed amarezza.

CAPO DODICESIMO
Come, inalberata la croce, il Figliuolo di Dio crocifisso fu posto a vista di tutto il popolo. Di ciò che Egli operò nel suo interno finché cominciò a parlare dalla croce.

SULL'ALTARE DELLA CROCE
Essendo inchiodato sulla croce, incominciarono i manigoldi ed i soldati a trattare di alzare la croce, e metterla in alto, acciò tutto il popolo mi vedesse, ed ognuno potesse saziare la sete, che aveva contro di me, di schernirmi e di ingiuriarmi. Difatti, tutti stavano ad aspettare con impazienza, perché non tutti mi potevano ancora vedere per la calca della gente. Avevano preparata sulla cima del monte una fossa, aggiustata con pietre, per mettervi dentro il piede della croce; e fecero in modo, che io stessi assai più in alto degli altri due crocifissi. Seppe molto bene la loro astuzia ed arte trovare il modo che io stessi in alto più degli altri, perché tutti mi vedessero e si burlassero di me. Ma ciò non fu senza mistero del divin Padre, come udirai.
Mentre stavano trattando del modo di inalberare la croce, ed ognuno era pronto per aiutare, io me ne stavo inchiodato sulla croce in terra, con il volto e tutto il corpo rivolto al cielo, soffrendo un asprissimo tormento. Allora mi offri al divin Padre, dicendogli: Rimirate, o mio divin Padre, il vostro Unigenito, il quale ora viene sacrificato per l'umana redenzione. Ecco, che prima di essere posto alla vista di tutta Gerusalemme e del mondo intero, sono posto alla vista di voi, Padre amantissimo, e di tutta la corte celeste! Vedete, come sono grandi i miei dolori, come dolorose le mie piaghe! Ora questi e queste offro a voi, a nome di tutti i miei fratelli, per soddisfare la divina giustizia per i loro debiti. Sono molti, è vero; mia mirate quanto più grande è il prezzo che io vi offro per soddisfarvi! Sono gravi, è vero; ma mirate come gravissimi sono anche i miei dolori; e se più soddisfazione bramate da me, sono pronto a darvela. Si placò il Padre, ma dichiarò che voleva più soddisfazione. Ed io mi offri pronto a dargliela, ed a stare in croce, quanto a Lui fosse piaciuto: perché l'amore che ardeva nel mio Cuore, era infinito, né si saziava mai di patire, per soddisfare la divina giustizia e per salvare il genere umano.

IL CIELO, LA TERRA, L'INFERNO
Tutti gli angeli, che furono spettatori di sì funesta tragedia, si riempirono d'ammirazione. Il sole cominciò ad oscurarsi e ad eclissarsi. Le altre creature insensate si risentirono, dopo che fu inalberata la croce. I demoni si arrabbiavano, fremevano, ed ancora non arrivavano a capire, se io veramente fossi il Messia. Stupiti di tanta sofferenza, di tanta fortezza, di tanta virtù, andavano come perduti, non potendo capire sì grande portento; ed andavano sempre più attizzando i manigoldi a straziarmi ed oltraggiarmi con bestemmie e scherni, in modo che in quel luogo non si udivano, che bestemmie orrende, maledizioni, ingiurie, villanie, fischiate e strida.

IL DOLORE E LA COMPASSIONE DI MARIA
La mia diletta Madre, che udiva tutto, non potendosi appressare alla croce per la grande calca, stava in un aspro tormento. Anche lei era inchiodata. alla mia croce, mentre io, che ero il suo cuore, ero crocifisso. Ed oh, con quanti modi mi andava compatendo, e come si liquefaceva l'anima sua di un dolore amoroso e di un amore doloroso! Altre parole la sua bocca non proferiva che queste: O Gesù, mio Figlio! o Figlio mio, Gesù, chi mi concede che io possa morire per te e con te ? Con il cuore però molto mi parlava, ed ora tutta amorosa, ora tutta addolorata, mi andava spiegando quanto mi amava, e quanto mi compativa. Erano però queste sue voci di un grande martirio al mio Cuore,perché essendo da me molto amata, anzi il più caro oggetto del mio amore, dopo il divin Padre, era anche da me compatita, e molto mi amareggiavano i suoi dolori. Anch'io parlavo al di lei cuore, e le narravo che le sue pene accrescevano a me il dolore. Ed anche per questo motivo pativa di più la diletta Madre. Ma era decretato che la sua anima doveva essere immersa in un mare di amarezze, senza conforto alcuno, per più assomigliarsi a me; perciò, io, che potevo apportarle consolazione nelle sue pene, ero l'oggetto dei suoi più aspri dolori, come lei era l'oggetto dei miei, per l'amore infinito che ardeva nel mio Cuore verso di Lei, e per l'amore grande che ardeva nel suo cuore verso di me, suo Dio e suo vero ed unico Figlio.

LA CROCE INALBERATA
Essendo stato allestito tutto ciò che era necessario, strascinarono la croce al luogo dove si doveva innalzare, sentendo io un grande tormento in tutte le mie membra, specialmente nella testa, che mi andava sbattendo sulla croce. Offrivo quel tormento al Padre, per le replicate offese che riceveva da tutto i1 popolo crudele ed ingrato. Malti, fra quel popolo stesso, erano stati da me risanati da varie infermità. E ancor essi mi andavano insultando e schernendo con vari motti, dicendomi: Tu hai con tanta facilità liberato noi dai mali, ed ora non sei capace di liberare te stesso. Mi ferivano il Cuore queste parole, perché mi mostravano ingratitudine e crudeltà. Tacevo con la lingua, ma parlavo col Cuore, dicendo loro: Ah cuori ingrati! Non vedete che se ho risanato i vostri corpi, oara patisco tanto per la salute delle vostre anime? E rivolto al Padre, gli andavo ripetendo: Padre mio, perdonate loro, perché non sanno ciò che si dicono e ciò che fanno.
Arrivato al luogo dove si doveva piantare la croce, si avvidero che non ci avevano inchiodato il titolo scritto da Pilato, e subito ve l'inchiodarono. Io allora senti un aspro tormento, perché i colpi del martello facevano muovere la croce, onde le mie piaghe più si inasprivano. Alzando poi la croce, la facevano sbalzare, ora da una parte ed ora dall'altra, con mio grande tormento.

è FISSATA LA CROCE - SCHERNI
Il popolo nel vedere la croce alzata, incominciò a gridare con voci strepitose. Chi mai diceva un ingiuria, chi un altra. Tutti mi motteggiavano. Infine, con molta loro fatica e con mio grande tormento, arrivarono a mettere la croce nella fossa fatta, facendola cadere di peso. In questo orrendo colpo si riaprirono tutte le piaghe del mio lacero corpo, contremarono tutte le mie ossa ed interiora e fui preso da un tremito doloroso, per gli aspri tormenti, battendomi la testa sul petto.
Oh quanto, sposa mia, fu grande lo spasimo che allora sentii! Vidi di nuovo tutte le anime che si sarebbero rapidamente precipitate e sprofondate negli eterni tormenti; e nel pensare, che tante mie pene sarebbero state inutili per esse, perché si sarebbero di tutto abusate, mi riempi di una più grande amarezza.
Posta in alto la croce e fortificata con pietre, acciò non cadesse, una parte di essi mi lasciarono, e si posero ad innalzare gli altri due crocifissi. Intanto che facevano ciò, alcuni erano rimasti a rimirarmi e schernirmi. Essendo io posto in alto e da tutti rimirato, intesi una somma confusione, perché il mio corpo stava esposto alla vista di tutto il popolo e di tutta la città. Non vi mancarono molti che anche da lontano mi stavano rimirando, cioè, tutti quelli che avevano confusione e vergogna di venire sul monte, per risguardo al grado che avevano, benché anche da lontano non cessassero di ingiuriarmi e di schernirmi. In questa mia confusione intesi un grande dolore; perché si rappresentarono alla mia mente tutte le anime peccatrici, che, per non voler soffrire un poco di confusione, nel confessare le loro colpe, sarebbero poi nel finale giudizio, ben più confuse, venendo quelle colpe, a tutti manifestate. Vedendo il grande numero di esse, intesi un grande dolore. Rivolto al Padre, lo supplicai, per quella mia confusione, di volersi degnare di illuminarle, facendo ad esse conoscere il loro grave errore, dando loro grazia di poter manifestare le loro colpe, affinché conseguano il perdono. Vidi, che il Padre l'avrebbe fatto, e che alcune poche si sarebbero approfittate dei lumi e della grazia. Per queste resi grazie al Padre. Vidi anche il grande numero di quelle, che si sarebbero abusate dei lumi e della grazia, e, rimanendo nel loro errore, sarebbero eternamente perite. Ne intesi grande amarezza, tanto più che io soffrivo la confusione ed il rossore, per agevolare ad esse la via, e rendere loro facile ogni ripugnanza e confusione.

GLI INVITI DI GES� ALLA MADRE
Stando in alto, in vista di tutto il popolo, invitai tutti i miei fratelli a venire a contemplarmi ed a specchiarsi in me, loro maestro ed esemplare. Prima di tutti, invitai la mia diletta Madre, la quale stava poco distante, e le dissi al cuore: Venite, Madre mia, venite a contemplare da vicino l'unico oggetto del vostro amore, il vostro Dio, che patisce, il vostro Figlio, che sta consumando l'opera dell'umana redenzione. Voi, cara Madre, sarete il testimonio di tutte le mie pene, di tutti i miei affanni, dolori e tormenti, di tutte le mie angustie ed amarezze : perché tutte in voi stessa le provate, essendo lo specchio fedelissimo, in cui si fermano di riverbero tutti i miei tormenti. Ecco, come sono fedele alla promessa fattavi di farvi partecipe di tutti i miei dolori e di tutte le mie pene. Venite, dunque, caro oggetto del mio amore e del mio dolore! A tale invito venne la diletta ed afflitta Madre, dicendo: Ecco, mio amato Figlio e Signore, che vengo a contemplarvi! Benché sappia che la mia vista sarà per voi di maggior dolore, per l'amore infinito che a me, vostra indegnissima creatura e Madre, portate; con tutto ciò, oh quanto volentieri io vengo! mentre anche a me si accresceranno i dolori e le pene, e così più mi renderò simile a voi, vita mia ! Ma vi supplico di concedermi la grazia, che io sia sempre costante e desiderosa di più patire! Né segua in me alcun deliquio, per non restare in quel tempo priva di pene. Assicurai la Madre della detta grazia, e supplicai il divin Padre di fare verso di Lei il continuo miracolo, di tenerla sempre in sentimenti e mantenerla in vita.
Arrivata al piede della croce, in luogo dove mi poteva ben mirare e contemplare, prima mi adorò con profonda adorazione, e si offrì di nuovo, pronta a soffrir tutte le mie pene. Poi fece di me e di se stessa un intero olocausto al divin Padre, indi si pose in piedi a rimirarmi e contemplarmi, né mai più si mosse né torse gli occhi, tanto del corpo, come della mente, dall'oggetto del sino amore e del suo dolore; ricopiandosi nella di Lei anima l'immagine del crocifisso suo Figlio, restandone in lei impresse, per virtù dell'amare, tutte le pene e tutti i dolori.

ALLA MADDALENA
Invitai anche l'amante Maria Maddalena, con parole amorose al di lei cuore, dicendole: Venite, o amante penitente e discepola fedele! giacché per il passato avete goduto la dolcezza dell'amor mio, venite ora a soffrire l'amarezza dei miei tormenti. E vedete quanto care costano a me le colpe del genere umano, e con quanto prezzo io ricompro la vostra e le altrui anime. Ora è tempo che facciate mostra del vostro amore verso di me, vostro Maestro e Redentore. Ferita la Maddalena nel cuore dall'amoroso invito, corse a mettersi ai piedi della croce, che tenne abbracciata, con gli occhi fissi ai miei piedi, che più volte, con tanto amore, aveva lavati con le sue lacrime ed amorosamente baciati. Nel vederli allora sì laceri e tormentati, si disfaceva in lacrime dolorose, e con quei piedi, che tanto si erano affaticati per la sua salute, e che vedeva tanto laceri e tormentati, sfogava il suo amore ed il suo aspro dolore, non saziandosi di rimirarli, contemplarli, imprimendo nel suo cuore quelle piaghe, a forza di amore e di compassione. Ciò serviva anche a me di amarezza, nel vederla tanto addolorata senza poterla consolare, perché io stesso ero l'oggetto del suo aspro dolore.

A GIOVANNI
Invitai anche il mio diletto ed amato discepolo Giovanni, dicendo al di lui cuore: Venite, o discepolo amato, e giacché voi siete stato sempre il mio compagno nella predicazione ed in tutti gli altri luoghi, dove sono andato, e siete stato il testimonio della mia gloriosa trasfigurazione sul monte Tabor; siate ora il testimonio dell'orribile tragedia sul Calvario, e guardatemi in sì dolorosa figura. Voi direte agli altri miei discepoli quanto ho patito su questo monte. Narrerete ad essi tutti i miei tormenti, acciò anche essi siano a parte delle pene che ora voi soffrite per mio amore, e sappiano quanto io patisco, si specchino in questo originale, per ricavarne in loro stessi la figura, imprimendola nella loro mente e nel loro cuore, perché possano imitarmi e narrare al mondo tutto, quanto io ho patito per redimerlo, e per acquistargli il regno eterno. Venne il discepolo amato, trafitto dal dolore, e postosi al lato della croce, sfogava la sua pena in armare lacrime. Tanto il discepolo, come la Maddalena, andavano spesso soffrendo dei deliqui mortali, benché non vi fosse chi li osservasse. Ma io pregavo per loro il divin Padre, acciò li conservasse in vita: ché, per verità, il solo rimirare di passaggio la mia umanità, era sufficiente a dare la morte ad un cuore amante. Si pose Giovanni a rimirare attentamente il mio divin petto, dove una volta aveva sì dolcemente riposato, e dove aveva ricevuto e inteso tanti arcani divini, e si struggeva di dolore nel vederlo aperto e tutto lacero e spolpato. Soffrivo della pena anche per questo discepolo: nel vederlo tanto addolorato per mio amore senza poterlo consolare, essendo io l'oggetto del suo amore e del suo dolore.

ALLE PIE DONNE
Invitai anche le altre devote donne, che accompagnavano la mia diletta Madre, dicendo al loro cuore: Venite anche voi presso la croce a contemplarmi, e giacché avete goduto dell'amabile compagnia della mia diletta Madre, come anche della dolcezza :e soavità delle mie parole, venite a soffrire in compagnia della Madre, parte dei suoi dolori; e contemplando le mie pene, procurate di ricavarne in voi stesse un perfetto ritratto, con l'imitarmi, assicurandovi che essendo a parte delle mie pene, sarete anche a parte della mia gloria. Vennero le devote donne, ed anche esse si posero presso la croce a contemplarmi ed a compatirmi.

AGLI APOSTOLI
Invitai anche tutti i miei apostoli e discepoli a venire a contemplarmi; ma questi, per il grande timore, fecero resistenza all'invito. Restarono però tutti feriti da grande dolore ed amarezza, sentendo nel loro interno, una grande compassione dei miei dolori, e si disfacevano in amare lacrime, specialmente Pietro, il quale, per avermi negato, più d'ogni altro si afflisse e si rattristò.

A NICODEMO
Invitai il discepolo occulto, cioè Nicodemo, e gli dissi: Ora non è più tempo di stare occulto. è tempo che vi manifestiate, ed a voi lascio la cura di sotterrare il mio corpo. Corrispose Nicodemo all'interno invito, e, appena fui spirato, si prese la cura di darmi sepoltura, avendo, prima che io morissi, domandato il mio corpo al presidente Pilato, il quale liberamente glielo concesse. E mentre io stavo in croce penando, lui preparò gli aromi e tutto ciò che bisognava per darmi onorevole sepoltura.

A GIUSEPPE D ARIMATEA
Invitai anche Giuseppe d'Arimatea a fare lo stesso. Questi era compagno di Nicodemo e mio discepolo, ed anche lui era andato a domandare a Pilato il mio corpo con Nicodemo.

IL PIANTO DEL CREATO
Andavano intanto crescendo le tenebre, oscurandosi vieppiù il sole: si scuoteva la terra, e tutte le creature insensate incominciarono a dar segno del loro dolore al ravvicinarsi della mia morte (1). I perfidi Giudei, gli Scribi e i Farisei, nel vedere oscurarsi il sole e scuotersi la terra, dicevano: Costui per tutta la sua vita ha operato da incantatore, e per virtù del demonio ha fatto molti prodigi; così anche nella morte va operando questi segni, facendo tutte per incantesimo. E ciò andavano dicendo, perché la gente non si rivoltasse contro di loro in favor mio, vedendo i segni mirabili che si operavano nella mia morte, dalle creature insensate. Quanta amarezza e dolore mi accresceva questa loro perversità, malizia ed ostinazione! Con tutto ciò non lasciai di invitarli con grande amore a venire per contemplarmi e vedere quanto pativo per la loro eterna salute; ma essi, duri ed ostinati, disprezzarono gli amorosi inviti, scacciando dai loro cuori ogni compassione che incominciava a nascere verso di me. E quelli che si trovarono sul Calvario, venivano sì, ma solo per bestemmiarmi.

AI PRESENTI
Invitai tutti quelli che si trovavano presenti al Calvario, a venirmi a contemplare e rimirarmi attentamente. Vi venivano, ma di passaggio. Mi insultavano e mi schernivano, accrescendosi sempre più il mo dolore e l'amarezza del mio Cuore.

AI DUE LADRI
Intanto furono posti ai miei lati i due ladri crocifissi, alquanto distanti dalla mia croce, i quali mi bestemmiavano ed insultavano (1). Li invitai con grande amore; e giacché anche essi erano vicini alla morte, bramavo che avessero goduto del frutto della Redenzione. I1 ladro che stava alla mia destra, si arrese all'invito amoroso, smise di bestemmiarmi, incominciando ad osservare la mia invitta pazienza e sofferenza fra tanti tormenti. Così, a poco a poco, si andò disponendo a ricevere nuovi inviti e nuovi lumi. Il ladro però che stava alla sinistra, non solo non si arrese all'invito; ma incominciò a bestemmiarmi ed a maledirmi maggiormente, in modo che il ladro che stava alla mia destra lo riprendeva. Ma il perfido, non si volle arrendere; volle morire come un disperato, ingiuriandomi sempre dicendomi: Se tu fossi il Figlio di Dio, mai libereresti da questi tormenti, ma perché sei un infame malfattore, non puoi liberare né te stesso, né me!

A TUTTI
Invitai poi tutti i miei fratelli, dicendo loro: Venite tutti, venite a contemplarmi! Venite e vedete a che caro prezzo io ricompro le anime vostre! Venite e specchiatevi in me, vostro esemplare! Eccovi l'originale da cui dovete ricavare il modello del vostro vivere! E sappiate, che, se non mi imiterete, non entrerete dove sarò io. Il mio divin Padre vi rimirerà e vi riconoscerà per suoi figli, se vi vedrà simili a me, vostro fratello e vostro esemplare. E per questo sono posto su questo monte, affinché ognuno di voi mi veda, mi rimiri attentamente e mi imiti perfettamente. Ed allora vidi tutti quelli che sarebbero accorsi all'invito, mi avrebbero contemplato, ed avrebbero procurato di imitarmi, ricopiando in se stessi l'originale. E per costoro domandai risolte grazie al divin Padre, cioè: la fortezza nel soffrire, la pazienza nel patire, l'amore, la carità e tutte le altre virtù che io stesso praticai sul patibolo. E perché il divin Padre li avrebbe considerati come suoi figli e miei veri fratelli e seguaci, lo lodai e ringraziai da parte di tutti. Intesi sperò un grande dolore ed una più grande amarezza nel vedere la moltitudine di quelli che, o non sarebbero accorsi ai miei dolci inviti, non volendomi riconoscere per loro Redentore, oppure, accorrendovi, mi avrebbero bestemmiato, oltraggiato e schernito, come gli empi Ebrei. Oh quanto, sposa mia, mi apportarono angustia e travaglio questi perfidi, ingrati e sconoscenti a tanti benefici, a tante grazie, a tanta carità, a tanto amore!

INVITO DI PREDILEZIONE
Invitai ancora molti ad inchiodarsi alla croce ed essere crocifissi al mondo, col dedicarsi e consacrarsi tutti all'amor mio, facendo di sé un totale sacrificio ed olocausto al divin Padre, per mezzo dei tre voti di povertà, di obbedienza e di castità. Questi li invitai con un invito più amoroso, promettendo a tutti una grazia ed una assistenza particolare, dichiarandomi sposo amantissimo delle loro anime. E vidi tutti quelli che sarebbero accorsi all'amoroso e dolce invito, e come,io solo sarei stato tutto il loro tesoro, la loro con
solazione, la loro ricchezza ed eredità. A questi mi rivolsi con tutte le espressioni più cordiali del mio sviscerato amore; mi dichiarai di valere essere tutta la delizia dei loro cuori, e di far loro godere tutta la dolcezza del mio amore. E al divin Padre dissi: Padre mio, questa è la mia porzione più scelta, la parte più nobile. Con questi si prenderà il mio spirito le sue delizie. A questi comunicherò i segreti del mio Cuore. Questi avranno il privilegio di seguire dappertutto me, loro duce ed agnello immacolato. Perciò vi supplico di arricchirli delle vostre grazie, dei vostri doni sublimi. Rimirateli, o mio divin Padre, con grande amore, perché si mostreranno verso voi veri figli, e prenderanno in tutto la mia somiglianza, col soffrire ogni travaglio, pena e dolore, e saranno inchiodati alla croce e crocifissi con me. Perciò voi proteggeteli, difendeteli, assisteteli, date loro il dono della perseveranza e tutte le virtù in grado perfettissimo. Né permettete mai che si allontanino da voi, o che scendano dalla croce, alla quale volontariamente si sono inchiodati. Ed infine preparate loro una mercede ed un gaudio ben dovuto alla loro fedeltà, al loro amore ed alla servitù cordiale che vi faranno sino alla fine della loro vita. Udì con grande gusto il divin Padre le mie suppliche e le esaudì, promettendomi, con grande amore, quanto per essi egli avevo domandato. Ed io lo lodai e ringraziai, anche da parte di tutti loro. Vidi poi con mia grande pena ed amarezza tutti coloro che avrebbero ricusato l'invito e le grazie, che loro promettevo; ed intesi maggior dolore, nel vedere la pessima fine che avrebbero fatto, per non corrispondere alla dolce ed amorosa vocazione. Non lasciai di tornare di nuovo ad invitarli e chiamarli; ma, ostinati, vidi che avrebbero fatto sempre i sordi ai miei dolci inviti. Vidi anche le pene grandi che per essi sono preparate, ed anche per questo intesi dell'amarezza. Vidi poi, con la più aspra pena e dolore, tutti quelli che sarebbero accorsi all'invito ed alla vocazione, ma che avrebbero abusato della grazia, e tanto male avrebbero corrisposto; che in tale stato, sarebbero vissuti male, sì da servire di scandalo a tutti gli altri; vidi che le loro colpe sarebbero state assai più gravi, perché trasgredivano con tanta facilità le promesse ed i voti fatti al divin Padre, offendendolo gravemente. Vidi gli orribili castighi preparati a questi infedeli trasgressori, ed anche di questo intesi una grande amarezza. Perciò, rivolto al divin Padre, lo supplicai, per i meriti miei e per tutte le pene che soffrivo, di volersi degnare di illuminarli e richiamarli a sé, facendo loro conoscere il grave errore, col dare ad essi la sua potente grazia. Vidi che alcuni si sarebbero ravveduti, avrebbero fatto penitenza e sarebbero tornati a vivere santamente: di ciò resi grazie al Padre, e lo supplicai di dare ad essi il dono della perseveranza, e ad usare verso di loro la sua infinita misericordia. Ed il Padre si mostrò pronto a far tutto. Intesi però una grande amarezza ed asprissimo dolore, nel vedere la moltitudine di coloro che avrebbero abusato dei lumi, della grazia, dei dolci e replicati inviti, e che sarebbero rimasti nei loro gravi errori, e miseramente periti.

INVITA A CONSIDERARE I DOLORI DI MARIA
Invitai poi tutti i miei fratelli e seguaci a venire a contemplare i dolori eccessivi della mia diletta Madre, ed a compatirla nelle sue pene. E vidi, che molti vi sarebbero accorsi, l'avrebbero accompagnata e compatita nei suoi aspri dolori, ed avrebbero goduto della di lei protezione,e che la diletta Madre loro avrebbe compartito molte grazie. Anche da me sarebbero stati rimirati con grande amore, io avrei compartito loro grazie e favori sublimi. Vidi però, con mia grande amarezza, la moltitudine di quelli che sarebbero vissuti del tutto dimentichi dei suoi aspri dolori, restando perciò privi di molte grazie, specialmente della di lei particolare protezione. Bramavo molto che la mia diletta Madre fosse stata compatita nelle sue pene da tutti i miei fratelli, perché pativa nel vedere me, suo Figlio e Signore, in pene e tormenti; ma la causa delle mie e delle sue pene erano le colpe del genere umano: quindi bramavo che tutti la compatissero, perché tutti avevano parte nelle mie e nelle sue pene; ed ella con grande amore e generosità per tutti le pativa, cooperando alla Redenzione per quello che si apparteneva al grado di mia Madre, e compagna indivisibile di tutte le mie pene e dolori.

GESU' RE
Avendo invitato tutti a venirmi a contemplare e ad imitarmi, dissi in generale: Rimirate chi è colui che vi invita a contemplarlo e ad imitarlo! Osservate ciò che sta scritto sopra la mia croce: Gesù Nazareno, Re devi Giudei: Questa iscrizione è stata fatta dal Presidente Pilato, è vero, ma per decreto del mio divin Padre. Fui da Pilato chiamato Re dei Giudei, perché non capiva il mistero nascosto sotto tale nome; e perché anche i Giudei mi vollero crocifiggere, dicendo che io mi volevo fare loro Re. Ma il Padre ebbe un fine più alto ed a me dovuto: Re dei Giudei, e Re giusto. Jesus Nazarenus, Rex iustitiae, Rex iustorum. Incarnandomi divenni Rex iustitiae. Divenni anche Rex iustorum: quando venni al mondo per regnare nelle anime dei giusti, per essere loro Re, e condurli nel mio regno a regnare con me, cioè: a godere della stessa gloria e beatitudine di cui godo io, avendola loro meritata con la mia passione e morte. Vedete, dunque, dissi loro, che sono io che vi invito. Sono un Re giustissimo e rettissimo, e chi si appressa a me con cuore sincero ed umile, resterà giustificato. Non troverete in me alcun inganno o ingiustizia, come trovasi in altri perversi, che pretendono di signoreggiare le anime vostre; quali sono il demonio ed il peccato. Io sono vero Re di giustizia. Ma vedete che sto in un trono, dove alla giustizia prevale la misericordia; perciò fidatevi pure di me, che sono Re legittimo, sono un Re che posso darvi a godere un regno eterno di beatitudine. Sono Re dei giusti, ché regno nelle anime giuste. Beati coloro che hanno la bella sorte di avermi Re nelle loro anime! In questi non ardisce accostarsi altro Signore, che li possa ingannare e precipitare. Datemi dunque tutti, le vostre anime, acciò regni in esse, e siate da me governati e posseduti! O voi felici, avventurati, se udirete le mie voci, ed accetterete i miei inviti! Anche voi regnerete in terra, perché dominerete le vostre passioni; e poi regnerete anche in cielo per tutta un eternità. Ecco dunque il vostro legittimo Re e Signore! Ecco, chi vi ha ricomprati a costo di tante pene e della vita stessa! Osservate quanto grande è l'amore che porto alle anime vostre! Mentre godevo nel seno del divin Padre la stessa sua beatitudine, essendo una stessa cosa con Lui, scesi in terra a prendere carne umana, per redimervi dalla dura schiavitù di Lucifero e del peccato. Mi sono fatto vostro fratello, vostro Maestro, vostro esemplare, vostro cibo, vostro medico e medicina, per curare tutte le vostre infermità; vostro avvocato, vostro consolatore, difensore e liberatore, vostro Re. Riconoscetemi dunque per tale! E. non vogliate abusare di tanta bontà, di tanta carità, di tanta liberalità, di tanto amore! E sappiate che sono anche vostro giudice, e che da me dovete essere rettamente giudicati, puniti o premiati, secondo le vostre operazioni. State ben attenti! E sappiate che se non mi riconoscerete per vostro legittimo Re e Signore, e se non metterete in pratica i miei esempi ed i miei insegnamenti, mi sperimenterete giudice severo e giusto.
Dissi allora ciò a tutti, avendoli presenti alla mia mente. E vidi coloro che si sarebbero approfittati delle mie parole e dei miei dolci inviti, e che mi avrebbero riconosciuto per loro legittimo Re e Signore, e nelle cui anime io avrei regnato. Di tutti questi resi grazie al divin Padre, e lo lodai per la sua immensa carità ed amore verso le sue creature, per le molte grazie che avrebbe loro compartito. Intesi però una grande amarezza ed un asprissimo tormento e dolore, nel vedere la grande moltitudine di quelli, che non solo non mi avrebbero riconosciuto per loro legittimo Re e Signore, ma mi avrebbero tanto offeso ed oltraggiato, abusando di tanti benefici, di tante grazie, di tanta carità, bontà ed amore. Vidi che avrebbero riconosciuto per loro Re e Signore il demonio, e si sarebbero lasciati dominare dalle loro ree passioni, dal vizio, dall'iniquità, e che la superbia avrebbe avuto un grande dominio nel mondo. Vidi il culto che avrebbero dato ai falsi numi, e come il demonio, fierissima bestia, avrebbe signoreggiato, tirando tanti e tanti al suo partito. O quanto fu grande l'amarezza del mio Cuore! Perciò, rivolto al divin Padre, lo supplicai con grande istanza di volersi degnare di illuminare tutti gli infelici, che con tanta facilità si sarebbero lasciati sedurre. Gli domandai ciò, in virtù degli aspri tormenti e dolori, che allora soffrivo. E vidi, che il Padre non avrebbe mancato di illuminarli, e di fare ad essi conoscere il loro inganno e il loro grave errore. Vidi inoltre che sarebbe stato pronto a dare a tutti la sua grazia, perché si potessero ravvedere; vidi, che molti si sarebbero ravveduti, e si sarebbero posti a seguire me, riconoscendomi per loro legittimo Re e Signore. Di questi resi grazie al divin Padre. Intesi però una più grande amarezza, nel vedere la moltitudine, quasi innumerevole, che sarebbe rimasta nella sua ostinazione e durezza, abusando di tutti i lumi, della grazia, e di ogni altro aiuto particolare, che il Padre con tanta carità ed amore avrebbe inviato.
O quanto, sposa mia, arrivarono al sommo i miei dolori e l'amarezza del mio Cuore! Quando vidi, che molti della mia sequela, che mi riconoscono come loro Re e Signore, si sarebbero voltati contro di me, e negandomi empiamente, sarebbero stati a molti occasione di scostarsi da me, di abbandonarmi, e che questi sarebbero stati i più perfidi e crudeli nemici della mia Legge e del mio Nome, ah! per questo sì, che i miei dolori interni si accrebbero in modo che mi avrebbero dato la morte, se la divinità non mi avesse prolungato la vita, per farmi più patire.

