VITA INTERNA DI GESù CRISTO
MANIFESTATA DA GESù ALLA SUA SERVA DONNA MARIA CECILIA BAIJ
(1694 -1766) BADESSA DEL MONASTERO DI S. PIETRO DI
MONTEFIASCONE
a cura di Mons. PIETRO BERGAMASCHI (1863 - 1928)
TERZO VOLUME
3a Edizione MONASTERO DI S. PIETRO - BENEDETTINE DEL SS.
SACRAMENTO MONTEFIASCONE (Viterbo)
DONNA MARIA CECILIA BAIJ o, S. B.
Protesta dell'Autore
Conformandomi ai decreti di Urbano VIII, come ai decreti
posteriori della Sacra Congregazione dei Riti, dichiaro solennemente che alle
cose narrate in queste pagine, non intendo sia attribuita altra fede ed
auto-rità, da quella che merita ogni veridica testimonianza umana, e che in
nessun modo voglio prevenire il giu-dizio della Sede Apostolica, della quale mi
professo ub-bidientissimo figlio.
CURIA VESCOVILE DI MONTEFIASCONE 10 Aprile 1961
IMPRIMATUR
LUIGI BOCCADORO
Vescovo di Montefiascone e Acquapendente
VITA INTERNA DI GESU - DAL PRELUDIO DELLA SUA PASSIONE SINO
ALLA CONDANNA DI CAIFA
DALLA SUA CONDANNA ALLA MORTE.
DALLA RISURREZIONE ALLA GLORIOSA ASCENSIONE.
CAPO PRIMO
Dell'andata di Gesù in Bethania dove risuscitò Lazzaro e
di ciò che in tale occasione operò nel suo interno sino al ritorno in
Gerusalemme, dove fu ricevuto con rami di olivo e con gran festa della turba.
MALATTIA E MORTE DI LAZZARO
Mentre stavo con i miei discepoli nelle terre e nei castelli
intorno a Gerusalemme, predicando ed istruendo quelle popolazioni, con maggior
sollecitudine ed amore, onde prepararle a soffrire il gran colpo per la mia
perdita, s infermò Lazzaro, fratello di Marta e di. Maddalena, mie discepole ed
amorevoli albergatrici. Avendo esse inteso che io stavo non molto lontano, mi
fecero avvisato dell'infermità del loro fratello, col dirmi, che colui che io
armavo si era infermato. Esse non avevano ardire di mandarmi a chiamare, perché
sapevano che gli Scribi e i Farisei mi perseguitavano a morte; quindi temevano
che io potessi cadere nelle loro mani. Inoltre avevano ferma fiducia che io
anche da lontano avrei potuto guarire Lazzaro dalla sua grave infermità, col
comandare a quella che lo lasciasse libero. Pensavano anche che per l'amore
che gli portavo, sarei andato in persona a vederlo e a rendergli la salute,
perché sapevano che, volendolo, io avrei potuto sempre liberarmi dalle mani dei
miei nemici, pur trovandomi fra di loro. Ricevuto pertanto l'avviso, mandai a
dir loro che sarei andato. Ma mi trattenni coni miei apostoli per altri dure
giorni, seguitando ad istruirli. Volli in questa circostanza operare non solo il
miracolo della resurrezione di Lazzaro, ma dare anche una prova dell'amore che
a me portavano le due sorelle, restando forti nel travaglio, e dando esempio a
tutti i miei seguaci sul comportamento che debbono tenere nei travagli, quando
sembri che io li abbia abbandonati e mi sia di loro scordato. Mi stavano ad
aspettare con gran desiderio le due sorelle, ed io pur udendo i loro gemiti e le
loro suppliche, mi trattenevo di andarle a consolare. Sentivo però una grande
compassione di esse, e pregavo il divin Padre di consolarle. Morì Lazzaro, ed
io, conoscendo il travaglio grande di Marta e Maria, intesi pena nel vederle in
tanta afflizione, ma godevo nel saperle tanto rassegnate, incapaci di un minimo
lamento verso di me, pur non ignare che poteva consolarle, col liberare il
fratello dalla morte. Tutte rimesse alla divina volontà, dicevano fra di loro:
il nostro buon Maestro non ci ha consolate col dar la salute al nostro fratello,
perché non l'abbiamo meritato, o perché questa sarà stata la volontà del
suo divin Padre. Desideravano però tanto di vedermi, di parlarmi e di essere da
me consolate, massime la Maddalena, che sì ardentemente mi amava.
OPERA DEL DEMONIO - ASSISTENZA DI GESù
Né vi mancò in tale occasione chi loro rinfacciasse la
molta cordialità e carità usate verso di me e dei miei apostoli, dicendo che
nel maggior loro bisogno io le avevo abbandonate, che mentre davo a tutti La
salute, solo al loro fratello l'avevo negata, che io le ripagavo con
ingratitudine, e non ero quello che esse mi ritenevano. Varie altre cose
dicevano ad esse per mettermi in loro disgrazia. Il nemico infernale si
adoprava, quanto poteva, per turbare quelle anime con le suggestioni, istigando
i miei avversari a parlare contro di me, acciò le due sorelle non avessero in
conto alcuno la persona mia, e si ritirassero dal bene incominciato,
specialmente la Maddalena, per la quale egli molto fremeva, perché a causa
della di lei conversione aveva fatuo perdita di tante altre anime, che, per il
suo esempio, avevano incominciato a vivere bene, essendosi ritirate dal male.
Tutto ciò io vedevo ed udivo, e non mancavo di porgere suppliche al divin Padre
per le due sorelle, acciò le assistesse con la sua divina grazia, le
illuminasse e fortificasse nella fede. E difatti non mancò il divin Padre, di
consolarle con la sua grazia, di illuminarle e di confortarle, ed esse, sempre
forti e costanti nell'amore e nella fede verso di me, stavano con speranza
certa che io sarei andato a consolarle. In questa circostanza, non mancai di
pregare il divin Padre per tutti i miei fratelli, massime per i miei seguaci,
perché desse loro la sua grazia, i suoi aiuti ed i suoi divini lumi in tali
occasioni. E vidi che molti sarebbero stati travagliati in vari modi e dalla
gente perversa rimproverati per gli ossequi e le servitù prestate al Padre mio
ed a me, mentre, in tempo di bisogno, restano da noi abbandonati, e non vengono
esaudite le loro suppliche. Vedevo che si sarebbe molto affaticato in questo
officio il demonio, per farli, con le sue suggestioni, cadere In diffidenza, e
mancar di fede nella divina bontà e misericordia. E vidi che in tale occasione,
il nemico infernale procurerebbe di mettere l'odio contro di me nell'animo
di coloro che mi servono e mi imitano, tacciandomi di crudele, di spietato.
Vedendo allora tutto questo, orai al divin Padre, e lo supplicai del suo aiuto e
della grazia per tutti quelli che sarebbero stati in tal modo travagliati e
tentati. Vidi, che il divin Padre non avrebbe mancato di dare a tutti il lume,
le grazie e gli aiuti particolari, perché possano vincere il tentatore, e
rimettersi, in tutto e per tutto, a ciò che il divin Padre dispone e permette.
Vidi ancora, come molti si sarebbero approfittati e ben serviti della suddetta
grazia, lasciando confusa il nemico infernale. Io di ciò molto godetti e resi
grazie al divin Padre. Intesi però dell'amarezza vedendo che molti si
sarebbero lasciati vincere dal nemico infernale e dagli uomini perversi, non
ascoltando le divine ispirazioni, non servendosi dellaa grazia che il divin
Padre loro dà, lasciandosi trasportare dalla passione, per dare .più udienza
ai suoi nemici, che ai lumi ed alla grazia dell'amoroso Padre. Ed io, allora,
pregai di nuovo per essi ed offri al Padre i miei meriti, impetrando loro una
maggior grazia. Vidi allora, che, per questa, molti si sarebbero ravveduti, e,
pentiti, si sarebbero rimessi, in tutto e per tutto, alla divina disposizione.
Di ciò mi rallegrai rendendo grazie al divin Padre, benché poi non mancasse a
me da soffrire dell'amarezza nel vedere il gran numero di quelli, che si
sarebbero abusati anche di questa maggior grazia. Ottenuto questo dal divin
Padre, lo ringraziai a nome di tutti i miei fratelli che le avrebbero ricevute
ed avrebbero corrisposto, pregandolo di consolarli con la sua divina grazia.
Vidi, che il Padre l'avrebbe fatto, e di tutto lo lodai, benedii e ringraziai.
VERSO BETHANIA
Essendo già seguita la morte di Lazzaro, mi avviai con i
miei apostoli, verso Bethania, per operare il miracolo: Vedevo che per questo
fatto, i Farisei si sarebbero più che mai infuriati, ed avrebbero procurato in
tutti i, modi di darmi la morte, perché la gente credeva in me, e molti mi
acclamavano. Con tutto ciò andai per eseguire la volontà del Padre, perché
era arrivata l'ora di dar principio calla mia acerbissima passione. Rimiravo
per la strada il discepolo traditore, che in breve mi doveva tradire, ed oh!
quanta pena soffriva il mio Cuore! Non lasciai però di tirarlo in disparte ed
avvertirlo che stesse bene attento, perché il demonio e la sua passione l'avrebbero
vinto. Ma il discepolo non diede udienza alle mie parole, anzi, si offese, con
dire, che solo a lui davo quegli avvertimenti. lo risposi che solo lui mi
sarebbe stato traditore. E di nuovo con parole amorose l'avvertii. Ma lui,
vantandosi di essere persona fedele, diceva che mai sarebbe caduto in quel
mancamento di cui tanto lo avvertivo. Il vedere, come Giuda stava forte nel suo
pensiero, e che tanto di sé presumeva, mi era di una più dura pena. Volli
tuttavia fare con questo traditore tutte le parti, perché stesse attento e non
si lasciasse vincere. Ma niente giovò, perché da principio incominciò a non
dar credito alle mie parole. Vedevo, nella persona di Giuda, tutti coloro che
non ascoltano, anzi disprezzano chi li ammonisce; e li avverte a stare attenti,
acciò non cadano in errore. Ed anche di questi sentivo pena e supplicai il
divin Padre ad illuminarli, onde conoscano chi li avverte per loro bene e diano
orecchio e credito alla loro ammonizione, affinché venendo assaliti dalla
passione che li predomina e dalla tentazione, stiano ben preparati, e non si
facciano vincere. E vidi che molti si sarebbero prevalsi dei lumi che loro
avrebbe dato il Padre mio, restando vincitori dei loro nemici e delle loro
passioni: e che altri si sarebbero arresi ad udire volentieri coloro che, per
loro bene, li,ammoniscono. Perciò pregai il divin Padre ad ispirare alle
persone dabbene, che si applichino nel santo esercizio, di ammonire i
delinquenti e di non desistere, quantunque vedano che essi non danno orecchio
alle loro ammonizioni, perché col perseverare, avranno buon esito le loro
esortazioni, o almeno potranno acquistare molto merito per la carità usata al
loro prossimo errante. E vidi che il divin Padre l'avrebbe fatto. Ne intesi
consolazione e lo ringraziai. Seguitando pertanto il viaggio verso Bethania,
dissi ai miei discepoli, che io andavo a svegliar Lazzaro dal sonno Ed essi non
avrebbero voluto, dicendomi, che per questo non occorreva che io andassi in
Bethania, né mai conveniva farlo, sapendo che gli Scribi e i Farisei mi
volevano uccidere. Non capirono essi il mio parlare, perciò dissi loro
chiaramente, che Lazzaro era morto. Si stupirono; avendo io detto prima, che non
sarebbe morto, non essendo quell'infermità per dargli la morte, ma perché il
Figlio di Dio doveva restar glorificato per mezzo di essa. Solevo chiamar sonno
quella morte, perché è la morte dei giusti; infatti se muore il corpo, vive l'anima
vita di grazia. Seguitando pertanto a ragionare con i miei apostoli ed istruirli
sopra di questo, mi avvicinai a Bethania.
IN BETHANIA
Entrato, fui da molti riconosciuto, e fu dato avviso a Marta
del mio arrivo. Tutti dicevano, che pero venuto quando non potevo più consolare
le due afflitte sorelle, con rendere la sanità al fratello, perché già era
putrefatto nel monumento. Con tutto ciò, vi furono molti che si rallegrarono
del mio arrivo, per il desiderio che avevano di udire la mia predicazione e di
vedere i miei miracoli. Inteso Marta del mio arrivo, si licenziò subito, e
venne ad incontrarmi, facendone dare avviso anche a Maddalena, la quale si
tratteneva con molte persone ragguardevoli, che erano venute da Gerusalemme, a
visitarla e condolersi della morte del fratello. Arrivata Marta alla mia
presenza, dolente mi disse, che il suo fratello era morto, e che se ci fossi
stato io non sarebbe morto. Io le risposi: Vostro fratello risusciterà. Ed
ella, credendo che parlassi della risurrezione generale, mi rispose: « lo so
che risusciterà nella generale risurrezione ». Dissi a lei: « Io sono la
risurrezione e la vita. Chi crede in me, vivrà, quand'anche fosse morto, e
chiunque vive e crede in me non morirà in eterno ». E le chiesi se ciò
credeva. Rispose che aveva già creduto che io ero il vero Figlio di Dio
vivente, venuto al mondo. Intanto fu avvisata Maddalena, che si tratteneva con
quelli che erano venuti da Gerusalemme per consolarla. Le dissero che io ero
venuto, ed ella subito si alzò, e corse veloce a trovarmi. Le persone che erano
con lei la seguirono. Arrivata alla mia presenza, si gettò ai miei piedi,
conforme era solita, e li baciò. A questo fatto rimasero ammirati coloro che la
seguivano. Tutta dolente per la morte del fratello, piangeva con Marta sua
sorella; ed anche gli astanti piangevano per compassione.
GESù PIANGE E VA AL SEPOLCRO
Vedendo il loro dolore, versai lacrime, lasciando che la mia
umanità facesse testimonianza dell'amore che portavo loro, per cui molto le
compativo, benché le mie lacrime non fossero senza mistero, come sentirai.
Riavutasi Maddalena alquanto dal piangere, mi disse: Maestro se voi foste stato
qui, mio fratello non sarebbe morto. Io le risposi che si consolasse, perché in
tal fatto Iddio voleva restare glorificato. Tutti i presenti, nel vedermi
lacrimare, unitamente dicevano: «Guardate fino a qual segno l'amava, sino a
sparger lacrime per la morte di lui e per compassione delle due sorelle».
Apportarono grande ammirazione le mine lacrime anche gai miei apostoli, perché
non ero salito versarle. E perciò dicevano: «Quanto il nostro Maestro amava
Lazzaro! Anche lui piange con le sorelle! ». Tutto io penetravo. Intanto,
stando tutti quivi dolenti, chiesi dove stesse Lazzaro e che mi conducessero da
lui, al suo sepolcro. Le sorelle e gli altri mi consigliarono di andare prima a
prendere qualche riposo, essendo arrivato molto stanco ed afflitto con i miei
discepoli. Ma io volli andare subito al luogo dove stava il defunto. Mi
condussero al sepolcro, Seguendomi tutti gli astanti, per vedere che cosa io
avrei operato. Secondo il mio solito. nell'andare dava loro vari documenti,
con la mia solita sapienza, per la quale restavano tutti ammaestrati. Frattanto
rivolsi le mise suppliche al Padre, pregandolo e volersi degnare di restituire
il fratello defunto alle due afflitte sorelle, facendo sì che al mio comando, l'anima
si riunisse al corpo del defunto; onde restasse glorificato Lui, ed io, per sua
gloria; ed ognuno conoscesse, che io pero il vero Messia da Lui mandato, e che
la vita e la morte stavano in mio potere, come aveva Egli voluto; che infine per
il detto miracolo, si fossero convertiti molti dei presenti. Mi compiacque il
divin Padre di quanto richiesi. Nella morte di Lazzaro, vidi tutti coloro che
sarebbero morti alla grazia per il peccato, e che poi sarebbero risorti a vita
di grazia per la penitenza. E nel vedere la morte di tante anime, versai
lacrime, per il dolore grande che ne intesi, ed offri le mie lacrime al divin
Padre. E perché erano di valore infinito, il Padre si degnò di concedermi
quanto per esse gli domandai, di essere cioè liberale nel dare la sua grazia al
peccatore contrito, affinché si convertisse, ed il lume per conoscere i suoi
errori. Vidi che il Padre l'avrebbe eseguito fedelmente, in virtù delle
offerte che gli feci, le quali furono a Lui molto gradite. Vedendo allora tutte
le anime che sarebbero risorte a vita di grazia, ne intesi molta consolazione, e
ne lodai e ringraziai il divin Padre. Intesi però dell'amarezza nel vedere,
che molti avrebbero abusato della detta grazia, rimanendo sepolti nelle loro
iniquità. Pier il che io di nuovo sparsi lacrime che offri al Padre,
supplicandolo di una maggior grazia per tutti quelli che non avrebbero voluto
convertirsi. E vidi, che il Padre avrebbe dato la suddetta grazia agli ostinati,
e che per la medesima grazia molti si sarebbero ravveduti tornando a vivere con
Dio. Io ne godei moltissimo e ne resi grazie al divin Padre; restando però in
me l'amarezza nel vedere che un gran numero sarebbero rimasti sepolti nella
loro iniquità, senza mai risorgere a vita di grazia. Conobbi ancora che per la
risurrezione dl Lazzaro, gli Scribi, i Farisei, i Sacerdoti e gli Anziani si
sarebbero molto più infuriati contro di me, che avrebbero radunato un gran
concilio, determinando in tutti i modi di darmi la morte. Con tutto ciò non
lasciai di fare il miracolo, sebbene sapessi che i malvagi ne avrebbero preso
motivo per levarmi la vita. Pregai il divin Padre a dare virtù e grazia ai miei
fratelli e seguaci, ad operare il bene ed a beneficare i loro prossimi, pur
conoscendo che per far questo, dovranno soffrire persecuzioni e travagli, e
forse anche perdere la vita; grazia ancora per fior ciò costantemente, sicuri
dell'eterna retribuzione nel Regno dei cieli. Vidi allora tutti coloro che
avrebbero sostenuto travagli, :persecuzioni ed anche la morte dagli iniqui, per
beneficare i prossimi, sia nello spirituale che nel temporale. Per gessi pregai
di nuovo il Padre ad abbondare con la sua grazia e con gli aiuti divini. E vidi,
che il Padre l'avrebbe fatto con grande amore, ed io gliene resi grazie a nome
di tutti.
RISURREZIONE DI LAZZARO
Arrivati pertanto al sepolcro, dove giaceva il defunto,
ordinai che si levasse la lapide, che lo copriva. A quest'ordine risposero,
che il cadavere era già putrido, per essere passati già quattro giorni. Con
tutto ciò ubbidirono al mio comando. Levata la lapide, alzai gli occhi al
cielo, invocando di nuovo l'aiuto del divin Padre. Feci questo, non già
perché non avessi il dominio sopra la vita e la morte, essendo come Dio uguale
al .Padre, ma per mostrarmi in tutto e per tutto Figlio a Lui soggetto. Lo
ringraziai della potestà che mi aveva dato, e con voce imperiosa, dissi:
Lazzaro vieni fuori! ordinando nello stesso tempo all'anima di ritornare a
ravvivare quel putrido corpo, ed al corpo di riprendere il suo primo vigore (1).
Detta la parola, subito il defunto si alzò, ed uscì dal sepolcro perfettamente
sano. Ordinai che fosse sciolto dai legami ed altro con cui solevano coprire i
morti; e subito cominciò a camminare ed a lodare la persona mia, e il divin
Padre, che mi aveva mandato nel mondo. A questo fatto restarono tutti ammirati,
pieni di stupore, ed unitamente lodavano la persona mia, restando il divin Padre
glorificato in me. Le due sorelle, ripiene di consolazione, magnificavano il
divin Padre e la persona mia, dichiarandomi pubblicamente per vero Messia e vero
Figlio di Dio. Molti degli astanti credettero in me, e tutti glorificavano e
lodavano il Padre che mi aveva mandato loro, dicendo: Veramente questi è il
Messia promesso: le opere sue mirabili ce lo dimostrano chiaramente! Resi pio le
grazie al divin Padre e parti con tutti gli astanti, tornando tutti a casa di
Marta e di Maddalena con il loro fratello. Per il cammino andavo loro narrando
le grandezze del mio Padre celeste: la potenza, la sapienza, 1a bontà, e tutti
gli altri suoi attributi. Corse tutta la gente del paese, per vedere Lazzaro
risuscitato, ché si era divulgata la fama e tutti restavano attoniti e stupiti,
chiamandomi gran Profeta e Messia promesso.
CONCILIABOLO DEI FARISEI
Corse subito avviso di ciò, in Gerusalemme, e inteso il
fatto, gli Scribi e i Farisei, si adunarono tutti, e presi dal timore, nel
vedere che molti credevano in me, per le opere stupende e prodigiose che facevo,
dicevano fra di loro: Cosa facciamo noi? Qui non si deve prender riposo. Quest
uomo fa molti prodigi. Ecco, tutti crederanno in Lui, e verranno i Romani e ci
leveranno i nostri posti. Bisogna in tutti i modi procurare di levarlo dal
mondo. Tutto ciò dicevano fra di loro, ma intanto non sapevano come fare per
avermi nelle loro mani. Dicevano: Costui è un grande incantatore, perché non
vi è alcuno cui basti l'animo di porgli le mani addosso. A noi non è giovato
di metter la taglia a chi ce lo avesse dato in mano. è un gran seduttore, che
seduce tutto il popolo. Dove va, perverte tutti. Ciò dicevano infuriati,
fremendo, quasi leoni affamati per divorarmi. Io vedevo e sentivo tutto ciò, e
molta era l'angustia del mio Cuore, per tanta malignità e durezza. Sentivano
parlare delle opere mie meravigliose, avevano udito la mia divina sapienza,
sapevano che quasi tutti credevano in me, avevano chiari segni della mia
Divinità, eppure sempre più si facevano accecare dalla loro rea passione. E
per i lumi divini, che lo impetravo loro dal Padre, capivano chiaramente la mia
santità, la mia innocenza ed anche la mia Divinità, e si fermavano alquanto in
queste riflessioni; ma usciva subito la loro passione dominante, e scacciava via
tutti i lumi e le riflessioni buone. Allora dicevano Non sia mai, che noi ci
abbiamo da soggettare a costui, vile, malnato, vagabondo, indemoniato, che
sempre è stato contrario alle nostre opere, e si ritira dalle nostre azioni, e
le biasima come pessime. Costui è superbo, e pieno di malizia; si chiama Figlio
di Dio, si gloria di avere la scienza divina. Che facciamo noi, scocchi, che non
tentiamo tutte le vie per opprimerlo e levarlo dal mondo? E quivi, uniti
insieme, facevano a gara, a chi più mi poteva ingiuriare e conculcare. E con
atti di disprezzo battevano i piedi in terra, e dicevano: Se arriviamo ad averlo
nelle mani, ha da essere da noi conculcato, e ha da star sotto ai nostri piedi.
E fin d allora andavano premeditando di farmi tutti i disprezzi ed affronti, che
poi mi fecero, per mezzo dei loro ministri, nel tempo della mia Passione.