è INSULTATO E SCHERNITO IN CROCE
Stando poi così fin croce, soffrendo tutti questi dolori, alzavo alle volte gli occhi, e vedendo tutti i miei nemici che mi schernivano. Da qualunque parte guardassi, trovavo materia di dolore e di pene. Tutti mi insultavano, mi bestemmiavano, mi ingiuriavano. I più mi dicevano: Va' ora, e chiama il demonio, o perfido stregone, acciò ti liberi dalle pene, come tu hai liberato tanti dalle loro infermità e dolori! Vedi se operavi per opera del demonio; hai liberato tanti e non puoi liberare te stesso. perché ora stai nelle mani della giustizia! Altri mi dicevano Se sei figlio di Dio, come tu stesso ti chiami, scendi dalla croce e ti crederemo. Ed altri ancora: Va' ora, chiama tutti quelli che hai risanato e tutte le turbe che ti seguivano, acciò ti vengano a liberare dalle nostre mani! Vedi, come tutti ti hanno abbandonato? Perché sono arrivati a conoscere che sei un infame seduttore. Solo una pubblica peccatrice, la tua Madre e i tuoi parenti, si trovano presenti alla tua morte! Vedi come da tutti sei abbandonato e fuggito? Anche dai tuoi più intimi discepoli! O come tutti si sono avveduti della tua infamia e dei tuoi inganni; Altri mi dicevano Va', ora, millantatore, disfa il tempio, e poi riedificalo in tre giorni, come ti eri vantato! Tacevo io, né mai dissi parola alcuna. E questi perfidi mi dicevano Dove sono andate la tua grande eloquenza, la tua dottrina, la tua attrattiva? Ora non sai più parlare, perché non hai più con te l'assistenza dei demoni. Tutte queste parole mi ferivano il Cuore, e mi facevano soffrire una grande amarezza, vedendo tanto oltraggiata, schernita e vilipesa la divinità, che sotto le spoglie dell'umanità stava nascosta (1).
Vedevo il divin Padre irato in atto di fulminare i perfidi sacrileghi. Ed io, gli dicevo: Ecco, o mio divin Padre, che io sono posto in mezzo, fra voi e l'uomo: perciò serva io di riparo ai castighi! Rimirate, o Padre, la mia sofferenza, le pene, i miei dolori e tormenti! Tutti ve li offro in sconto delle offese che ora ricevete e riceverete da tutto il genere umano. Si plachi dunque il vostro giusto sdegno, e si scarichi tutto il flagello sopra di me, perché sono pronto a soffrire tutto, ed a dare al vostro giusto furore tutta la soddisfazione. A queste parole si placava il divin Padre, ed io restavo il bersaglio delle pene.
Nel sentire le ingiurie e le bestemmie, che quei perfidi vomitavano contro di me, si rappresentarono alla mia mente tutti coloro che per seguirmi ed imitarmi, sarebbero stati dagli empi calunniati, insultati, ed oltraggiati: ne intesi una grande amarezza. E rivolto al Padre lo supplicai di dare ad essi la sua grazia, la fortezza e la virtù per soffrire tutto con pazienza, per amor del mio Nome, per sua maggior gloria e per profitto delle loro anime. E vidi, che il Padre l'avrebbe fatto con grande amore. Di ciò gli resi grazie. Intesi però una grande amarezza nel vedere la moltitudine di coloro che non avrebbero voluto soffrire una minima ingiuria o parola di offesa; ed avendo io lasciato ad essi sì grande esempio di sofferenza, non mi avrebbero in modo alcuno voluto imitare. Perciò, rivolto al Padre, lo supplicai, per quella mia, sofferenza, di volersi degnare di illuminarli, facendo loro conoscere che devono anche in questo imitarmi perfettamente. Avendo sofferto tanto io, Re e Signore, per loro amore e per lasciare a loro gli esempi, devono anche essi soffrire per amor mio e per imitarmi, se vogliono essere partecipi degli onori e della gloria immortale che ho acquistato ad essi con tante pene. E vidi, che il Padre l'avrebbe fatto, e che molti si sarebbero approfittati dei lumi e della grazia, soffrendo poi con pazienza le ingiurie, le derisioni, gli insulti ed ogni altro maltrattamento, che dalle persone cattive e perverse sarebbe loro stato fatto. Di ciò resi grazie al Padre e lo supplicai di continuare verso i medesimi coi suoi aiuti e con la sua grazia: Intesi poi una più grande amarezza; quando vidi il grande numero di quelli che di tutto si sarebbero abusati, non facendo conto alcuno dei miei esempi, della grazia, dei lumi ed aiuti, che avevo loro impetrato dal divin Padre. E molto più si accrebbe la mia pena ed amarezza, nel vedere che questi avrebbero dovuto poi soffrire, per un eternità, gli insulti, le ingiurie, i mali trattamenti e molti strapazzi dai demoni, negli eterni abissi, perché sarebbero andati sempre tanto lontani dai miei insegnamenti, non volendomi imitare in modo alcuno. Essi non sarebbero mai arrivati al possesso della gloria da me loro acquistata, perché non mi seguono per la via che io ho calcato e ad essi insegnato con tanta carità ed amore.
Sentiva la mia diletta Madre tutti gli improperi e gli scherni che facevano contro di me, e ne veniva trafitta dal dolore per le offese divine; ed anche da questa parte si accrescevano a me le pene, perché la vedevo tanto tormentata nell'anima. Lei conosceva che anche io per questo soffrivo dell'amarezza; e ciò le accresceva il dolore, in modo che Lei serviva a me di maggior pena, ed io a Lei di maggior dolore.
Furono tante le ingiurie, i dispregi, gli scherni, gli improperi che ricevetti da tutto il popolo, mentre stavo in croce, che più non ne seppe ritrovare ed inventare la malizia farisaica, come anche la malizia delle furie infernali. Su questo monte, fui saziato di obbrobri e di scherni, e la fame e la sete che avevo di più patire, trovò un pascolo sufficiente ad estinguerla e renderla sazia appieno, perché furono molti e di ogni sorta: ed il contraccambio che io resi a questi perversi, fu di pregare il divin Padre di saziare le loro anime e riempirle di consolazioni e di grazie, ogniqualvolta, pentiti e ravveduti dei loro errori, fossero ricorsi a Lui. Ed il Padre si mostrò pronto a farlo; ed io stesso mi determinai di voler saziare ed inebriare del mio amore tutte le anime che, con cuore umile e contrito, fossero ricorse a me per il perdono, e si fossero poste a seguirmi con fedeltà e con buona volontà.

ESORTAZIONE ALLA SUA SPOSA
Hai inteso ciò che io operai stando in croce: come invitai tutti a venirmi a contemplare, e molti anche ad inchiodarsi in croce, e vivere crocifissi al mondo. Una di queste invitate sei tu, sposa mia; perché per mezzo dei voti ti sei inchiodata alla mia croce ed hai determinato di vivere crocifissa, e perfettamente imitarmi, come mia vera e fedele sposa. Sta' perciò attenta nell'osservare perfettamente, quanto mi hai promesso. E per farlo, guardami attentamente sulla croce, e pensa che quello è l'originale, di cui devi ricopiare in te stessa un perfetto modello. Corrispondi agli inviti della grazia, per arrivare allo stato, al quale sei chiamata e destinata. Né vi porre alcun ostacolo con la tua incorrispondenza, altrimenti, misera te, perché essendo tanto favorita e graziata, devi di tutto rendere stretto conto. Ma te felice e beata, se corrisponderai e custodirai nella tua mente le mie divine parole, e metterai in pratica quanto io ti insegno! Sappi, che se ti corre l'obbligo di assomigliarti a me, come mia sposa, ti corre anche l'obbligo di mettere in pratica tutti gli insegnamenti che io ti do, come mia discepola. Perché quanto sono di maggiore scienza i maestri, tanto riescono virtuosi i discepoli. Quale dunque deve essere la virtù in te, che hai la sorte di avere sì buono e perfetto Maestro! Si paziente nel soffrire le ingiurie e gli scherni; e quando l'animo si vuol risentire, dà un occhiata a ciò che io soffrii stando in croce, e pensa a ciò che dissi e feci contro quelli che mi insultavano,bestemmiavano ed oltraggiavano. Allora vedrai come ti devi portare anche tu, come devi ricevere tutto in silenzio, e pregare per quelli che ti oltraggiano e scherniscono. Maria! sta bene attenta! perché io voglio che tu si mia perfetta discepola! E se tanta carità e tanto amore ho io per te, che sei creatura vilissima, quanta ne devi aver tu verso di me, che sono il Re della gloria ed il Padrone assoluto di tutto il creato? Come devi corrispondere a tanta carità, a tanta liberalità, a tanto amore? Infine, sta' bene attenta a vivere in modo, che io possa prendere in te le mie delizie, regnando sempre in te, e tu possa continuare a godere delle grazie, che io con tanta liberalità e con tanto amore, vado partecipando all'anima tua. E regnando io in te, nella presente vita, puoi star certa, che verrai a regnar meco per tutta l'eternità nel mio Regno.

CAPO TREDICESIMO
Delle sette parole che disse il Figliuolo di Dio sulla croce. Della conversione del ladro che stava alla sua destra, e di ciò che operò nel suo interno prima di morire.

PREGHIERA DI GESù IN CROCE
Stando in croce, soffrendo tutti gli improperi e gli scherni che ho detto, non lasciavo di pregare il divin Padre per la conversione di tutto il popolo, che tanto mi insultava, specialmente per i due ladri che stavano in mia compagnia crocifissi, perché anche essi stavano soffrendo asprissimi dolori, ed erano in procinto di morire; bramavo che le loro anime avessero goduto il beneficio della redenzione. Perciò ne porgevo calde suppliche al Padre. Difatti non mancava il Padre di inviar loro i suoi lumi; avevano anche l'esemplare dell'invitta sofferenza.

CONVERSIONE DEL BUON LADRO
Il ladro che stava alla mia destra si andava illuminando; già si era fermato con la mente a pensare come io soffrivo tutto con tanta pazienza. Ciò fece nel salire il Calvario, e dopo essere stato inchiodato sulla croce. Ma tutte le riflessioni erano di passaggio: perché poi anche lui si accordava con gli altri a schernirmi e ad oltraggiarmi. Furono però tante le riflessioni che fece sopra la mia sofferenza, che, alla fine, una si fermò nella sua mente. Illuminato dal divin Padre, conobbe chiaramente le virtù da me praticate sulla croce, e la mia invitta pazienza fra tanti scherni, ingiurie e patimenti. Rivolto lo sguardo verso di me, si mise a contemplare le mie pene. Vide il mio lacero corpo, che era tutto una piaga, e, stupito di tanta sofferenza, incominciò ad avere grande compassione di me. Perciò rivolto al compagno che mi bestemmiava, gli disse: Noi meritatamente siamo castigati e scontiamo i nostri misfatti, perciò, ben ci sta questo castigo. Ma quest'uomo, che tanto patisce, che male ha fatto, essendo innocente? Pur vedi con quale pazienza soffre tante pene! (1).
A queste parole, il ladro che stava alla sinistra, invece di rientrare in sé, incominciò ad infuriare di più, ed a maltrattare il compagno. Ed il ladro, che stava alla destra e mi aveva confessato innocente, ricevette un nuovo lume, e mi conobbe per vero Figlio di Dio. Fissati di nuovo in me gli sguardi, si pose a contemplarmi, e nello stesso tempo il suo cuore fu ferito da un grande dolore, sia per i suoi misfatti, come per le mie pene. Nel rimirarmi e contemplarmi attentamente, riconobbe in me la mia divinità, cioè, conobbe chiaramente esser io il Figliuolo di Dio; e lo credette fermamente.

LA PRIMA PAROLA
Mentre tutto ciò si andava operando nell'interno del ladro ché stava alla mia destra, e il popolo mi insultava e bestemmiavo, facendo tutti a gara a chi più mi potesse schernire ed ingiuriare, specialmente gli Scribi ed i Farisei che si trovavano presenti e vomitavano contro di me bestemmie ed ingiurie esecrande, vedevo il Padre irato contro di loro, ed io lo supplicai ad alta voce, dicendogli: Padre mio, perdonate loro, perché non sanno ciò che si fanno (2). Questa fu la prima parola che dissi, stando in croce, cioè: pregai il Padre di perdonare ai miei nemici, che tanto mi oltraggiavano; e li scusai col dire, che non sapevano ciò che facessero.
Quantunque avessi pregato continuamente il Padre per essi, volli però infine farlo pubblicamente, ad alta
voce, perché ognuno mi udisse; e per lasciare l'esempio a tutti i miei seguaci, come devono comportarsi con chi li perseguita e li offende. Nello stesso tempo supplicai il divin Padre di volersi degnare di dare a tutti i miei fratelli lume e grazia di potermi imitare.
Si placò il Padre e si mostrò pronto al perdono, come anche a dare a tutti la grazia ed il lume da me richiesto. Vidi allora tutti coloro che si sarebbero approfittati del detto lume e della grazia, e di essi resi grazie al Padre. Vidi però, con mia grande amarezza, quanti se ne sarebbero abusati, e avrebbero domandato castigo e vendetta invece di perdono, ed avrebbero accusato e non scusato i loro nemici. Perciò, rivolto di nuovo al divin Padre, lo supplicai di dare a questi maggior lume e grazia. E vidi, che il Padre l'avrebbe fatto, e che alcuni si sarebbero ravveduti, e mi avrebbero imitato, pregando per i loro nemici e scusandoli. Di ciò resi grazie al Padre, supplicandolo di essere anche lui liberale nel perdonar loro le offese ricevute. E vidi, che il Padre l'avrebbe fatto, ed anche di ciò lo ringraziai. Intesi però una più grande amarezza e dolore, nel vedere la moltitudine di coloro, che anche di questa nuova grazia si sarebbero abusati ed avrebbero sempre conservato sdegno e rancore verso chi una volta li aveva offesi, ed avrebbero sempre domandato al Padre castigo e vendetta contro gli offensori. Intesi maggiore amarezza nel vedere che essi non avrebbero ottenuto dal Padre il perdono delle proprie colpe, e che sarebbe caduto sopra di loro il castigo, che, con tanta ostinazione e perversità, bramavano cadesse sopra chi li offese. Del che restò il mio Cuore molto amareggiato.
Avendo inteso i Farisei, gli Scribi ed il popolo che stavano oltraggiandomi, la parola che io dissi al divin Padre in loro favore, presero a insultarmi e schernirmi maggiormente, gridando: Come? tu, infame, bugiardo, dici che non sappiamo ciò che facciamo, mentre sai molto bene, che ti conosciamo chiaramente per uno stregone, seduttore, malfattore ? Chiedi il perdono per te, che tanto male hai fatto, non per noi, che operiamo con giustizia, dandoti il castigo meritato!
A queste parole, dette con tanta sfacciataggine ed impertinenza, veniva ferito il mio Cuore da un aspro dolore, mentre il divin Padre si adirava molto contro di loro per le gravi offese che riceveva nella persona mia. Ed io di nuovo lo supplicavo del perdono per tutti i perversi, per tutti quelli che sarebbero vissuti male, e che ogni cosa avrebbero presa in male, cioè: che di tutte le grazie, da me loro meritate, si sarebbero serviti per maggiormente offendere il divin Padre.
Intese le mie parole la mia diletta Madre, ed anche lei mi accompagnò nella supplica. Ogni volta che proferivo le parole, parlavo al di lei cuore dicendole: Imitatemi, cara Madre, ed anche voi supplicate il divin Padre nel modo che viene supplicato da me. E la Madre in tutto si mostrava fedelissima compagna.

LA SECONDA PAROLA
Intese le suddette parole il ladro che stava alla mia destra, e già nel suo interno, convertito ed illuminato, sentendo che io supplicavo il Padre che perdonasse a quelli che mi oltraggiavano, si riempì di fiducia e di speranza, e disse fra di sé: Se con tanta carità,ed amore prega il suo divin Padre che perdoni a questi, che tanto l'oltraggiano, molto più posso sperare il perdono e la grazia io, che l'ho dichiarato innocente e lo credo vero Figlio di Dio. Animato da questo pensiero, confidando nella mia bontà e carità, rivolto a me, disse, con grande fede ed umiltà: Signore, ricordatevi di me, quando sarete nel vostro Regno.
Al quale subito risposi: Oggi sarai con me in Paradiso (1). Questo gli dissi subito, perché il divin Padre, mentre il ladro proferiva le suddette parole, gli donò il perdono ed il paradiso insieme.
Fatta da me la promessa al ladro, si riempì l'anima sua di consolazione. Difatti si trovò libero dal grave
peso delle sue colpe, e, ripieno della divina grazia, incominciò, meglio che poté, a lodare e benedire il Nome mio, ed a soffrire tutti i suoi dolori in sconto delle sue passate colpe. Si angustiava molto nel vedere la grandezza dei miei dolori, e capiva che lo li soffrivo per la salute delle anime, perché conobbe essere io il Messia promesso, che dovevo riscattare il mondo.
Lodai e ringraziai il divin Padre per i lumi e la grazia datti al buon ladro già convertita; lodai ed esaltai la divina Misericordia, che tanto liberale si era dimostrata verso di lui. Ciò lo feci anche da parte sua. Nella persona del ladro convertito vidi tutti i peccatori che si sarebbero convertiti ed avrebbero approfittato dei lumi divini e della divina grazia; e questi erano in gran numero. Per tutti, resi grazie al divin Padre, lodando la divina misericordia, che tanto liberale si sarebbe mostrata versa di loro. Per tutti domandai il dono della perseveranza nella grazia, e la pazienza in tutte le pene, che avrebbero dovuto soffrire, in sconto delle colpe commesse. Il Padre mi promise tutto. Intesi però una grande amarezza nel vedere l'ostinazione del cattivo ladro che stava alla sinistra, il quale tanto abusava dei lumi e della grazia. Nella persona del cattivo ladro, vidi tutti i peccatori ostinati, che sarebbero morti impenitenti, e che tanto avrebbero abusato dei lumi divini, della grazia e di tutti gli aiuti che il Padre, con tanta liberalità, avrebbe loro inviato. Ed oh, quanto grande fu il dolore e l'amarezza del mio Cuore! Adorai gli occulti giudizi del divin Padre, ed esaltai la divina giustizia, che si sarebbe compiuta sopra di loro; perché, abusando della divina misericordia, sarebbero infine arrivati a provare i rigori della giustizia divina.

COMMOZIONE DEL CREATO
Mentre stavo così in croce, soffrendo asprissimi dolori e tormenti, seguitavano tutti ad insultarmi ed oltraggiarmi con parole e con gesti insolenti. Vi erano già le tenebre folte, in modo che appena mi potevano vedere: il sole si era oscurato e tutte le creature insensibili mostravano ira e sdegno verso i crocifissori ed il popolo ingrato e ribelle: tutte stavano in atto di vendicare le offese e la morte dolorosa del loro Creatore. Ed io pregavo il Padre di non permettere che cadesse sopra quel popolo alcun astro, offrendogli, in sconto delle loro gravi colpe, le mie pene ed i miei dolori. Ed il Padre tratteneva, per le mie suppliche, tutti i castighi e le vendette, che avrebbero fatto le creature insensate, specialmente la terra, che stava per aprirsi e subissar tutti.
I perfidi vedevano tutti questi segni, ed invece di ravvedersi del loro grave errore, e di riconoscere che uccidevano il loro Creatore e Redentore, si rivolgevano con più,crudeltà contro di me, dicendo che facevo tutto con arte diabolica, che ero un mago, uno stregone, che i demoni facevano comparire tali segni, e turbavano tutti gli elementi, perché si stava dando la morte ad uno, di cui essi si servivano per precipitare tante anime, dopo averle tirate al loro partito.
A tanta perversità ed iniquità non si smorzò la fiamma ardente, che divampava nel mio Cuore, e l'amore che avevo verso di loro, bramando sempre più la loro eterna salute. Perciò, quantunque mi oltraggiassero tanto, non cessai di pregare per essi e di scusarli presso il divin Padre.

IRA DEI DEMONI
Stavano quivi i demoni tutti, infuriati per i segni che vedevano, e molto più per vedere la mia sofferenza e invitta pazienza fra tanti oltraggi, pene e dolori. Incominciavano a capire che potessi essere il vero Figlio di Dio, umanato, per riscattare il genere umano, e si andavano tormentando gli uni con gli altri, armati di rabbia; ma si andavano animando col pensare, che non era possibile che un Dio si fosse ridotto a tale stato. E si mettevano a tentare maggiormente tutti quelli che stavano sul Calvario per oltraggiarmi, acciò mi avessero sempre più schernito. Dicevano fra di loro Se questi non è il Figlio di Dio, darà alla fine in qualche atto d impazienza. Non è possibile che un puro uomo possa soffrire tanto, senza almeno lagnarsi. Perciò facciamo pure tutti i nostri sforzi per farlo cadere. Se è il Figlio di Dio, giacché ora non vi è più riparo, perché si vede che va morendo, sfoghiamo pure il nostro odio, furore e sdegno verso di Lui, giacché ora ci è permesso e lo possiamo, non essendoci alcuna forza che ci trattenga. E difatti, si posero come disperati, ad attizzare gli Scribi e i Farisei con tutto il popolo, suggerendo loro le più esecrande bestemmie, insolenze e scherni, che mai potesse ritrovare la l'oro malizia.
Tutto vedevo, sposa mia, e tutto soffrivo con invitta pazienza, non dando mai segno alcuno di sdegno o di vendetta, ma soffrendo tutto con grande amore e serenità di volto, il quale, benché fosse tanto deformato e contraffatto, pure si rendeva amabile a chi lo mirava con occhi di compassione e con buon cuore, come facevano Giovanni, la Maddalena, e le altre devote donne, le quali erano eccitate a più amarmi e compatirmi nelle mie pene.

IL DONO DELLA MADRE
Stando già così tormentato ed avvicinandosi l'ora della mia morte, stabilita e decretata dal Padre, rimirai tutti i miei fratelli con occhi di compassione e d'amore e volli, nell'ultimo della mia vita, dare ad essi un segno dell'amore sviscerato, che a tutti indistintamente portavo, e questo segno fu di dare a tutti per loro Madre, la mia Madre stessa. Già avevo loro donato tutto me stesso; dopo di questo non avevo cosa più preziosa da dar loro della mia diletta Madre. E per mostrare ad essi l'amore che a tutti portavo, feci loro, anche di questa, un liberalissimo dono, spogliandomi di tutto per arricchirli. Perciò fissai gli occhi nella mia diletta Madre, e le parlai al cuore, dicendole: Madre mia! Voi sapete che siete la mia delizia e la cosa più cara che io abbia. Perciò voglio anche di questo privarmi nel mio morire, e lasciarvi per Madre a tutti i miei fratelli. Voglio spogliarmi di questa consolazione, e dichiararvi Madre di Giovanni, e nella persona di Giovanni intendo dichiararvi Madre di tutti i miei fratelli. Non temete però, se io non vi chiamerò col titolo di Madre mia, perché non per questo non sarete mia Madre, anzi, mi sarete doppiamente Madre, ed a me più cara e diletta, perché sarete anche Madre di tutti i miei fratelli, per i quali ho dato tutto il sangue, ed ora dà la vita morendo per essi. E per questo sarete da me amata e rimirata prima come mia Madre e poi come Madre di tutti i miei fratelli. Ma in questo punto del mio morire, mi voglio spogliare di questa consolazione, cioè, di chiamarvi Madre, e restar privo di tutto ciò che io possiedo, per donarlo ai miei fratelli, affinché vedano a qual segno sia arrivato l'amore che porto loro. Degnatevi voi dunque, o mia cara Madre, di ricevere tutti miei fratelli per vostri figli, e di praticare sempre verso di loro l'amore di vera Madre: tutti io ora vi raccomando; e vi supplico di non voler escludere neppur uno solo dal vostro materno amore, come io neppure uno solo escludo dal beneficio della redenzione.
A queste parole rispose la diletta Madre: Eccomi pronta, o mio Figlio e Signore, ad eseguire in tutto la vostra volontà. Di buon cuore accetto tutti i vostri fratelli per miei figli, anche questi stessi che vi hanno crocifisso, ed ora tanto vi oltraggiano. Sono pronta a fare verso di tutti l'ufficio di vera Madre. E se voi, Dio di immensa grandezza, non escludete alcuno dal beneficio della redenzione, perché chi vorrà potrà salvarsi, come potrò io, vostra creatura e Madre, escludere alcuno e negare ad alcuno il mio materno amore? Eccomi pronta ad abbracciar tutti: chiunque si accosterà a me con filiale amore, mi sperimenterà vera ed amorosa Madre, e mi avrà propizia in tutti i suoni bisogni, tanto spirituali come temporali. E giacché la vostra infinita bontà si degna di darmi a tutti per Madre, si degni ancora di udirmi ed esaudirmi in tutte le suppliche che vi porgerò, ed in tutte le richieste che vi farò a pro del genere umano. Ora io di nuovo accetto tutti per miei figli, e solo resta trafitto il mio cuore nel vedere che tanti e tanti abuseranno della detta grazia, non facendo alcun conto del mio materno amore, e non ricorrendo a me in tutti i loro bisogni. Ma con tutto questo non lascerò giammai di fare verso di essi, l'ufficio di Madre, ad imitazione vostra, che non lasciate di fare l'ufficio di avvocato presso il divin Padre, anche per questi, che tanto vi offendono. Degnatevi dunque voi, o mio Dio e Figlio diletto, di darmi tutte quelle prerogative, che si richiedono ad una, che essendo già stata graziata e privilegiata ad esser Madre vostra, sia ora eletta da voi per Madre di tutti i viventi.
A queste parole dissi: Voi, Madre mia, siete piena di grazia, ed in voi si trovano tutte le virtù e tutte le prerogative, perché possiate degnamente esercitare un tale ufficio. Ed io stesso, ora, vi ringrazio a nome di tutti i miei fratelli, dell'amore con cui vi degnate accettare l'ufficio di loro Madre. Rallegratevi, perché vedrete molti dei vostri figli regnare nella celeste Gerusalemme, e, se le vostre pene sono tante, nel vedere, per divina manifestazione, che tanti e tanti abuseranno e non faranno conto alcuno del vostro materno amore, siano anche grandi le vostre allegrezze, nel vedere che tanti e tanti vi saranno figli ed imiteranno i vostri esempi, onde a voi tanta gloria ne risulterà nel regno dei cieli, e ne resterà tanto glorificato il divin Padre. Allora la diletta Madre, unita con me, adorò, ringraziò e lodò la divina, beneficenza a nome di tutto il genere umano, per avergli dato me, suo Unigenito, per Redentore, e lei per Madre.
Passato tale ufficio con la diletta Madre, vidi tutti coloro che avrebbero approfittato di una grazia sì speciale, l'avrebbero imitata e riconosciuta per loro Madre, e come tale obbedita ed ossequiata. Di tutti resi grazie al Padre. Intesi però una grande amarezza e dolore, nel vedere il numero grande di quelli, che avrebbero abusato di grazia sì speciale. Io avevo tutti già presenti alla mia mente, sia i buoni come i cattivi. Vidi anche quelli che l'avrebbero oltraggiata, seminando, con i loro scritti e detti, tante falsità contro di Lei. Rivolto al divin Padre lo supplicai di volersi degnare di mandare al mondo ministri fedeli, acciò avessero difeso l'onor suo, e fatto conoscere, con i loro scritti e detti, la sua integrità verginale e la sua divina maternità. Vidi, che il divin Padre l'avrebbe fatto con somma provvidenza, a beneficio di tutti i fedeli, ed a gloria della medesima. Di questo resi grazie al Padre, anche a nome di tutta la Chiesa. Vidi che in tutte le nazioni vi sarebbe stato chi l'avrebbe onorata e chiamata beata, per la sublimità del posto a Lei concesso, cioè, di essere stata eletta per mia vera Madre, e privilegiata sopra ogni altra pura creatura; e come da tutta la Chiesa sarebbe stata lodata e magnificata la sua purità ed immacolata concezione. Di tutto ne resi grazie al Padre: preso da un impeto d'amore verso il genere umano, la dichiarai sua Madre, dicendole:

LA TERZA PAROLA
Donna, ecco il tuo figlio accennandole la persona di Giovanni, e nella persona di Giovanni tutto il genere umano. Le accennai la persona di Giovanni, perché questo discepolo era onorato della nobile virtù e speciale prerogativa della purità verginale. Si doveva ad una Madre, vergine purissima, uno che fosse ornato di sì nobile virtù, affinché ognuno faccia stima di questa preziosa gioia della purità, e sappia che quanto più sarà puro e casto, tanto più sarà amato e riconosciuto per figlio, da questa purissima Madre. Né speri di godere la protezione di questa Madre ed il suo materno amore, chi vuol vivere immerso nell'impurità. Chi brama conservare o acquistare sì nobile virtù, ricorra a Lei, a Lei si appressi, che la troverà in suo aiuto.
Avendo io pronunciato le suddette parole, la diletta Madre chinò la testa e rimirò Giovanni, e nella di lui persona accettò di nuovo tutto il genere umano per figlio. Ed io, rivolto a Giovanni, gli dissi: Ecco la tua Madre, accennandogli la mia diletta Madre; ed il discepolo, pieno di consolazione ed anche di confusione, chinò la testa in auto di ossequiarla e riceverla per sua Madre. Intese consolazione per la grazia speciale che riceveva, e confusione per riconoscersi indegno di un tanto e sì sublime favore. Nella persona di Giovanni vidi che i miei fratelli l'avrebbero riconosciuta per loro Madre. Il diletto discepolo, nel pronunziar Io le parole, intese nascere nel cuore un filiale amore verso la diletta Madre, e di allora in poi l'amò sempre con amore di vero figlio, avendola prima rimirata, temuta ed amata come sua Signora e Madre del Messia. Allora egli si prese la cura specialissima di assisterla per tutto il restante della di lei vita; ed anche la dilettissima Madre rimirò poi sempre con materno amore, il diletto suo figlio Giovanni, arricchendolo dei grazie e speciali favori, specialmente di una particolare benevolenza, trattenendolo in sacri colloqui, parlando per lo più fra di loro dei misteri divini e della mia predicazione, passione e morte, ed insieme andavano liquefacendosi le loro anime in amore e dolore per le pene da me sofferte.
Nel proferire le parole alla mia diletta Madre, cioè Donna, ecco il tuo figlio, intesi una grande amarezza, perché soffrii, come se già fossi rimasto privo della mia diletta Madre. Questa pena ed amarezza la volli soffrire, per meritare la divina consolazione a tutti coloro, che, per disposizione divina, restano privi delle cose a loro più care. Perciò, rivolto al divin Padre, lo supplicai di volersi degnare di consolare tutti i miei fratelli nell'occasione in cui rimangono privi delle cose da essi molto amate. E vidi, che il Padre l'avrebbe fatto. Lo supplicai ancora di dare a tutti virtù e grazia da poter vivere distaccati dalle cose anche più sante, acciò, dovendo anche di queste restare privi, si uniformino alle divine disposizioni ed alla divina volontà. E vidi che il Padre l'avrebbe fatto, e quanti si sarebbero approfittati della grazia. Del che resi grazie al Padre. Intesi però dell'amarezza, nel vedere il numero grande di quelli che se ne sarebbero abusati.
Al proferire le suddette parole alla diletta Madre, cioè: Donna, ecco il tuo figlio, intese altresì la diletta Madre un grande dolore, perché intese in se stessa la pena, come se restasse priva di me. Ed in questa sua pena si uniformò alla divina volontà, e si unì con me nell'offerta che facevo al Padre. Intese anche nascere un materno amore verso tutto il genere umano; e quantunque l'avesse avuto anche per l'addietro, tuttavia allora nacque in lei un amore più intenso e cordiale, con un più Vivo desiderio della salute di tutti, rimirando tutti come suoi figli. E nel vedere quelli che tanto mi oltraggiavano, ne intese una più grande amarezza, perché li vedeva come figli di perdizione. Fece per questi una supplica premurosa al divin Padre per la loro eterna salute. Ma essi di tutto abusano; non già che la diletta Madre non facesse il possibile perché si ravvedessero e si salvassero.
La mia diletta Madre, ai piedi della croce, era guardata da molti, che rimanevano ammirati della sua fortezza e costanza, della modestia e sofferenza, in modo, che alcuni dicevano: Gran donna è questa! Fra tante pene ed obbrobri del figlio, non si risente, non si lamenta, non si scompone. Vedendo che era ammirata la virtù e la fortezza della mia diletta Madre, non la chiamai col nome di Madre, per privarmi dell'onore che mi poteva risultare, di avere una tale Madre, perché volli morire spogliato affatto, non solo della roba, ma anche dell'onore, dando con ciò esempio ai miei fratelli, che non solo devono vivere distaccati dalla roba, ma anche da ogni stima mondana. Di ciò ne porsi supplica al Padre, affinché si fosse degnato di dare a tutti lume per conoscere la vanità della stima e dell'onore del mondo, onde non ne avessero fatto alcun conto, ma avessero stimato solo l'onore e la gloria divina, ed il loro vero onore e ricchezza, che consiste nelle vere virtù (1).