CONSIGLIO E DECRETO DI MORTE
Si accordarono tutti insieme, ed andarono in casa dei Caifa,
pontefice d allora, in Gerusalemme. Gli raccontarono tutto, mascherando la loro
passione con titolo di zelo, e quivi, in presenza del Pontefice , si fece il
consiglio, e si determinò di darmi la morte, dicendo loro Caifa: è espediente,
che quest'uomo muoia, acciò non perisca tutta la gente. A queste parole,
tutti quelli del consiglio si rallegrarono, ed acclamarono con voci di giubilo
il decreto. E così fu stabilito che io dovessi morire, e con questa, tutti
partirono a dar ordine, che chi mi avesse trovato, mi avesse preso, e chi sapeva
dove io dimoravo, l'avesse loro avvisato (1). Vidi ed intesi il consiglio e il
decreto fatto contro di me; Vidi che il divin Padre aveva ciò decretato, e
fatto dire al pontefice, quantunque iniquo, l'oracolo che io morissi, acciò
non fosse perita la gente, e con la mia morte si fosse salvato il mondo. Sebbene
il pontefice dicesse queste parole con altro senso, con tutto ciò fu profezia,
che il divin Padre fece pronunziare a lui, benché nessuno degli astanti la
capisse e l'interpretasse nel giusto significato. Chinai la testa all'udire
detto decreto, e mi offri tutto al Padre, pronto a dar la vita per la salute del
mondo, dicendo: Eccomi pronto, o mio divin Padre, a dar la vita, per la salute
di quelli che la vorranno, anche se fosse per uno solo, pur sono pronto a morire
per la di lui salute, e per eseguire in tutto il vostro divino volere. Perciò
accetto volentieri la morte più ignominiosa, che mi sarà data dai miei,
crudeli nemici, per la salute dei quali muoio volentieri, non escludendo neppur
uno solo dal beneficio della redenzione, bramando che tutti si salvino. Perciò,
vi prego, o mio divin Padre, a fare che tutti si valgano del beneficio, e se,
per la salute delle anime, volete altro da me, eccomi pronto, sino a star
penando per tutto il tempo che durerà il mondo, perché io mi soggetto in tutto
al vostro divino volere. Gradì il divin Padre l'offerta; e dimostrandomi il
sommo compiacimento che aveva in me, mi promise che avrebbe fatto tutto ciò che
fosse stato necessario, onde tutti si fossero salvati; rammaricandosi però che
molti non si sarebbero voluti approfittare del beneficio, ed avrebbero prese
vane le molte grazie, ch Egli per amor mio, avrebbe loro compartito. Difatti
allora vidi la moltitudine di coloro che si sarebbero perduti, e ne intesi
grande amarezza. Ringraziai il Padre per tutte le grazie che avrebbe ad essi
compartito, e gli offri i miei meriti, la mia pronta obbedienza al suo volere,
in supplemento di tutte le loro mancanze, perché restasse soddisfatta e
glorificata la sua divina bontà e misericordia. Mentre tutto ciò si faceva in
Gerusalemme, io mi trattenevo in casa di Lazzaro con le due sorelle, predicando
ed insegnando a tutto il popolo, che concorreva per udirmi. Venivano molti da
Gerusalemme per udire la mia predicazione, e molto più per vedere Lazzaro
risuscitato, i quali poi credevano nella mia dottrina.
FURORE DEGLI SCRIBI E FARISEI
Ciò risaputa dagli Scribi e Farisei, determinarono anche di
far dare la morte a Lazzaro (1). Molte cose determinarono, ma non poté loro
riuscire cosa alcuna, perché non era ancora giunta l'ora del mio morire. Per
quanto venisse della gente per farmi prigioniero, non poterono mai appressarsi
alla persona mia, perché la maestà del mio aspetto li atterriva e li riempiva
di timore, in modo che nemmeno si potevano trattenere alla mia presenza. Sapendo
ciò gli Scribi e i Farisei, ne fremevano; come leoni non trovavano riposo né
dì, né notte, ed andavano per la città come impazziti. Tanto arrivò a
dominarli la passione e l'odio che mi portavano, che neppure si potevano
cibare. Erano anche istigati molto dal demonio, il quale ruggiva e non poteva
più soffrire di vedermi al mondo, per le continue perdite che subiva, e per la
forza che gli faceva sentire ovunque 1a mia presenza. Per ciò anche i demoni
facevano dei conciliaboli, per intendere se veramente fossi io il Figlio di Dio,
ma non poté mai riuscire loro di saperlo; perciò istigavano i Farisei contro
di me, e trovavano tutte le arti immaginabili, perché io fossi maltrattato,
disonorato, perseguitato, acciò avessi dato in qualche atto di collera o di
ira. Nel vedere la mia mansuetudine, l'umiltà, la pazienza, la carità verso
tutti, restavano più che mai privi di forze ed avviliti, e perciò più
infuriavano, non potendo capire donde venisse da me tanta virtù. E si
affaticavano ad istigare i Farisei, perché mi avessero levato presto dal mondo.
Io vedevo tutto, e pregavo il divin Padre a dar fortezza da quelli che credevano
in me, perché egra tempo di tanta tribolazione per tutti i miei seguaci, i
quali venivano maltrattati dai Farisei e dai loro aderenti, e guardati con
sdegno e rancore. Vedevo che il Padre non mancava fidi fidare a tutti la sua
grazia ed i suoi aiuti particolari. E di ciò godevo, pur nell'afflizione
immensa che sentiva il mio cuore. Essendomi trattenuto qualche tempo in casa
fidi Lazzaro, non lasciai di andare per i villaggi vicini a predicare e
convertire quei popoli che si erano pervertiti per le minacce degli Scribi e
idei Farisei. Era grande il frutto della mia parola.
CON MARIA
Avvicinandosi perciò la Pasqua, nella quale dovevo morire,
volli fare la mia solenne entrata in Gerusalemme. Prima però di partire fida
Bethania, volli parlare con la mia diletta Madre, la quale con spirito
profetico, tutto sapeva e vedeva. Bramavano anche le due sorelle, cioè, Marta e
Maddalena, di vederla e di parlarle, come pure i più intimi miei apostoli e
discepoli, perché avevano più volte sperimentato quanta consolazione provava
il cuore loro nel vederla e nel sentirla; particolarmente Giovanni, da lei molto
amato, per il privilegio singolare di purità che aveva. Invitai pertanto la
diletta Madre a venire qualche giorno, prima che si celebrasse la Pasqua. Venne
accompagnata dalle altre devote donne. Arrivata in casa delle suddette sorelle,
e trattenutasi per qualche tempo con esse e con i miei apostoli in santi
discorsi, si ritirò da sola a sola con me. Allora diede qualche sfogo al suo
dolore ed al suo grande amore. Oh, quanto si doleva nel vedermi così afflitto
nel miro interno, e sì affaticato e strapazzato nell'esterno, per i patimenti
sofferti nella lunga predicazione! Spesso mi andava replicando: Amato Figlio, a
qual segno vi ha ridotto l'amore, che portate al genere umano ! Oh, se potessi
io sola soffrir tutti i vostri patimenti, quanto sarei contenta, purché non li
soffriste voi, vita mia, mio vero bene, mio tesoro, mio Figlio e mio Dio! le
rispondevo con grande amore, e la ringraziavo dell'amore inesplicabile che mi
portava, e di quanto per me pativa nel suo interno: essendomi compagna
fedelissima in tutte le mie pene. lo l'animavo e la incoraggiavo, dicendole:
Preparatevi pure Madre mia diletta, a soffrire il gran martirio della mia
passione, perché vedete che si avvicina il tempo della mia morte. Ah, cara
Madre ! Consolatevi fra tante pene e martiri, perché voi sola non avete colpa
alcuna. Tutti i figli di Adamo hanno qualche parte nella mia morte, benché chi
più e chi meno; ma per la colpa originale tutti vi sono. Voi sola siete l'immune
e la privilegiata fra tutte! Voi l'unica, la bella, la singolare! Voi sapete,
che nessuno, benché santo, può entrare in cielo, se io, con la mia morte, non
gli apra la porta. Perciò, consolatevi, cara Madre: per la mia morte resterà
riscattato il mondo, e si riempiranno i seggi che, per tanti secoli, sono
rimasti vuoti. Consolatevi, anche, perché così vuole il divin Padre! Ma, o mia
cara Madre, nel vedere le vostre pene, si accresce l'angustia del mio Cuore.
Voi, colomba innocente, siete tanto addolorata per i miei patimenti, e coloro
che ne sono la causa, neppure vi riflettono. Anche questo accresce la pena del
mio Cuore. Infatti, o Madre, ora è per noi tempo di patire molto. Ma
consolatevi, che le nostre pene saranno di sommo gaudio a noti ed a tutti quelli
che si varranno del beneficio della redenzione. Così consolavo la mia diletta
Madre, e l'andavo animando e preparando a più patire.
LASCIA BETHANIA
Essendoci trattenuti per qualche tempo in detti colloqui,
giunta l'ora in cui dovevo andare a Gerusalemme, per farvi la solenne entrata,
lasciai la diletta Madre raccomandata alle due sorelle, e dando a tutti la
benedizione, come ero solito nel partire, parti con i miei apostoli. Rivolto al
Padre, lo pregai a volersi degnare di consolare tutti i miei fratelli afflitti,
con le sue vinte interne, specialmente quelli che patiscono innocentemente, come
pativa la mia diletta Madre, la quale, essendo senza colpa, soffriva per le
colpe di tutti. Allora vidi tutti i fratelli che avrebbero patito
innocentemente, e pregai il Padre di consolarli. Vidi, che il Padre l'avrebbe
fatto con grande amore, e vidi anche ciò che loro teneva preparato. Del che
molto godei, e resi grazie a nonne di tutti.
LUNGO LA VIA ISTRUISCE I SUOI
Mentre mi avviavo con i miei apostoli verso un castello
vicino a Gerusalemme (1), li andavo istruendo sempre più, dicendo che poco più
tempo mi restava da star con essi, quindi apprendessero bene quanto loro
insegnavo, perché poi sarebbe venuto il momento in cui l'avrebbero dovuto
manifestare al mondo. Si affliggevano molto i miei apostoli, e dicevano Maestro,
anche noi vogliamo morire. Non ci basta il cuore di restar privi di voi, che
siete tutta la nostra consolazione. Come avrete cuore di lasciarci così
afflitti e derelitti? Li animavo con dir loro, che stessero di buon animo, e che
sarei andato a preparare loro il luogo: e che sarebbe venuto il tempo, in cui
dove stavo io sarebbero ancor essi; ma che prima dovevano patir molto come
vedevano che pativo io loro capo e Maestro. Seguitando pertanto il viaggio in
detti discorsi, essendo, sì io, come essi, stanchi e bisognosi di qualche
refezione, trovando un albero di fichi, mi appressai ad esso per cogliere i
frutti, mia non trovandone, lo maledissi, e l'albero si seccò (2). Di qui
presi motivo di avvertire i miei apostoli, a star bene attenti a produrre frutti
di sante operazioni, affinché non succedesse anche a loro una tale disgrazia. E
parlando ad essi, intendevo di parlare anche a tutti i miei fratelli, onde tutti
stiano vigilanti e solleciti a praticare atti di virtù e di sante opere,
perché volendo il Padre divino cogliere da essi buoni frutti, non li trovi
sprovvisti, e così restino da Lui abbandonati. Volli inoltre far conoscere il
rigore della divina giustizia, acciocché stessero in. timore, e fossero
solleciti della loro eterna salute. Essendo giunti al detto castello, mandai due
miei discepoli a prendere un asina ed un puledro, che avrebbero trovato attaccai
alla porta di un villaggio, avvertendoli che se alcuno avesse detto loro qualche
cosa, gli avessero risposto che il Signore ne aveva bisogno. Ciò successe là
ai miei due apostoli. Conducendo a me l'asina ed il puledro, spiegai il
mistero: dovevo entrare in Gerusalemme in trionfo, perché si adempisse ciò che
di me stava scritto (1).