L'ABBANDONO DEL PADRE
Trovandomi fra tante pene ed angustie, spogliato affatto di tutto, privo anche della Madre, volli soffrire un abbandono ed una privazione assai più dolorosa e sensibile alla mia umanità ed al mio spirito, perché restai abbandonato anche dal Padre. Qui sì, che l'anima mia intese un asprissimo dolore e la mia umanità un incomprensibile tormento ed amarezza. Il divin Padre fece che la divinità, che stava ipostaticamente unita al mio spirito, sospendesse affatto ogni conforto che da quella gliene potesse derivare, e la mia umanità restò abbandonata adatto al dolore, alla pena, all'amarezza, senza alcun aiuto speciale che mi desse forza di poter soffrire tutti quegli aspri tormenti. Tale abbandono fu sì grande, che solo io che lo soffri, lo posso intendere. Non vi è mente, né umana, né angelica, che sia sufficiente a capirlo; perciò le mie pene non possono essere mai abbastanza comprese, perché non vi è mente che le possa penetrare.
Trovandomi in questo si grande abbandono, colmo di affanni, di dolori, di angustie, di amarezze, con smanie mortali, privo quasi di respiro, oh, quanto erano grandi, sposa mia, le mie pene! Allora 1'orribile tempesta di tante pene e martiri mi sommerse. Restando allagato in un mare amarissimo di tormenti, rivolgevo or qua or là gli occhi, per vedere se si trovava chi porgesse, alle mie grandi afflizioni, una stilla di conforto. Non vedevo che oggetti di pene. Si esasperarono i miei dolori corporali, lo spasimo delle piaghe delle mani e dei piedi; facevo alcuni movimenti per trovare qualche sollievo: tutto mi serviva di maggior cruccio. Già la testa non mi reggeva più. Incominciai a sentire gli orrori ed i terrori della vicina morte. Fra tanti miei spasimi e dolori mentali, non sentivo altro che bestemmie, improperi, derisioni, insulti; onde il mio cuore, trafitto dal dolore, stava al sommo amareggiato. I miei crocifissori si posero in faccia a me, a giocare le mie vesti, e dividersele fra di loro con scherno e derisione. Già si andava oscurando il lume dei miei occhi. Fra tante pene, si rappresentarono alla mia mente tutti gli affanni che avrebbero sofferto nell'anima coloro che stando in afflizioni, vengono anche abbandonati dal divin Padre,
che si sottrae ad essi, in prova della loro fedeltà ed amore. Ed io allora le sentivo tutte in me stesso, soffrendo gli abbandoni di spirito di tutte le anime giuste. Tutto offri al Padre, per impetrare ad esse la fortezza nelle suddette pene, ed anche la divina consolazione.

LA QUARTA PAROLA
Essendo giunte al colmo le mie angustie, rivolto al divin Padre, esclamai: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? (1) Lo chiamai due volte, affinché accorresse ad apportarmi qualche conforto. E questa supplica gliela feci anche a nome di tutti i miei fratelli; pensando che si sarebbero trovati anch'essi in sì grande afflizione. Non lo chiamai col nome di Padre, perché già mi ero di tutto privato, non avendo cosa alcuna che mai potesse apportar conforto. La parola di Padre apportava consolazione al mio spirito, e perciò anche di questo mi privai. Mi consideravo non più come vero Figlio di Dio, ma come obbrobrio degli uomini ed abiezione della plebe; e come se il Padre fosse irato verso di me, non ardi chiamarlo con tale nome, ma col suo nome proprio, cioè, di Dio. Dissi: Dio mio perché già ero suo, non essendo in me cosa alcuna che da Lui mi potesse separare; e tutto il carico dell'iniquità del genere umano, che mi ero addossato, non era mio. Anche di ciò ne porsi supplica al Padre, affinché avesse dato tanta grazia a tutti i miei fratelli, di vivere sempre in modo che non siano mai da Lui divisi o separati, onde con buona faccia passano dichiararsi suoi. Feci questa supplica al Padre a guisa di lamento, per insegnare ai miei fratelli di ricorrere a Dio nelle loro afflizioni, amorosamente lagnandosi di trovarsi abbandonati, affinché il divin Padre, con prontezza, porga loro aiuto e li consoli. E vidi tutti coloro che in questo mi avrebbero imitato, e per tutti supplicai il divin Padre di accorrere a porger loro conforto ed aiuto nelle loro gravi afflizioni e travagli. E vidi che il Padre l'avrebbe fatto con paterna amore, ed avrebbe goduto di sentirsi in tal modo pregare; che volentieri avrebbe inteso i dolci e cordiali lamenti di chi si trova in gravi travagli e in derelizioni. E per meritare ai miei fratelli le suddette grazie, mi contentai di restar privo di ogni conforto e di non avere consolazione alcuna, nell'ultima ora del mio vivere. Intesi però una grande amarezza nel vedere il grande numero di quelli, che nelle loro pene ed angustie, invece di ricorrere al divin Padre e seco lui amorosamente lagnarsene, si sarebbero dati in preda alla disperazione, e rivoltati contro il divin Padre, con audacia l'avrebbero oltraggiato e gravemente offeso. Per questi feci una supplica al Padre, acciò li avesse illuminati ed avesse fatto conoscere il loro grave errore. E vidi che il Padre avrebbe dato loro il detto lume con la sua grazia; che alcuni se ne sarebbero approfittati, e, riconosciuto il loro errore, si sarebbero emendati: di essi resi grazie al divin Padre. Fu grande però la mia pena ed amarezza nel vedere che molti si sarebbero di tutto abusati.

LA QUINTA PAROLA
Mentre stavo soffrendo tutti gli spasimi del corpo ed i travagli dello spirito, senza conforto alcuno, da tutti abbandonato, intesi una tormentosissima sete, sia nell'anima, per la salute di tutti i miei fratelli e per la gloria del divin Padre, come nel corpo, per essere del tutto esausto e consumato. Perciò alzai la voce, dicendo: Ho sete (1). Appena fu udita questa parola, i crocifissori presero l'amara bevanda, che prima mi avevano dato e che non avevo bevuto tutta. Attaccata ad una canna la spugna, inzuppata, me la porsero per ristoro alla mia grande arsura, con animo di più tormentarmi con quel pessimo liquore. Come difatti fu, perché essendo tutta la mia lingua inaridita, le fauci arse, le labbra e le gengive tutte ferite e péste, il pessimo liquore mi fece soffrire un grande tormento. E si appagò la sete che ancora avevo di più patire. Ardeva però il mio Cuore di una sete più grande che si compisse presto il mistero decretato dal divin Padre e si formasse, cioè, prima della mia morte, la Chiesa nello stesso mio Cuore, col mio sangue e con l'acqua. Sangue ed acqua che, dopo la mia morte, uscirono dal mio costato, quando fu aperto dalla lancia. Con ciò si manifestò a tutti il mistero che dentro il mio Canore si era operato e vi stava nascosto. E si manifestò dopo la mia morte, in segno che si sarebbe edificata la mia Chiesa col mio sangue e con l'acqua uniti insieme dall'amore che ardeva nel mio Cuore.
Avvenne dunque questa formazione nel mio Cuore, e ciò fu così: l'amarissimo liquore che mi fu dato, fu da me ricevuto con grande amore, e, arrivato nel mio petto, si purificò, addolcì, e divenne , per virtù del divin fuoco che vi ardeva, come limpidissima acqua, e quest'acqua, per divina virtù, entrò dentro il mio Cuore e vi si fermò; ed il sangue del mio Cuore si adunò tutto insieme con quell'acqua, e quivi si formò il mistero della mia Chiesa. Io vi misi, per parte mia, il sangue del mio Cuore, in segno del grande amore con cui vi contribuì, e gli uomini, per parte loro, vi posero l'amarissima bevanda, significata negli aspri tormenti che mi davano, e nella morte, non meno dolorosa che ignominiosa. Ma il tutto, accettato da me con tanto amore, divenne per loro un tesoro di grazie e di meriti. Ecco il mistero dell'amarissima bevanda: in essa gli iniqui non posero se non pene e tormenti alla mia persona, uniti alle scellerataggini ed iniquità delle loro coscienze perverse. Qui si manifestò il mio grande amore, perché, ricevendo nella persona mia tante pene e tormenti, mi servii di questi per preparare a tutti il dono della redenzione, mediante la mia morte, come, ricevendo l'amara bevanda, formai con essa, nel mio Cuore, la Chiesa, sommo beneficio per tutti. In questo formarsi della Chiesa nel mio Cuore, fu nascosto anche il mistero che l'uomo, così amaro per il passato a causa delle sue iniquità, significate nell'amara bevanda, per l'avvenire sarebbe divenuto capace di dare consolazione e dolcezza. Nella Chiesa, infatti, vi sarebbero poi state tante e tante anime che avrebbero amato, onorato e servito fedelmente il divin Padre ed avrebbero imitato me, loro Capo e Signore. Che, se io ho dato il sangue per la salute dell'uomo, egli deve cooperare alla propria salvezza. Non volli operare il mistero di edificare e formare la Chiesa con il mio sangue solamente, ma volli che vi fosse anche l'acqua, cioè, la parte dell'uomo. E quantunque la miscela fosse un amarissima bevanda, nel mio petto si addolcì e si purificò; e ciò si fece con mistero: per insegnare all'uomo che, se per l'addietro era stato molto amaro al suo Dio, per l'avvenire gli doveva e poteva essere dolce e gustoso, operando conforme ai miei esempi, ed offrendo al Padre le opere sue, unite con i miei meriti; ciò sarebbe stato di gusto e di gradimento al Padre.
Rivolto al divin Padre gli offrii la mia grande sete, e lo supplicai che, in virtù di tale offerta, si fosse degnato di perdonare a tutti i miei fratelli le molte offese, che gli avrebbero fatto con la loro intemperanza. Poi lo supplicai di volersi degnare di dare a tutti una sete insaziabile della sua divina gloria e della loro eterna salute. Vidi che il Padre non avrebbe mancato di darla, e che alcuni se ne sarebbero approfittati, e con tutta sollecitudine avrebbero cercato, in tutte le loro operazioni, la gloria divina e la salute delle toro anime. Di questo resi grazie al divin Padre. Intesi però una grande amarezza nel vedere la moltitudine di quelli che si sarebbero abusati della detta grazia: che in tutte le loro operazioni non avrebbero cercato se non la propria gloria e la stima mondana, di tutt'altro avendo sete, fuor che della propria salute eterna. Perciò, rivolto al divin Padre, lo supplicai di volersi degnare di illuminarli facendo loro conoscere l'inganno in cui si trovano. E vidi, che il Padre non avrebbe mancato di dare ad essi il detto lume, con gagliardi stimoli al cuore, ed alcuni avrebbero approfittato della detta grazia e si sarebbero ravveduti del loro errore. Per questi resi grazie al Padre. Intesi però una profonda amarezza nel vedere il grande numero di quelli che ancora ne avrebbero abusato e sarebbero miseramente periti. Lo supplicai anche di degnarsi di dare una sete insaziabile a tutti i suoi ministri e servi veri, della salute dei loro prossimi, affinché vi si fossero impiegati con tutte le loro forze. Lo pregai ancora di voler dare ad essi la sua grazia e gli aiuti particolari, acciò avessero conseguito il loro intento di salvare molte anime persuadendole, guidandole con la parola ed il buon esempio, sicché la sete insaziabile venisse appagata. Vidi che il Padre avrebbe dato loro la detta grazia; vidi il gran frutto che avrebbero riportato dalle loro fatiche, e le molte anime che per mezzo loro si sarebbero salvate. Di questo resi grazie al divin Padre. Fu molto grande però l'amarezza che soffrii nel vedere la moltitudine di quelli, che , ostacolando l'opera dei Sacerdoti, altro non avrebbero cercato che di togliere le anime dal dritto sentiero della salute, per condurle alla perdizione, con i loro detti contrari, con i loro cattivi esempi e persuasioni. Lo pregai ancora, che si fosse degnato di dare a tutti i miei seguaci una grande sete di patire, per più assomigliarsi a me nelle pene. Vidi che il Padre l'avrebbe fatto, e che molti ne avrebbero approfittato, cercando sempre nuovi modi di soffrire. Per questi domandai una grazia speciale, acciò nei loro patimenti, restassero consolati, ed avessero sempre l'aiuto della divina grazia. Il Padre me lo promise, e vidi che l'avrebbe eseguito fedelmente. Di ciò resi grazie al Padre. Intesi una grande amarezza nel vedere la moltitudine dei fratelli, che sarebbero stati miei seguaci solo di nome, ma non di fatto, perché non avrebbero voluto mai soffrire cosa alcuna di penoso, ma sempre sarebbero andati in cerca di delizie e di comodi. Perciò pregai il Padre di illuminarli, e far loro conoscere l'errore in cui si trovano, stando tanto lontani dai miei insegnamenti. E vidi che il Padre avrebbe dato loro il detto lume, ma che pochi se ne sarebbero approfittati, volendo di più godere su questa misera terra, non curandosi di andare a godere i beni eterni, ai quali si arriva con 1'imitarmi nel patire e col negare a se stessi le soddisfazioni, che, apportando consolazione al corpo, danno detrimento all'anima.

PENOSA AGONIA
Avendo rivolto tali suppliche al Padre, ed ottenute molte grazie per tutti i miei fratelli, si avvicinava la mia morte, ed io soffrivo una penosa agonia con smanie e sfinimenti mortali, aggravati da dolori corporali e molto più da dolori interni. Sentivo di andare mancando, abbattuta affatto la mia umanità. Non fu la mia tormentosa e penosa agonia come quella dei moribondi, che, storditi per la gravezza del male, non sentono tanto i dolori corporali. Io intesi tutti gli spasimi finché spirai, stando il mio spirito sempre in un tenore. Oh, quanto furono grandi, sposa mia, le mie pene ed i miei tormenti! Quanti gli spasimi ed i dolori! Tutto offrivo al divin Padre in sconto delle offese che riceveva ed avrebbe ricevuto dal genere umano. Supplicavo il divin Padre, ora che stavo per esalare lo spirito, di volersi degnare di riceverlo nelle sue mani, alle quali lo raccomandai.

LA SESTA PAROLA
Ed alzata la voce dissi: Padre mio, nelle vostre mani raccomando lo spirito mio (1). Nello stesso tempo gli raccomandai lo spirito di tutti i miei fratelli, come cosa mia. In quest'ultimo della mia penosa agonia, chiamai il divin Padre col nome di Padre mio, affinché mi rimirasse con paterno amore, e nella persona mia avesse rimirato anche tutti i miei fratelli, che gli raccomandai con speciale amore, dicendogli Padre mio, rimirate me, vostra unico e diletto Figlio, e nella persona mia, rimirate, vi prego, tutti i miei fratelli. Rimirateli con paterno amore, in virtù dei tormenti che ora sto soffrendo, e dei patimenti che ho sofferto tutto il tempo della mia vita mortale. E per questi patimenti, vi supplico di avere compassione di loro, e di ricevere nelle vostre mani il loro spirito, quale io ora ve lo consegno e raccomando. Il Padre si mostrò pronto a ricevere nelle sue mani il loro spirito, ogni qualvolta glielo conseguivo. Perciò feci la supplica ad alta voce: per insegnare ai miei fratelli che devono raccomandare e consegnare il loro spirito nelle mani del divin Padre, perché egli è sempre pronto a riceverlo. E ciò non devono farlo solo in punto di morte, ma anche in vita, procurando di star sempre con lo spirito unito al Padre, come ne lasciai loro l'esempio. Manifestai ad essi più volte, che io facevo sempre tutto quello che era gradito al divin Padre, onde anche essi operino sempre ciò che è di gusto del Padre, se vogliono che egli riceva nelle sue mani il loro spirito. Ma vedendo che molti miei fratelli, per essere vissuti sempre lontano dal divin Padre, ed avendo seguito il mondo, il demonio e la carne, loro capitali nemici, non sarebbero stati ricevuti nelle mani del Padre, ma del nemico infernale, al quale sempre obbediscono, ne restai, oh quanto! amareggiato e trafitto dal dolore. Nel vedere che una cosa sì nobile, qual è lo spirito dell'uomo, l'anima ragionevole, dovesse essere preda dei nemici infernali, e sottrarsi a quel Dio, che l'ha creata per tanta sua gloria, le mie pene crebbero al sommo! Così nell'ultimo della mia agonia, stavo soffrendo asprissimi dolori nel mio interno, e spasimi indicibili nella mia umanità.

LA SETTIMA PAROLA
In questo penoso stato diedi un'occhiata a tutta la mia vita passata, e vidi che si erano adempiute puntualmente le Scritture, cioè tutto ciò che di me era stato scritto e profetizzato: avevo adempiuto fedelmente la volontà del Padre da cui ero stato mandato, avevo sparso tutto il mio sangue e sofferto tutti i patimenti, il mio corpo era ridotto all'ultimo della vita, esausto e consumato, avevo già ottenuto dal Padre tutte le grazie necessarie per la salute di tutti i miei fratelli, e si era compita l'opera dell'umana redenzione, rimanendomi solo da spirare e mandar fuori lo spirito, per cui dissi: Tutto è consumato (1)
invitando con queste parole la morte, acciò si avvicinasse e separasse l'anima dal corpo. Nel dire queste parole, ebbi un vivo desiderio che anche tutti i miei fratelli le avessero potute dire nell'ultimo momento della loro vita, cioè: che ognuno di loro avesse adempita la volontà del Padre, operando come li obbliga il loro stato. E nel vedere che molti avrebbero operato contrariamente, ne intesi grande amarezza. Sicché sino all'ultimo respiro della mia vita, fui amareggiato e addolorato senza alcun conforto.

ESORTAZIONE ALLA SUA SPOSA
Hai udito, sposa mia, quali furono le parole che dissi sulla croce prima di morire: procura anche in questo, di imitarmi in tutto il tempo di tua vita. In primo luogo scusai i miei nemici e pregai il divin Padre di perdonare ad essi. Il simile devi fare tu, come mio sposa fedele: scusare chi ti offende e pregare per essi. In secondo luogo promisi il Paradiso al ladro contrito, il quale mi confessò per vero Figlio di Dio e mi pregò di ricordarmi di lui. Il simile devi fare tu: cioè imitare il buon ladro, e con fede e confidenza andare spesso replicando: Signore mio e Sposo mio, ricordatevi di me, ora che siete nel vostro regno. E brama, e chiedi anche tu, di essere introdotta nell'eterna beatitudine. Non ti vergognare dei confessarmi pubblicamente, cioè, di operare in modo, che, ognuno che ti vede ē ti ode, creda che tu sei mia seguace e sposa fedele. In terzo luogo io consegnai la mia diletta Madre a Giovanni, col dirgli: Ecco la tua Madre. E prima consegnai Giovanni alla diletta Madre, dicendole: Donna, ecco il tuo Figliuolo. Ora così devi fare tu, quando tratti con i tuoi prossimi. Ricorda loro spesso che la Madre mia è anche loro Madre, e procura dal canto tuo, che ognuno la riconosca per tale, ossequiandola, invocandola, ed imitando le di lei virtù. Va' spesso da lei, e con amore filiale dille: Ecco, SS. Vergine, la vostra figlia. Riconoscetemi per tale! e domandale tutte le grazie di cui ti conosci bisognosa. E quando la preghi per i tuoi prossimi, ancora dille: Madre nostra, questi sono vostri figli, da voi accettati, quando il vostro divin Figliolo ve li consegnò nella persona di Giovanni. Perciò, ricordatevi di loro, e fate loro sperimentare il vostro materno amore. E domandale con istanza e con filiale amore tutte le grazie di cui tu sei pregata e che tu conoscerai essere necessarie per la loro eterna salute. Procura di assomigliarti a lei nelle virtù, perché troppo disdirebbe il vedere la figlia dissimile dalla Madre. In quarto luogo, trovandomi in grandissimi affanni, abbandonato dal Padre, esclamai dicendo: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? E tu impara nei tuoi travagli, nelle tue derelizioni, a ricorrere con fede al tuo Dio. Non ti lamentare con le creature, ma con un cuore amoroso e pacifico, lagnati col tuo Dio, perché ti lascia derelitta, mostrando brama di essere da lui solo assistita ed aiutata. Tutto dirai con serenità di spirito, con una totale uniformità al divino beneplacito, con fede, credendo che il tuo Dio verrà ad aiutarti, e consolarti. Né sia mai che tu ti vada lagnando con le creature, per ricevere da esse il conforto; ma solo col tuo Dio siano i tuoi amorosi e cordiali lamenti, in atto supplichevole, acciò si muova a consolarti. Hai udito, che io non feci mai questo lamento in tempo di mia vita, quantunque patissi tanto; ma solo in procinto di morte, trovandomi in estremi bisogni, per i gravi affanni e per le tormentose pene, che negli ultimi momenti soffrivo. Ora così devi fare anche tu; non voler essere sì facile a lagnarti per ogni minima occasione e piccolo abbandono, ma soffri pazientemente. Nelle cose gravi, parla al tuo Dio con dolore e ad esso raccomandati. In quinto luogo trovandomi del tutto arso ed assetato, come hai inteso, dissi: Ho sete, in atto supplichevole, acciò fosse dato qualche ristoro alla mia grande arsura. Anche tu, nelle necessità, domanda ciò che ti occorre, ma con umiltà e rassegnazione. E se ricevi cose amare e disgustose al senso, soffri con pazienza. Abbi anche tu una grande sete dell'onore del tuo Dio, della salute dell'anima tua e dei tuoi prossimi, di patire molto, per somigliarti più a me, tuo Sposo e Maestro; perciò, va replicando spesso: Sitio, Domine, sitio! e prega che si estingua la tua sete, con l'eseguirsi quanto domandi. In sesto luogo dissi: Nelle tue mani, o Padre, raccomando lo spirito mio. Così va' ripetendo spesso queste parole in vita, acciò le abbia in mente in tempo di morte; e procura di star sempre unita al tuo Dio. Eseguisci prontamente i divini voleri, e procura in tutte le tue operazioni di assomigliarti a me, facendole con tutta la perfezione. Sii perfetta, come è perfetto il tuo Padre celeste! Procura in tutto e per tutto di operare da figlia, acciò tu, in punto di morte, con verità, lo possa chiamare tuo Padre, e consegnare nelle di lui mani il tuo spirito puro, come Lui te l ha dato. In settimo luogo dissi: è consumato. Così tu opera in modo da poter dire: Ho consumato tutta la mia vita in onore e gloria del mio Dio.

CAPO QUATTORDICESIMO
Della morte del Figliuolo di Dio. E di ciò che successe nel suo morire. E di ciò che operò nel suo interno.

ACCETTAZIONE DELLA MORTE
Essendo arrivato l'ultimo momento del mio vivere in terra, rivolto al divin Padre, gli feci di nuovo un'offerta di tutto me stesso, dicendogli: Ecco, o mio divin Padre, che è giunto il tempo da voi decretato, nel quale debbo soggiacere alla morte. Perciò volentieri abbraccio questa pena, in soddisfazione dei peccati del genere umano, e per adempire i vostri decreti. Accetto volentieri la morte, e con la stessa uniformità con cui accetto la morte, accetterei anche di vivere in questi tormenti, fino alla fine del mondo, quando ciò a voi piacesse, fosse di vostra volontà e fosse anche necessario per la salute dei miei fratelli. Ma giacché a voi, o Padre mio, è in piacere che ora io muoia, e che non solo basta, ma sopravvanza di gran lunga quanto ho operato e patito per soddisfare la divina giustizia, per i peccati di tutti gli uomini, e per lasciare ad essi sovrabbondanti esempi, volentieri accetto la morte. Ed in quest'ultimo momento della mia vita, vi supplico di nuovo di volermi concedere tutte le grazie, che in tempo di mia vita, vi ho domandato per tutti i miei fratelli. Se in punto di morte non si nega grazia al moribondo, né gli si nega soddisfazione alcuna, che lecitamente richieda, molto più voi, o Padre di misericordia, concederete al vostro moribondo Figlio, quanto ora vi chiedo per i miei fratelli. Niente vi domando per me, perché voglio morire afflitto, abbandonato, addolorato, amareggiato, senza conforto alcuno; affinché voi, in virtù di tutte queste mie pene, diate conforto a tutti i miei fratelli, li consoliate nella loro ultima agonia e nella penosa morte. Perciò ora abbraccio volentieri tutte le pene che la morte fa soffrire agli uomini, onde in virtù di queste mele pene, venga ad essi raddolcita la grande pena della morte. Vi offro, o mio divin Padre, questa mia rassegnazione alla morte ed alle pene che con essa vanno accompagnate. Ed in virtù di questa mia rassegnazione, vi domando una totale rassegnazione per tutti i miei fratelli, acciò tutti si rassegnino ed abbraccino volentieri la morte, rimettendosi ai vostri divini decreti, ricevendola in pena delle loro colpe; e soffrano con pazienza tutto ciò che di penoso ha con sé la stessa morte. Promettetemi, dunque, o mio divin Padre, di dare a tutti questa grazia, che ora vi domando, in virtù di tutte le pene che ora sito soffrendo, e della morte stessa, che volentieri accetto, per obbedire a voi, mio divin Padre. Tutto mi promise il divin Padre; vidi che l'avrebbe eseguito fedelmente, e di tutto lo ringraziai. Intesi però una grande amarezza, nel vedere la moltitudine di quelli che avrebbero abusato della detta grazia, perché avrebbero dato orecchio alle cattive persuasioni del demonio, che, in quest'ultimo momento, fa tutti i suoi sforzi contro le anime moribonde. Rivolto al divin Padre lo pregai di volersi degnare di abbattere la bestia infernale, affinché non prevalga contro le anime da me redente, e che in virtù della mia passione e morte, perdesse tutte le forze. E vidi, che il Padre l'avrebbe fatto, e coloro che fossero stati devoti della mia passione, si sarebbero serviti, in quell'ultimo conflitto, di arma sì possente, contro il fiero nemico, con l'offrire al Padre le mie pene ed i miei meriti; in tal modo il Padre avrebbe dato loro forze ed aiuto, debilitando le forze degli spiriti infernali. Di tutto resi grazie al divin Padre. Intesi però una grande amarezza nel vedere che molti si sarebbero lasciati vincere dalle tentazioni e persuasioni del nemico infernale, perché abituati in vita a non fargli resistenza, e ad eseguire tutto ciò che il nemico loro suggerisce, vivendo del tutto scordati della mia passione.

SI SPOGLIA DEI SUOI MERITI
Mi spogliai poi affatto di tutti i miei meriti, donandoli ai miei fratelli, dicendo al Padre: Padre mio, ecco che ora, prima di spirare, fo un dono irrevocabile di tutti i meriti della mia vita, passione e morte, ai miei fratelli, affinché questi se ne prevalgano, in tutti i loro bisogni. Mirate, o divin Padre, il ricco tesoro che ora questi possiedono, e concedete loro tutte le grazie che vi domanderanno in nome mio e per i miei meriti divenuti loro. Il tesoro è infinito; perciò potrete essere soddisfatto appieno, tanto quando ve li offriranno in sconto delle loro colpe, come quando ve li offriranno per impetrare le grazie necessarie alla loro eterna salute. Voi, Padre mio, siete contento che io abbia fatto ad essi questo dono: resta ora che voi mi promettiate di dar loro tutto ciò che essi vi domanderanno per i miei meriti, già divenuti loro, per il dono totale che io ora faccio ad essi. Ed il Padre mi promise tutto ciò di cui lo pregavo, ed io lo ringraziai, e gli resi grazie a nome d i tutti i miei fratelli.

LA CORREDENTRICE E LA MADRE
La mia diletta Madre, che penetrava ciò che stavo operando con il divin Padre a pro del genere umano, mi accompagnava nelle domande, offrendo anche Lei i suoi dolori ed i suoi meriti al divin Padre. Rivolta a me col pensiero, mi ringraziò a nome di tutti i miei fratelli, facendo per essi l'ufficio di amorosa Madre, perché vedeva, che allora non vi era chi fra loro mi riconoscesse e ringraziasse dei sì gran dono. Supplì per tutti i suoi figli, ed io rimasi appagato del ringraziamento e della gratitudine della diletta Madre, come se tutti i miei fratelli me ne avessero allora ringraziato e se ne fossero mostrati riconoscenti, restando anche il Padre soddisfatto per l'ufficio che la diletta Madre faceva a nome di tutto il genere umano.

RINGRAZIA L'UMANITà SUA
Mentre stavo operando tutto ciò col divin Padre, la mia umanità si ricoprì di pallore: gli occhi si incavarono, si affilò il naso, si rilasciarono tutte le mie membra, ed io sentivo le pene di morte. Prima di spirare ringraziai la mia umanità che sì fedelmente era stata compagna allo spirito: di quanto aveva patito con tanta allegrezza, di tutte le ignominie e le persecuzioni sofferte, della fame e della sete che tante volte aveva patito; dei lunghi viaggi fatti nella predicazione, dell'essere stata tante volte afflitta dal caldo e dal freddo e da tutte le intemperie dell'aria, delle molte fatiche sostenute nel predicare; di tutti gli strapazzi, ingiurie, calunnie, falsità ricevute dagli Scribi e dai Farisei e da tutto il popolo ebreo; della penosa agonia e sudore di sangue sofferto nell'orto del Gethsemani; del tradimento di Giuda e di tutte le percosse ricevute nella cattura; dell'esser lasciata sola, abbandonata da tutti, anche dai discepoli; delle ingiurie, battiture e scherni ricevuti nei tribunali; dei flagelli e delle spine con cui era stata tanto tormentata; della nudità sofferta, dell'ingiusta sentenza, essendo stata condannata come rea; del grave peso della croce, portata con tanto amore, del fiele gustato, dell'essere stata denudata ed inchiodata sulla croce, e di tutte le ingiurie ed improperi che aveva ricevuto; dell'esser stata sempre con tanta uniformità soggetta ai divini comandi. Di tutto la ringraziai, come compagna fedele, ed abitazione sì degna del mio spirito, promettendole, a nome del divin Padre, l'esaltazione e la padronanza sopra tutte le cose create, e la potestà, sia in cielo come in terra, quando di nuovo il mio spirito si sarebbe unito ad essa, per farla risorgere gloriosa. E siccome si era tanto umiliata ed abbassata sotto tutte le creature, ed anche sotto i demoni, soggiacendo alle loro tentazioni nel deserto, alle loro persecuzioni nella predicazione, al loro furore e alla loro vendetta nel tempo della passione, così, nel risorgere gloriosa, tutti sarebbero soggiaciuti al suo impero, non essendovi, né in cielo né in terra, cosa alcuna sopra di lei; solo Iddio, che a lei sarebbe stato ipostaticamente unito, come vi stava di presente.

SPIRA GESù
Detto tutto questo, chinai la testa, per significare che accettavo volontariamente la morte, e chinando la testa, emisi lo spirito nelle mani del Padre, al quale l'avevo raccomandato. Intesi, nello spirare, la pena della separazione dell'anima dal corpo, volendo soggiacere a tutte le pene a cui sono soggetti gli uomini. Ciò feci per alleggerire, con le mie, le loro pene.

IL DOLORE DI MARIA
Al mio spirare, la mia diletta Madre sentì la pena della morte che intesi io, come aveva inteso nell'anima sua tutte le altre mie pene. Ed il divin Padre fece il miracolo della sua potenza nel conservarla in vita, nel tempo stesso che soffriva le pene della morte, restando l'anima sua trapassata dal coltello doloroso, nel vedere morta la sua vita.
Prima di spirare, avevo parlato al di lei amante e addolorato cuore, licenziandomi di nuovo e ringraziandola di quanto aveva sofferto e patito per me. Ma questo lo feci molto di passaggio, per non affliggerla di più, essendo al sommo afflitta ed amareggiata. E per confortarla, l'ultima parola che le dissi fu, che sostenesse il fiero colpo con la sua solita generosità, che io sarei risorto il terzo giorno, e Lei sarebbe stata la prima a godere la mia presenza, e le glorie della mia risurrezione. Restò l'afflitta Madre con questa fede certa, e si confortò uniformandosi alla divina volontà.

IL PIANTO DEL CREATO
Nella mia morte, si risentirono tutte le creature insensate. Si ruppero le pietre, si aprirono d sepolcri, tremò e si scosse fortemente la terra, si squarciò il velo del Tempio, si oscurò il sole, in modo che appena si vedevano gli uni con gli altri. Gli angeli della pace amaramente piansero, dando tutti segni di mestizia e di dolore, per la morte del loro Creatore. Solo i perfidi ed ostinati Farisei non fecero movimento alcuno, essendo i loro cuori più durai delle pietre. Molti però, che erano presenti, nel vedere tanti segni, si percuotevano il petto, dicendo: Veramente questi era il Figlio di Dio! e molti si convertirono (1). Tutti i miei discepoli, quantunque da me lontani, intesero, nel mio spirare, un grande dolore, e piansero la mia morte con amare lacrime. Tutti gli spiriti infernali, con Lucifero loro capo, conobbero allora che io ero il vero Figlio di Dio, ed intesero una forza insuperabile, che li sprofondò tutti negli abissi infernali, e pieni di rabbia e di furore, si tormentavano fieramente gli uni con gli altri, accrescendosi fra di loro le pene, per avere loro stessi cooperato alla mia morte, con l'attizzare gli Scribi, i Farisei e tutti i ministri di giustizia, ad inventare tanti modi. perché più mi avessero tormentato ed oltraggiato: onde erano allora costretti a soffrire tutta la pena del male che avevano fatto.

IL CUORE TRAFITTO
Stando in croce morto, un soldato, per ben assicurarsi della mia morte, si appressò molto alla croce, e non sazio di avermi oltraggiato vivo, volle anche lacerarmi, morto. Questo fu il suo sentimento, benché fosse stato decretato dal Padre, che si dovesse aprire il mio costato e ferire il Cuore, dove stava nascosto il mistero della formazione della Chiesa, nel sangue e nell'acqua che quivi si conservava. Perciò il soldato mi aprì, con la lancia, il costato e mi ferì il Cuore; difatti ne uscì sangue ed acqua. Restò il soldato illuminato nel vedere il mio costato aperto, e nel vedere uscire quel sangue e quell'acqua misteriosa, e si convertì, confessandomi vero Figlio di Dio (2).

LA DEPOSIZIONE
Intanto Giuseppe e Nicodemo, che chiesero il mio corpo a Pilato, avvenuta la mia morte, vennero subito al Calvario, portando geli unguenti per ungere il mio corpo, e la sindone per involgerlo.
Deposero il mio corpo dalla croce, e lo diedero in seno alla diletta Madre, la quale lo rivide tutto, lo ripulì del sangue e degli sputi, e tutti, unitamente, lo rimirarono e contemplarono con amare lacrime. Baciarono le piaghe, specialmente Maddalena, che si disfaceva in pianti e sospiri ai miei piedi. Avendo aggiustato tutto, mi condussero al sepolcro.
Quivi composto, mi adorarono unitamente tutti, specialmente la diletta Madre, che più di tutti, trafitta dal dolore, non sapeva staccarsi da quel corpo, al quale aveva dato del suo più puro sangue, per formarlo. Fatte le funzioni solite, si chiuse il sepolcro, ed ognuno partì, colmo di affanno e di dolore (1).

ESORTAZIONE ALLA SUA SPOSA-
Ecco, o sposa mia, che è terminata la prima opera, ossia, la prima parte della mia vita che ti faccio scrivere, ed è terminata con la mia morte. Perciò questa morte non parta mai dalla tua mente, e questa continua rimembranza ti serva di stimolo a morire affatto a te stessa ed al mondo. E quando le tue passioni si risentono, tienle a freno, sinché arrivino a morire affatto, in te. Ti sarà questo di pena; ma se rifletterai che un Dio è morto per te, facilmente ti riuscirà di morire affatto a te stessa ed a tutte le cose, e di far morire tutte le tue passioni. Procura in tutto il resto di tua vita di vivere sempre unita a me, affinché nel tempo della tua morte, consegni lo spirito nelle mie mani, come feci io, consegnandolo nelle mani del Padre mio, al quale fui sempre unito. Abbi una particolare devozione alla mia passione e morte penosa, e non passi giorno in cui tu non ne faccia qualche meditazione, e procura, in tutto e per tutto, di imitarmi. Approfitta degli insegnamenti che ti ho dato, come buona discepola, e sposa fedele. Abbastanza sei stata da me istruita, perciò altro per ora non mi resta da dirti: se farai quanto ti ho insegnato, ti prometto che sarai meco eternamente beata.

CAPO QUINDICESIMO
Di ciò che operò l'anima di Gesù subito dopo che si separò dal corpo, della sua gloriosa risurrezione, e visita alla sua SS. Madre.

GAUDIO DELL'ANIMA DI GESù
Essendo uscita l'anima mia dal corpo, fu ricevuta dal divin Padre, riposandosi nel suo seno, dove godè un immenso gaudio (1).
Allora la divinità, che le era unita ipostaticamente, le fece godere tale gaudio ineffabile, che per lo spazio di trentatre anni aveva trattenuto, onde l'anima mia fosse assoggettata a tutte le pene ed amarezze. Allora tutta la beata inondazione, che erasi trattenuta, avvolse l'anima mia, che fu immersa nel sommo gaudio, godendo nel seno del divin Padre l'immensa beatitudine. Oh! quanto grandi furono, sposa mia, le gioie che allora godè il mio spirito, per non mai più terminare e per sempre godere nel mare immenso della divinità, l'accoglienza del divin Padre e la gloria che ad esso ne risultava. Oh! tutto si arriverà a comprendere dalle anime beate, mentre dai viatori non possono essere compresi e capiti ì gaudi immensi e le glorie ineffabili, che allora godè il mio spirito, e la gloria che ne risultò alla Triade SS. Per ora ti dico, che stando il mio spirito godendo nel seno del divin Padre, in tanta felicità e beatitudine, non mi scordai dei miei fratelli, e di tornare ad adempire la volontà del Padre, per eseguire tutte le opere da Lui decretate.
In primo luogo 1'anima mia adorò, lodò e ringraziò il divin Padre per tutto quello che aveva operato in me, e per tutto quello che, per mezzo mio, aveva operato a pro del genere umano. Poi lo lodai, adorai e ringraziai a nome di tutti i miei fratelli, per il beneficio della redenzione. Gli raccomandai tutti i miei fratelli, ed in particolare, e prima di tutti, la mia diletta Madre, acciò nella mia assenza l'avesse confortata. Gli raccomandai anche in modo speciale, i miei apostoli e discepoli, i quali stavano dispersi e sommersi in grande amarezza, acciò li avesse confortati.

IL DOMINIO UNIVERSALE
Si trattenne l'anima mia, nell'immenso e sovrabbondante gaudio, sino alla notte avanti che si comp isse il terzo giorno dalla mia morte(1). Nello stesso tempo il Padre diede all'anima mia tutta la potestà, il dominio universale e la padronanza assoluta di tutte le cose create, come loro supremo Re e Signore, e volle che, rientrando ed unendosi il mio spirito di nuovo alla mia umanità (2), fosse anche questa partecipe di quanto allora aveva dato all'anima mia, divenendo una stessa cosa con il mio spirito e con la divinità, per l'unione ipostatica (1).

NEGLI ABISSI INFERNALI
Partendo pertanto l'anima mia dal seno del divin Padre, senza mai più lasciare il gaudio immenso, si portò in un subito ad incatenare, negli abissi infernali, Lucifero con tutti i demoni suoi compagni (2); con la mia virtù e potenza, e come vittorioso e trionfante, feci loro sentire la potenza che avevo sopra di loro e tutto il dominio, ordinando, che mai più Lucifero si fosse mosso da quel profondo, in cui stava allora sommerso. Il simile feci a tutti i suoi compagni, privandoli di quelle forze e di quel potere, che fino allora avevano avuto sopra il genere umano. Ordinai, inoltre, che, senza mia permissione, non avessero più potuto avere forze ed ardire di appressarsi ad alcuno, tanto per nuocere come per tentare. Restarono perciò incatenati dalla mia potenza tutti gli spiriti ribelli, privi affatto delle loro forze e del potere che sino allora avevano avuto, essendo da me stati vinti e sbaragliati. Avevo anche soggiogato e posto in catena gli spiriti infernali i quali non mi videro, ma intesero la mia potenza e il mio comando (1), restando con una rabbia ed un odio implacabili contro di me, perché tanto avevo operato a pro del genere umano, e con un odio ed invidia fierissima contro di esso, che d'allora in poi sarebbe entrato in cielo a godere il possesso della gloria ed occupare le sedi che loro, per superbia, avevano irreparabilmente perdute.

AL LIMBO E PURGATORIO
Operato tutto ciò, in un subito andai al Limbo. Quivi, mi feci vedere glorioso a tutte le anime, che dalla mia vista restarono beatificate (2). Adorarono tutte la divinità che stava unita all'anima mia, che si era ad esse svelatamente manifestata, cantando lodi e ringraziamenti, e godendo tutte dello stesso gaudio immenso che provavo io in me stesso, per la divinità che era in me.
Di qui poi andai al Purgatorio, ed al mio arrivo restarono tutte le anime beatificate per la visione beatifica, essendomi ancora ad esse chiaramente manifestato. Tutte le anime che vi erano, si unirono con le altre anime beate per cantare lodi al loro Trionfatore e Redentore (3).

AL SEPOLCRO - RISURREZIONE
Accompagnato da sì nobile comitiva di anime beate, tutte immerse in un immenso gaudio per la visione beata, andai al sepolcro, dove stava il mio corpo. Ed essendo arrivata l'ora della mia risurrezione, e, compiuto il terzo giorno (1), entrai nel sepolcro, che era suggellato e custodito dalle guardie, le quali dormivano.
Entrato nel sepolcro, rimirai la mia umanità, che era stata soggetta a tante pene, ed aveva sofferto obbrobriosa morte, e vedendo il corpo, che sì fedele compagno era stato al mio spirito, con un impeto di sommo amore, tornai di nuovo a riunirmi ad esso, per non mai più separarci (2).
Entrata l'anima nel corpo, questo subito divenne non solo beato, ma il più bello e nobile sopra tutti i beati, di una bellezza incomparabile, come incomparabili erano state le pene che aveva ricevute e la deformità che gli avevano causato i tormenti datigli da sì fieri ed inumani carnefici. La sua bellezza era tanta, quanta si richiedeva ad un corpo che degnamente doveva ritenere in sé unita la stessa divinità: bellezza tanto grande, che per tutta un eternità darà pascolo di contemplazione e di godimento a tutte le anime beate.
Il mio corpo intese immenso e sommo gaudio nel riunirsi che fece ad esso l'anima mia: e siccome l'anima mia aveva goduto tutto il torrente della consolazione, che per trentatrè anni le era stata sospesa dalla divinità, così allora la mia umanità godette tutte le delizie di cui era stata priva per trentatrè anni che, come abitazione della divinità, avrebbe potuto godere. Godè ancora di tutti i piaceri e le delizie che si era acquistati per tanti tormenti sofferti. Ricominciò a godere allora, per non cessare mai, per tutta un eternità.
Nella mia risurrezione feci grazia ad alcune anime beate, che meco stavano, di riassumere i loro corpi (1). Questo lo feci ai miei più intimi, e che per amor mio si erano più affaticati ed avevano patito molto (2).
Stando così risorto, tutte unitamente le anime beate che erano con me, mi adorarono profondamente, cantando inni di lode al risorto Redentore. Il simile fecero gli angeli. E, uscito dal sepolcro, gli angeli levarono la lapide che lo chiudeva. Scossa fortemente la terra, si svegliarono intimorite le guardie, e trovarono il sepolcro aperto, e non vi trovarono più il mio corpo.
Avendo ricevuto dalle anime beate le congratulazioni, le adorazioni, i ringraziamenti, mi portai con tutta la beata comitiva, alla Visita della diletta Madre, la quale stava ritirata, e tutta immersa in ardenti desideri della mia risurrezione, aspettando, con viva fede, l'ora bramata.

APPARE A MARIA SS.
Entrato, glorioso, nel suo ritiro, a prima vista restò subito immersa nell'immenso gaudio e beatificata (3). Fu da me salutata con queste parole: Vi saluto, degnissima Madre! Godete e rallegratevi che sono risorto glorioso, secondo la promessa. Voi siete la prima a vedermi e godere della mia gloriosa risurrezione. Grazia dovutavi come a Madre, ed ancora per essere stata voi la più fedele nella fede e la più amante.
Allora la diletta Madre si prostrò ai miei piedi, mi adorò come suo Dio e Redentore, mi lodò e ringraziò anche a nome di tutti i miei fratelli e suoi figli. Fu da me rialzata ed invitata al bacio del costato. E siccome Lei aveva inteso nell'anima il dolore della ferita che fu fatta nel mio corpo, dopo morto, così quivi gustò il torrente della consolazione, che inondò l'anima sua, restando nello stesso tempo tutta unita e concentrata in me. Allora Lei godette anche tutte le consolazioni, di cui era stata priva per lo spazio di trentatrè anni, che era vissuta con me,perché mentre trattando con me avrebbe potuto e dovuto sentire un sommo gaudio e compiacimento, come Madre del Verbo incarnato, pure se ne era privata, volendo in questo farmi compagnia, per patire e soffrire continui travagli ed amarezze. Onde allora, i gaudi, uniti insieme, inondarono i anima sua. Godè anche tutte le consolazioni ed i gaudi, che si era meritata nel tempo della mia passione, per tanti patimenti sofferti.
Stette la divina Madre per un pezzo tutta immersa nel gaudio immenso, beatificata (1): onde feci un nuovo miracolo, per farla tornare a vivere vita mortale, per beneficio della Chiesa e dei fedeli, acciò questi fossero da lei ammaestrati e confortati. Di ciò domandai alla medesima il consenso ed Ella si uniformò alla divina volontà.
La diletta Madre dopo aver goduto per un pezzo la consolazione ineffabile ed il gaudio immenso, tornata ai propri sensi, fu salutata da tutte le anime beate, che erano in mia compagnia, riconoscendola tutte come loro Regina e Madre del risorto Redentore. Ricevé le congratulazioni dei suoi genitori, del suo castissimo sposo Giuseppe, di tutti i Patriarchi e Profeti. E poi, unitamente, si cantarono inni di lode al divin Padre per le opere sue meravigliose, e a me, loro Redentore. Gli angeli, che a cori mi accompagnavano, cantarono anche essi inni di gloria al sommo D io ed al risorto Trionfatore e Redentore.
Oh quanto, sposa mia, furono grandi i gaudi, le beate inondazioni, che godè in questa prima visita la mia diletta Madre!

LA MADDALENA E LE ALTRE MARIE AL SEPOLCRO
Mentre stavo trattenendomi con lei, la fervente ed amante Maddalena, con le altre Marie, andarono al sepolcro, per vedere il mio corpo ed imbalsamarlo di nuovo, volendo fare quell'atto di dimostrazione affettuosa. Ma non ve lo trovarono. Onde, afflitta, la Maddalena fu assicurata dagli angeli che custodivano il sepolcro, che io non ero quivi, ma ero risuscitato. La Maddalena non prestò fede alle parole dell'angelo, e se ne parti afflitta e sconsolata, e con le compagne andò a darne avviso alle altre devote donne ed ai miei apostoli, dei quali alcuni si trovavano nel Cenacolo, dove si erano ritirati (1).

CAPO SEDICESIMO
Come il Figliuolo di Dio dopo la sua risurrezione apparve alla Maddalena; alle altre devote donne e a San Pietro.

MADDALENA AL SEPOLCRO
Terminata la visita alla mia diletta Madre, e lasciatala piena di letizia in un mare di gioia, ero bramoso di consolare presto anche i miei discepoli, perciò non mancavo di andare istillando nel loro cuore una certa insolita consolazione e desiderio di vedermi risuscitato. In particolare feci ciò alla Maddalena, la quale era più fervente nell'amore verso di me; perciò accrebbi in lei un desiderio ardentissimo di vedermi. Con questo desiderio andavo disponendola al ricevimento della grazia, cioè, di essere ella la prima a vedermi, dopo la mia diletta Madre.
Onde questa, tutta accesa di amore e di desiderio, andò frettolosa a dare avviso agli apostoli, come le aveva detto l'angelo, che io ero risorto, e che nel sepolcro non vi era più il mio corpo; poi corse di nuovo al sepolcro con le altre donne. E, non ritrovandomi, partirono tutte meste e bramose di vedermi; ma la Maddalena non partì, perché l'amore ed il desiderio grande che aveva di trovarmi, non le davano quiete, onde, tutta ansiosa, si mise in cerca del suo tesoro, proponendosi di non tornare a casa, se prima non l'avesse ritrovato. Mancava però nella fede, perché, avendole detto gli angeli che io ero risuscitato, non credette, pensando che il mio corpo le fosse stato rubato; perciò andava intorno come impazzita, sospirandomi e chiamandomi con voci amorose e con affetti e desideri infuocati.

PIETRO E GIOVANNI AL SEPOLCRO
Mentre mi andava cercando, corsero al mio sepolcro anche Pietro e Giovanni, che pieni di desiderio di sapere cosa ne fosse stato del mio corpo, arrivati al sepolcro, vi entrarono e non ve lo trovarono, onde mesti e dubbiosi, se ne tornarono indietro, mancando molto nella fede della mia risurrezione.

APPARE A MADDALENA
Intanto mi manifestai alla Maddalena, sotto abito di ortolano. Questa, a prima vista, non mi osservò, solo ricercò che ne fosse del suo Bene; e disse che, se io gliel'avevo tolto, le insegnassi dove era, perché sarebbe andata a prenderlo. Non mi scoprii subito a lei, pigliandomi piacere di sentirla spasimare. Infine, chiamatala per nome, con la voce con cui ero solito chiamarla, prima della mia morte, mi manifestai a lei, e nel manifestarmi, la riempii di giubilo e di fede, e molto più di amore. All'udire la mia voce ed al riconoscermi, esclamò: Mio Maestro! e corse veloce ad abbracciare i miei piedi, per baciarli, come era solita fare ogni volta che andavo in casa sua, prima della mia morte. Fu da me ritenuta. Le ordinai, che andasse subito a dar la nuova alle altre donne che ero risuscitato. Ubbidì subito la fervente Maddalena, e, tutta piena di giubilo, corse a darne avviso alle compagne. Era tanta la delizia del suo cuore, che andava come impazzita e bramosa di vedermi di nuovo.

APPARE ALLE DONNE
Credettero subito le donne all'avviso della Maddalena, e si riempirono di un più vivo desiderio di vedermi anche esse: così andai disponendole a ricevere la grazia di vedermi. E mentre la Maddalena raccontava loro quanto le era occorso stando invisibile ad udirle in sì fervoroso ragionamento mi manifestai poi loro, nell'abito che indossavo, mentre vivevo in terra, vita mortale. Le salutai. Nel vedermi si prostrarono tutte in terra e mi adorarono con profonda adorazione. Si accese nel loro cuore un più ardente amore verso di me, e furono da me ammesse al bacio dei piedi. La prima fu la fervente Maddalena, che ponendo la sua bocca alla piaga del piede, per baciarla, fu riempita da un inondazione dolcissima, restando la sua anima assorta in un godimento inesplicabile. Allora gustò di quella divina dolcezza, che si era acquistata, mentre, con lacrime e dolori, tante volte aveva bagnato ed asciugato i miei piedi, ed anche uniti con il prezioso balsamo. Trattenutasi la Maddalena per qualche tempo a gustare la mia soavità e dolcezza, diede parte alle compagne, le quali pure gustarono nel bacio dei piedi la stessa soavità. Tutte piene di giubilo e di consolazione, sì posero a lodarmi e ringraziarmi, non saziandosi di rimirarmi. Ordinai loro che andassero a dare avviso agli altri discepoli, ed a Pietro in particolare, che io ero risorto e che mi avrebbero veduto nella Galilea. Così svanii dai loro occhi.
Corsero le donne frettolose, piene dì giubilo, a darne avviso ai discepoli ed a Pietro, i quali non prestarono loro fede, credendo che vaneggiassero. Ma un certo desiderio, che andavo istillando al loro cuore, li faceva star molto ansiosi di vedermi. Così andavano persuadendosi che le donne forse mi avevano veduto; e stavano sbigottiti fra il timore e la speranza.

APPARE AI DUE DISCEPOLI DI EMMAUS
Mentre tutto ciò succedeva, partirono due dei miei discepoli per andare ad Emmaus, essendo stati in Gerusalemme per la solennità della Pasqua. Avevano questi udito l'avviso delle donne, ma avevano loro prestato poca fede. Perciò i due andavano, mesti ed afflitti, per non aver notizia certa della mira risurrezione, perché io avevo detto di risorgere il terzo giorno. Andavano discorrendo dei patimenti da me sofferti nella passione, delle grazie che avevano da me ricevute, dei miracoli che avevo fatto, e parlavano della mia penosa morte con lacrime di grande dolore. Con questi discorsi mi tirarono ad essi, per consolarli in tanta loro afflizione. Avendo preso abito e figura di pellegrino, mi accompagnai con loro. Appena mi videro, quantunque non mi conoscessero, intesero grande consolazione, e mi posero in mezzo a loro. Furono da me interrogati su quanto dicevano fra di loro, sul motivo della loro afflizione ed angustia, perché dal loro volto traspariva una grande mestizia. Essi credettero che anche io partecipassi al dolore, per la morte del loro Maestro; perciò mi dissero che erano afflitti per quello che era seguito in Gerusalemme, di Gesù Nazzareno. Io a queste parole feci la richiesta: Di che? Ed essi, ammirati, mi risposero: Tu sei pellegrino che vieni da Gerusalemme, e non sai ciò che è successo pubblicamente nella città? Tutti ne sono pienamente informati, tu solo non ne sai nulla? Chiesi cosa fosse accaduto. Ciò feci perché manifestassero i loro sentimenti e il concetto che avevano di me, per poterli poi consolare, ed ammaestrare. Ed essi incominciarono a dire: Di Gesù Nazzareno, uomo potente nelle opere e nelle parole, che ha fatto tanti prodigi, od ha insegnato una dottrina tanto sublime. I principi dei sacerdoti lo hanno condannato a morte, e dopo averlo molto straziato, Lo hanno fatto morire crocifisso. Lui ci disse, che il terzo giorno sarebbe risuscitato, e noi speravamo di vederlo risuscitato, ma già è terminato il terzo giorno, ed ancora non si vede eseguita la promessa. Hanno detto alcune donne di averlo veduto risuscitato, ma non si è dato credito ad esse, stimando che sia loro immaginazione. Noi speravamo che dovesse redimere il popolo d'Israele, ma ora ne stiamo molto dubbiosi per non vederlo risorgere, secondo la promessa e ne stiamo molto afflitti. Nel dire queste parole si andavano vieppiù rattristando. Io allora incominciai a parlare ad essi con autorità, con grande sapienza e con amore. Li ripresi prima della loro freddezza nel credere quello che i profeti e le scritture dicevano con tanta chiarezza, poi incominciai a spiegare loro le Scritture, in modo che restarono molto confermati nella fede. Andavano ogni tanto dicendomi: O buon pellegrino, che fortuna è stata la nostra di incontrarci con voi, che con tanta sapienza ci narrate tutto ciò che del nostro Maestro è stato profetizzato! Per verità, tutto si è adempito. Oh, come ci consolate tra tanta nostra afflizione! Sia pur benedetta l'ora che vi siete accompagnato con noi, perché ci avete tanto consolati! Dunque, senza dubbio, il nostro buon Maestro sarà risuscitato! Stava per terminare il giorno, ed io, licenziandomi da loro, finsi di dover andare lontano e volerli lasciare, mentre avevo destinato di trattenermi e manifestarmi; ma volli essere da essi pregato. Perciò, mentre mi licenziavo, mi costrinsero con molte suppliche a restare con loro, perché l'ora era tarda. Dopo di essermi fatto pregare alquanto, restai, ed entrati all'albergo, si vollero cibare, avendone bisogno, invitando anche me a cibarmi con loro. Accettai l'invito, e posti a mensa, pigliai il pane per spezzarlo, come ero solito fare, mentre vissi in terra vita mortale. Nel rompere il pane essi mi conobbero. E fissandomi gli occhi nel volto, ed io, mirandoli con amore, mi feci conoscere chiaramente, e svanii subito dai loro occhi, lasciandoli confermati nella fede della mia risurrezione ed accesi di un grande amore verso di me. Nel riconoscermi, questi due discepoli si riempirono di consolazione e di giubilo, ma vedendosi tanto presto privi della mia presenza, si appassionarono. Perciò corsero frettolosi di nuovo in Gerusalemme, poi andarono a darne avviso agli apostoli ed agli altri. Erano tante le smanie amorose che sentirono nel tornare indietro, che non capivano in se stessi, ed andavano dicendo fra loro Oh che gran sorte abbiamo avuta noi, di vedere il nostro Maestro! ma che disgrazia di non averlo conosciuto subito! Non è meraviglia che il nostro cuore ardesse e si liquefacesse in amore nell'udirlo parlare, essendo lui stesso in mezzo a noi!

APPARE A PIETRO
Mentre questi due discepoli andavano a dare la nuova agli altri, che io ero risorto, e che essi mi avevano veduto, apparvi a Pietro. Pietro era tutto mesto e dolente, per non aver trovato il mio corpo nel sepolcro, e mancava ancora molto nella fede della mia risurrezione. Si era ritirato tutto dolente, piangendo amaramente. Aveva udito l'avviso delle donne che mi avevano veduto; e benché allora non avesse dato credito ad esse, dopo incominciò a pensare che poteva essere vera l'apparizione. Nello stesso tempo io andavo instillando nel di lui cuore, un vivo desiderio di vedermi, in modo che esclamava tutto dolente: O mio buon Maestro, se voi siete risuscitato, come ci avete promesso, e come ci hanno assicurato le donne, deh, per pietà, ricordatevi del vostro apostolo, che tanto vi ha amato e tanto vi ama! è vero che vi ho negato con le parole, ma voi sapete che il mio cuore vi è stato sempre fedele. Ah, non merito, no, che voi vi manifestiate, perché per verità troppo vi ho offeso, ma, caro mio Maestro, io ora sono pronto a darvi la dovuta soddisfazione e a farne penitenza: per tutta la vita non cesserò di piangere il mio peccato.
Mentre Pietro andava seco stesso dicendo queste ed altre parole, con un cuore veramente contrito e con amore pieno di desiderio di vedermi risuscitato, gli apparvi, essendo egli solo, e mi manifestai a lui. A questa sì segnalata grazia, di cui egli si riconosceva indegno, per avermi negato ed abbandonato, si gettò a terra, Pietro, ed esclamò: Mio buon Maestro e Signore mio! E come la vostra bontà si degna di comparire a questo gran peccatore, che vi ha negato ed abbandonato? Voi mi date la pace! Io, nel manifestarmi, gli avevo dato il saluto di pace: La pace sia teco! Onde, confuso Pietro, anche per il saluto, incominciò a confessare il suo fallo. Ma fu da me assolto ed assicurato, che non più mi ricordavo di ciò che era seguito: l'avverti a stare attento nell'avvenire e ad essere più fedele. Lo consolai e l'animai a confidare nella mia bontà. E Pietro, tutto acceso di amore, non si saziava di rimirarmi ed esclamare: Mio buon Maestro, e vero Figlio di Dio! Dove mai ho meritato io, uomo vile e peccatore, un tanto bene, che voi, dopo di essere stato da me negato ed abbandonato, vi manifestiate a me con tanto amore, e vi siate scordato del mio grande peccato? Sfogato che ebbe Pietro in qualche parte il suo amore, gli ordinai che andasse a dare avviso agli altri discepoli, che ero risuscitato, e che lui mi aveva veduto. Così fece.

PERCHé SI TRATTENNE IN TERRA
Devi sapere, sposa mia, che mentre mi trattenevo in terra, essendo risorto, stavo godendo della mia beatitudine e gloria, non più soggetto a tristezza e dolore. Solo mi trattenni in terra per confermare i miei apostoli nella fede, e per istruirli di nuovo, come sentirai. Apparivo ai miei apostoli e discepoli sotto figura di uomo, nella forma e nelle sembianze che avevo, mentre vissi con essi vita mortale. Volli poi ritenere nel mio corpo glorioso le cinque piaghe, cioè: quella del costato, delle mani e dei piedi. Questo lo feci in perpetua testimonianza dell'amore mio infinito verso il genere umano, e di quanto ho patito per la loro eterna salute. Queste piaghe stanno sempre aperte, affinché le anime vi entrino, come feci loro invito, stando in croce. Le volli ritenere, anche per mostrarle al Padre e placarlo, quando sta irato col peccatore, onde per queste trattenga i castighi; queste piaghe sono come cinque lingue, che di continuo danno lode al Padre e lo placano del suo giusto sdegno. O quante grazie ricevono le anime per queste piaghe! Esse sono cinque fonti che di continuo cadono ad irrigare e fecondare le anime, che se ne ricordano con amore cordiale e sincero. Ora io, quando apparivo ai miei discepoli, facevo loro per lo più vedere le mie piaghe, perché anche essi si ricordassero sempre di quanto io avevo patito. Le anime poi che avevo liberato dal Limbo e dal Purgatorio, mi seguivano sempre e mi vedevano svelatamente beato, godendo anche esse della beatitudine; perché già beatificate per la visione concessa loro, stavano godendo sempre, benché ancora in terra, un gaudio immenso: la stessa eterna beatitudine.