L'INGRESSO TRIONFALE
Pertanto i miei apostoli posero le loro sopravesti sopra l'asina,
su cui mi posi a sedere (2); ed avviandomi verso la città, si sparse subito la
voce che andavo a Gerusalemme. Ciò lo permise il divin Padre, ispirando alla
turba di venire ad incontrarmi. Difatti, corrisposero all'ispirazione, e
molti, cogliendo devi rami di olivo, ed altri spandendo i loro vestimenti in
terra, cantavano unitamente l'osanna. Mentre la turba, con molti fanciulli
degli Ebrei, cantava, benedicendo Iddio che avesse mandato loro il Re d Israele,
anche i miei apostoli e discepoli, lodavano Iddio ad alta voce (1). Trovandosi
presenti alcuni dei Farisei, mi dicevano, che almeno avessi fatto tacere i miei
apostoli. Ai quali risposi che li avessero lasciati fare, perché se non l'avessero
fatto essi, l'avrebbero fatto le stesse pietre (2). Nell'entrare in
Gerusalemme, vennero a vedermi molti Ebrei, che credevano in me; e perché già
si era sparsa la fama del miracolo della resurrezione di Lazzaro, quasi tutta la
turba, anche ebrea, mi lodava con voci e parole di giubilo, non facendo allora
alcun conto del bando che avevano mandato gli Scribi e i Farisei con i
magistrati contro di me. Tutto permise il mio divin Padre, perché si doveva
adempire ciò che di me era scritto. Me ne andai quindi al Tempio, trattenendomi
ad orare al Padre divino. Prima, gli offri l'umiltà con la quale avevo fatto
la solenne entrata in Gerusalemme, in supplemento della superbia mondana, che
non sa mai accomodarsi alle cose vili e basse. Vedevo tutte le grandezze delle
persone, anche dedicate al culto divino ed il fasto della superbia; ne intesi
pena, e pregai il divin Padre ad illuminare tutti e fame conoscere che la vera
gloria consiste nell'umiltà, non nel fasto. Vidi che il Padre non avrebbe
mancato di darmi il detto lume e che alcuni se ne sarebbero approfittati,
disprezzando il fasto e la superbia mondana. Di ciò mi rallegrai, benché
intesi dell'amarezza nel vedere altri che se ne sarebbero abusati, perdendosi
dietro al fasto e alla superbia mondana, e mostrando orrore all'umiltà e alla
bassezza da mie praticata ed insegnata. Nell'entrare così in trionfo nella
città di Gerusalemme, vidi la mistica Gerusalemme, cioè, le anime in cui
sarebbe entrato trionfante il divin Padre con la sua divina grazia: perché,
mentre le anime confessandolo per loro vero Dio, si rendono a Lui, il Padre
torna a loro con la sua grazia. Di ciò intesi molta allegrezza, benché non mi
mancò di soffrire dell'amarezza, nel vedere il gran numero di quelle che poi
di nuovo l'avrebbero scacciato da sé per mezzo della colpa. E questa amarezza
fu sì grande, che anche nella festa, che mi veniva fatta, mi tenevo molto
afflitto. Mentre pregavo in tal modo il Padre supplicandolo della sua grazia per
tutti i miei fratelli, si adunarono al Tempio molti ciechi e zoppi per essere
sanati: i quali furono infatti da me graziati, benché vedessi che molti di essi
si sarebbero voltati contro dei me, gridando a Pilato che mi facesse morire. Con
tutto ciò, non lasciai di beneficare tutti quelli che venivano a me. Essendo
andati alcuni gentili dai miei apostoli, onde li avessero condotti da me,
perché bramavano parlarmi, li feci venire e li istruii con amore come ero
solito fare con tutti (1). Dissi molte parabole: del frumento, che se non cade
in terra e muore, non produce frutto, ma resta solo (2); del Re, che fece le
nozze al figlio, ed altre (3). Trovandosi presenti alcuni Scribi e ministri del
Tempio, dissi anche quella del buon Pastore, facendo loro conoscere che io ero
il vero e buon Pastore, venuto a dare la vita per salvare il mio gregge, e che
essi erano mercenari ipocriti e falsi (4). Dal che, infuriati, uscirono dal
Tempio.
RIUNIONE DEL SINEDRIO
Mentre stavo al Tempio, si sparse la voce del solenne
ricevimento. Ciò inteso, gli Scribi e i Farisei si radunarono di nuovo tutti in
casa di Caifa pontefice, fremendo di rabbia contro di me ed anche contro la
turba e la plebe. Ma i consigliarono che non era bene che allora mi facessero
prendere e mi uccidessero, perché era già vicina la solennità della Pasqua, e
la turba ed il popolo avrebbero fatto gran tumulto, e forse mi avrebbero tolto
dalle loro mani : non volevano essi darmi una morte ordinaria, perché non
appagava la loro rea passione, ma mi volevamo dare la morte più ignominiosa che
vi fosse; però temettero che in tal tempo non potesse loro riuscire, perciò
risolvettero di soffrire sinché fosse passata la Pasqua, nella quale si
immolava l'agnello (1). Ma era tanto il rancore che avevano contro di me, che
contavano le ore, nonché i giorni che vi mancavano, e vomitavano contro di mie
sempre nuove bestemmie e maledizioni, soffrendo perciò il mio Cuore una grande
pena.
SI PORTA A BETHANIA
Terminato d insegnare al Tempio, e data la salute a tutti
quelli che erano venuti a me, lodato di nuovo il divin Padre, usci, che l'ora
era già tarda. Ed andando con i miei apostoli, non vi fu neppure uno che ci
offrisse un sorso d acqua; eppur vedevano quanto eravamo stanchi ed afflitti.
Intesi gran dispiacere per tanta Ingratitudine, e l'offri al divin Padre in
supplemento di tutte le ingratitudini, che i miei fratelli usano verso i loro
prossimi bisognosi. E perché tale ingratitudine dispiace molto al divin Padre,
lo pregai a dare a tutti i miei fratelli uno spirito di vera carità e viscere
di compassione verso i loro prossimi bisognosi. E vidi, che il Padre mio l'avrebbe
fatto, e che molti se ne sarebbero approfittati. Di ciò godei, benché intesi
dell'amarezza nel vedere che molti se ne sarebbero abusati. Non trovando nella
città alcuno che ci desse alloggio, la sera andai a Bethania, in casa di Marta
e di Maddalena, dove si trovava la mia diletta Madre, che si tratteneva con
Lazzaro risuscitato e faceva loro da maestra, istruendoli nei divini misteri e
consolando tutta la gente che accorreva, per vederla e parlarle. Tutti erano
bramosi di essere istruiti da una tal Madre, che apportava somma consolazione a
tutti coloro che la miravano e l'udivano, accendendo nel cuore di tutti 1
amore verso Dio, ed il desiderio delle virtù che insegnava.
ESORTAZIONE ALLA SPOSA
Hai inteso, dunque, sposa mia, quanto grande fu la carità
che usavo con i prossimi, e come facevo bene a tutti non escludendo dal
beneficio nemmeno coloro che mi perseguitavano, e che avrebbero bramata e
chiesta la mia morte al Presidente Pilato curando le loro infermità. Vedi che
cuore amoroso era il mio verso di tutti! Perciò, tu mi devi imitare, come sposa
fedele, facendo bene a tutti, rimirando tutti con amore. Non aver avversione
verso chi ti perseguita, anzi, prega molto per essi. Si anche pietosa verso i
prossimi bisognosi. Abbi un cuore tutto compassionevole, e fa a tutti la carità
che ti è permessa. Si umile, abbraccia volentieri le umiliazioni, e fuggi ed
abbi in orrore la vanità ed il fasto mondana, a mio esempio.
CAPO SECONDO
Del ritorno di Gesù a Bethania e di ciò che operò nel suo
interno, sino a che celebrò l'ultima Pasqua con i suoi discepoli.
A BETHANIA - TRATTENIMENTI
Essendo arrivati in Bethania molto stanchi, affaticati e
bisognosi di qualche ristoro, ci fu subito preparato dalla sollecita carità di
Marta, nostra albergatrice. Dopo essermi trattenuto alquanto con la diletta
Madre e con la fervente Maddalena, dando esse qualche sfogo all'amore che mi
portavano, prendemmo un po di refezione, secondo la necessità, facendo i soliti
atti che altre volte ho detto. Dopo aver reso le grazie al divin Padre, feci a
tutti un breve sermone, dopo il quale, ritiratisi i miei apostoli, per prendere
riposo, mai ritirai anch'io con la diletta Madre, trattenendomi in sacri
colloqui. E perché si avvicinava il fine della mia vita temporale, non volli
lasciare di consolarla con la mia presenza, e di trattenermi a parlarle dei
misteri racchiusi nella mia vita, passione e morte, dei quali era bene
informata, permettendole di dare qualche sfogo all'amore ed al dolore che
provava. Dopo essermi trattenuto con la diletta Madre, venne anche l'amante
Maddalena, per udire le mise parole e trattenersi ai miei piedi, come era
solita. Allora le manifestai, che si avvicinava il tempo della mia morte, e che
gli Scribi e i Farisei avrebbero sfogato contro di me il loro insaziabile
furore. Ferita nel cuore la Maddalena nel sentire le mie parole, versò copiose
lacrime. Fu da me e dalla diletta Madre confortata. Sentiva gran compassione
verso la medesima, tanto più che vedevo, quanta pena avrebbe sofferto nel tempo
della mia acerbissima passione. E perciò pregai il divin Padre di confortarla,
onde il dolore non l'avesse privata della vita, come difatti sarebbe seguito,
se il divin Padre non l'avesse confortata con la sua divina grazia: mi amava
molto, perciò grande fu il suo dolore per i patimenti da me sofferti.
MARIA PARLA CON GLI APOSTOLI
Avvicinandosi pertanto il giorno, mi ritirai ad orare al
Padre, e la mia diletta Madre restò quivi per trattenersi con i miei apostoli,
i quali, già destati, bramavano di parlarle. Difatti si presentarono a lei, che
li ammonì a star bene attenti a tutti gli insegnamenti che avevo dato loro, ed
a riconoscere la grazia grande che aveva fatto loro il divin Padre, con lo
sceglierli miei intimi familiari ed apostoli, affinché portassero la vera fede
per tutto il mondo. Raccomandò loro molto la fedeltà e l'amore verso di me,
loro Signore e Maestro. E dopo vari documenti, domandò di vederli ad uno ad
uno, perché voleva ammonire il perfida Giuda, senza che gli altri prendessero
sospetto. Parlò a tutti, e tutti ammonì a star forti nella fede e nell'amore
verso di me. Disse a Pietro di essere vigilante, perché nel tempo della
tribolazione mi avrebbe negato. Egli fidandosi troppo di sé, le rispose: « Non
sarà mai, o Signora, che lo neghi il mio Maestro, troppo grande è il suo
merito e l'amore che io gli porto! Non consentirò mai, anzi, son pronto a
morire con lui! ». A questa risposta la diletta Madre lo ammonì di nuovo ad
essere vigilante e bene attento, perché sarebbe caduto nell'infedeltà. Egli
soggiunse: « Non sarà mai questo! », fidandosi del sentimento che allora
aveva. Arrivata poi a parlare con Giuda, intese la diletta Madre passarsi il
cuore dal dolore, mirandolo come figlio di perdizione. Gli parlò con molta
compassione dell'anima sua, che già vedeva perduta, e l'avvertì del fallo
che avrebbe commesso, dicendogli: Giuda, tu tradirai il mio unico ed amato
Figlio e tuo Maestro. E come avrai cuore di tradire il tuo Signore, dal quale
tante grazie hai ricevuto? Tu hai veduto l'innocenza e la santità della sua
vita! Hai udito la sua divina dottrina, hai visto i miracoli, i prodigi operati!
E come potrai tu, separarti dal tuo Capo, e da apostolo amato, divenir discepolo
traditore? Come non avrai compassione almeno dell'anima tua?. Questo ed altro
disse la diletta Madre al discepolo traditore, il quale protestò, che mai
sarebbe caduto in tale eccesso, giurando fedeltà, e dicendo che non doveva dare
a lui tali avvertimenti, perché lo conosceva e sapeva che non era capace di
cadere in sì fatto errore. Tanto maggior dolore sentiva la diletta Madre, in
quanto vedeva, che le sue varie ammonizioni non sarebbero state apprezzate: col
fidarsi troppo di sé, Pietro sarebbe caduto nell'infedeltà, e Giuda nel
tradimento. Allora pregò per essi il divin Padre, acciò li illuminasse. Vide
che il primo sarebbe risorto dalla sua caduta, ma che Giuda sarebbe perito
miseramente, onde ne intese sommo dolore, in modo che se non fosse stata
confortata dal Padre, il dolore che ebbe del tradimento e della perdita di
Giuda, sarebbe stato capace di darle la morte: perché capiva la gravità del
male in cui sarebbe caduto l'apostolo traditore. Mentre io stavo orando al
Padre, vedevo tutto ciò che passava fra la mia diletta Madre ed i miei
apostoli, e non lasciai di pregarlo, affinché avesse dato conforto alla Madre,
e lume agli apostoli, onde si fossero approfittati delle sue materne ammonizioni
ed avvertimenti. E vidi, che il Padre mio, anche ad istanza della diletta Madre,
avrebbe compartito molti lumi e grazie ai miei apostoli, quantunque essi se ne
sarebbero poco approfittati. Vidi allora le molte grazie che il Padre avrebbe
compartito a tutti i miei fratelli, per l'intercessione di questa gran Madre,
e ne resi a Lui grazie per parte di tutti. Intesi molta consolazione per quelli
che se ne sarebbero approfittati, e dell'amarezza nel vedere che molti se ne
sarebbero abusati.