VISITA SPESSO LA SUA MADRE SS.
Andavo spesso a visitare la mia. diletta Madre, la quale mi tirava a sé con dolce violenza, per le brame del suo cuore amante. Ed io la consolavo, l'ammaestravo di tutto ciò che doveva fare dopo la mia ascensione al cielo, come sentirai (2). E Lei, quantunque stesse in grandi consolazioni, non si scordava mai di porgere suppliche premurose a pro del genere umano, come Madre amorosa di tutti. Anche io pregavo continuamente il Padre per i miei fratelli, e per i mie apostoli in particolare, perché restassero sempre più confermati nella fede, e per la dilatazione della stessa fede, porgevo suppliche al Padre, quantunque il Padre mi avesse già data ogni potestà, sia in cielo, come in terra, essendo io padrone assoluto di tutto. Tuttavia non feci mai cosa alcuna senza il beneplacito del divin Padre, riconoscendo sempre la suprema sua Maestà, quantunque fossi uguale a Lui per la divinità; ma perché avevo meco unita anche l'umanità, per questa parte sempre stetti a Lui soggetto, quantunque fosse beatificata e deificata.

Come il Figliuolo di Dio apparve ai suoi discepoli e di altre sue apparizioni.

APPARE AI SUOI
Essendo andati i due discepoli a dare avviso agli altri, della mia risurrezione, testificando che mi avevano veduto e riconosciuto nella frazione del pane, arrivò gin quell'istante Pietro, e confermò la verità, certificando che anche lui mi aveva veduto. Gli apostoli incominciarono a dar credito alle parole di Pietro e si riempirono di desiderio di vedermi.
Stando così bramosi, discorrendo intorno alla certezza della mia risurrezione, apparvi loro, e mi manifestai dando loro il solito saluto di pace. Al vedermi, i miei discepoli si rallegrarono sommamente, ma si intimorirono anche, dubitando, se veramente fossi il loro Maestro; perciò mi rimirarono attentamente, ed io dissi loro: Non temete, perché son io. A queste parole svanì ogni timore, e si trattennero a godere della mia persona risorta. Li assicurai della mia risurrezione, e tutti si prostrarono a terra, per adorarmi come vero Figlio di Dio. Prima lo fece Pietro, il quale era più degli altri confermato nella Fede.
Non si trovò presente Tommaso, detto il Didimo. Gli altri apostoli, tutti compunti, mi chiesero perdono d avermi abbandonato nel tempo della mia passione e di essere fuggiti: furono da me confortati ed assicurati del perdono. Li rimirai con grande amore, lasciandoli tutti animati e confortati. Giovanni poi, il discepolo
amato, al vedermi, si riempì di giubilo, e mi corse vicino, rimirando con attenzione le mie piaghe; e siccome per esse sul Calvario aveva sofferto grande pena, nel rimirarle, restò ripieno di un godimento inenarrabile. Fu da me guardato con grande amore e molto consolato.
Mi domandarono gli apostoli in che dovevano occuparsi per allora, onde poter acquistare il vitto necessario. Ed io ordinai loro che andassero a pescare, unendosi spesso insieme, perché sarebbero stati da me ammaestrati su quanto avrebbero dovuto operare, dopo che io fossi partito da loro, per andare al Padre. Così fecero. Ed io partii, lasciandoli tutti consolati e confermati nella fede della mia risurrezione.

INCREDULITà DI TOMMASO
Partito dai discepoli, venne Tommaso, e li trovò tutti allegri e contenti più del solito. Tutti unitamente l'assicurarono della mia risurrezione, e che mi avevano veduto. Tommaso intese una grande pena ed una grande confusione per non esservisi trovato, parendogli di non esser stato degno di tanta consolazione. Ma invece di umiliarsi, diede in impazienza. Disse a tutti: Io non lo credo! E quanto più veniva dagli altri assicurato, tanto più restava pertinace nella sua incredulità, volendo amareggiare agli altri la consolazione, col non dar credito alle loro parale. Difatti restarono gli altri molto amareggiati per la sua incredulità, ed egli di ciò sentiva soddisfazione, e più si induriva nelle sue parole. Così l'incredulità, che prima era solo di parole, a causa della sua ostinazione, entrò anche nell'interno. Gli altri gli dicevano che avevano veduto le mie piaghe; Giovanni specialmente l'assicurava che aveva riconosciuto le piaghe delle mani, dei piedi e del costato, che già aveva veduto sul Calvario, e si affaticava molto a persuaderlo a credere una cosa sì certa. Ma Tommaso, più indurito che mai, disse loro: Se io non lo vedo, non crederò mai. E se non vedo le sue piaghe, e di più, sinché non metterò le mie mani nelle piaghe, che gli hanno fatto i chiodi, io non crederò. Ebbe allora Tommaso la pretesa di voler essere da più degli altri, e disse fra di sé : Se voi altri vi vantate di aver veduto il Maestro risuscitato, se ciò sarà vero, io voglio vantarmi non solo di averlo veduto, ma anche di averlo toccato. Sinché non arriverò a questo, non crederò.
Compativo l'incredulità dell'apostolo, tanto più che nacque da passione, per non vedersi favorito come gli altri. Difatti intese una grande pena, benché non la manifestasse ad alcuno. Disegnai però, con questa sua incredulità, di confermare maggiormente tutti gli altri nella fede, perché ogni tanto andavano vacillando: sinché ero presente io, credevano, ma dopo incominciavano a dubitare: Pietro però stette sempre forte, né vacillò mai, neanche dubitò.

APPARE A NICODEMO ED A GIUSEPPE D ARIMATEA
Mentre seguiva tutto questo fra gli apostoli, Giuseppe e Nicodemo stavano discorrendo della mia risurrezione: avevano udito dire, che lo ero risuscitato: ma che gli Scribi, i Farisei e i principi dei sacerdoti avevano dato buona mancia alle guardie, affinché dicessero che il mio corpo era stato preso dai miei discepoli, mentre essi dormivano. Difatti così dissero le guardie, e tale voce si sparse per la città, volendo. i perfidi ebrei oscurare e tener nascosta la mia gloriosa risurrezione. Tanto gli ostinati mi perseguitarono in vita, e non bastò loro; vollero perseguitarmi anche dopo la morte, mia poco credito trovarono i miseri; vedendo poi dilatarsi la mia fede, la maggior parte di essi morirono di rabbia e di passione.
Stando dunque Nicodemo e Giuseppe discorrendo della mia risurrezione, e ricordando quanto avevo patito sulla croce, ne piangevano per compassione. Era l'ora di notte, e i due erano pieni di tristezza per le
pene da me sofferte. Si resero con questo degni della mia visita. Apparvi loro, salutandoli col solito saluto di pace, e con volto sereno parlai ad essi. Da principio, ebbero timore, vedendomi entrare a porte serrate, e ad ora tarda. Li consolai però e levai loro ogni,timore, dicendo ad essi che non temessero, perché io, essendo risuscitato, ero venuto a consolarli nella loro tristezza, ed a ringraziarli del pio ufficio che avevano prestato al mio corpo morto, per averlo imbalsamato e sotterrato onorevolmente. Li istruii poi di nuovo nei divini misteri, e dissi loro tutto ciò che dovevano fare per la loro eterna salute, e che non avessero alcun timore di mostrarsi pubblicamente miei seguaci; che non facessero conto alcuno dell'odio che ad essi portavano i Farisei, ed i principi dei sacerdoti, per avere onorato il mio corpo, dopo la mia morte, perché sarebbero stati da me sempre protetti. Molti furono i documenti e gli insegnamenti che diedi a questi miei discepoli, ed essi li eseguirono poi perfettamente. Avendomi adorato e confessato di nuovo, per vero Figlio di Dio e Messia promesso, svanii dai loro occhi, lasciandoli confortati e confermati nella fede della mia risurrezione.

GLI APOSTOLI PRESSO MARIA SS.
Finita la contesa fra i miei apostoli, alcuni di essi partirono per andare alla pesca, gli altri andarono a trovare la mia diletta Madre, per raccontarle che mi avevano veduto risuscitato, che ero apparso loro, dando ad essi il saluto di pace. Fra questi vi era anche Giovanni. Raccontarono alla diletta Madre, con grande compassione, l'incredulità di Tommaso. Ella li quietò, e li assicurò che anche lui avrebbe creduto. Difatti la Madre si pose a pregare per il suo figlio incredulo, e gli meritò, con le sue suppliche, la grazia della confermazione nella fede, e di conoscermi in un modo più distinto e chiaro degli altri, come sentirai.

NUOVA APPARIZIONE ALLA MADDALENA
Mentre tutto ciò seguiva, mi portai di nuovo a visitare la Maddalena, la quale, con il suo ardente desiderio ed il suo infuocato amore, mi invitava e tirava a sé, con dolce violenza. Essendo ella sola, la visitai di nuovo. Al vedermi, non poté contenere le violenze del suo amore, ed esclamò: Mio Maestro e mio Dio! Tutta divampante di celeste ardore, mi richiese di udire le mite parole divine, come era solita udirle, quando vivevo vita mortale. Difatti la compiacqui, parlandole dei divini misteri, ed insegnandole il modo di amarmi sempre più. La consolavo e l'inebriavo con la mia presenza e con le mie parole, godendo ella, nell'udirle, una immensa gioia, e restando sempre più infiammata dell'amor mio.

APPARE A MARTA ED A LAZZARO
Mi feci vedere anche da Marta e da Lazzaro, suo fratello, e mio discepolo, mentre stavano con un vivo desiderio di vedermi, avendo saputo delle varie mie apparizioni. E mentre si trattenevano a discorrere della mia morte e passione ed anche della risurrezione, mi feci veder loro, salutandoli col solito saluto, e manifestandomi ad essi chiaramente. Questi, pieni di allegrezza, ma anche di timore riverenziale che così appunto era il timore che avevano i miei discepoli alla prima vista li consolai e li animai a non temere, perché ero io.
E sappi, sposa mia, che quando dicevo questa parola, cioè: Non temete, perché son io, svaniva ogni timore da quelli che mi vedevano, per virtù della parola che dicevo loro; così mi potevano godere e contemplare senza timore, anzi, con grande giubilo del loro cuore.
Questi, assicurati della mia risurrezione, mi adorarono e mi confessarono di nuovo per vero Figlio di Dio; quindi anch'essi furono da me istruiti.
E sappi, sposa mia, che quando apparivo ai miei discepoli, ripetevo sempre la dottrina, che avevo loro insegnata mentre vissi vita mortale. Questo lo facevo per maggiormente confermarli nella credenza della mia risurrezione, onde non avessero di che dubitare, sentendo che parlavo loro nel modo stesso con cui avevo parlato prima ad essi, e delle stesse materie; non movendo punto dal suo essere la dottrina che avevo loro predicato con tanta carità ed amore, ed ordinato con somma sapienza e con tutta la perfezione.

VISITA LA MADRE
Dopo aver visitato questi due discepoli, cioè Lazzaro e Marta, sua sorella, mi portai di nuovo alla visita della mia diletta Madre. Questa sì, che era tutta la mia delizia, mentre mi trattenevo sulla terra. Ed oh, quanto godevo nel vederla sì bella e perfetta, sì ornata di virtù, e sì accesa d'amore, piena di fede, di speranza, di carità e soprappiena dì grazia! Con Lei mi trattenevo amorosamente, dandole tutta la libertà, come mia Madre, di abbracciarmi, di baciare le mie piaghe, specialmente quella del costato, la quale era da Lei in particolar modo onorata, perché ella fu sola a sentire il dolore di questa piaga. Con quanto amore si appressava ad essa! Quale torrente di divina consolazione gustava, quando poneva sopra di essa le sue castissime labbra, per sorbire il prezioso liquore, che dalla medesima scaturiva, per inebriarla e confortarla!
Ogni volta che mi trattenevo con la diletta Madre, l'ammaestravo intorno a ciò che doveva operare con i fedeli, dopo la mia salita al cielo, e l'informavo pienamente di quanto sarebbe seguito, tanto fra i miei apostoli, come fra tutti i fedeli. Ella conservava nel suo Cuore tutte le mie parole, per poter poi a suo tempo ammaestrare tutti, cioè, tanto gli apostoli come gli altri fedeli.
Mi cantava poi inni di lode, gustando io molto di udirla; e dopo unitamente lodavamo il divin Padre. Ogni volta mi raccomandava tutti i suoi figli adottivi, cioè, tutti i miei fratelli, per i quali ella fece sempre l'ufficio di amorosa Madre, specialmente dopo che da me le furono consegnati per figli, quando stavo in croce. E sempre otteneva grazie per qualcuno degli apostoli, o per gli altri discepoli, secondo il bisogno che vi era. Era tanta la grazia, il modo e la maniera con cui la diletta Madre mi pregava per i suoi figli, che non si poteva negarle cosa alcuna. E nello stesso domandare le grazie, feriva il cuore col suo amore, con la sua umiltà ed uniformità al divino valere.
Erano molto frequenti le visite, che in tal tempo, facevo alla diletta Madre, trattenendomi per lo più con Lei; le notti intere stava in estasi, godendo della mia presenza. Spesso le facevo vedere la nobile comitiva, che sempre avevo meco, cioè tutte le anime beate, e Lei si tratteneva spesso in colloqui con il suo sposo Giuseppe e con i suoi genitori, e poi lodavano unitamente il divin Padre, cantando in coro, la diletta Madre da sola, e le anime beate da loro. Ma, oh quanto di gran lunga le superava tutte insieme nella sapienza, nella grazia, nell'amore, dimostrandosi in tutte le sue azioni ed operazioni, Regina di tutte le creature; e da grande Regina operava tutto e tutti sopravanzava. Godevo molto nell'udirla; godevano anche tutte le anime sante, e la rimiravano ed ossequiavano come loro Regina. Quantunque la diletta Madre si vedesse tanto favorita ed innalzata, sempre più si umiliava ed abbassava; e con questa sua umiltà ed abbassamento, si andava meritando sempre nuova grazia.
Stando la diletta Madre immersa in un mare di gioia e di consolazione per la mia presenza, non pensare che si dimenticasse mai delle pene da me sofferte nella passione e sulla croce. Anzi, sinché visse, ne ebbe una continua memoria, e ne fu sempre amareggiata. Quando mi partivo da Lei, per andare dagli altri discepoli, ella pensava a quanto io avevo patito e quanto mi costavano care le anime da me redente con tanto sangue. Ed andava rammentandosi di tutti i miei patimenti e dolori, ad uno ad uno, mentre nel suo cuore si faceva un misto di amore e di dolore, di gaudio e di tristezza. Sinché visse in terra, fu perciò sempre amareggiata, ad imitazione mia, che mentre vissi vita mortale, vissi in continui travagli ed amarezze, volendomi ella essere in tutto e per tutto compagna fedele e Madre amorosa, che mai si scorda dei dolori del proprio figlio, quantunque non viva più in pene. E nel far questo, la diletta Madre mi dava sommo piacere e gusto, e si disponeva sempre a ricevere nuove grazie e favori.

VITA DI SUPPLICHE
Nei quaranta giorni che mi trattenni in terra, dopo la mia risurrezione, stavo sempre amando, lodando, benedicendo e ringraziando il divin Padre, a nome di tutti i miei fratelli, e domandandogli tutte le grazie, per ciascuno di essi in particolare e in generale. Il divin Padre si compiaceva molto di quanto operavo a favore del genere umano. E quantunque ricevesse dal mondo tante offese, Specialmente dagli empi Ebrei, con tutto ciò rimirava il mondo con grande amore, perché era abitato da me, sua delizia. E da me tutto riceveva una piena soddisfazione.

CAPO DICIOTTESIMO
Come il Figliuolo di Dio apparve ai suoi discepoli essendovi Tommaso e lo confermò nella fede, e di altre apparizioni fatte ai medesimi, e alle istruzioni che loro diede.

APPARE AI SUOI ED A TOMMASO
Essendosi adunati insieme i miei discepoli, con l'incredulo Tommaso, stavano discorrendo della mia risurrezione, delle apparizioni che avevo fatto loro, e della consolazione che avevano sperimentato nel vedermi. Con questi discorsi si andavano accendendo di un più vivo desiderio di rivedermi. Solo Tommaso stava ostinato a non dar loro credito, e di nuovo protestò, che se non metteva la mano nel mio costato aperto, non avrebbe mai creduto.
Stavano a porte serrate perché temevano l'impertinenza e la furia degli Ebrei, i quali dicevano che avendo essi rubato il mio corpo li volevano castigare. Stavano rinchiusi per timore di esser presi e maltrattati come miei discepoli. Mentre Tommaso faceva la sua protesta di non voler credere, se non toccava le mie piaghe, comparvi in mezzo a loro, salutandoli col saluto di pace. Tutti i miei discepoli si rallegrarono. Solo Tommaso restò confuso ed intimorito, perché conobbe che ero il suo Maestro, ma non ardiva proferire parola. Io però, rivolto a lui, lo invitai a mettere le sue dita nelle mie piaghe e la mano nel mio costato, come egli aveva protestato di voler fare. E gli dissi con grande amore e serenità: Non voler essere incredulo, ma fedele! Mentre egli alzava la mano, per toccare la piaga del costato, uscì al mio costato aperto una chiarissima luce, che andò a penetrare ed illuminare la sua mente. Allora vide con tutta chiarezza e conobbe essere io il suo Maestro e vero Figlio di Dio; conobbe la mia divinità, unita all'umanità risorta gloriosa, ed alzando le mani al cielo, per eccesso dell'amore e del giubilo, che allora gustò, esclamò ad alta voce: Signore mio, e Dio mio! Dopo, prostrato a terra, mi adorò con profonda adorazione, e domandò perdono della sua incredulità. Ed io, rivolto a lui dissi: Perché mi hai veduto, Tommaso, hai creduto! ma beati quelli che non vedranno e crederanno, e beati quelli che non hanno veduto ed hanno creduto! Con queste parole volli allora far conoscere a tutti i miei discepoli, che sarebbero stati beati tutti coloro che avrebbero creduto in me, pur non vedendomi come mi videro loro, e che già erano beati quelli che, non avendomi veduto, avevano creduto. Questi erano i Patriarchi, i Profeti e tutte le anime beate che mi seguivano, che furono prima della mia venuta al mondo e credettero fermamente che sarei sceso dal cielo per prendere carne umana e per redimere il mondo, come ai profeti fu rivelato.

UN DISCORSO DI GESù AI SUOI
Sentendo gli altri miei apostoli che Tommaso mi aveva confessato per vero Dio, si rallegrarono tutti e si confermarono anche essi nella fede. Feci poi un discorso a tutti sopra la fede, dicendo loro: Miei cari discepoli, voi avete veduto ciò che ho operato vivendo in carne mortale. Voi siete i testimoni sicuri di tutte le mie opere. Voi siete stati eletti per colonne, sulle quali si deve piantare la mia Chiesa, e se mancate nella fede, voi che avete udito e veduto tutto, come potrà star forte chi non mi ha udito, né veduto? Considerate bene che, essendo stati eletti per fondamenti di un edificio sì grande, qual è la Chiesa, dovete essere stabili, forti, immobili. Io vi impetrerò dal Padre tale fortezza e fermezza nella fede; ma anche voi domandatela, e negli assalti che avrete dai nemici della mia Chiesa, state farti, non date orecchio alle loro persuasioni e falsi dogmi. Sarete perseguitati e travagliati, come più volte vi ho manifestato, ma non temete, perché io nel cielo farò l'ufficio di difensore e di avvocato presso il Padre, e vi impetrerò tutta la grazia che vi sarà necessaria, per combattere contro tutti i miei e vostri nemici, i quali resteranno sempre abbattuti e vinti da voi, quantunque siate strumenti deboli, perché sarete vestiti della virtù divina. E poi vi prometto che, dopo salito al Padre, vi manderò lo Spirito Santo. Questo Spirito consolatore vi fortificherà, vi corroborerà, vi infiammerà, vi comunicherà i suoi doni, vi stabilirà nella fede, in modo che mai più vacillerete. Questo vi farà conoscere con più chiarezza ciò che io vi ho insegnato, e vi ricorderà tutta la mia dottrina. Animatevi dunque e non temete, perché sarete sempre protetti da me, vostro Maestro. Stavano i miei apostoli ad udirmi con grande attenzione e consolazione della loro anima, e si affezionavano tanto alla mia persona, che incominciavano a vivere più in me, che in loro stessi, gustando molto della mia presenza, per la dolcezza ed il gusto che sperimentavano nelle mie parole, in particolar modo Pietro, il quale si poneva sempre al mio lato, tenendo gli occhi fissi in me. Questo apostolo mi amò sempre con un amore più sensibile degli altri, essendo di natura molto affezionato, ed avendo collocato in me tutto il suo amore. Soffriva grande pena nello star lontano: avrebbe voluto godere sempre la mia presenza. Incominciò quindi a supplicarmi, perché non li lasciassi più, ma stessi sempre con loro. Mi diceva: Se voi, o buon Maestro, ci lasciate, come potremo vivere senza di voi? La vostra presenza ci consola e ci dà vita. Io per me voglio venire dove andrete voi, perché senza di voi mi è di pena il vivere. Così questo apostolo manifestava l'amore suo verso di mie. Mi amava grandemente, benché questo suo amore avesse bisogno di essere purificato, come anche quello degli altri apostoli: perché con la persona mia amavano anche la propria soddisfazione e consolazione, che sperimentavano nell'amarmi e nel conversare con me. Perciò più volte dissi a Pietro ed agli altri, che dove andavo io, essi non potevano venire, ma che sarebbe venuto il tempo in cui vi sarebbero venuti. Sentivano con pena queste parole, cioè, che li dovessi lasciare, perciò si affaticavano a supplicarmi di star sempre con loro. Mi dicevano: Nostro buon Maestro, state con noi, né ci private di questa consolazione! Non siete più soggetto ai patimenti, ora non vi è più nessuno che vi possa travagliare e farvi alcun male. Noi sì che restiamo in travagli, perciò la vostra presenza ci consolerà, ci animerà, ci istruirà. Altrimenti, che faremo noi poveretti, senza di voi? Compativo molto la rozzezza e la semplicità dei miei apostoli, e mentre li istruivo, li animavo, promettendo lo Spirito Santo; ma essi continuavano a chiedermi che stessi con loro,perché non sapevano che fare. Ed io di nuovo li istruivo, li capacitavo, con grande carità ed amore. Dicevo loro: Voi vedete con quanta pazienza e con quanta carità faccio quest'ufficio verso di voi, e quantunque siate stati meco per tanto tempo, ancora vi mostrate ignoranti, e non arrivate a capir bene quello che vi ho tante volte insegnato, e dichiarato con tanta chiarezza. Ora sappiate che la stessa carità ed amore dovete usare voi con i vostri prossimi, quando avrete ricevuto lo Spirito Santo ed andrete a convertire i popoli e ad istruirli nella cognizione del vero Dio. Vi ricordo di aver sempre questa mira: di imitar me, vostro Maestro, insegnando ed istruendo tutti con pazienza, con amore, con carità, compatendo l'ignoranza e l'infermità loro, come io ho compatito voi tutti. Ed in tutte le vostre operazioni, fatiche e travagli, cercate sempre la gloria del divin Padre e mia, col far conoscere a tutti il mio nome. Sarà mia gloria, se voi vi mostrerete fedeli nell'eseguire ciò che vi ho insegnato. La vostra mercede, poi, ve l'ho detto altre volte, sarà molto grande nel Regno dei cieli. Stavano tutti attenti ad udire le mie parole, e protestavano di fare quanto insegnavo loro. Difatti restavano tutti consolati, sinché mi trattenevo con loro; ma partito, sentivano grande pena per dover restare privi della mia presenza; si mostravano mesti ed afflitti, e fra loro si andavano comunicando la pena che provavano nel restar privi della mia presenza dicendo: Come faremo quando il mostro Maestro ci lascerà? Chi sarà capace di consolarci, mentre tutti siamo afflitti? Chi sa se sua Madre resterà con noi ? E se ci leva questo conforto da chi andremo? Alcuni di essi dicevano Non è possibile che ci lasci affatto orfani, e che ci privi anche della Madre! Troppo è grande la sua carità! Vedrete, che la lascerà con noi, perché ci animi, ci conforti, ci ammaestri. Altri poi ne dubitavano dicendo: Ah, vedrete che la condurrà seco, a godere il frutto di tanti dolori, sofferti nella sua acerbissima passione. E s'andavano trattenendo in questi discorsi. Poi, risolvevano di andare insieme dalla Santa Madre, per pregarla di adoperarsi presso di me, affinché non li avessi privati anche di Lei. Difatti vi andavano, e la Santa Madre li consolava, li animava, li assicurava che non sarebbero restati privi di conforto e di aiuto. Ed essi partivano soddisfatti.

NUOVE APPARIZIONI
Altre volte si adunavano insieme, bramosi di rivedermi. Dicevano: Dove sarà adesso, il nostro buon Maestro? Come potremmo fare per andarlo a trovare? Ah, se Lui vedesse l'afflizione dei nostri cuori, non tarderebbe a venire a consolarci con la sua dolce ed amabile presenza! E mentre ciò dicevano, lo mi facevo vedere in mezzo a loro, col solito saluto di pace. Nel vedermi, si ponevano a lacrimare per il giubilo del loro cuore. Erano da me consolati ed animati, e di nuovo istruiti. Raccomandavo loro che si andassero disponendo a restar privi della mia presenza visibile, altrimenti non sarebbero stati capaci di ricevere lo Spirito Santo, se non si distaccassero da quella consolazione sensibile. Ma essi sentivano malvolentieri queste parole; e Pietro diceva spesso: Mio buon Maestro, a me bastate voi! avendo voi con me, non ho più che desiderare. Allora l'apostolo era ammonito da me, acciò si distaccasse, perché io dovevo andare dal Padre mio, e desiderasse e domandasse con grande istanza lo Spirito consolatore, che avevo promesso, ma che anche loro dovevano bramare e domandare. E poi dicevo Voi date poca fede alle mie parole. Quante volte vi ho detto che lo Spirito Santo vi consolerà, vi corroborerà, vi santificherà, vi comunicherà i suoi doni, vi riempirà di fuoco divino; vi addottrinerà in tutte le scienze, senza vostra fatica; vi confermerà nella fede e nella grazia; vi farà forti e robusti; leverà da voi ogni timore, né sarete più rinchiusi e ritirati, ma con animo grande, andrete predicando il Nome mio e le divine grandezze, e non vi sarà forza e potenza umana, che vi possa impedire. Onde voi tutti dovreste bramare che io andassi presto dal Padre, acciò vi mandi questo Spirito consolatore.

SEMPRE LI CONFERMA NELLA FEDE
Stavano tutti attoniti ad udire queste grandezze, ed allora si andavano accendendo in questo desiderio; ed io svanivo dai loro occhi; e restavano per qualche tempo in quel desiderio, ma poi tornavano di nuovo al loro solito timore, bramando la mia presenza. Se ritardavo loro le apparizioni, incominciavano a dubitare e vacillare nella fede. Ed io apparivo loro di nuovo, e riprendevo la loro poca fede. Ma essi si scusavano col dire: Compatiteci, nostro buon Maestro! perché come restiamo privi della vostra presenza ci riempiamo di timore e di tristezza. Erano però da me ripresi con grande carità ed amore, e di nuovo istruiti ed esortati a distaccarsi da quella sensibile consolazione. Ogni volta che apparivo loro, mi rimiravano attentamente, e riconoscendomi alle fattezze, al tratto, all'abito, che io ero il loro Maestro, rientravano in se stessi, vincendo il dubbio che avevano, quando io partivo da loro. Poi fra di loro andavano discorrendo della verità della mia risurrezione. Dicevano: Oh, siamo pure di poca fede, per verità, come ci dice il nostro Maestro! Eppure lo vediamo con gli occhi nostri, ed udiamo le sue parole. Come può cadere nella nostra mente il dubbio? Nello stesso tempo che così andavano discorrendo, illuminavo la loro mente, e si andavano confermando nella fede, ed accendendo sempre più nell'amore verso di me, in particolare Pietro, il quale dava in smanie, quando era passato qualche tempo che non mi aveva veduto. Allora andava dalla mia diletta Madre a ricercare le nuove. Ella lo consolava e lo animava a soffrire la lontananza. Se ne andava poi alla pesca, con il pensiero e l'affetto verso di me, e continuamente lacrimava, ora al ricordo di avermi negato ed abbandonato nel tempo della mia passione, ora nel ricordarsi della dolcezza delle mie parole, della carità e dell'amore verso di lui. Spesso andava dicendo con gli altri suoi compagni: Il nostro buon Maestro si è scordato dell'offesa grande che gli ho fatto, negandolo, ma non me ne scordo io, che, sinché avrò vita, piangerò il mio grave peccato. Allora incominciavano anche gli altri apostoli a confessare la loro ingratitudine ed infedeltà, per avermi abbandonato nel tempo della mia passione, ed insieme piangevano il loro errore. Dopo aver dato qualche sfogo al loro dolore, incominciavano a discorrere della mia infinita carità ed amore verso di loro, e come mi ero scordato di tutti i loro non buoni comportamenti. Incominciavano a bramare di vedermi, e che fossi loro apparso per domandarmi perdono. Io mi compiacevo di udirli così compunti e grati dei benefici ricevuti, ed apparivo di nuovo, in mezzo a loro, salutandoli col solito saluto di pace. Ed essi restavano così presi dall'amore nel vedermi, che si scordavano di tutto, solo attendevano a gustare la dolcezza delle mie parole e l'amabilità del mio aspetto. Restavano estatici nel rimirarmi,ed in particolare Pietro, che per la dolcezza piangeva e prorompeva in parole di giubilo e di grande amore. Erano da me consolati e rimirati con volto sereno e gioviale, come ero solito nelle mie apparizioni; e quando io ero partito, andavano dalla diletta Madre a dirle tutto. E la Madre li stava ad udire con gran piacere e giubilo del cuore; poi li esortava ad essere più fedeli e costanti nella fede; li esortava anche a distaccarsi dalla consolazione della mia presenza, che essi tanto bramavano e ricercavano. Restavano molto consolati ed animati per le parole della mia diletta Madre, perciò quando veniva loro il desiderio di vedere la persona mia ed udirmi parlare, se ne andavano da Lei, per essere consolati. Ed Ella, come buona ed amorosa Madre, non mancava di consolarli e di animarli, parlando sempre con grande prudenza, carità ed amare. Essi poi se ne tornavano a pescare, per guadagnarsi il vitto, perché erano molto poveri, e molte volte si trovavano in grande necessità, perché non ardivano cercare l'elemosina, essendo molto timorosi, perché gli Ebrei li perseguitavano: si erano messi in cuore di levare dal mondo anche tutti i miei discepoli e seguaci, affinché non vi restasse più memoria di me. Il che non riuscì loro mai.

CAPO DICIANNOVESIMO
Come il Figliuolo di Dio, apparendo di nuovo alla sua SS. Madre, Le manifestò i Sacramenti e come Ella dovesse portarsi con i fedeli, dopo la sua ascensione e di altre apparizioni fatte agli apostoli.