AL TEMPIO DI GERUSALEMME - GESù INSEGNA
Terminato pertanto la diletta Madre di parlare con i miei
apostoli, ed io di orare al divin Padre, nella quale orazione si era già
concluso di dar l'ultima mano all'opera grande della redenzione umana, andai
dalla diletta Madre; e i miei apostoli si licenziarono da Lei e mi seguirono.
Partito pertanto da Bethania, ed arrivato al Tempio dove si era già adunata
molta turba per udire le mie parole, ed anche infermi per esser curati delle
loro infermità vi trovai alcuni Scribi e Farisei, che già stavano ad
aspettarmi, per riprendermi, se avessi predicato, perché non potevano più
sopportare le mie parole, essendo molto infuriati. Io, però, arrivato al Tempio
ed adorato il divin Padre, lo pregai, conforme al solito, del suo aiuto, ed
incominciai a predicare, dicendo alcune parabole alla turba, che con tutta l'attenzione
mi stava ad udire. Sentendo gli Scribi e i Farisei, che con tanta libertà
predicavo, sebbene sapessi che per me vi era l'ordine di farmi prendere e
carcerare, si avanzarono arditamente a rimproverarmi chiedendo con quale
autorità facessi ciò. Furono però da me confusi, come anche in alcune
interrogazioni che mi fecero, per vedere se avessero potuto cogliermi in qualche
errore contro la Legge, per potere con più libertà arrestarmi. Ma sempre
restavano confusi, in modo che non sapevano più che dirmi. Perciò si
infuriavano vieppiù contro di me (1). Erano anche da me ripresi, manifestando
io la loro malizia, e tutta ciò che passava, tarato nel loro interno, come nei
loro segreti concili. Ed allora restavano atterriti, e non sapevano che
rispondere. Essendo privi della divina grazia, molto istigati dal demonio ed
accecati dalla loro passione, tutto interpretavano in male. Però dicevano, che
avevo il demonio addosso, che mi manifestava tutto ciò che passava fra di loro.
Era ferito il mio Cuore da questa sì grave ingiuria; con tutto ciò non mancavo
di pregare per essi il divin Padre, perché non li castigasse come meritavano.
Seguitando pertanto a predicare con maggiore zelo della loro salute e della
gloria del mio divin Padre, in quest'ultima mia predica al Tempio, tornai a
ribattere tutte le cose che per l'addietro avevo insegnato, dicendo altre
parabole. Stava la turba attenta alle mie parole; ma gli Scribi e i Farisei
fremevano di sdegno e di odio contro di me. Narrai loro molte cose occulte,
manifestai i segni che avrebbero preceduto la fine del mondo, il giudizio finale
e la venuta del Giudice supremo, la sentenza definitiva da darsi ai reprobi ed
agli eletti (1). Molto lungo fu questo mio ragionamento, e tutti stavano ad
udirmi con gusto. Solo gli Scribi si rivolgevano or qua or là, per non udirmi:
le mie parole penetravano le loro orecchie, ma non i loro cuori, induriti più
delle pietre. Parlai anche del Sacramento che ero per istituire, col lare la
mia. carne ed il sangue in cibo ed in bevanda, dicendo, che la mia carne, è
veramente cibo, ed il mio sangue bevanda, e che chi avesse mangiato la mia carne
e bevuto il mio sangue sarebbe restato in me ed io in lui, e sarebbe vissuto in
eterno.
VARI EFFETTI
Molto dissi di questo cibo, rivolto ai miei discepoli, che
non capivano il mistero, ed i Giudei, che erano presenti, lo capivano molto
meno. Quantunque fossero Scribi, e si tenessero dotti, non intendevano la mia
divina sapienza. Si andavano perdendo il cervello per interpretare le mie
parole, e suscitavano questioni fra di loro per escogitare come poteva essere
quello che dicevo, e perché era ad essi tanto nascosto. Ed io, parlando con la
mia divina sapienza, rispondevo, ma non ero da loro capito. Dicevano fra di
loro: Che scienza è, che sapienza è mai questa, che noi suon possiamo arrivare
a capire? E poi concludevano: E certo, che costui parla per bocca del demonio.
Che ci stiamo ad inquietare? Questi ha il demonio addosso. In tutti i modi
bisogna levarlo presto dal mondo, perché ingannerà e pervertirà tutto il
popolo. Così, sposa mia, era dai perfidi oltraggiata la mia sapienza. Questi
erano i contraccambi che ricevevo per i molti benefici che loro facevo,
insegnando la mia celeste dottrina, sanando i loro infermi, e parlando ad essi
con tanta carità ed amore. Mi schernivano facendosi vedere dalla turba, onde
non desse credito alle mie parole. Ed io pregavo il divin Padre a dar lume al
popolo che mi udiva, affinché conoscesse che gli Scribi ed i Farisei tutto
facevano per malizia e per l'odio che mi portavano, perché dicevo loro la
verità. Ed il Padre non mancava di dar loro lume per conoscere la verità.
Perciò le turbe non davano udienza ad essi, ma, tutte attente alle mie parole,
si compungevano e profittavano di quanto loro dicevo. Si trovava presente a
questo mio ultimo ragionamento gran moltitudine di popolo di diverse nazioni.
Erano venuti per la solennità della Pasqua, e tutti restavano ammirati della
mia divina sapienza, del modo, della grazia con cui predicavo. Sentendo tutti
una grande consolazione interna nell'udirmi, invidiavano la sorte degli
abitanti di Gerusalemme, che mi avevano fra di loro. Io nel predicare guardavo
tutti con amare, bramando la salute di tutti; ed essi restavano presi di amore
verso di me, né osi saziavano di udirmi parlare. Mi rimiravano attentamente e
benedicevano chi mi aveva dato alla luce, dicendo fra di loro: Oh, che sorte
felice quella de suoi genitori, di avere un tale figliuolo! Si ingegnavano però
gli ebrei di pubblicarmi per persona vile, per superbo, per ingannatore, benché
poca udienza loro dessero, conoscendo tutti come essi mi odiassero e palassero
per invidia e per passione, perché nei loro volti si faceva conoscere da tutti
la loro malvagità. E mentre dicevano i Farisei fra di loro, che in tutti i modi
mi si doveva dare la morte, io, perché conoscessero che sapevo tutto, dissi
pubblicamente, rivolto ad essi, che disfacessero pure il Tempio della mia
Umanità, di cui essi parlavano, perché dopo tre giorni io l'avrei
riedificato (1). Di queste parole, che non capirono, si fecero beffe, affermando
che dicevo degli spropositi per far conoscere alla turba la potenza che avevo.
Infatti, da ogni mia parola o predica prendevano motivo per dispregiarmi e
deridermi. Io soffrivo con volto sereno, non dimostrando mai sdegno, perché il
mio Cuore era pieno di carità, bramando la loro conversione, e domandandola al
Padre. Ma essi vi posero tutto l'impedimento con la loro durezza, facendosi
accecare dalla loro malizia e dalla passione. In tutto il mio ragionamento non
persi di vista i miei fratelli, che avevo sempre presenti, ed offrivo al Padre
le ingiurie e gli affronti che mi venivano fatti dai miei nemici, e per le mie
offerte lo pregavo di dare a tutti i suoi lumi e la sua divina grazia, onde si
fossero approfittasti della mia dottrina e degli esempi che loro lasciavo. E
vedevo che il Padre l'avrebbe fatto, ed io lo ringraziavo. Vedevo anche tutti
coloro che avrebbero approfittato, e ne intesi consolazione, ma intesi dell'amarezza,
nel vedere il gran numero di quelli che li avrebbero dispregiati. Per essi
domandai al Padre misericordia, perché desse loro più lume e più stimoli al
cuore, per approfittare di tante grazie. Vidi che il divin Padre l'avrebbe
fatto con la sua misericordia infinita e che molti, per questa nuova grazia
avrebbero approfittato; ne intesi consolazione e ne resi grazie al Padre anche
per parte loro, lodando la sua infinita bontà. Intesi dell'amarezza per
coloro che, anche di questo, si sarebbero abusati, volendo restare nella
ostinata durezza.
ULTIMI AVVISI ED OFFERTA
Vedendo inoltre che nel mondo vi sarebbero stati degli uomini
perfidi e maliziosi, che con i loro falsi dogmi avrebbero pervertita molta
gente, tirandola al loro pessimo partito, ne parlai ai miei apostoli ed alle
turbe che mi stavano ad udire, avvertendo anche tutti i miei fratelli e seguaci
a star bene attenti, per non lasciarsi ingannare. Lasciai perciò loro tutti gli
insegnamenti sul modo di comportarsi con simile gente. Rivolto al Padre lo
pregai di volersi degnare di mandare in tal tempo al mondo uomini santi,
affinché avessero abbattuto i falsi dogmi e le eresie. Vidi che il divin Padre
l'avrebbe fatto, e vidi il bene che questi avrebbero apportato a molti con i
loro aiuti, e con la santità della dottrina che avrebbero predicata. Di ciò
intesi consolazione e ne resi grazie al Padre pregandolo del suo potente aiuto
per questi suoi fedeli amici. Intesi però dell'amarezza, ed oh, quanto
grande! nel vedere il gran numero di quelli che si sarebbero pervertiti seguendo
la dottrina falsa degli scellerati. Perciò, rivolto al Padre, tutto dolente, lo
pregai del suo aiuto e della potente sua grazia per quei miserabili. Vidi, che
il Padre non avrebbe mancato di concedere loro quanto gli richiedevo. Che molti
si sarebbero convertiti in tutti i tempi con mirabili conversioni. Di ciò
godei, e resi grazie al divin Padre; ma intesi dell'amarezza, o quanta! nel
vedere il gran numero di quelli che sarebbero miseramente periti, per voler
restare nella loro infedeltà ed ostinazione.
Terminato il mio discorso, dissi pubblicamente, che non mi
avrebbero più udito parlare, e rivolto agli ebrei, dissi loro: Io vado, voi mi
cercherete e non mi troverete, e morirete nel vostro peccato, ostinati e ciechi
a tanta luce (1) , annunciando così l'ostinazione e la
durezza della loro nazione.
Terminato il discorso, ed adorato di nuovo il divin Padre,
diedi la salute a tutti calano che si appressarono a me per essere sanarti dalle
loro infermità. Usci dal Tempio con i miei ripostoli, per non più tornarvi,
dicendo al Padre mio: Ecco, o mio divin Padre, che ho adempito in tutto la
vostra divina volontà: ho dato tutti gl'insegnamenti, ho predicato la parola
vostra, ho promosso il vostro onore e la vostra gloria tanto in questa nazione,
come in tutte le altre. Ora vi prego di dare a tutti il vostro aiuto, i vostri
lumi, la vostra grazia, onde chi voglia, possa approfittare di tanto beneficio.
Queste grazie ve le domando in virtù di tutte le mie opere, delle fatiche che
ho fatto nella mia predicazione, dei patimenti sofferti, delle ingiurie e delle
persecuzioni che ho sostenuto da parte dei miei nemici, e di tutto ciò che ho
operato per la vostra gloria e per la salute delle anime.