ISTRUISCE MARIA SS. CIRCA I SACRAMENTI
Erano molto frequenti le apparizioni che facevo alla mia diletta Madre, e con lei mai trattenevo per dar lodi al Padre mio, magnificando la sua infinita grandezza, potenza, misericordia e bontà. Ciò facevamo a nome di tutto il genere umano, rimirando io tutti come fratelli, e la mia diletta Madre tutti come suoi figli adottivi. Perciò noi, con grande gusto ed amore, facevamo a nome loro questo ufficio, per il quale il divin Padre restava glorificato, e riceveva molto gusto. Con quale amore rimirava allora il mio divin Padre il mondo, perché abitato da me, che ero la sua delizia, e dalla mia diletta Madre, che era da Lui tanto amata, e dalla quale riceveva tanta gloria. Dovendo partire dal mondo, per tornare al Padre, l'amore mio seppe trovare sì nobile invenzione, per cui restassi nel mondo per mezzo del divin Sacramento. Questo era per me una gioia; lodai e ringraziai il Padre, a nome di tutti i miei fratelli, di sì grande beneficio, per mezzo del quale il mondo sarebbe stato rimirato sempre con grande amore dal Padre, ed i miei fratelli avrebbero avuto tanto sostegno e conforto, ed un tesoro di prezzo inestimabile da offrire al Padre in sconto dei loro debiti ed impetrazione di tutte le grazie loro necessarie. Di questo divin Sacramento trattavo con la mia diletta Madre, come anche. di tutti gli altri Sacramenti, istruendola, affinché avesse poi consigliato gli apostoli nei loro dubbi, perché Ella conservava tutte le mie parole nel suo cuore, né mai se ne dimenticava. A lei, dunque, più che agli apostoli stessi parlavo dei Sacramenti e del modo con cui dovevano amministrarsi, onde l'avesse poi insegnato loro. Ammaestrai ance gli apostoli, ma erano facili a dimenticarsene.
Trattando dunque con la diletta Madre dei Sacramenti, ad uno ad uno, ne davamo unitamente lodi e ringraziamenti al divin Padre, a nome di tutti i miei fratelli; del che Egli sentiva molto gusto. Poi la diletta Madre badava e ringraziava me, a nome di tutti i suoi figli, ed io restavo molto appagato delle sue lodi e dei suoi ringraziamenti. Ammettevo spesso al bacio delle mie piaghe la diletta Madre, adempiendo in questo il suo desiderio, e mentre baciandole gustava tanta dolcezza e soavità, non si dimenticava di quanto avevo patito nel riceverle, e così andava temperando l'ineffabile dolcezza con la memoria delle mie pene, una volta sofferte con tanta carità ed amore. Quantunque allora io stessi sempre godendo, Lei voleva patire, con la memoria delle mie pene, e così si andava sempre più arricchendo di meriti. Ciò fece per tutto il tempo che visse sopra la terra.

LE RACCOMANDA I FEDELI E GLI APOSTOLI
Essendo di tutto bene informata ed ammaestrata la diletta Madre, le raccomandavo tutti i fedeli, che sarebbero stati dopo la mia ascensione, che si sarebbero convertiti per le prediche dei miei apostoli, ricevuto che avessero lo Spirito Santo. E le dissi: Madre mia amatissima, voi sapete che, dopo la mia salita al cielo, manderò lo Spirito Santo sopra i miei apostoli; e voi ne sarete ripiena, in misura del vostro grande merito. E se lo Spirito consolatore si diffonderà tanto sopra i miei apostoli e gli altri discepoli, quanto più si comunicherà a voi, che siete la sua amatissima sposa! E, se nella mia incarnazione scese in voi con tutta la pienezza e vi ricolmò dei suoi doni, avendo trovato in voi un abitazione sì gradita, quanta pienezza di doni e di grazie vi comunicherà nella nuova venuta che farà in voi, trovandovi molto più arricchita di meriti e di grazia! Preparatevi, dunque, cara Madre, a ricevere la inondazione beata! E se voi non darete negli eccessi di amore in cui daranno i miei apostoli, non sarà perché voi non riceviate, senza comparazione, maggior fuoco e maggiori doni, ma perché il vostro cuore è un vaso assai vasto, in cui può entrare la sua pienezza. E se nella mia passione il vostro cuore è stato a guisa di un mare, per racchiudere in sé la grandezza del dolore, è ben di ragione che, nella venuta che farà in voi lo Spirito Santo, sia ancora come un mare, per racchiudere in sé il beato incendio. Rallegratevi, dunque, Madre carissima, perché racchiuderete nel vostro cuore un amore sì immenso, col quale sempre più amerete il divin Padre e me, vostro Figlio e Signore, con lo Spirito Santo, vostro Sposo. Vi raccomando però di nuovo tutti i miei fratelli. Voi li amate molto, ma io di nuovo ve li raccomando, per dimostrarvi sempre più l'amore che porto loro. Il vostro grande amore si diffonderà sempre più in essi. Voi parteciperete loro le vostre fiamme. Li consolerete, li animerete, li ammaestrerete, li consiglierete, ed impetrerete loro molte grazie. Tutto ciò che direte ed opererete, sarà approvato dal divin Padre, e sarà di suo gusto e compiacimento. A queste parole si prostrava in terra la diletta Madre, per udirle con sommo e umile gaudio, rendendo poi affettuosissime grazie alla Trinità SS. ed a me, come suo Figlio. Cantava inni di lodi, invitando le anime, che erano risorte beate, e tutti gli angeli di sua custodia, a lodare e ringraziare la SS. Trinità e l'umanità mia, a nome suo, per le molte grazie e favori di cui si vedeva ripiena e sublimata. Ed in tante sue grandezze, andava sempre più umiliandosi, riconoscendo il suo nulla ed i1 molto che aveva ricevuto, ed andava ricevendo dal suo Dio. Così dava molto gusto al divin Padre ed a me, e sempre più veniva arricchita di meriti e di grazie. Poi, uniti insieme, davamo lode al divin Padre, magnificando la sua immensa bontà, grandezza e liberalità, con tutte le divine perfezioni.

ALTRE APPARIZIONI
Lasciando la diletta Madre ricolma di gaudio, tornavo di nuovo a trovare i miei apostoli e gli altri discepoli. Già si era divulgata la mia gloriosa risurrezione, e tutti i miei discepoli bramavano di vedermi, ed io adempivo il loro desiderio, apparendo ad essi e consolandoli. L'amante Maddalena. fu spesso favorita dalle mie apparizioni, perché con grande ardore mi invitava. Ed io le apparivo, la consolavo, l'ammaestravo e le manifestavo ciò che doveva operare dopo la mia salita al cielo. Il simile facevo agli altri discepoli, che mi invitavano a manifestarmi loro, e stavano sempre con un vivo desiderio di vedermi. L'altro tempo, nel quale non mi trattenevo nel visitare i miei discepoli, 1'impiegavo a lodare, benedire e ringraziare il divin Padre, a nome di tutto il genere umano, per molti e sì grandi benefici che aveva ricevuto. Per lo più, facevo ciò con la mia diletta Madre. E di ciò godeva molto il divin Padre.

LA PESCA MIRACOLOSA
Molte volte apparivo ai miei apostoli, in modo che potessero restar sempre più convinti della mia risurrezione, con l'operare dei miracoli. Essendo stati essi alla pesca, ed avendo lavorato per tutta la notte, senza prendere pesci, molto stanchi ed afflitti, incominciarono a bramare e desiderare di vedermi. Dicevano fra di loro: Ah! se il nostro Maestro ci vedesse tanto affaticati ed afflitti, certo ci consolerebbe! Mentre dicevano ciò, apparvi loro, dandomi a conoscere chiaramente. Allora tutti afflitti, mi raccontavano la loro disavventura, perché si erano affaticati tutta la notte invano. Io, allora, affinché maggiormente si rassicurassero che ero veramente il loro Maestro e vero Figlio di Dio, e che tutto stava in mio potere, ordinai loro di gettare le reti in luogo da me assegnato. Lo fecero: difatti le reti si empirono di una moltitudine di pesci. Vedendo Pietro questo miracolo, mi fissò, e nello stesso tempo fu da me illuminato con un nuovo lume, per mezzo del quale conobbe la mia divinità, ed esclamò in presenza di tutti gli altri dicendo: Signore! allontanatevi da me perché io sono uomo peccatore! E piangeva amaramente. Ciò fece Pietro, perché nel riconoscere la mia divinità, ebbe anche un lume per conoscere la sua viltà e bassezza, e ricordandosi che mi aveva negato, restò ferito dal dolore e si riputava molto indegno di stare alla mia presenza. Anche gli altri apostoli restarono ammirati nel vedere., il miracolo, come anche nell'udire Pietro esclamare quelle parole, e tutti confusi, mi adorarono. Stavano però timorosi, ma furono da me animati, consolati, ed assicurati dell'amore grande che portavo loro. Erano poi da me istruiti sopra quello che andava ad essi succedendo. Dissi: Se tanto patite e vi affaticate nella pesca dei pesci, molto più vi dovrete affaticare e dovrete patire nella pesca delle anime! Voi tutti faticherete e sarete afflitti, ma in virtù del mio Nome, e col mio favore, farete acquisto di molte anime, e le vostre parole saranno a guisa di una rete, che tireranno al mio ovile le pecorelle erranti. Perciò, quando vi troverete in detta pesca, e sarete afflitti e travagliati, rivolgetevi a me ed invocate il mio Nome! Chiamatemi in vostro aiuto, e resterete consolati. Avendoli così ammaestrati e consolati, svanivo dai loro occhi, ed essi restavano a lodare e magnificare la mia infinita bontà e carità. Poi se ne andavano a raccontare tutto alla moria diletta Madre, la quale li udiva con suo gran piacere, ed anche lei li ammaestrava e li consolava; così partivano tutti soddisfatti. Poi raccontavano agli altri discepoli le apparizioni loro fatte, e il miracolo della pesca; ed i discepoli si accendevano di desiderio di vedermi, e con questo desiderio si andavano disponendo a ricevere la grazia. Mentre io apparivo loro, li istruivo, ricordando ad essi ciò che avevo loro detto nel tempo della mia predicazione.

DUBBI DEGLI APOSTOLI - COMPATIMENTO DI GESù
Quantunque i miei apostoli fossero tanto certi della mia risurrezione, per quello che più volte avevano da me udito, e mi vedessero trattare con loro nella maniera con cui li trattavo, mentre vissi in carne mortale e passibile, tuttavia spesso sorgeva qualche dubbio nella loro mente: tanto era grande la loro infermità, che dubitavano anche di ciò che con tanta chiarezza vedevano ed udivano. Erano però da me compatiti, e sempre più certificati, come feci apparendo loro, mentre mangiavano; e ponendomi a mangiare con essi, per accomodarmi alla loro rozzezza ed ignoranza. E poi dicevo loro, perché restassero maggiormente certi della mia risurrezione, che la mia umanità era risorta gloriosa ed immortale: Osservate bene che io non ho carne ed ossa, come voi vedete che io abbia; perché la mia umanità è risorta gloriosa ed immortale, essendo tutta spirituale, per la dote della sottigliezza e per tutte de altre doti gloriose, come io vi ho più volte narrato nel tempo della mia predicazione. Voi tutti, nell'universale giudizio, risorgerete con i vostri corpi gloriosi, come sono risorto io, e con voi tutti quelli che si salveranno. Stavano attoniti i miei apostoli ad udire ciò che dicevo loro, e si persuadevano, mi pregavano di compatire la loro ignoranza e rozzezza, dicendomi: Perché, o nostro buon Maestro, noi tutti restiamo convinti della vostra risurrezione mentre vi vediamo, e vi trattenete con noi, ed appena restiamo privi della vostra presenza, incominciamo a dubitare? Ed io rispondevo loro: Voi siete ancora deboli, perciò dubitate. Molte cose ancora io dovrei dirvi, che non vi dico, perché non ne siete capaci. Ma verrà lo Spirito consolatore, il quale vi insegnerà tutto e vi ammaestrerà molto più. Questo divino Spirito vi darà testimonianza di me, e vi suggerirà tutto ciò che vi ho detto, ed allora resterete ben confermati nella fede, perché questo divino Spirito vi riempirà di scienza e sapienza, con tutti gli altri suoi doni. Non meritate il divino Spirito, perciò io lo domanderò al Padre per voi. Ma anche voi domandatelo con istanza. Salito che sarò al cielo, non cessate di domandare al Padre lo Spirito divino, e preparatevi a riceverlo col ritiro e con l'orazione, come io prima di salire al cielo vi insegnerò a fare. Ricevuto poi che l'avrete questo divino Spirito, conoscerete con chiarezza le opere che io ho fatto stando con voi, le quali ora da voi non sono ben capite, perché ancora non conoscete la mia dignità e grandezza. Ma questo Spirito vi illuminerà e voi conoscerete meglio tutto ciò che io ho operato ed insegnato. Si riempirono di consolazione e di giubilo i cuori dei miei apostoli nell'udirmi parlare, perciò tornavano di nuovo a supplicarmi, acciò non li avessi lasciati. Ma erano di nuovo da me esortati a distaccarsi dalla consolazione sensibile, che provavano nello stare alla mia presenza ed udite le mie parole, affinché si rendessero capaci di ricevere lo Spirito consolatore. Essi allora chinavano la testa, né più mi rispondevano, dando segno che molto loro dispiaceva l'udire quel parlare. lo però di nuovo li consolavo ed animavo, e dopo partivo da loro. Ed essi tornavano a pescare, mia con desiderio di sempre vedermi ed udirmi. Ed io apparvi di nuovo mentre pescavano.

GESù APPARE AI SUOI SUL LAGO DI GENESARET
Stando essi in mare, mi feci vedere alla riva, ma non fui da essi conosciuto. Ebbero perciò timore, e discorrevano fra di loro chi fossi. Il discepolo amato, per la sua purità, prima di ogni altro mi riconobbe, e disse liberamente che io ero il loro Maestro. Udito ciò Pietro, acceso di desiderio di venire presso di me, per l'amore ardente che mi portava, esclamò: Signore, se siete voi, fate che io venga da voi, camminando sopra l'acqua. Fece questa domanda Pietro, avendogliela io ispirata, perché volevo far prava della sua fede, per maggiormente confermarlo in essa. Gli ordinai che venisse. E difatti, preso dall'impeto dell'amore, si pose a camminare con grande fretta sopra le acque, tenendo gli occhi fissi in me. Ma nel camminare che faceva, Pietro rimirò il mare, e considerò il pericolo in cui si trovava e cominciò a temere. Difatti incominciò a sommergersi nell'acqua, in modo che, a mano a mano che mancava nella fede, si andava affondando. Ed essendo quasi tutto sommerso nelle acque, esclamò a gran voce: Signore, salvatemi, perché mi affondo. Stavano tutti gli altri apostoli intimoriti nel vederlo affondare, ma non si mosse alcuno per andare ad aiutarlo, perché sapevano che io potevo liberarlo, come altre volte avevo liberato tutti dalla tempesta del mare. Accorsi alla supplica di Pietro, e presolo per la mano, lo trassi fuori dalle acque, sgridandolo: Di poca fede, perché hai dubitato? Condottolo alla riva, lo istruii a non mancare di fede.

ISTRUZIONE DI GESù SULLA FEDE: LI CONFERMA
Essendo arrivati alla riva anche gli altri apostoli, feci loro uni discorso sopra la fede, dicendo: Abbiate fede! che se voi avrete fede, tutto ciò che domanderete, otterrete. Se avrete fede, seguirà tutto ciò che ordinerete, e se direte ai monti che si trasferiscano in mare, e di ciò non dubiterete, seguirà quanto direte. Stavano ad udirmi con stupore i miei apostoli, parendo ad essi molto difficile ciò, che dicevo loro. Ed io di nuovo li esortai ad aver fede, perché sarebbe poi venuto il tempo in cui avrebbero operato prodigi, in virtù della fede. E soggiunsi: Avete udito, che vivendo in carne mortale, da tutti gli infermi che risanavo, ricercavo se avessero fede. Ora se è necessaria la fede in chi deve ricevere le grazie, molto più lo è in voi, che dovete fare le grazie, in virtù del mio Nome, e dovete operare molti prodigi e miracoli per la dilatazione della fede; perché si moltiplichi sempre più il numero dei credenti. Difatti, voi non avete occasione di dubitare, perché la vostra fede è la fede vera, essendo fondata nel potere divino, che può ciò che vuole, e dà a chi crede tutto ciò che domanda. Perciò domandate pure con fede, che si farà tutto ciò che domanderete. Avendo istruiti nella fede i miei apostoli, li lasciai; ed essi poi, fra di loro, andavano discorrendo delle grandezze della fede, che avevo loro insegnata, e si dolevano di aver mancato ad essa fino allora. Dicevano: Quante maggiori grazie ci avrebbe fatto il Maestro, se noi non avessimo mancato tanto nella fede! e proponevano di non mancar più, benché poi, all'occasione, mancassero, perché, ancora infermi, ogni piccola cosa li faceva dubitare. Altre volte poi discorrevano fra di loro e dicevano: Come fa il nostro Maestro ad apparirci ed a lasciarci, senza che sia da noi veduto di dove venga, né dove vada? Ed entra per le porte serrate? Facendo questi discorsi incominciavano a dubitare. Ed io di nuovo apparvi loro. Essi si intimorirono, dubitando che fossi qualche fantasma. Il timore fu causato dal discorso dubbioso che stavano facendo. Io dissi loro: Non temete perché sono io! Con questa parola, svanì il loro timore, ed io, con la solita domestichezza, li invitai a toccare il mio corpo, dicendo loro: Vedete e toccatemi! così resterete certi che io non sono spirito o fantasma, come voi dubitate: perché quantunque il mio corpo sia spiritualizzato per la dote della sottigliezza, con tutto ciò è palpabile, mentre il solo spirito non è palpabile: E vero che, come vi dissi, la mia carne e le mie ossa non sono come voi vedete, cioè, gravate dal peso della corruzione, perché sono glorificate, ma, con tutto ciò sono palpabili, perciò toccatemi pure, e sarete convinti di quanto vi dico. Difatti Pietro si gettò ai miei piedi, ed io glieli feci baciare, come fecero gli altri apostoli e discepoli presenti. Così rimasero persuasi di quanto loro dicevo, e molto più si andavano affezionando a me e mi pregavano di non lasciarli. Dal che presi motivo di esortarli di nuovo a distaccarsi dalla consolazione sensibile, ed a desiderare che venisse presto lo Spirito Santo sopra di loro. Il che non sarebbe seguito, fino a quando io non fossi salito al cielo.

CAPO VENTESIMO
Come il Figliuolo di Dio apparve di nuovo ai suoi apostoli e diede loro la potestà di rimettere i peccati per mezzo del Sacramento della Confessione e di altre apparizioni fatte ai suoi discepoli.

IL POTERE DI RIMETTERE I PECCATI - ISTRUZIONI
Essendo i miei apostoli rimasti certi della mia risurrezione per quello che avevo loro manifestato ed operato, perché maggiormente si confermassero nella fede, mentre un giorno erano uniti insieme, discorrendo della mia risurrezione, e dicevano che non vi era da dubitarne, e tutti undici protestavano di credere senza alcun dubbio , apparvi in mezzo a loro, salutandoli col salito saluto di pace. Restarono tutti consolati per la mia presenza, e unitamente mi rimiravano con Grande amore e fede, riconoscendomi come loro Maestro e Signore. Ed io dissi loro: Sappiate che a me è stata data tutta la potestà, sia in cielo come in terra, ed ora la comunico a voi. Allora mandai il mio alito sopra di loro, incominciando da Pietro, col dire: Ricevete lo Spirito Santo in voi, e i peccati che voi rimetterete saranno rimessi, quelli che riterrete, saranno ritenuti . Questo è il sacramento, per mezzo del quale resteranno assolti in cielo coloro che voi assolverete qui in terra; e quelli che da voi non saranno assolti qui in terra, non saranno assolti nemmeno in cielo. I miei apostoli nel ricevere il mio alito divino, restarono infiammati di un più perfetto amore verso, di me, e di carità verso il prossimo ed insieme furono illuminati per la cognizione di un sì grande sacramento. Ed io li istruii, insegnando loro il modo con cui dovevano amministrare il sacramento della penitenza; ricordando ad essi di nuovo il precetto della dilezione, che già avevo dato nell'ultima cena, li esortai ad avere l'amore e la carità, che vedevano che io avevo avuto verso di loro, e l'avessero con tutti i prossimi. E come io li avevo compatiti nelle loro mancanze, specialmente nella loro poca fede, così essi compatissero i loro prossimi, e fossero facili al perdono, come io lo ero stato con loro, soggiungendo: Voi vedete, figliuoli miei, con quanta carità ed amore ho proceduto con voi! quanto vi ho compatito, come sono andato continuamente istruendovi! Ora sappiate, che tutto ciò lo dovete praticare anche voi con i vostri prossimi, e, per grandi che siano i peccatori, non li scacciate mai, quando questi vengano a penitenza, mia abbracciateli ed animateli a confidare nella divina misericordia, che vuole che il peccatore si converta e viva. E se torneranno a ricadere nei loro errori, voi tornerete di nuovo ad assolverli dalle loro colpe, quando questi, pentiti del male commesso e risoluti di non più commetterlo, torneranno ai vostri piedi, per detestare i loro errori. Vedete voi, come io torno di nuovo ad assicurarvi della mia risurrezione, quando voi, dopo tanti chiari segni, tornate di nuovo a dubitare. E come vi compatisco del vostro errore, abbiate anche voi questo spirito di carità e di compassione, e per compatire alla fragilità altrui, rimirate la fragilità vostra! Lo Spirito Santo, che ora ho mandato sopra di voi col mio divino alito è lo stesso Spirito che scenderà dal cielo sopra di voi, dopo la mia ascensione. Questo, che ora vi ho dato invisibile, allora scenderà visibile. Questo che vi ho dato ora, per comunicarvi la potestà di rimettere i peccati, vi ha comunicato la grazia per bene esercitare tale ufficio; ma quello che scenderà sopra di voi, che io vi impetrerò dal mio Padre divino, vi comunicherà i suoi doni in abbondanza, e vi infiammerà il cuore del suo amore, secondo la vostra capacità; perciò andatevi disponendo a ricevere un tanto dono, perché quanto più sarete disposti, e saranno ardenti i vostri desideri di questa venuta, con maggior pienezza si comunicherà alle vostre anime. Tutto ciò spesso dicevo ai miei apostoli, affinché si accendessero del desiderio di ricevere il divino Spirito, e sempre più si rendessero capaci di ricevere la pienezza dei suoi doni, e si distaccassero dall'amore troppo sensibile che avevano per la mia umanità. Perciò i miei apostoli rimasero molto consolati, e mi andavano facendo varie richieste, alle quali Io rispondevo con grande amore e carità, compatendo la loro ignoranza e rozzezza, ed animandoli e confortandoli sempre più.

SI PORTANO DA MARIA
Partito da essi, se ne andarono dalla mia diletta Madre a darle ragguaglio di quanto avevo partecipato loro circa il sacramento della penitenza; e la santa Madre, essendone già informata, anche lei li istruì, e poi, unita con loro, rese grazie al divin Padre, a nome di tutti i miei fratelli, per il beneficio fatto loro del sacramento della penitenza. Poi parlò agli apostoli, confermandoli nella fede, ed esortandoli a desiderare con ardore la venuta dello Spirito Santo, che avevo loro promesso. Parlò loro con grande eloquenza dei doni di questo divino Spirito e degli effetti che avrebbe prodotto nelle loro anime. Ne parlò la santa Madre con tanta eccellenza, perché sapeva per esperienza quello che il divino Spirito suol operare, quando entra in un cuore, perché il cuor suo ne fu ripieno nella mia incarnazione. Gli apostoli restarono molto accesi di desiderio per le parole della santa Madre, ed Ella promise oche avrebbe presentato le suppliche al divin Padre ed a me, a nome loro, onde ad essi fosse comunicato il detto Spirito con maggiore pienezza. E così partirono i miei apostoli tutti consolati e confortati.
A mano a mano che si andavano confermando nella fede, io andavo partecipando loro maggiori lumi e grazia. E ben vero che permettevo cadessero nei dubbi, per maggiormente far loro conoscere la verità dei divini misteri, con quanto operavo in conferma di ciò, perché in tutto quello in cui essi mancavano, io li illuminavo e facevo loro conoscere la verità con tutta chiarezza, ed essi restavano sempre più convinti; perché i dubbi che potevano cadere nelle loro menti, erano da me levati, tanto con le parole, come con i fatti, mentre dalle opere che facevo, stando in mezzo a loro, restavano sempre più confermati nella fede.

AMMIRAZIONE DEGLI APOSTOLI PER MARIA
Partiti dalla diletta Madre, andavano fra di loro discorrendo di quanto avevano udito da Lei, lodandola e magnificando le sue virtù e gli speciali doni e prerogative, che in Lei spiccavano. Poi dicevano unitamente: Veramente si può dire, con tutta verità, essere gran Donna, vera e degna Madre del Messia, nostro Maestro, perché in Lei vi sono tutte le virtù: è piena di grazia, di sapienza; tutta benigna, tutta piacevole, tutta carità, tutta amore e tutta misericordia. Oh, Lei sì, che è un perfettissimo esemplare del nostro divin Maestro! E poi dicevano: Oh, Lei beata e felice! E felici anche noi, a cui è toccata la bella sorte di conoscerla e di essere da Lei istruiti! Mentre così discorrevano, Pietro, il quale era di più spirito e molto infervorato, diceva loro: Bisogna che noi, uniti insieme, facciamo una supplica, con grande premura, al nostro Maestro, acciò la lasci con noi, e partendo Lui non ci levi questo aiuto e conforto: bisogna che noi più volte glielo chiediamo. E tutti unitamente proponevano di fare la richiesta, come difatti fecero. Compativo le loro replicate richieste, perché pensavano che lo fossi come loro, che, avendo più volte promesso, all'occasione potessi mancare. E così, quantunque fossero da me assicurati, tornavano di nuovo a fare la richiesta. Ed io, con la mia solita serenità, li stavo ad udire, li consolavo ed animavo a non temere, perché non li avrei privati di tale consolazione, aiuto e conforto.

DISCORSO DI GESù AI SUOI
I miei apostoli si andavano disponendo ed accomodando alla mia partenza, con l'aiuto e la grazia dello Spirito, che avevo comunicato alle anime loro, e si andavano accendendo vieppiù nel desiderio di ricevere lo Spirito consolatore. Ed io, apparendo ad essi di nuovo, essendo essi congregati, parlai con grande tenerezza ed amore: Voi già vedete e conoscete quanto vi amo, e come non siete chiamati da me servi, quantunque io sia il Signore vostro, ma vi chiamo amici, ai quali ho confidato i miei segreti, e tutti avete veduto quello che io ho operato mentre stavo con voi. Conoscete dunque il beneficio grande che ho fatto a voi. Non avete voi eletto me, ma io ho eletto voi, chiamandovi dal mondo alla mia sequela, per mandarvi a far frutto nel mondo, ad acquistare le anime sviate e ridurle al mio ovile. E quello che farete voi, lo faranno anche molti altri dopo di voi, sinché dureranno nella mia Chiesa coloro che ad imitazione vostra si applicheranno all'acquisto delle ani e faranno gran frutto: perché molti si convertiranno per le loro fatiche, che saranno loro rimunerate con eterno premio. Rallegratevi, dunque, voi che siete stati da me eletti per un ufficio sì sublime, di tanto gusto e gloria del divin Padre, e di tanto merito per voi, se starete uniti a me e se le mie parole resteranno in. voi, e saranno da voi custodite ed eseguite. Io vi dico: tutto ciò che vorrete, domandate e vi sarà dato. Il Padre mio vi ama, perché voi avete amato me ed avete creduto in me. E tutto ciò che vorrete, domandatelo al Padre mio in mio Nome ed otterrete; e da ciò che il Padre mio vi darà, conoscerete quanto Egli vi ama, e conoscerete ancora quanto ama me, perché, in riguardo mio, vi concederà tutto quello che gli domanderete. Restavano molto consolati i miei apostoli nell'udire le promesse che facevo loro, e molto più nel sentirmi parlare.
Però di nuovo si turbavano e si affliggevano nel pensare che fra breve dovevo lasciarli e di nuovo tornavano a supplicarmi onde non li avessi lasciati. Risposi che si disponessero pure a restar privi della mia visibile presenza, perché in breve dovevo tornare al Padre mio che mai aveva mandato; dicendo loro ancora: Voi, Figliuoli miei, state mesti, e sarete molto afflitti e rattristati: ma non dubitate, perché la vostra tristezza si convertirà in gaudio ed allegrezza. Non vi apporti meraviglia se vedete che il mondo sta in allegrezza e fa festa; anzi di ciò vi dovete dolere per compassione, perché la sua allegrezza si convertirà in pianto eterno. Voi sarete stimati vili dal mondo ed infelici: ma ciò non vi apporti pena, perché sarete grandi e felici per tutta una eternità, ed il mondo sarà vile ed infelice, condannato ad eterne pene e miserie incomparabili. Voi sarete odiati e perseguitati dal mondo, ma sappiate che questo non vi potrà nuocere in cosa alcuna. E di ciò vi rallegrerete, perché il mondo tratterà voi come ha trattato me. Non dovete voi pretendere di essere da più di me, che sono il vostro Dio e Maestro: se io sono stato perseguitato e maltrattato dal mondo, dovete anche voi bramare che vi tratti come ha trattato me, perché così vi assomiglierete più a me, e da me sarete rimirati con più amore, come anche dal Padre mio, perché vi vedrà simili a me. In tutti i travagli e persecuzioni che incontrerete, ricordatevi sempre di ciò che ho sofferto io, così vi animerete a soffrire con allegrezza e vi stimerete felici, perché vi assomiglierete a Ne. Il tutto soffrite con pazienza ed allegrezza, come avete veduto che ho sofferto io. Infatti voi dovete seguire gli esempi che io vi ho dato, e far conoscere a tutto il mondo che siete miei discepoli e seguaci. Amatevi scambievolmente, come io ho amato voi, e da questo scambievole amore che avrete fra di voi, si conoscerà che siete miei discepoli. Tutto ciò, e molto più, dissi ai miei apostoli, e più volte ancora, accomodando il mio parlare alla loro rozzezza e semplicità; ed essi stavano and udirmi con grande attenzione, parte presi dall'amore e dalla dolcezza delle mie parole, e parte intimoriti nel sentire ciò che a loro sarebbe convenuto soffrire dal mondo, dopo la mia partenza. Ma io li animai dicendo: Voi vi rattristate nel sentire le persecuzioni che vi converrà soffrire, e come sarete odiati dal mondo; ma non temete, perché lo Spirito Santo, che io vi ho promesso, vi darà fortezza e spirito, in modo che voi vi rallegrerete e gioirete in tutti i travagli e persecuzioni. Con molta allegrezza andrete nei tribunali e tratterete con i tiranni e i nemici del Nome mio e della mia fede, ed il vostro cuore giubilerà, e godrà il vostro spirito nel patire molto e soffrire le calunnie e le contumelie per amor del mio Nome. Di altro spirito sarete allora, che non siete adesso: perché lo Spirito Santo sarà quello che parlerà in voi, e vi darà virtù e fortezza grande, in modo che opererete e parlerete senza alcun timore. Udito questo, restarono molto consolati i miei apostoli ed animati. Ed io partii da loro.