Fu gradita al Padre tale offerta e richiesta, per cui,
dimostrandomi il sommo gradimento, mi promise quanto gli avevo chiesto; poi mi
disse: Oh, amato Figlio, in cui mi sono sempre compiaciuto e dal quale ho sempre
ricevuto sommo gusto, non vi sarà cosa che mi domandiate in cui non restiate
soddisfatto. Anzitutto ripongo nelle vostre mani, facendovi assoluto padrone,
tutto ciò che è mio, essendo voi a me uguale nella divinità; l'umanità
vostra sarà esaltata, e le sarà data da me tutta la potestà, sì nel cielo
come in terra.
VERSO BETHANIA - ESORTAZIONI AI SUOI
Rese perciò le grazie al divin Padre, (andai a Bethania con
i miei apostoli. Lungo il viaggio li andavo istruendo ed esortando a star
vigilanti, perché il nemico infernale li avrebbe travagliati, perciò era
necessario che stessero sempre orando, e raccomandandosi al Padre, per non
cadere nelle tentazioni. E di nuova dissi loro: Figliuoli miei, poco più starò
con voti, perché è arrivato il tempo in cui si deve terminare l'opera della
redenzione e il Figliuolo dell'uomo sarà dato in mano dei nemici, i quali lo
strazieranno, lo scherniranno, lo flagelleranno, e infine lo condanneranno a
morte, come altre volte vi ho detto. Perciò state vigilanti, perché adesso si
avvicina il tempo in cui dovete far mostra della vostra fedeltà e dell'amore
che mi portate, mettendo in pratica ciò che tante volte vi ho insegnato,
Animatevi anche voi a soffrire dei travagli, e state sicuri che il mio divin
Padre vi assisterà, vi proteggerà. Non vi apporti meraviglia se il mondo vi
odierà e vi perseguiterà, e se vi sarà reso male per bene, vedendo che io,
vostro Capo e Maestro, sono perseguitato ed odiato, e che infine mi sarà data
ignominiosa morte. Quando il mondo tratterà voi come tratta me, rallegratevi,
perché allora sarete fatti, degni di essere simili al vostro Maestro: per
questo la vostra mercede sarà copiosa nel Regno dei cieli.
Questo ed altro andavo dicendo ai miei apostoli, preparandoli
al gran travaglio che avrebbero avuto nel tempo della mia passione. Essi
afflitti e dolenti, piangevano, non potendo proferir parola. Solo Giuda, il
traditore, stava forte: perché era di cuore assai duro, e non dava credito a
quello che allora dicevo. Pensava fra sé, che parlassi così per affliggerli e
per sentire come mi amassero, non perché dovessi veramente morire. Dispiaceva
molto a me il pensiero del discepolo traditore, perché vedevo che con questi
sentimenti si andava a poco a poco disponendo al tradimento. Già il nemico
cominciava a tentarlo, ed a suscitargli la sua rea passione. Ogni tanto gli
suggeriva come avrebbe potuto fare per avere il danaro che gli Scribi, i
Farisei, i principi ed i sacerdoti avevano promesso a chi mi avesse dato nelle
loro mani. Ma andava però ribattendo la sua passione col pensiero che non era a
lui lecito far questo; tanto più poi si convinceva, vedendo tutti gli altri
apostoli molto affezionati ed anche molto afflitti
per la perdita, che dicevo dovevano fare di me. Io non
mancavo di ammonirlo internamente, ed il Padre gli dava molti lumi, perché
conoscesse il suo errore, scrollasse da sé la tentazione e frenasse la rea
passione. Perciò si andava rimettendo, benché non si quietasse e stesse con la
mente turbata.
Quanta pena mi dava, sposa mia, questo discepolo, che
incominciava a dar adito all'antico suo vizio, e che per quanto gli dicessi, e
per quanti lumi ed aiuti avesse, non si voleva arrendere totalmente, ma
conservava in sé l'affezione al danaro ed il desiderio di averlo. Andava,
ogni tanto pensando fra sé : « Il Maestro dice che ha da morire, se sarà vero
che debba morire, io almeno avrò quel denaro presso di me, e così provvederò
ai miei bisogni; e se non morrà, servirà per provvedere ai bisogni, di tutti
noi ». Tutto ciò gli suggeriva il nemico, perché cercava tutti i modi di
farlo cadere; per di più, la faceva andare lontano da me, in modo che non
potesse udire le mie parole. Difatti ne mostrava spesso noia e tedio, perché lo
colpivano nel suo vizio di interesse ed avidità di avere sempre più.
Tutto ciò non avvertivano gli altri miei apostoli, né mai
pensarono che quanto dicevo, Io dicessi più per fare avvertito Giuda, che essi:
se l'avessero capito, lo avrebbero lacerato. E quando lo vedevano andare
lontano da me, credevano che lo facesse per stanchezza, come difatti dimostrava.
ARRIVO A BETHANIA - GIOIE E PENE
Arrivati pertanto a Bethania, dove ero aspettato dalla mia
diletta Madre, e dalla gente che era con Lei, in particolare da Maddalena, che
molto mi amava, e bramava di stare sempre ad udire le mie parole, fui accolto
con dimostrazioni di affetto, conforme al solito, specialmente da Lazzaro
risuscitato, che si dimostrava grato del beneficio ricevuto, e mi amava molto,
come fedele discepolo. Solo la mia diletta Madre stava più del solito afflitta
nel suo interno, perché sapeva essere arrivata l'ora del mio patire e della
mia morte, e vedendo l'afflizione del mio Cuore per la perdita dell'apostolo
traditore, molto mi compativa e mi accompagnava nella mia grande afflizione.
Anche Maddalena era trafitta dal dolore, perché le avevo dato qualche indizio
della mia vicina morte; ma, sorpresa dall'amore, nel vedere la persona mia, da
lei tanto amata, dava bando al dolore, e stava godendo la mia presenza con gran
giubilo del cuore.
Frattanto non lasciavo di pregare il divin Padre, acciò le
avesse confortate e fortificate, perché potessero soffrire il travaglio nel
tempo della mia passione. Ciò feci anche per tutti i miei fratelli e seguaci,
affinché il Padre li avesse confortati nel tempo di allegrezza e di
consolazione, perché poi, sopraggiungendo loro i travagli, li avessero sofferti
generosamente. Vidi che il Padre l'avrebbe fatto, e tutti quelli che si
sarebbero trovati afflitti in tal modo, per la grazia del divin Padre si
sarebbero confortati, ed avrebbero sofferto i travagli con generosità. Di ciò
resi grazie al Padre, e godei; ma intesi dell'amarezza nel vedere che molti si
sarebbero abbandonati al dolore ed alla tristezza, non volendosi, in modo
alcuno, accomodare a soffrire i travagli. Per questi pregai di nuovo il divin
Padre ad illuminarli ed a dare loro maggior grazia. Vidi che il Padre l'avrebbe
fatto, e che molti, per la detta grazia, si sarebbero rimessi alle divine
disposizioni, soffrendo i travagli con più generosità. Di ciò intesi
consolazione, benché non mi mancasse da soffrire per vederne molti, che si
sarebbero abusati anche di quella nuova grazia.
Intanto la sollecita Marta preparò la refezione per i miei
apostoli, dopo la quale feci al solito, il discorso, parlando con più amore del
solito a tutti. Anche a loro dissi che fra poco li avrei lasciati, perché
dovevo eseguire la volontà del Padre che mi aveva mandato; ma che non
dubitassero, perché non li avrei mai abbandonati. Li assicurai della mia
continua assistenza, pur non essendo fra di loro in carne mortale. Si
affliggevano tutti a queste parole, mia io non mancavo di consolarli e di
animarli.
GESù CON LA MADRE
Essendo già l'ora di prendere qualche riposo, si
ritirarono tutti, ed io mi ritirai con la mia diletta Madre e con le due
sorelle, Marta e Maddalena, le quali, poiché erano molto afflitte, non potevano
privarsi della mia presenza, che apportava loro grande conforto. Ed io le
consolai molto, parlando delle grandezze del mio divin Padre, e del premio che
loro stava preparato nel regno dei cieli, animandole al patire, perché quanto
più avrebbero sofferto in terra, tanta maggior gloria avrebbero avuto in cielo.
Le assicurai del mio amore verso di loro, ed essendo passata buona parte della
notte in tali discorsi, si ritirarono, ed io restai con la mia diletta Madre a
trattare da sola a solo, lasciando ch ella desse qualche sfogo al suo dolore.
Anche io le dicevo la pena del mio Cuore nel vedere la sua grave afflizione. E
quantunque, la Madre ed io sapessimo ciò che nei nostri Cuori passava, tuttavia
ne parlavamo per dare qualche effusione al nostro grande dolore. Mi diceva la
diletta Madre: Figlio mio, da me unicamente amato, come Figlia e come Dio,
potrà soffrire il mio cuore, che uno dei nostri più intimi familiari vi ubbia
a tradire e dare in mano dei vostri nemici e che poi debba perire miseramente, e
la copiosa redenzione abbia da servire alla maggior condanna del vostro apostolo
familiare, che vi ha seguito nella predicazione, ha veduto i vostri miracoli, i
vostri esempi, ha udito continuamente la vostra celeste dottrina ed è stato da
voi istruito? Che questo da una medicina sì salutare abbia da cavarne un veleno
sì potente; che per lui non ci sia rimedio e voglia disperare senza far ricorso
alla vostra infinita bontà e misericordia, restando ostinato nel suo peccato?
Questo sì che mi trafigge l'anima: che lui stesso voglia essere l'autore
della sua rovina, dandosi da se stesso la morte! A queste parole, sentendone
anche io una somma afflizione, mi accordavo con la diletta Madre nel dare sfogo
al mio dolore. Ed infine, per consolarla, le dicevo, che già si era fatto molto
da noi con avvertirlo ed ammonirlo, e che anche molto più farei, non lasciando
di ammonirlo fino all'ultima parola che gli avrei detta; ma che volendo egli
il suo totale precipizio, non vi era chi lo potesse distogliere. Essendo l'uomo
libero della sua volontà, bisognava che egli si fosse rimesso corrispondendo
agli inviti della grazia, che tanto prodigalmente gli si offriva. Ma per
consolare in qualche modo la diletta Madre, le suggerivo di rivolgere il
pensiero a coloro che con tanta fedeltà ed amore, mi avrebbero con lei seguito
nel tempo della Passione. E di ciò si confortava. Ma il pensiero della mia
passione che le lacerava il cuore, non le permetteva che si facesse troppo
sentire la consolazione. Questa visione faceva scempio di quel cuore amante.
Dopo lungo discorso, uniti insieme, facemmo un offerta totale
al divin Padre, e tutti rimessi alla divina volontà, lo lodammo unitamente,
adorando i suoi divini ordini.
COL PADRE
Essendomi trattenuto per qualche tempo con la mia
dilettissima Madre, mi ritirai per orare al Padre mio, e trattare con Lui, da
solo a solo, l'opera della redenzione. E vidi che gli Scribi, i Farisei e i
maggiori stavano tutti in agitazione, pensando di darmi la morte. Chi trovava un
invenzione, e chi un altra per potermi avere nelle mani. Dovendo celebrare la
Pasqua, avevano determinato di lasciar passare la solennità. Ma era tanta la
passione e l'odia che avevano contro di me, da non saper che fare da loro
stessi. Volevano celebrare la Pasqua e non potevano più soffrire la dilazione
della mia morte. Vedendo tanta malignità, e le gravi offese del divin Padre, ne
sentivo un angustia assai grave, e pregavo il Padre di perdonar loro le offese.
Il Padre, adirato, li voleva fulminare, ed io, tutto attento a placare il suo
sdegno, gli dicevo: Padre mio! ecco che si avvicina il tempo della mia amara
passione, perciò vi prego di scaricare sopra di me il vostro giusto furore; la
divina giustizia prenda sopra di me le sue soddisfazioni; eccome pronto a
soffrire tutto. Perdonate, o Padre mio, ai miei nemici! A queste richieste,
placato il divin Padre, si offrì pronto al perdono, Ogniqualvolta quei perfidi
ostinati avessero riconosciuto il loro errore; ed io, ammirato della paterna
bontà, lo lodai e lo ringraziai, sentendo un sommo dolore per la ostinazione
degli ebrei.