GUSTO ED ATTACCO DEGLI APOSTOLI
Tutto il tempo in cui mi trattenevo con i miei apostoli, per lungo che fosse, sembrava ad essi breve momento, tanta era la consolazione che sperimentavano nell'udire le mie parole, e quantunque stessero ad udirmi con molta attenzione, era assai più il gusto e la consolazione ché avevano nel vedermi,e nell'udirmi parlare. Ed essi stavano molto attaccati a questa consolazione sensibile. E dopo che io li avevo lasciati, dicevano fra di loro: Oh, come è partito presto il nostro Maestro! Come faremo quando non l'avremo più con noi? E così, in questi discorsi, si dimenticavano di quanto aveva detto loro, e si affliggevano molto, al pensiero di dover restar privi della mia visibile presenza; e quantunque fossero stati da me più volte ammoniti a volersi distaccare da quella sensibile consolazione, tanto tornavano spesso a discorrere fra di loro di questo particolare. E in tali discorsi si andavano più attaccando, e con più desiderio bramavano che io fossi stato sempre con loro. Erano però da me compatiti: tornavo di nuovo ad apparir loro e li riprendevo, benché con grande carità ed amore, dimostrando loro in tutto e per tutto la grande carità, pazienza ed amore, che avevo per essi, acciò anche essi l'avessero praticato con i loro prossimi, a mia imitazione.

MISSIONE - POTERI - ISTRUZIONI
Essendo un'altra volta congregati insieme, discorrendo di quello che avevo loro detto, e bramando di nuovo di vedermi e di udire le mie parale, apparvi, ponendomi, secondo il solito, in mezzo a loro. E salutandoli col solito saluto di pace, mandai il mio alito sopra di loro, comunicando loro lo Spirito Santo di nuovo, ordinando ad essi, che amministrassero il sacramento del Battesimo, e che andassero per il mondo a predicare il vangelo a tutte le creature, dicendo: Andate per tutto il mondo, e predicate il mio Vangelo a tutte le creature che battezzerete, in nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo. E tutti quelli che crederanno e saranno battezzati, saranno salvi, e quelli che non crederanno, saranno condannati. Vedrete molti segni sopra quelli che crederanno: cacceranno i demoni in virtù del Nome mio, parleranno varie lingue, cioè, avranno un nuovo linguaggio, leveranno i serpenti, cioè convertiranno, con le loro parole, i peccatori, togliendo dalle loro anime le colpe, e se loro si darà a bere il veleno, non nuocerà loro; porranno le loro mani sopra gli infermi e resteranno sani. Tutto ciò opererà chi avrà fede e crederà. Nel principio della mia Chiesa, sono particolarmente necessari tali prodigi, perché si accresca il numero dei fedeli; ma non mancherà mai nella mia Chiesa chi opererà prodigi, in virtù del Nome mio, per confondere gli infedeli. E siccome adesso ho partecipato a voi la virtù e il dono della grazia, per battezzare ed andare a convertire il mondo, così do a voi l'autorità di comunicarli ad altri ministri che ordinerete, perché facciano quello che io ora ho ordinato che facciate voi. Imporrete sopra di loro le vostre mani, invocherete sopra di loro lo Spirito Santo, mandando il vostro alito sopra di essi, come io ho fatto sopra di voi. Ed io ora do a voi questa facoltà. Stavano tutti attoniti i miei apostoli. Ma io dissi loro: Non vi meravigliate di ciò che poco intendete: ma quando riceverete lo Spirito consolatore, sarete ben capaci ed il tutto intenderete, perché questo Spirito vi comunicherà i suoi doni, e sarete ripieni di scienza, di sapienza e di tutti gli altri doni, ed allora capirete bene quanto io vi ho detto ed insegnato, e vi farà conoscere chiaramente le grazie che vi ho fatto, che ora non intendete. Capirete tutti i misteri e tutti i sacramenti che vi ho insegnato, ed il modo con cui li dovrete amministrare. Poco tempo mi resta da star con voi, perciò vi rattristate molto per la mia partenza; ma lo Spirito Santo vi consolerà, e godrà e si rallegrerà il vostro cuore di un pieno godimento; che sperimenterete e non vi sarà tolto da alcuno; per quanto patirete e soffrirete di odio, di persecuzioni, di flagelli, non partirà mai da voi il godimento, che vi comunicherà questo divino Spirito. Non vi affliggete dunque, miei cari discepoli, per la mia partenza, perché se io non vado, non riceverete questo divino Spirito. Si confortavano di nuovo i miei apostoli per le promesse che facevo loro, ma il pensiero della mia partenza li affiggeva molto, in modo che spesso piangevano, e mi rimiravano con grande ansietà, senza saziarsene; e quantunque tanto dicessi loro per consolarli, con tutto ciò, per essere molto attaccati con l'affetto alla persona mia, non si potevano accomodare di restarne privi. Io non mancavo dei dare loro la grazia per questo,ma l'umanità sentiva molto la perdita di ciò che tanto amava, e per tanto tempo aveva posseduto. Io li compativo molto, e perciò non mancavo di andare a consolarli e ad istruirli, più e più volte ripetendo loro le stesse parole, onde si imprimessero. nella loro mente; perché si rendevano incapaci di alcuna impressione, per la soverchia tristezza che apportava loro il pensiero della mia partenza.
Io allora ero pienamente beato, non più soggetto al dolore, altrimenti avrei inteso molta pena nel vedere l'afflizione dei miei apostoli, che tanto amavo e compativo; ma pure dovevano soffrire tale pena e distaccarsi del tutto da quella consolazione, perché si rendessero capaci di ricevere il divino Spirito, mentre allora, tutta la loro consolazione, tutti i loro affetti e desideri, avevano collocato nella mia umanità, e non altro bramavano che distar con me e godere della mia visibile presenza: onde i loro affetti e desideri avevano grande bisogno di essere purificati, perché amavano più la loro consolazione, che la mia gloria, più il loro gusto che il mio, perciò era espediente che io li lasciassi, affinché si distaccassero, ed il loro amore si perfezionasse. Tutto ciò dicevo loro, ma si mostravano inconsolabili, benché poi, con 1'aiuto della grazia, si accomodarono, come sentirai.
Avendoli in parte consolati ed istruiti, li lasciai. Quando svanivo dai loro occhi si sentivano strappare il cuore dal petto, ed in particolare Pietro, che più di tutti si mostrava affezionato, e che avrebbe voluto star sempre in mia compagnia. Restando poi soli, si andavano consolando con le promesse che avevo loro fatto, e con la grazia che loro comunicavo. Non vi è mente che possa arrivare a capire quanto fosse grande il dolore, che sentivano i miei apostoli, nel dover restar privi della mia persona: perché non vi è chi con tanta familiarità, e per sì lungo tempo, abbia goduto delle mie grazie ed udito le mie parole. Solo la mia diletta Madre lo capiva, avendone goduto molto più di loro, perciò li compativa, di consolava ed animava, come suoi piccoli figlioli, ed essi, per le parole della medesima, restavano spesso molto animati e confortati.

APPARE AGLI ALTRI DISCEPOLI
Alcune volte mentre gli altri miei discepoli discorrevano fra di loro della mia risurrezione, che si era divulgata, per essere apparso ad alcuni di essi, si mostravano desiderosi di vedermi, ed io apparivo in mezzo a loro, dando ad essi il solito saluto di pace. Si riempì di giubilo il loro cuori nel vedermi, e riconoscendomi, tutti mi adorarono. lo parlai loro con grande amore, istruendoli e ricordando ciò che avevo detto nel tempo della mia predicazione, per maggiormente confermarli nella fede della mia risurrezione. Grande fu la consolazione che intesero questi miei discepoli, nel vedermi ed udire le mie parole. Ed io manifestai anche ad essi, che in breve dovevo andare al Padre mio, che mi aveva mandato, dicendo loro: Sappiate, miei discepoli, che devo tornare al Padre mio, che mi, ha mandato: è breve il tempo che mi resta da stare con voi. A queste parole sentirono grande afflizione i discepoli, e si rattristarono molto, perché anche essi mi amavano molto. Io però li consolai, dicendo loro Non vi rattristate, nel sentire che io vi devo lasciare, perché, dopo la mia partenza, vi manderò lo Spirito consolatore, che ho promesso ai miei apostoli. Ed anche voi vi unirete con loro e riceverete il divino Spirito, secondo la disposizione che avrete. Perciò preparatevi a riceverlo con infuocati desideri, e domandatelo con istanza al divin Padre. Questo Spirito vi infiammerà del suo amore, vi illuminerà, e vi darà chiara testimonianza di me, vi suggerirà tutto ciò che io vi ho insegnato; vi stabilirà nella fede, vi darà fortezza, vi consolerà, vi leverà il timore, che ora tanto vi opprime e vi farà confessare con prontezza il Nome mio, in faccia a tutti i nemici della mia fede. Stavano ad udirmi con grande attenzione e giubilo dei loro cuori, per la dolcezza delle mie parole, dalle quali erano penetrati, ed alcuni piangevano per la soverchia consolazione, non saziandosi di rimirarmi; ed io davo loro lume per conoscermi sempre con maggiore chiarezza. Ed avendoli consolati, istruiti e confermasti nella fede della mia risurrezione, li lasciai. Essi andarono subito a darne nuova agli apostoli, e discorrendo fra di loro, si andavano sempre più confermando nella verità, con lo sbandire ogni dubbio dalle loro menti. E così, mentre si avvicinava il tempo della mia partenza dal mondo, per andare al Padre, essi si andavano sempre più confermando nella fede, impetrando io per loro molte grazie dal Padre: perché nel partire che dovevo fare dal mondo, volevo che tanto i miei apostoli, come tutti i miei discepoli, restassero confermati nella verità della mia risurrezione. Andavo perciò facendo continue apparizioni, trattenendomi con loro, istruendoli, consolandoli ed animandoli. E quanto più trattavo con loro, tanto più cresceva in essi la fede e la certezza della mia risurrezione.
Per tutto il tempo che mi trattenni in terra, dopo la mia risurrezione, davo continue lodi e ringraziamenti al mio divin Padre, a nome di tutto il genere umano, offrendogli i miei meriti, ed ottenendo molte grazie per tutti i miei fratelli. Spesso lo lodavo, unito con la diletta Madre e con tutto il coro dei Santi, che avevo liberato dal Limbo, e che conducevo meco, lodando unitamente il divin Padre, come altre volte ti ho detto. Ne godeva molto il Padre mio, restando lodato e glorificato da creature sì sublimi: qual era la mia umanità unita alla divinità, la mia diletta Madre, e tutti quelli che errano risorti beati: godendo questi e contemplando la mia umanità e divinità, quale era in se stessa, cioè svelatamente. E perciò, benché stessero mero in terra, godevano della visione beatifica, ed erano beati, deliziandosi nella persona mia.

CAPO VENTUNESIMO
Come il Figliuolo di Dio apparendo alla sua SS. Madre le manifestò essere arrivato il tempo della sua gloriosa ascensione. Il simile fece ai suoi apostoli. E di ciò che loro insegnò.

IL TEMPO DELL'ASCENSIONE
Essendo vicino il giorno, decretato dal divin Padre, della mia gloriosa ascensione al cielo, avendo istruiti i miei apostoli, circa le cose che dovevano operare, dopo la mia ascensione, ed essendo stati anche sicuri della mia risurrezione, per, le molte apparizioni fatte loro e per quello che operai in conferma della verità, restava che partissi dal mondo, per tornare al Padre mio, e pigliare l'intero possesso della gloria, che mi ero acquistata, stando nel mondo, per non lasciarla mai più, e goderne il possesso per tutta l'eternità.
Desiderava il divin Padre di vedermi collocato alla sua destra, in possesso della gloria acquistata; desideravano tutti gli angeli che ciò presto si eseguisse, per vedere il loro Re nel trono, per adorarlo e prestargli il dovuto vassallaggio; desideravano anche le anime dei beati risorti, di vedersi collocati nei loro seggi; desideravo io di adempire la volontà del Padre, e di mandar presto lo Spirito Santo sopra i miei apostoli, perché maggiormente fossero confermati e stabiliti nella fede, e fossero riempiti dei suoi doni e del suo amore, onde fossero andati presto a predicare il mio vangelo ed a convertire il mondo, del che avevo pure grande desiderio, acciò ognuno godesse i frutti dell'umana redenzione.

APPARE ALLA MADRE
Pertanto, apparendo alla mia diletta Madre, le manifestai tutti questi desideri, e che era arrivato il tempo, in cui dovevo tornare al Padre mio per prendere l'intero possesso della gloria: che essendo già mia, in quanto alla divinità, me la ero poi acquistata in quanto all'umanità, vivendo nel mondo e soffrendo quello di cui lei era stata spettatrice. Avendo manifestato ciò alla mia diletta Madre, genuflessa, adorò la divina volontà e si rallegrò, nel vedere giunto il tempo della mia incomprensibile esaltazione: Si contentò di restare in terra, per beneficio della Chiesa nascente, per conforto sia dei miei apostoli e discepoli, come anche di tutti i fedeli. Per questa sua conformità al volere del Padre, nel contentarsi di restare in terra, salendo io al cielo, e fu dal Padre accresciuta una nuova grazia ed un grande cumulo di meriti, rendendosi ella sempre più grata al divin Padre, che, unita con me, lodò e magnificò, rendendogli grazie a nome del genere umano, per il beneficio che gli faceva di lasciarla in terra per conforto e consolazione dei fedeli. Furono gradite al Padre queste sue lodi e ringraziamenti, per i quali la ricolmò di maggiori grazie.
Terminate le divine lodi, le parlai con grande amore e tenerezza, come suo Figlio amatissimo, e le raccomandai di nuovo tutta la mia Chiesa, cioè, tutti quelli che avrebbero creduto in me, che avrebbero esaltato il mio Nome ed abbracciato la fede, che i miei apostoli avrebbero predicato. La istruii di nuovo di ciò che doveva fare per beneficio dei fedeli, l'assicurai, che sarebbe stata, tanto dal divin Padre come da me, rimirata dal cielo, con tutto l'amore con cui si trovava presso di noi sublimata, e che lei, vivendo in terra, sarebbe stata la nostra delizia, e, nel di Lei cuore, avremmo fatto la nostra mansione, e la nostra giocondissima abitazione. L'assicurai, che tutto ciò che avrebbe domandato, tutto avrebbe ottenuto, essendo ella la creatura sopra ogni altra diletta, da noi eletta per Regina dei cieli e della terra, dandole il nostro potere e ricolmandola sempre più di nuove grazie e favori. Voi, Madre mia amatissima, le dissi, abiterete col corpo in terra, ma il vostro spirito abiterà nell'altezza dei cieli, e converserete con noi. Ed io spesso mi farò da voi vedere, assiso sul mio trono, alla destra del mio divin Padre, e godrete `della visione beata. Domandate pure ciò che volete: tutto si eseguirà, perché, essendo voi stata sempre tanto uniformata alla volontà del Padre, il Padre, con gusto, eseguirà ciò che sarà di vostro compiacimento, e ciò che da voi gli sarà domandato. Rallegratevi, che, essendo noi nella sublimità del nostro trono, avremo in terra una creatura da rimirare con tanto nostro compiacimento e nella quale troveremo tutte le nostre delizie. Si umiliò a queste parole la diletta Madre, rimirando il suo nulla, dando a Dio tutta la gloria, e mi pregò di lodare e di ringraziare a nome suo il divin Padre, che tanto l'aveva sublimata e ricolmata di grazia, unendosi con la polvere. Adorò la mia umanità unita alla divinità, facendo tutti gli atti di gratitudine,e di ringraziamenti per quanto le aveva compartito, e di nuovo lodò e ringraziò il divin Padre per tutte le grazie ed opere meravigliose, che aveva in me operato.
Essendomi trattenuto per un pezzo con la .diletta Madre, in sacri colloqui e scambievoli affetti, le diedi a baciare le mie sacre piaghe, restandovi inebriata, consolata, confortata, disposta e pronta a restar priva della mia visibile e reale presenza in terra, praticando ella in questa occasione le nobili e sublimi virtù, proprie della Madre di un Dio umanato. Avendole fatto godere per qualche tempo del torrente delle divine consolazioni, tornata ai propri sensi, le raccomandai di nuovo la mia Chiesa e parti da lei per andare a visitare i miei apostoli, lasciandola con la pienezza della mia benedizione, la quale ella sempre, quando prendevo congedo da Lei, mi domandava umilmente, per Lei e per tutti i suoi figli adottivi, esercitando, la benigna Madre, atti di carità e di amore verso tutti. E sempre domandava per tutti e per ciascuno qualche grazia, imitando in questo la persona mia, che, sinché vissi in terra, sempre domandavo grazie al divin Padre per tutti i miei fratelli in generale, e per ognuno in particolare, secondo il bisogno che vedevo. Ciò fece anche la benigna Madre, in tutto il tempo che visse sulla terra; prevalendosi della divina liberalità verso di lei e dei suoi figliuoli, che ella tutti amava, non escludendo alcuno dal sino materno amore e dalla sua preghiera.

DI NUOVO IN MEZZO AI SUOI
Essendo partito dalla diletta Madre, andai a trovare i miei apostoli che stavano tutti undici uniti, in refezione (1). Discorrevano fra loro della mia partenza dal mondo e della salita al cielo, che poco prima loro avevo manifestato, e si rattristavano monto al pensiero di dover restar privi della mia reale e visibile presenza: Entrarono anche a parlare della mia risurrezione, e molti di loro incominciavano a vacillare nella fede, perché erano molto turbati di mente ed ancora instabili. In quel punto apparvi loro, salutandoli col solito saluto di pace, e li ripresi della loro incredulità e della durezza dei loro cuori nel dubitare di ciò, che sì chiaramente avevano veduto ed udito. Le mie parole penetrarono nei loro cuori, e rientrati in sé, si pentirono della loro instabilità e poca fede, scusandosi e domandando perdono. Ed io parlai loro con grande amore, e di istruii di nuovo, tornando a dire ciò che più volte avevo loro insegnato. E per questo discorso, che loro feci, osi stabilirono molto più nella fede, avendo io ottenuto per essi molte grazie e lumi dal divin Padre. Parlai loro di nuovo circa i sacramenti, istruendoli ed insegnandogli il modo con cui dovevano amministrarli. Manifestai che era arrivato il tempo in cui dovevo tornare al Padre mio, che mi aveva mandato. A queste parole si rattristarono molto; piangevano dirottamente, nel sentire che era arrivato il tempo della mia partenza, mostrandosi inconsolabili. Furono però da me consolati con la promessa dello Spirito Santo. Dissi loro: Non vi affliggete, miei cari apostoli, perché se parto da voi, tornerò a voi in breve con lo Spirito consolatore, che vi impetrerò dal Padre: perché questo Spirito di verità sta meco unito per la divinità che è in me, poiché il Padre e lo Spirito Santo sono una stessa cosa con me, per la divinità, e pur essendo noi tre persone distinte, siamo però un solo Dio, e venendo sopra di voi lo Spirito Santo, vi sarò anche io, unito con il Padre. Perciò rallegratevi, che in breve scenderò sopra di voi per consolarvi. E stando nella sublimità del mio trono, sarò anche con voi. Si rallegrarono molto a queste parole i miei apostoli, credendo fermamente quanto dicevo loro, avendo impetrato dal divin Padre la fede ad essi necessaria. E se per il passato avevo permesso in essi mancanza di fede, lo permisi perché restassero maggiormente corfermati. Essendo consolati i miei apostoli, li assicurai ancora del gaudio inesplicabile di cui sarebbero stati ripieni i loro cuori, dicendo: Se ora tanto vi rattristate per la mia partenza, in breve sarete appieno consolati e ricolmati di gaudio, e questo gaudio sarà stabile e permanente, non partirà più dai vostri cuori, e non vi sarà chi ve lo possa togliere, perché i vostri cuori saranno ripieni del divino Spirito e da esso posseduti. Godevano molto gli apostoli per le promesse che facevo loro, che tenevano per certe, avendo loro impetrato, come dissi, il dono della fede. Così, tutti consolati, incominciarono a dirmi quanto mi amavano, e a pregarmi che li compatissi, se tanto si rattristavano della mia partenza.

IL PRIMATO A PIETRO
Gradivo l'affetto dei loro cuori, in particolare quello di Pietro, il quale si mostrava più di ogni altro ardente nell'amore verso di me; perciò fu da me richiesto se più di tutti quelli che erano presenti, egli mi amasse. Rispondeva di sì, che mi amava molto. Gli feci per tre volte la detta richiesta, per sentirlo stabile nella risposta, ordinandogli sempre, che pascesse le mie pecorelle ed i miei agnelli, facendolo di nuovo Capo della mia Chiesa. Richiesi da lui questa confessione dell'amore per dimostrargli, che avendolo stabilito Capo di tutti, gli conveniva di avere un amore molto grande verso di me, per esercitare il suo ufficio, e per zelare la gloria e l'onore del divin Padre e la salute delle anime a lui commesse. Confuso infine l'apostolo, per le replicate istanze, se lui mi amava più degli altri, disse: Voi sapete, Signore, che vi amo, confessandomi nello stesso tempo suo Dio, e Signore. Ed io feci a tutti un discorso sopra l'ufficio dato a Pietro, di Capo della mia Chiesa, affinché tutti l'avessero riconosciuto per tale. Restarono i miei apostoli soddisfatti di quanto ordinavo, e Pietro, essendo illuminato dal Padre, conobbe la sublimità del carico, e si umiliò, riconoscendosi indegno. Accettò il carico per adempire la divina volontà, avendola conosciuta con chiarezza, per le mie parole e per i lumi divini che dal Padre gli impetrai. Non si insuperbì per ciò l'apostolo, ma si umiliò molto, e tutti gli altri ne godettero, praticando, in questa occorrenza, il precetto della dilezione fraterna, dato loro da me, godendo dell'esaltazione del loro fratello e compagno, e mostrandosi tutti pronti ad essere soggetti a lui.

PARLA AD ESSI E PROMETTE SUA MADRE
Per poi maggiormente consolarli, li assicurai di nuovo che avrei lascito loro la mia diletta Madre, per consolazione e conforto, ordinando che in tutti i dubbi fossero ricorsi a lei, come anche in tutte le cose che dovevano fare: perché lei era la sede della sapienza, perfettissima, e ricolma di tutte le grazie; perciò la rimirassero come un vivo ritratto della mia persona. Lei, dissi, sarà la vostra Maestra, la vostra consultrice, la vostra avvocata presso di me. Da Lei prendete consiglio, perché istruiti, animati e confortati. Rimiratela come un dono del cielo, di cui ella è Regina, perché mia Madre; l'ossequio e l'obbedienza che prestate a Lei, li ricevo come prestati a me. Sappiate che Ella vi ama con terno amore, e molto si adopera presso di me e presso il divin Padre a vostro pro. Perciò corrispondete al di lei materno amore, mostrandovi figli obbedienti ed affezionati. Non parlo delle di lei virtù, perché, ognuno di voi l ha trattata; con chiarezza a tutti si manifestano le di lei rare prerogative. E quanto sia grata ed accetta al Padre mio, a me ed allo Spirito Santo, non è capace la vostra mente di intenderlo. Basti dire, che l'eterno Verbo si è incarnato nel di lei purissimo seno, per opera dello Spirito Santo; perciò di nuovo vi dico: che la rimiriate con grande amore e sommissione, e siate in tutto e per tutto a Lei soggetti, come a mia vera Madre. Ed oh! quante grazie per suo mezzo voi avete ricevuto, e quante ne riceverete! Predicate anche al mondo tutto la di lei divina maternità ed integrità verginale. Stavano ad udire i miei apostoli, le lodi della divina Madre, con grande gusto e consolazione, e cresceva nei loro cuori un filiale e riverenziale amore. Tutti poi unitamente, mi resero grazie del favore, di lasciarla in terra per loro beneficio e consolazione. E questa sicurezza di avere con essi la mia diletta Madre, mitigò in parte la molta afflizione ed il dolore che sentivano nel restare privi della mia persona.

PRESSO ALTRI DISCEPOLI
Essendo rimasti i miei apostoli molto consolati e confortati, ordinai loro, che si fossero ritrovati tutti nel Cenacolo, dove vi sarebbe stata la mia diletta Madre con tutti i miei discepoli, dando ad essi l'ora stabilita. Io avrei fatto l'ultimo discorso, e poi li avrei condotti meco al monte, dove mi avrebbero veduto salire al cielo; e così li lasciai, andando a visitare molti altri mici discepoli, ai quali ordinai, che si fossero trovati nello stesso luogo, per sentire l'ultimo mio ragionamento: Apparvi di nuovo alla fervente ed amante Maddalena, dandole, nell'ultima mia apparizione, la libertà di sfogare il di lei amore. Fu da me consolata e confortata ed istruita di nuovo su ciò che doveva fare dopo la mia ascensione. Le diedi molti segni dell'amore grande che le portavo, come della gratitudine che avevo per lei, per avermi tante volte alloggiato in casa sua con i miei apostoli, mentre vissi in carne mortale. Piangeva inconsolabile la Maddalena, nel dover restar priva del conforto che riceveva dalle mie visite, che spesso le facevo, mentre vissi in terra. Ma fu da me consolata di nuovo con la promessa dello Spirito Santo, che anche sopra di lei sarebbe sceso, ed anche a lei ordinai che si ritrovasse nel Cenacolo, in compagnia della diletta Madre; e dopo averla consolata, la lasciai. Feci il simile con Lazzaro, suo fratello, e Marta, sua sorella, e con tutti gli altri miei discepoli, consolando tutti, confortandoli, ed ordinando loro di andare al Cenacolo, perché udissero tutti l'ultimo mio discorso, e poi mi vedessero salire al cielo.
Volli che si trovassero tutti i miei apostoli e discepoli presenti alla mia ascensione, cosa questa molto necessaria, onde restassero tutti confermati nella fede e ;nella verità di quanto io avevo loro manifestato, e fossero tutti testimoni oculari, come lo erano stati della mia resurrezione, per le molte apparizioni che avevo loro fatto, avendo anche veduto quanto io avevo operato e udito i miei insegnamenti nel tempo della mia predicazione.

PRESSO LA MADRE
Avendo confermato tutti nella fede e avendoli consolati con le mie parole é le promesse di mandar loro lo Spirito consolatore, tornai dalla mia diletta Madre, manifestandole quello che avevo operato, per confermare nella fede i miei apostoli e discepoli, che di nuovo le raccomandai. Nel prendere congedo da Lei, le feci di nuovo gustare la soavità del mio spirito, ammettendola al bacio delle sacre piaghe. Lungo fu il colloquio che fra di noi passò, speso fra i ringraziamenti ch Ella mi fece per quanto le avevo partecipato e quelli che io feci a Lei per i servigi ed ossequi fattimi, e per essersi mostrata tanto buona ed affezionata Madre. Molte furono le lodi che Lei diede a me, ed io, unito con Lei, al divin Padre. Ella restava sempre più ricolma di grazie e favori. Infine manifestandole ciò che doveva eseguire nella mia ascensione, e ciò che mi restava da fare, prima di salire al cielo, cioè, un discorso a tutti i miei apostoli e discepoli, al quale discorso anche Lei doveva trovarsi presente, la lasciai con la mia copiosa benedizione, impetrandogliene unta più copiosa dal divin Padre; per le quali benedizioni restava ricolma di grazie e di nuovi favori; ed io godevo molto di vederla sì arricchita. Ed Ella di ciò mostravisi sempre più grata, e nel colmo delle grazie, sempre più sì umile.

CAPO VENTIDUESIMO
Come il Figliuolo di Dio apparve ai suoi apostoli e discepoli, essendovi la sua SS. Madre e dell'ultimo ragionamento che egli fece prima di andare al monte Oliveto per salire al cielo.

IN MEZZO AI SUOI
Essendo congregati i miei apostoli e discepoli, insieme alla mia diletta Madre e alle altre devote donne, stavano trattando della mia partenza dal mondo, per andare al Padre, come avevo a tutti manifestato. Essendo afflitti per la mia partenza, la diletta Madre li confortava ed animava, parlando loro con materno amore. Mi feci vedere io in mezzo a loro, presso la diletta Madre, dando a tutti il solito saluto di pace. Restarono consolati per la mia presenza, e tutti attenti ad udire le mie parole. Ognuno di essi mi rimirava con grande amore, e si affliggeva per dover restar privo della mia presenza, in particolare i miei apostoli, che mi amavano molto.

ULTIMO DISCORSO DI GESù
Manifestai loro che era arrivata l'ora della mia partenza, ma che non si rattristassero, perché in breve sarei tornato a consolarli per mezzo dello Spirito consolatore, perciò, dopo la mia ascensione, fossero tornati al Cenacolo, e vi si fossero trattenuti insieme, aspettando la venuta del divino Spirito, che avrei loro mandato dopo la mia salita al cielo, impetrandolo ad essi dal divin Padre, ed anche essi l'avessero unitamente domandato e desiderato. Tornai di nuovo a dir loro ciò che altre volte avevo detto, Onde bene si ricordassero, e di nuovo li istruii su quello che dovevano fare, e dissi loro quel che sarebbe occorso ad essi nel tempo avvenire, animandoli a non temere, perché io sarei stato sempre loro avvocato presso il divin Padre. Non temete, dissi loro, perché io vado al Padre mio e Padre vostro; perciò dovete rallegrarvi, se veramente mi amate: perché io vado a prendere possesso della gloria a me dovuta; ed avendo me in cielo, alla destra del Padre, quale bene non potete sperare che io vi ottenga? Credete che vado a preparare il luogo anche per voi! Sperate e confidate nella mia bontà, che avete sperimentato quanto è stata grande verso di voi. Si solleveranno i principi della terra, che non hanno parte alcuna in me, ed a voi non potranno nuocere: perciò non temete, torno a dirvi, perché io sarò sempre con voi! Ricordatevi di praticare tutte le virtù che vi ho insegnato, mentre ero con voi. Soffrite tutto con pazienza, così possederete le anime vostre, e nessuno potrà togliere alle vostre anime la divina grazia. Molte cose io vi ho detto, che ora non vi ricordate; ma lo Spirito di verità, che scenderà sopra di voi, vi farà ricordare tutto e vi darà anche una chiara testimonianza di me: allora, con più chiarezza mi conoscerete, e mi amerete con maggiore perfezione, che ora non mi amiate. Ed ora vi do di nuovo il precetto della fraterna dilezione. Amatevi scambievolmente l'un l'altro; perché da questo sarete conosciuti per miei discepoli: se regnerà fra di voi la pace e l'amore scambievole. Torno a dirvi: che domandiate pure al Padre mio ciò che volete, ed otterrete tutto, ma domandatelo in mio Nonne. Il Padre mio ama voi, perché voi amate me ed avete creduto in me. Essendo amati dal Padre, quale consolazione non deve riempire il vostro cuore! E se il Padre vi ama di che volete temere, essendo amati dal vostro Dio, il quale tutto può ed ha cura speciale di voi? Rallegratevi, dunque, e scacciate da voi ogni timore, perché se io parto, non vi lascio orfani, ma vi lascio sotto la cura di un Padre che vi ama molto. E voi procurate che in tutte le vostre opere sia glorificato ed onorato. lo vi lascio con la mia pace, la quale non è come la pace che dà il mondo, che è pace falsa; ma la mia pace è vera e sincera, pace che rallegra i vostri cuori e ricolma le anime vostre di consolazione. Questa pace io vi lascio, e regni sempre in voi e fra di voi. Tale pace ed unione avrete sempre con me e col Padre mio, mentre lo Spirito Santo sarà in voi, unito col Padre e con me, essendo noi indivisibili. Poi i miei Apostoli mi fecero alcune interrogazioni; compatendo alla loro debolezza, li ripresi come sempre con amore e carità, capacitandoli ed istruendoli di nuovo, e ricordando ad essi di conservare le mie parole nei loro cuori e nella loro mente: perché io non parlavo loro che di cose divine e delle virtù che dovevano praticare; ma essi ancora pensavano alle cose della terra, perché erano infermi, e la loro virtù non era purificata, come lo fu dopo che ebbero ricevuto il divino Spirito. Si mostravano allora molto affezionati alla mia persona, mia ancora vi era del terreno e déll'amor proprio. Perciò dissi loro: Chi ama me, custodisce le mie parole, ed è amato dal Padre mio, ed entriamo nella sua anima e facciamo in essa la nostra mansione, trattenendoci quivi, per mezzo della grazia e dell'amore; godendo di abitare in tali anime: perché chi mai ama davvero, eseguisce ciò che io gli ho insegnato ed ordinato; e facendo questo, si rende molto grato a noi, ed è da noti molto amato, compiacendoci di abitare in tali cuori fedeli. Ciò che io ora vi dico, molto poco lo intendete, ma lo Spirito di verità, vi farà intendere tutto e capir tutto con molta chiarezza. Stavano con attenzione ad udirmi, ed essendo arrivata l'ora destinata dal Padre per la mia gloriosa ascensione, salutando con filiale amore la diletta Madre, partii da essi, dando a tutti la benedizione, che con molte lacrime mi fu da essi richiesta; ordinando loro che venissero al monte, dove mai avrebbero veduto salire al cielo, ed avrebbero ricevuto una più copiosa benedizione.
Si avviarono essi al monte, dove andai anche io, per fare nuove suppliche al Padre per tutti, ed impartir loro la paterna benedizione e poi salire al cielo per mia propria virtù.

CAPO VENTITREESIMO
Come il Figliuolo di Dio salì al cielo, dopo di essere dimorato quaranta giorni in terra, dopo la sua risurrezione e di ciò che seguì nella sua ascensione.

SUL MONTE
Stando sul monte, dove erano venuti la mia diletta Madre, i miei apostoli e gli altri discepoli, mi feci vedere con volto assai più sereno e maestoso del solito. Restarono tutti ammirati e molto confortati, rimirandomi tutti con grande amore, e sentendo afflizione, nel pensare che quella era l'ultima volta che mi vedevano fra loro. Furono da me rimirati tutti con amore e compassione, per la loro pena. Nel rimirarli però, impressi in essi una più chiara cognizione della mia persona, ed una consolazione, che andava temperando e mitigando il dolore, che sentivano per la mia partenza.

LA PREGHIERA DI GESù
Quivi orai al Padre mio, raccomandandogli quel piccolo gregge. Ed alzando gli occhi al cielo, dissi: Padre mio, ho manifestato il vostro Nome agli uomini, che mi deste, ed ora per questi prego, non per il mondo, il quale non mi ha voluto riconoscere per vostro Figlio, che ora a voi fa ritorno. Datemi, o Padre, quella chiarezza, che ho avuto sempre, prima che il mondo fosse. Ed ora, alzando le mani, do a tutti questi la mia benedizione. E voi, divin Padre, accompagnate alla mia, la vostra benedizione, e consolate questi miei cari discepoli, che ora lascio, per tornare a voi.

GLORIOSA ASCENSIONE
Detto ciò, li benedissi tutti, e nel benedire loro, intesi benedire anche tutti quelli che avrebbero creduto in me, ed avrebbero eseguito ciò che loro ero venuto ad insegnare. Nell'atto di benedirli, furono da me rimirati di nuovo, specialmente e in modo particolare, la mia diletta Madre, la quale col suo spirito, mi seguì, e fu spettatrice dei trionfi e delle feste che si fecero in cielo per la mia gloriosa ascensione. Vide anche il coro delle anime che erano meco, che sempre mi avevano seguito, dopo la mia risurrezione. Avendo dato loro la mia benedizione, incominciai ad alzarmi da terra e salire in alto, per mia propria virtù, mentre tutti mi contemplavano e piangevano, per vedermi andare al cielo: piangevano per la perdita che facevano di me, e piangevano anche per la tenerezza che sentivano della consolazione, avendola loro impetrata dal divin Padre. Mi seguivano con gli occhi corporali, ma molto più con i loro cuori e con i loro affetti.
Essendo arrivato alquanto in alto, e dovendosi aprire le porte eternali, per entrarvi in trionfo, ed essere collocato come Re sul suo trono, il Padre mandò una nuvola, che riparò la vista degli apostoli, che più non mi videro. Vedendosi questi ricoperti dalla nuvola, pure stavano rimirando in alto, con la speranza di rivedermi. Ed essendo io arrivato alla sublimità dei cieli, il Padre diede l'ordine agli angeli, affinché ammonissero gli apostoli a non star più a contemplare il cielo, perché Gesù, che avevano veduto salire in alto, era già entrato nella sua dimora. Sarebbe tornato, facendosi vedere nel trono della sua maestà, per giudicare il mondo.

GLI OCCHI ALLA MADRE
Gli apostoli udite queste parole, e persa la speranza di rivedermi con gli occhi corporali, si rinvolsero tutti verso la diletta Madre, la quale li confortò ed animò, perché stavano tutti come insensati, nel vedersi privi della vista dell'amato oggetto, senza speranza di più vederlo fra loro. Dopo essersi trattenuti per un pezzo, la diletta Madre ricordò loro le mie parole: dovevano andare tutti a Gerusalemme, e trattenersi ad aspettare la venuta dello Spirito consolatore, che io avevo loro promesso di mandare, dopo la mia ascensione. Allora tutti se ne tornarono a Gerusalemme, accompagnando le devote donne la diletta Madre, e gli undici apostoli, andando insieme congregati, entrarono nel Cenacolo. Dopo breve tempo, vi andarono anche gli altri discepoli.

OPERA DI MARIA NEL CENACOLO
Stando tutti ad aspettare con grande desiderio la venuta dello Spirito Santo, passavano il tempo in sacri colloqui ed ardenti desideri dello Spirito promesso. Per consiglio della diletta Madre, elessero l'apostolo, che occupasse il luogo del traditore; la sorte toccò a Mattia. La divina Madre serviva a tutti di consolazione, animandoli ed infervorandoli con le sue parole. Spesso, per maggiormente consolarli, ricordava loro la promessa infallibile, che io avevo fatto, di stare con loro fino alla consumazione dei secoli, nel divin Sacramento. Monto eccellentemente parlava loro di questo divin Sacramento, da cui era inebriata ed accesa di amore e di gratitudine. E tanto gli apostoli, come gli altri discepoli, si infervoravano molto, all'udir parlare di questo Sacramento; e si mostravano grati di un tanto beneficio, e dell'amore che in questo Sacramento avevo ad essi dimostrato. Andavano ancora discorrendo di tutte le opere che avevo fatto, stando fra di loro, e così si infiammavano nell'amore, e si preparavano a ricevere lo Spirito Santo.

CAPO VENTIQUATTRESIMO
Come il Figliuolo di Dio entrò trionfante in cielo e fu collocato dal divin Padre alla sua destra. Di ciò che egli operò in beneficio degli uomini presso il Padre e di ciò che fecero gli angelici cori verso il loro supremo Re e Signore.

INGRESSO GLORIOSO DI GESù IN CIELO
Sopra di questo particolare ti dirò qualche corsa, secondo la tua capacità, perché intenda, in qualche parte, i trionfi che si fecero nel supremo cielo, per la mia solenne entrata, e per la mia esaltazione, non essendo capace la mente umana di poterlo intendere, quale fu veramente.
Con tutto ciò devi sapere che, avvicinandomi al cielo, si spalancarono le porte eternali, le quali sino allora erano state chiuse, non potendovi entrare alcuno. Salendo al cielo, trionfante e vittorioso, conducendo meco tutte le anime giuste; cioè le anime dei Patriarchi e dei Profeti, e tutte quelle che stavano in Purgatorio che condussi mero nella mia risurrezione si spalancarono le porte eternali, e vennero gli angelici cori a ricevermi, come loro Re, cantando i miei trionfi e le mie vittorie. E se, venendo al mondo, sotto la spoglia vile dell'umanità, cantarono e fecero festa, puoi credere quali cantici e quali feste fecero nel mio ritorno al cielo, e nel mio trionfo. Mi seguirono tutti, fino al trono del divin Padre, cantando sublimi cantici di lode, risonando per tutto l'empireo un giubilo ed una festa, che mai fu per l'addietro, provando tutte le gerarchie celestiali un maggior gaudio ed una allegrezza, che per l'addietro non avevano provato. Il divin Padre, nel mio solenne trionfo, faceva godere a tutti un gaudio inenarrabile, per dimostrare il godimento che anche Lui aveva della mia entrata in cielo e delle vittorie riportate, vivendo in terra. Stupivano tutte le gerarchie celestiali, nel vedere la profusione che il divin Padre faceva allora delle sue grandezze, con tanta liberalità a me partecipate, e di tanto gaudio, che anche ad esse partecipava, facendo spiccare mirabilmente la grandezza dei suoi attributi e delle sue divine perfezioni.

PRESSO IL PADRE
Fra tanti applausi e solenni pompe, giunto al trono del divin Padre, prima passai con Lui gli atti di congratulazioni, come Dio a Lui eguale, godendo del gaudio immenso di essere fra di noi, benché in tre persone distinte, un Dio solo. Poi io, in quanto uomo, a Lui inferiore, l'adorai, e come tale, mi mostrai a Lui soggetto ed inferiore. Lo ringraziai di quanto si era degnato di operare in me, e lo ringraziai del gran Nome che mi aveva dato e della sublime esaltazione, avendomi preparato il seggio alla sua destra, ed avendomi data tutta la potestà sopra il creato. Poi, come capo dell'umana natura, lo ringraziai a nome di tutto il genere umano, per il grande beneficio fattogli nel donargli i1 suo Unigenito; perché prendesse carne umana e fosse suo Redentore; come anche lo ringraziai di tutti gli altri benefici compartiti agli uomini. Dopo gli presentai il tesoro infinito di tutti i miei meriti, per parte di tutto il genere umano, al quale io ne facevo un liberalissimo dono. Ricevé il divin Padre il grande tesoro con sommo compiacimento, mostrandosi non solo placato e soddisfatto con l'umana natura, ma di più prontissimo a compatire a tutti le grazie che gli avrebbero domandato, in virtù dei miei meriti infiniti; e, pronto, a rimettere a tutti i loro debiti, quando pentiti dei propri errori, gli avrebbero offerto il detto tesoro dei miei meriti, in soddisfazione delle loro colpe.

ALLA DESTRA DEL PADRE - ADORAZIONE DELLA CORTE CELESTE
Collocato poi nel mio trono, alla destra del divin Padre, e preso l'intero possesso del mio Regno e il dominio universale, tutte le gerarchie celestiali vennero ad adorarmi, ed a riconoscermi per loro Re e Signore, prestandomi tutte il dovuto vassallaggio, con loro, sommo giubilo e godimento. Anche le anime dei risorti, che reco avevo condotto, adorato prima il divin Padre, fecero le dovute adorazioni ed ossequi alla persona mia, riconoscendomi come loro Re e Salvatore. Dopo anche esse furono collocate nei loro seggi e mansioni, secondo il grado di virtù a cui erano arrivate, vivendo in terra.

IMPETRA LO SPIRITO SANTO - AVVOCATO PRESSO IL PADRE
Terminate le funzioni, ma continuando sempre più il giubilo e il godimento, per non mai finire, la prima grazia che domandai al divin Padre, fu che si degnasse di mandare lo Spirito Santo sopra i miei apostoli e discepoli, come avevo loro promesso. Appena fatta la domanda, il Padre eseguì tutto prontamente, e mandò nel Cenacolo il divino Spirito, prendendo questi la figura di lingue di fuoco ardente, e, restando unito al Padre, scese anche in terra, a ricolmare gli apostoli dei suoi doni ed accenderli delle sue divine fiamme, secondo la loro capacità; ricolmando più di tutti la divina Madre, come luogo assai vasto, per ricevere la sua pienezza. Godei molto io nel vedere il Padre tanto liberale verso i miei apostoli e discepoli, col mandar loro subito il divino Spirito, e farli partecipi dei suoi divini doni. Ringraziai il divin Padre per questo dono, fatto sì liberamente ai miei discepoli, e lo ringraziai a nome di tutti, lodando la sua liberalità e magnificenza. Del che il Padre sentì sommo compiacimento, e mostravasi sempre più liberale nel donare le sue grazie a tutti coloro che, in mio Nome, gliele avessero domandate. Ed io gli mostravo la somma mia gratitudine, godendo di ciò scambievolmente come capo dell'umana natura, per ogni grazia che ad essa compartiva, a nome di tutti, lo ringraziavo, e lodavo la sua beneficenza e liberalità. E come capo di tutti gli uomini, entrai in possesso dell'ufficio di avvocato presso il Padre, per tutti gli uomini. Tale ufficio faccio continuamente per tutti quelli che mi riconoscono come loro Capo, Re e Signore, e per tutti coloro che si raccomandano a me, non escludendo alcuno, pregando per tutti il divin Padre, e placando l'ira sua, quando dagli uomini viene provocata. E per placare lo sdegno paterno, gli presento le mie piaghe, a nome del genere umano, e tutti i dolori da me sofferti. Guai al mondo, se in cielo non facessi l'ufficio di avvocato! oh, quanti flagelli scaricherebbe sopra di esso la divina giustizia, tanto irritata dagli uomini, trasgressori della divina Legge dei divini precetti!

IL RE MUNIFICO
Dalla sublimità del mio trono, come capo della natura umana, stando nel gaudio immenso, non manco mai di rimirare tutti gli uomini in generale, e ciascuno in particolare, e per tutti e ciascuno impetrando grazia, e compartendo favori, secondo che ad ognuno è necessario per la sua eterna salute, appagando con ciò il desiderio che ho, che ognuno si salvi e goda il frutto della redenzione. Ed alle anime giuste vado comunicandomi, facendo loro gustare la soavità del mio spirito e la dolcezza dell'amore mio, stando con somma vigilanza sopra quelle che si donano tutte a me, prendendomi una cura particolare di quelle che si pongono per intero nelle mie mani. Questo lo faccio con sommo mio gusto e compiacimento del mio divin Padre. Godo molto di essere supplicato, e mi compiaccio di fare grazie a chi le domanda. Ed essendo io avvocato degli uomini presso il Padre, elessi anche la mia diletta Madre, loro avvocata presso di me: perché, essendo io giudice giustissimo, era necessario che vi fosse una potente avvocata presso il giudice, in favore dei rei, e che, essendo il giudice molto irritato, per le continue offese, vi fosse un avvocata tutta. misericordia, pietosa ed amorosa, che impetrasse venia, e grazia per i rei. Questo ufficio lo sta esercitando continuamente la mia diletta Madre, e lo fa con grande amore, come Madre ed Avvocata potentissima di tutto il genere umano.

CAPO VENTICINQUESIMO
Di ciò che starà operando il Figliuolo di Dio per tutta un'eternità in godimento delle anime beate.

COME GESù Dà GODIMENTO AI BEATI
Stando in cielo, faccio l'ufficio di avvocato per gli uomini presso il divin Padre. Di tale ufficio godono molto anche le anime beate, per il desiderio ardente in esse che tutti gli uomini si salvino ed entrino in cielo a godere la stessa beatitudine che esse godono. Faccio anche godere a tutti i beati la visione reale della mia umanità glorificata, la quale apporta ad essi un gaudio inesplicabile. Mostro loro i tesori immensi di tutte le grazie che in me ha depositato il divin Padre, nei quali, per essere immensi, sempre più vi è di che ammirare. Vedono l'amore immenso con cui amo il divin Padre ed il Padre ama me; e sentono un sommo godimento, nel vedere che vi è in cielo uno, della natura umana, che ama Iddio quanto merita di essere amato; e che, essendo uomo, è anche Dio per l'unione ipostatica con la natura umana: di questo provano un piacere ed un gusto inesplicabili.

Tale loro godimento è sempre nuovo, perché sempre intendono nuove grandezze di questo amore, che, per essere infinito, riesce inesauribile, rimanendo sempre da intendere cose infinitamente sublimi ed inenarrabili. Vedono il godimento che sopra di me si prende il divin Padre ed il sommo compiacimento, e ne provano un nuovo giubilo e gaudio. Vedono svelatamente i segreti del mio Cuore, volendoli io trattare come miei cari amici. E di questo sentono una soddisfazione ed una contentezza immensa. Vedono, con tutta chiarezza, l'amore infinito con cui io li ho redenti a costo del mio sangue, e per tanto amore sentono un sommo compiacimento, intendendo a qual segno io li abbia amati; e godendo di vedermi tutto amore per essi. Faccio loro anche vedere, come sto sempre rendendo grazie al divin Padre, per il bene immenso che ad essi ha partecipato, lodandolo e ringraziandolo con nuove e sublimi lodi: anche di questo sentono sommo godimento, vedendo che vi è chi per essi lo loda e lo ringrazia, quanto egli merita di essere lodato e ringraziato. Faccio loro udire un'intima locuzione, narrando quanto in essi mi compiaccio, e con scambievoli affetti ci stiamo godendo, cioè: io godo della gloria e del bene immenso che essi godono, e con essi me ne congratulo, ed essi godono della mia esaltazione, delle sublimi grandezze e dei tesori immensi che in me ha depositato la divinità. E benché la visione e fruizione divina sia il loro Paradiso e il loro gaudio immenso, con tutto ciò, grande ed inesplicabile è il godimento che faccio e farò sempre gustare alle anime beate, facendo loro vedere la comunicazione dei beni immensi ed i tesori infiniti che sono fra me ed il Padre; e molto più si renderà loro dilettevole il godimento della mia umanità glorificata, in quanto che questo non impedirà loro, anzi, accrescerà il loro gaudio nella fruizione e nella visione della divinità.

Dopo il finale giudizio, quando saranno riempite di anime le beate mansioni, e per essere finita l'umana generazione, non avrò da far più l'ufficio di avvocato per gli uomini, presso il divin Padre, ed il tesoro dei miei meriti non si avrà più da offrire in remissione e soddisfazione dei peccati, farò vedere in cielo questo grande tesoro a tutte le anime beate, e farò loro capire ed intendere il suo valore; ed esse ne sentiranno un godimento inesplicabile, come di cosa loro propria, avendo io fatto loro questo dono con somma liberalità. E se allora non farò più l'ufficio di avvocato presso il Padre, perché non vi sarà bisogno, essendo arrivate tutte le anime giuste al possesso della eterna beatitudine, farò però un altro ufficio, per tutti i beati, che sarà di loro sommo godimento, cioè l'ufficio di rendere per tutti le dovute grazie al divin Padre, per tutti i benefici ad essi compartiti, ed il congratularmi con essi della felice sorte loro toccata. Ed in tutte le cose che farò per loro, avranno sempre un nuovo godimento, perché vedranno come opererò in nuove maniere, sempre più eccellenti e sublimi; e per la divinità, che è a me unita, darò loro godimenti nuovi, e ciò per tutta un'eternità. Ad essi sembrerà essere sempre il primo momento in cui incominciò il loro gaudio, e saranno sempre più beati e contenti.

Ciò che poi godranno i beati per la visione di Dio, cioè, della Trinità, Dio uno in essenza e trino nelle persone, lo vedrai, quando anche tu avrai la sorte di giungervi, se sarai fedele al tuo Dio, e se imiterai me, tuo Redentore, seguendo gli esempi che ti ho tracciato, e con tanto amore insegnato. Quello che ti ho narrato circa il godimento che darò alle anime beate, è molto poco in paragone di quello che è veramente in se stesso, parlandoti io secondo la tua rozzezza e poca capacità. Con tutto ciò, da questo potrai intendere qualche cosa del molto che farò in godimento delle anime beate.

CAPO VENTISEIESIMO
Di ciò che sta continuamente operando il Figliuolo di Dio nel SS. Sacramento, per gloria del divin Padre a beneficio degli uomini.

AMORE RIPARATIVO ED ESPIATIVO
Stando nel Sacramento dell'Eucaristia, sotto le specie del pane e del vino, secondo la promessa fatta ai miei discepoli, di starvi sino alla consumazione dei secoli, mi trattengo in questo Sacramento con mio sommo compiacimento e gusto del divin Padre, appagando con ciò l'amore immenso che porto agli uomini. Perciò sto amando continuamente con un amore infinito, il divin Padre, e questo amore glielo offro in nome di tutto il genere umano, supplendo, con l'infinito mio amore, a quello che egli viene negato dagli uomini, ed al mancamento dell'amore e dell'ossequio che gli negano tante infami e scellerate sette di idolatri e di nemici della vera Fede. Da questo amore che sto continuamente offrendo, il Padre ne riceve un sommo gusto e compiacimento, restando appagato e soddisfatto l'amore infinito che egli porta al genere umano. Gli sto poi offrendo le mie virtù e perfezioni, in supplemento di quelle che non vogliono esercitare le creature, e di tutte le imperfezioni che esse vanno continuamente commettendo. Così resta appagata il desiderio che il divin Padre ha che tutti siano perfetti. Per le molte e gravi colpe che si commettono continuamente dagli uomini,gli offro il dolore e la contrizione che ebbi nell'Orto del Gethsemani, la notte che incominciò la mia passione: e gli offro anche tutti i miei meriti, il mio Sangue, sparso con tanto amore, in sconto di tutte le offese che riceve. Così si va placando la divina giustizia, continuamente irritata, e mentre di notte e di giorno tanti lo stanno offendendo ed oltraggiando, io per tutti lo sto lodando, benedicendo ed amando, dandogli sommo godimento e soddisfazione. Sto poi trattando col divin Padre circa la salute di tutti in generale e di ciascuno in particolare, impetrando a tutti, i lumi e le grazie necessarie per la loro eterna salute. Quante volte andrebbe il mondo in precipizio ed in rovina, se io non trattenessi i castighi, e non placassi l'ira paterna! Questo lo sto facendo continuamente, perché continue e gravi sono le offese che il divin Padre riceve dagli uomini. Quanti mali e quante disgrazie impedisco che succedano nel mondo! E se permetto che venga qualche castigo sopra gli uomini, tutto faccio perché questi si ravvedano e facciano penitenza, onde non cadano sopra di essi castighi maggiori. Tutte le opere buone che si fanno dalle anime giuste, io le unisco con i miei meriti, e le offro al Padre, impetrando molte grazie a chi le fa. Le molte e gravi offese che ricevo in questo divin Sacramento, le soffro con pazienza e longanimità, in virtù della mia carità ardente, che per essere infinita è maggiore di tutte le offese. E perché ne resta molto offeso il divin Padre, gli offro la mia pazienza ed il mio ardente amore, perché si plachi e non castighi le molte offese, che quivi ricevo, con i castighi che meritano; ma le castighi con paterno amore e in. modo soffribile all'umana fragilità. Quando poi il divin Padre è forzato dall'umana malizia a mandare castighi e flagelli, io sempre li sto riparando e diminuendo, pregando il Padre di degnarsi, col castigo, di inviare anche l'aiuto della sua grazia, affinché chi è castigato, soffra con pazienza, in sconto dei suoi errori. Sto anche rimirando i peccatori con grande compassione, impetrando loro dal Padre lumi e rimorsi di coscienza. Perché si convertano, rivolgo loro chiamate ed inviti a far penitenza, pregando il Padre di mandar loro le occasioni e egli aiuti necessari, perché si ravvedano.

Dà GRAZIA
Non passa momento che io non comparta grazie a tutti in generale ed a ciascuno in particolare. Poso lo sguardo con gusto particolare su tutte le anime fedeli ed amanti, le quali mi ossequiano in questo Sacramento. Queste le ricolmo di grazie, facendo loro gustare la dolcezza dell'amor mio, nel ricevermi, sacramentato, nelle anime loro. Con esse mi unisco intimamente, trovando le mie delizie. Queste accarezzo, come cari amici e fedeli amanti: manifestando loro i segreti del mio Cuore; con queste mi trattengo amorosamente e le ricolmo di grazie e di benedizioni. Oh, quante grazie ottengono le anime giuste, nel ricevermi sacramentato! Sto poi con ardente desiderio di comunicarmi alle anime giuste, per riempirle di doni, di favori e di grazie, e non manco di ispirarle ed invitarle a venirsi a cibare di me, loro vero cibo e conforto. Le anime poi delle mie spose, care e dilette, mi danno un sommo gusto e compiacimento nell'accostarsi a me, nel ricevermi sacramentato. Tale gusto l'offro al Padre in nome loro, ed esse ricevono dal Padre molte grazie, e sono rimirate con grande amore; da me poi son trattate familiarmente. Come Sposo amante mi manifesto loro con chiarezza, e quanto più sono capaci e disposte, tanto più le ricolmo di grazie e le arricchisco di meriti. Sto poi con sommo gusto ad udire tutte le suppliche, che ivi mi sono fatte, e tutte le grazie che mi si domandano, e quelle che sono per la salute delle loro anime, non tardo molto a dispensarle. Sto anche abbattendo continuamente le furie dei nemici infernali, che hanno una grande possanza nel mondo, dandola loro gli uomini con la loro mala vita, e assoggettandosi al loro dominio, per mezzo delle molte e gravi colpe che commettono. Questi spiriti ribelli, sono da me flagellati e tenuti a freno; altrimenti, quanti grandi mali farebbero nel mondo, specialmente sopra quelli che si son dati in loro potere! E nei ricevermi, le anime giuste nel divin Sacramento, ricevono da me una grazia ed una fortezza particolare, per combattere contro questi spiriti ribelli, ed anche per vincere tutte le loro passioni ed appetiti sensuali. Infatti, tutti gli aiuti generali e particolari comparto alle anime che mi ricevono, stando in grazia. Ed a coloro che mi ricevono con rea coscienza i quali commettono una più grave colpa uso la grande misericordia di non castigarli allora con la morte e con l'eterna dannazione, come meritano, ma li sopporto pazientemente e li aspetto a penitenza.

LA PUBBLICA ESPOSIZIONE ED ADORAZIONE
Godo molto di stare esposto alla pubblica venerazione, ed in quel tempo più che mai, comparto le mie grazie e porgo le suppliche al Padre, per tutti coloro che mi stanno devotamente adorando e supplicando. E bene spesso avviene, che mentre io sto alla pubblica venerazione, trattengo dei gravi castighi, che il divin Padre sta per fulminare. In tale occasione, egli presento le orazioni e le suppliche delle anime giuste, unite con i miei meriti, ed il Padre si placa. Sto poi esercitando la mia immensa carità verso tutti coloro che, stando alla mia presenza, mi offendono con gravi colpe ed irriverenze, sopportando pazientemente le gravi offese, e supplicando il Padre di non castigarli, ma di illuminarli, facendo conoscere il loro grave errore. Sto qui veramente esercitando sempre la mia infinita bontà, con amore, e carità immensa; non vi è chi non riceva in qualche modo grazie, favori e benefici particolari: chi è ricolmato di bene, chi è liberato dal male. Non si trova alcuno che, adorandomi in questo Sacramento, con il dovuto ossequio, non sia stato da me beneficato, sia nell'anima, come nel corpo; perché io, in questo Sacramento, do propriamente il cento per uno, cioè, per ogni piccolo ossequio, ricolmo l'anima di benedizioni e di grazie; e benché ciò non sia da essi conosciuto, verrà poi il tempo in cui tutto vedranno chiaramente. Le lodi poi che si cantano dalle creature, specialmente dai miei servi, alla presenza mia, le unisco con le lodi che continuamente
do al mio divin Padre ed a Lui le offro a nome di tutta la Chiesa, specialmente a nome di coloro che mi stanno lodando e supplisco con i miei meriti a tutte le mancanze ed imperfezioni che vi commettono. Gode molto il divin Padre nel ricevere queste lodi, unite con i miei meriti, e dispensa molte grazie a chi le recita. Quando poi il divin Padre sta irato con il mondo, in atto di fulminare grandi castighi, io mi presento con tutti i miei meriti, dicendogli che, avendo Egli nel mondo l'unigenito Suo amato Figlio, deve perdonare, per suo riguardo, all'umana malizia e pazientare, aspettando tutti a penitenza; ed il Padre, rimirandomi con infinito amore e compiacimento, si placa, e si mostra tutto benigno e misericordioso; io allora, a nome di tutti, lo ringrazio. Spesso gli vado replicando: Padre mio, rimirate qui il vostro diletto Figlio, e si plachi il vostro sdegno! Ed il Padre ode con sommo gusto queste mie voci ed io di ciò lo lodo, lo benedico e lo ringrazio.

GESù NOSTRO TUTTO
In questo Sacramento poi io sono cibo e bevanda per le anime che di me si nutrono, saziandole di beni e facendo venir loro a nausea tutti i piaceri mondani. Sono medico e medicina; sono Maestro, istruendo amorosamente le anime che degnamente mi ricevono. Sono conforto, consolatore, benefattore; sono luce; sono via, verità e vita. Sono consigliere, direttore, pastore; sono Padre, fratello e sposo; amico fedele, compagno amoroso. Signore liberalissimo, dispensatore dei tesori e delle grazie. E tutti questi uffici li vado esercitando con amore e carità immensa. Essendo poi questo Sacramento, un mistero, dove spicca mirabilmente la fede, io, quivi trattenendomi sacramentato, vado sempre confermando i fedeli, acciò sempre sia viva e stabile la fede, spandendo di essa i lumi per tutto l'universo; in modo che non vi è parte del mondo, dove non si trovi qualche persona che professi la vera fede. Quantunque le nazioni siano barbare ed infedeli, pure vi sono cuori che professano la vera fede, ed io a questi partecipo grazie speciali ed aiuti mirabili, acciò crescano sempre più nella fede e nel culto della vera religione.

IL SACRIFICIO
Godo poi sommamente di essere offerto e sacrificato ogni mattina, innumerabili volte, sul sacro altare, al divin Padre, ed io accompagno le offerte con quale che feci al Padre mio sull'altare della croce, e rinnovo per tutti i fedeli le domande che allora feci al divin Padre. Esercito, anche in questi sacrifici, una somma pazienza ed infinita carità, lasciandomi maneggiare da mani indegne di cattivi sacerdoti, non castigandoli, come meritano, anzi, supplicando il Padre di trattenere il castigo, da essi meritato. Esercito poi un atto di continua obbedienza ai sacerdoti, nel consacrare il mio Corpo ed il mio Sangue, e obbedendo, prontamente alle loro parole. Questa obbedienza l'offro al divin Padre, in supplemento di tutte le disubbidienze e i mancamenti degli uomini. Infatti, sto qui operando continuamente a beneficio di tutto il genere umano, e dando gloria al divin Padre, lodandolo, benedicendolo, amandolo, offrendogli tutti i miei meriti, tutte le mie virtù e perfezioni, a nome di tutti i fedeli, e, come già dissi, impetrando grazie e doni a tutti. Tutto ciò faccio con mio sommo gusto e compiacimento, appagandosi in questo l'amore infinito che porto al genere umano, per amar del quale mi feci uomo, mori in croce, e mi feci anche cibo, in questo Sacramento.

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