Terminata la mia orazione, e rese le grazie al Padre, essendo
ormai giorno, ed essendovi molta gente che bramava udire la mia parola, ed
alcuni infermi che bramavano ottenere la sanità, diedi a tutti soddisfazione,
predicando e sanando quelli di Bethania, che erano concorsi a casa di Lazzaro,
per udirmi e per parlarmi. Mi trattenni un pezzo ad istruirli e consolare tutti,
e diedi molti ricordi generali per la loro eterna salute. Tutto quel giorno lo
passai, parte predicando, parte sanando gli infermi e consolando tutti quelli
che venivano da me; lodando tutti unitamente il divin Padre, che loro mi aveva
mandato. La Maddalena stava sempre ai miei piedi ad udire le mie parole.
AL CONVITO DI SIMONE IL LEBBROSO
Arrivata la sera, fui invitato a cenare da Simone, detto il
Lebbroso, che avevo guarito dal detto male, e che un altra volta mi invitò in
casa sua, dove vi fu la Maddalena, che si convertì e sparse l'unguento sopra
i miei piedi. Simone si era ritirato in Bethania : in Gerusalemme era molto
perseguitato dai Farisei, perché si era fatto curare da me, e perché mostrava
buona volontà verso 1a persona orla.
Mi fece il suddetto un altro convito, invitando i miei
apostoli e Lazzaro risuscitato. Accattai l'invito, quantunque sapessi che l'apostolo
traditore avrebbe biasimato l'azione devota, che era per fare la Maddalena, ed
avrebbe preso motivo da tale buona azione, per effettuare il pensiero che lo
agitava, cioè, di avere in mano il denaro, che gli Scribi avevano offerto a chi
mi avesse dato nelle loro mani. Ciò nonostante andai al convito, per dimostrare
a tutti che sano sempre pronto ad andare da coloro che mi invitano con buona
volontà a star seco, e che gradisco gli atti devoti. L'apostolo traditore
avrebbe in altro modo eseguito il suo cattivo disegno, perché si andava mano a
mano arrendendo alla tentazione, e con ciò dava adito alla passione di avere il
denaro.
Arrivata l'ora del convito, andai con i miei apostoli, con
Lazzaro ed altri invitati. Sentì di ciò rincrescimento la Maddalena, perché
doveva ritrarsi per allora dai miei piedi, dove stava sempre ad udire le mie
parole e godere la mia presenza. Le dissi: Lasciate che vada, perché questa è
l'ultima volta, che mangerò fra voi: è giunta l'ora in cui dovrò dar
principio alla mia passione e morire per la salute del genere umano. E difatti
questa fu l'ora in cui incominciai a patire gran travaglio, nel vedere la
determinazione del discepolo traditore. Restò pertanto ferito il cuore di
Maddalena, che si ritirò a piangere amaramente.
Io intanto andai con i miei apostoli al convito. Stando tutti
a mensa, venne la Maddalena con un vaso di prezioso unguento, che teneva riposto
per servirsene in mio ossequio all'occorrenza. Ella sentendo che dovevo andare
in breve alla morte, risolse di venire al convito, e spargere quel prezioso
liquore sopra i miei piedi e sopra del mio capo, rinnovando alla fine della mia
vita l'azione che fece al principio della sua conversione, fine della sua mala
vita, vissuta con scandalo di molti.
Arrivata pertanto la Maddalena, afflitta per la perdita che
doveva fare di me, suo amato Maestro, corse presso di me, e, gettatasi ai miei
piedi, li unse col prezioso unguento, piangendo amaramente la mia vicina morte.
Non disse parola alcuna, non si rivoltò,a mirare alcuno, ma tutta attenta a
fare quel devoto officio, sfogava il suo dolore in amare lacrime, ed il suo
amore nel baciare i miei piedi, ai quali amorosamente parlava nel suo interno,
dicendo: O piedi sacrosanti del mio caro ed amato Maestro, che tanto vi siete
affaticati per cercar me, indegna peccatrice! o sacre piante, quanto siete state
afflitte, e quanto avete patito per la mia salute e per la salute del genere
umano! Io non sarò più fatta degna di star con voi, e di rendervi l'ossequio
che devo e che Mi detta l'amore! Mio caro ed amato Maestro, mio divino
Salvatore, come farò a restar priva della vostra presenza? Amabile e adorabile
mio Signore, come potrò più vivere in terra, se voi mi lasciate, mentre mi
dichiaro di vivere solo per amar voi? E come i miei occhi potranno vedere morir
voi, vita mia? E me, afflitta e sconsolata, chi sarà sufficiente a consolare,
se l'unica mia consolazione deve morire fra breve? Mio divino Maestro, non
abbandonate questa vostra serva e discepola: già sapete quante fatiche faceste
per ridurla nella via della verità ed alla vostra sequela. Le mie iniquità
sono la causa di tutti i vostri patimenti, e saranno la causa anche della vostra
morte, mio dolcissimo Maestro, unico mio conforto, mio Liberatore! Con queste
espressioni di vero affetta la Maddalena stava ungendo i miei piedi, ed io le
lasciavo sfogare il suo amore ed il suo dolore.
SCANDALO DI GIUDA E DEGLI APOSTOLI
Frattanto il perfido Giuda si scandalizzò della devota
azione, e si infuriò nel vedere spargere quel prezioso unguento. Fu tanta presa
dulia passione dell'avarizia, che non poté dissimulare. Procurò di tirare
gli altri al suo partito, passando parola, e dicendo che il prezioso unguento si
sarebbe potuto vendere e darne il prezzo ai poveri, coprendo con questo pretesto
di carità, la sua rea passione. Difatti anche gli altri si scandalizzavano dell'azione
di Maddalena, ma non con passione, come Giuda, il traditore. Dicevano però, che
veramente si poteva vendere ed aiutare i poveri, tanto più che avevo, nei miei
discorsi, raccomandato tanto l'elemosina (1).
Vedendo i loro pensieri, e sapendo ciò che fra di loro
mormoravano, difesi prima la Maddalena, badando la sua azione devota, e poi
dissi loro che la lasciassero fare, perché ciò non era senza mistero; ed in
quanto ad aiutare i poveri, avrebbero potuto far sempre loro delle elemosine, ma
non più a me, perché io ero per lasciarli.
Tutti si rimisero alle mie parole, solo il perfido Giuda non
si volle rimettere. Anzi, incalzandolo di più la tentazione, determinò di
andare egli stesso dagli Scribi e Farisei, e darmi nelle loro mani, per avere il
denaro dell'unguento, che stimava perduto. Non mancai di ispirare all'apostolo
traditore di stare attento, di non lasciarsi vincere dalla passione e dalla
tentazione, ma non volle dare udienza alle ispirazioni, e sempre più infuriato
e appassionato prese la sua determinazione.
Ferito nel mio cuore dal dolore, rivolto al Padre lo pregai
per l'apostolo traditore, acciò l'avesse illuminato facendogli conoscere il
suo errore. Il Padre non mancò di dargli il lume, per conoscere il gran male
che aveva determinato di fare. Ma l'apostolo si fece vincere dalla passione,
opponendo resistenza ai lumi ed alla grazia che il Padre gli offriva. Tanto
poté in lui l'avarizia, che si stabilì sempre più nella sua decisione.
Terminata intanto la funzione, Maddalena ruppe il vaso del
prezioso unguento, in segno del suo dolore, e partì, avendola io internamente
confortata.
Terminato il convito, non lasciai di dire varie cose per
gloria del mio divini Padre e per la salute dei presenti, che tutti compunti mi
stavano ad udire. Solo il discepolo traditore si trovava come su le spine, non
potendo più soffrire la dilazione per andare ad effettuare il suo pessimo
disegno.
Rese le grazie al divin Padre, come ero solito dopo il cibo,
e compiuto il dovere di gratitudine con chi ci aveva invitati, parti con i miei
apostoli. Anche il traditore mi seguì con gli altri, per non dare a vedere la
sua determinazione. Tornato in casa di Maddalena e di Marta, e lasciati i miei
apostoli affinché pregassero e poi prendessero qualche riposo, perché era già
l'ora tarda, mi ritirai io con la mia diletta Madre e con le due sorelle, per
consolarle in tanto travaglio. La Maddalena specialmente era trafitta dal
dolore.
IL PATTO DEL TRADIMENTO
Intanto che mi trattenevo con esse, il discepolo traditore
segretamente partì verso Gerusalemme. In quella notte parlò con gli Scribi e i
Farisei, offrendosi lui stesso di darmi nelle loro mani, rimettendosi a loro per
quanto gli avrebbero dato di denaro. Il traditore coprì anche con i Farisei la
sua passione, dicendo loro, che per verità essi avevano ragione, perché io
tiravo a me tutto il popolo, ed ero contrario ad essi, il che non dovevo mai
fare: avendo egli conosciuta la verità e le loro ragioni, non poteva esimersi
dal fare quelle parti, perché così voleva la giustizia. Molte furono le cose
che il traditore disse loro. Da tutti fu acclamato, abbracciato, e chiamato uomo
veramente di giudizio e di discernimento. Si stabilì il patto di dargli trenta
denari, e dopo, tra i loro,applausi, partì, lasciando loro detto che sarebbe
tornato a dare ad essi il modo e il segno con cui mi avrebbero potuto avere (1).
Stavo io, come ho detto, con la mia diletta Madre e con le
due sorelle per consolarle. Quanta fosse la pena del mio Cuore nel vedere l'apostolo
che già eseguiva il suo pessimo disegno, non vi è mente umana che possa
comprenderlo. Sbrigatomi pertanto dalla compagnia delle due sorelle e della
diletta Madre, mi ritirai solo ad orare al Padre. Adora pieno di amarezza,
prostrato a terra, mi offri di nuovo, pronto alla morte, effondendo con gemiti e
sospiri, la passione del mio Cuore, per la perdita del discepolo traditore, e
per tutti quelli che sarebbero stati simili a lui, che allora avevo presenti.
Ed, oh! sposa mia, quanto grande era il numero di questi traditori! Cioè,
quanti dei miei amici e favoriti si sarebbero poi miseramente perduti per le
loro infedeltà e per seguire le loro passioni sfrenate. Ebbi di tutti un gran
dolore, e questo dolore offri al divin Padre, supplicandolo per la loro
conversione. Vidi, che il Padre non avrebbe mancata di dar loro i suoi lumi e di
offrire loro la sua grazia, ma che essi ostinati, sarebbero
periti miseramente. Fu tanta perciò la mia pena che da sola
sarebbe stata sufficiente a darmi la morte. Il Padre non mancò di confortarmi,
facendomi vedere tutte le anime che sarebbero state fedeli ed avrebbero
corrisposto alla sua grazia con imitare i miei esempi. Perciò, consolato
alquanto e rinvenuto dal mio grave cordoglio, esposi al Padre il mio desiderio.
L'EUCARISTICO SACRAMENTO - IL DESIDERIO DI GESù
Era questo un desiderio che sempre avevo avuto, di restare in
terra fra gli uomini, e che sedendo alla destra del Padre, mi ritrovassi anche
nel mondo. Perciò si stabilì, in quella notte, la mirabile e nuova invenzione
di amore, di istituire il sacramento della Eucaristia. Rivolto al Padre lo
pregai affettuosamente, per parte di tutti i miei fratelli; a volersi degnare di
lasciare loro questo pegno di amore e della futura gloria. Gli dissi Padre mio
amatissimo, voi vedete in quante miserie si trovano i miei fratelli! quanto
potenti sono i nemici che fanno loro guerra! Che sarà del mondo se io, salendo
al cielo, lo lascio, e resta privo della presenza mia? Che faranno le anime, se
restano prive di questo conforto? Come potranno vincere i loro nemici? E voi, o
divin Padre, se non avrete nel mondo uno, che di continuo vi porga suppliche e
plachi il vostro sdegno verso i peccatori, come potrete trattenere il castigo da
essi meritato? E per placarvi, soltanto io sarò sufficiente, essendo vostro
Figlio diletto e Dio a voi eguale nella divinità. Come potrete essere
soddisfatto dell'amore che vi devono tutte le creature, se io per esse non
starò nel mondo, sempre amando ed offrendo a voi i miei meriti, in supplemento
delle loro mancanze, ed in sconto dei loro errori? Così, restando io in terra,
nel Sacramento dell'eucaristia, resterete voi soddisfatto, l'amore appagato,
e le creature consolate. è necessario, ancora, o mio divin Padre, che io resti
in terra nel Sacramento, perché gli uomini non si dimentichino di me e di
quanto ho operato per essi; è necessario che per mezzo di detto Sacramento si
rinnovi ogni giorno la memoria della mia
passione, ed io sia offerto di nuovo a voi per la salute
delle anime, e per placare il vostro giusto sdegno verso i trasgressori della
divina Legge (1). Udì il Padre le mie suppliche, ma facendosi avanti la sua
divina giustizia, faceva conoscere che il mondo non meritava un tanto dono e
che, tenuti presenti gli oltraggi che io e il divin Padre avremmo ricevuto in
questo Sacramento dai cattivi e pessimi uomini, non consentiva che dovessi
restare in terra, per essere tanto oltraggiato e vilipeso. Difatti, allora vidi
tutte le offese, che in questo Sacramento avrei ricevuto, e nel vedere tante
enormità, tanti e sì gravi strapazzi, restai ferito dal dolore. Offri quel
dolore al Padre, per placare la divina giustizia. E siccome il mio dolore fu
sommo, ed io di merito infinito, restò soddisfatto il Padre. Ardendo nel mio
Cuore un incendio di amore infinito, non furono sufficienti le molte iniquità
ad estinguere quel fuoco divino, onde si stabilì che io dovessi in tutti i modi
restare in terra fra gli uomini, ed istituire questo divin Sacramento. L'amore
stesso suggerì la nobile invenzione di restare coperto sotto gli accidenti del
pane e del vino, affinché ricevendomi gli uomini in cibo ed in bevanda,
rimanessero talmente uniti a me, da divenire una stessa cosa con me. Fu
acclamata la nobile invenzione dell'amore, sempre grande e magnanimo,
splendido donatore di sé e di tutto ciò che è in suo potere. Infatti, in
questa occorrenza trionfò l'amore superando tutti gli ostacoli, per quanto
grandi fossero; trionfò di tutto, e si stabilì il divin Sacramento, da
istituirsi la notte stessa, in cui si sarebbe dagli uomini macchinata a me la
morte, ed in cui sarei stato preso per essere ucciso.
FRUTTI DELL'EUCARISTIA
Stabilito ormai di istituire il divin Sacramento, risolsi
ancora di comunicare alle anime, che con la debita disposizione mi avrebbero
ricevuto in detto Sacramento, tutte le grazie e di far loro gustare la dolcezza
e la soavità del mio spirito. Vidi allora che molte anime si sarebbero ritirate
dal male, per mezzo di detto Sacramento, e molti sarebbero arrivati a grande
perfezione e ad una santità sublime. Vidi che in molti avrei trovato le mie
delizie, per la corrispondenza che avrebbero avuto verso tanta bontà e tanto
amore, e, come il divin fuoco, si sarebbe sempre più acceso nelle anime, che
degnamente mi avrebbero ricevuto in questo Sacramento. Vidi le virtù, che per
questo avrebbero esercitato, la grazia che loro avrebbe conferita, la fortezza
da vincere tutti i loro nemici. Di tutto ciò mi rallegrai, me resi grazie al
divin Padre, lo lodai, e ringraziai per parte di tutti i miei fratelli,
offrendogli i miei meriti, in ringraziamento di tanto dono. Allo stesso scopo di
ringraziare offriti al Padre la mia continua ubbidienza ai suoi ministri,
scendendo subito, quando il sacerdote pronuncia le parole della consacrazione
nelle specie del pane e del vino e trasformandole nel mio corpo, sangue e
divinità. Questa obbedienza, o sposa mia, è un atto di continuo abbassamento e
di soggezione, che io, in tale occasione, pratico. Non riguardo se il sacerdote
sia degno o indegno, sia santo o peccatore: sto sempre pronto al
di lui comando. Gradì al sommo il divin Padre questa mia offerta, e si mostrò
soddisfatto. Rese pertanto di nuovo le grazie al Padre, rimasi con un ardente
desiderio, di istituire il detto Sacramento, bramando che arrivasse presto l'ora,
tanto desiderata, in cui potessi fare un dono di tutto me stesso all'uomo. Di
ciò sentivo consolazione, benché avessi anche dell'amarezza, perché vi
sarebbe stato il perfido Giuda, che mi avrebbe ricevuto nell'anima sua, rea di
tradimento contro di me. Vidi, che il traditore avrebbe preso in tale cibo la
sua condanna, e, per sua colpa, il cibo di vita si sarebbe convertito per lui in
cibo di eterna morte. Nella persona di Giuda traditore, vidi anche tutti quelli,
che mi avrebbero ricevuto con l'anima macchiata di colpa grave. Nella mia
afflizione,
se dovevo dare un tale cibo al traditore, risolsi di darlo,
essendo il Sacramento istituito per tutti coloro che si accostano a riceverlo,
cioè, per tutti i fedeli; ed essendo un dono generale, non si deve negare se
non a quelli di cui è palese la colpa. Onde, chi è consapevole di delitto, non
deve accostarsi a riceverlo, perché sa, che riceverebbe la morte, perché
questo cibo come è vita per i buoni, così diviene causa di morte, cioè di
dannazione, per i rei. E perciò, stabilito di donarmi a tutti generalmente,
anche agli indegni, rimasi col mio solito desiderio, né si diminuì punto l'ardente
mia carità e l'incendio di amore che avvampava nel mio Cuore.
Sento che sorge in te il dubbio, perché io ti dico che
questo cibo di vita divenga per i rei cibo di morte e di loro maggiore
dannazione. Ciò non ti apporti meraviglia: detto cibo, che è di vita, non può
mutarsi: ma dico che diventa cibo di morte, perché chi lo riceve con l'anima
rea di colpa grave, si fa reo di più grave colpa, perciò meritevole di
maggiore castigo. E se la colpa grave dà morte all'anima, così l'anima,
che riceve il mio corpo e sangue con rea coscienza, commette una più grave
colpa, onde ne viene a ricevere la morte per la colpa che commette.
PRESSO LA MADRE - RIVELAZIONE DEL MISTERO
Avendo dunque stabilito tutto, terminata la mia orazione,
andai a trovare la mia diletta Madre, alla quale partecipai la nobile ed amorosa
invenzione di amore, di restare in terra sacramentata, e farmi cibo degli
uomini. Stava la santa Madre orando, ed il suo spirito tutto aveva penetrato,
avendoglielo già manifestato il divin Padre. Anche lei stava rendendo grazie al
Padre per tanto beneficio; anche lei, in tale occasione, fu a parte della mia
allegrezza e del mio dolore: dell'allegrezza per i buoni, vedendo i mirabili
effetti che avrebbe operato questo cibo divino nelle anime, che degnamente lo
ricevono; di dolore, nel vedere che tante anime indegne e macchiate di grave
colpa, l'avrebbero ricevuto, riportandone grande male. Sentì anche grande
amarezza per l'apostolo traditore, perché ebbe la certezza che in quella
notte avrebbe messo in esecuzione la sua pessima determinazione. Perciò andai a
consolarla, sfogando essa con me la sua grande pena.
Essendomi trattenuto alquanto con la diletta Madre a trattare
di questo divin Sacramento, dicendole che in lei si sarebbero conservate le
specie sacramentali da una comunione all'altra, e che sarebbe stata la
favorita sopra tutti in quel tempo, perché mi avrebbe avuto sempre nel suo
cuore, esultò il suo spirito, rimanendo confortata per un tale dono, e si
preparò per riceverlo più degnamente e possederla. Lodammo perciò unitamente
il divin Padre, e gli rendemmo nuove grazie, anche per parte di tutti i fedeli.
RITORNO E FINZIONE DI GIUDA
Fattosi giorno, il discepolo traditore tornò in Bethania,
fingendo e tenendo nascosto il patto fatto con gli Scribi e i Farisei, e si unì
con gli altri con ardita frante, aspettando che io andassi a ritrovarli. Essendo
molta gente concorso per udire le mie parole e per essere ammaestrata circa la
mia dottrina, io andai fra la turba convenuta, con la mia solita serenità, non
mostrando al traditore alcun segano di sdegno; egli invece rimase risolto
atterrito e confuso nel vedersi alla mia presenza, perché ciò sentivano tutti
quelli che stavano in peccato.
Parlai a tutti, istruendoli e consolandoli. Esortai tutti a
stare vigilanti ed e far sempre orazione: perché il nemico infernale è molto
astuto ed insidia continuamente alla salute dell'uomo, cercando tutti i mezzi
per fargli perdere la grazia divina. Inoltre li esortai a star vigilanti ;sopra
le loro passioni, a non dar loro adito in modo alcuno, perché alla fine
conducono al precipizio. Parlai dei castighi preparati ai rei, e del premio
preparato ai buoni ed alle anime fedeli. Molto dissi sopra di questo, lasciando
a tutti molti ammaestramenti. Tutti rimasero consolati e bene informati del modo
con cui si dovevano comportare, per essere fedeli al divin Padre, che tanta
grazia aveva fatto loro, nel mandare il suo unigenito Figlio per la salute del
mondo. Solo l'apostolo traditore si dimenava, non potendo udir più le mie
parale, perché gli andavano a ferire l'anima, sembrandogli che tutte le
dicessi per lui. Ma fatto ormai più duro di una pietra, non si ammollì punto
il sua cuore dominato dalla passione disordinata ed incalzato dalla tentazione.
Quanta amarezza sentiva di ciò il mio Cuore!
INVIA DUE DEI SUOI IN GERUSALEMME
Terminato pertanto il mio discorso, e sbrigati tutti quelli
che erano venuti per udirmi, inviai due dei miei apostoli a Gerusalemme, volendo
la sera celebrale la Pasqua con i discepoli ed istituire il divin Sacramento.
Per questo rimandai due a preparare il luogo e tutto ciò che bisognava, per
celebrare la Pasqua, dicendo loro tutto ciò che ad essi sarebbe occorso, e
incaricandoli di informare il padrone della casa, che volevo ivi celebrare la
Pasqua con i miei discepoli, e che il tutto sarebbe riuscito felicemente (1).
Si sdegnò l'apostolo traditore perché non avevo commesso
a lui quell'ufficio, essendo egli il provveditore, ed arrivò a capire che
avevo penetrato il suo tradimento. Le divine ispirazioni lo muovevano a
rientrare in sé ed a riconoscere il suo fallo. Ma egli, indurito, fece
resistenza, procurando di star lontano dalla mia presenza per non arrendersi ai
divini lumi ed alle chiamate interne. E mentre i due discepoli stavano
preparando il Cenacolo, io, prisma di partire, volli licenziarmi dalla mia
diletta Madre, dalle due sorelle e da Lazzaro loro fratello.
SI LICENZIA DALLA MADRE
Ritiratomi pertanto in disparte da solo a sola con la mia
diletta ed afflitta Madre, presi da lei licenza, con dirle che era giunta l'ora
in cui dovevo andare alla morte ed essere immolato, come agnello innocente, sull'altare
della croce. Prima pregai il divin Padre ad assisterla e confortarla con la
sua divina grazia, poiché per tale partenza doveva essere
trafitta dalla spada del dolore.
Ottenuta l'assistenza particolare del Padre, cominciai a
parlarle con grande tenerezza d amore, dicendole Mia dilettissima Madre! a voi
è noto che io devo morire ed essere sacrificato sull'altare della croce, per
compiere la redenzione umana. Tale è la volontà del Padre mio. Pertanto resta
ora che voi, Madre mia, mi diate licenza di andare alla morte. Vedo che la
vostra anima viene trafitta dalla spada del dolore per sì dura separazione, ma
la volontà del Padre si deve adempire prontamente. Anche il mio Cuore è
trafitto dal dolore nel vedere voi, cara Madre, in tanto affanno, priva di ogni
conforto: eppure devo lasciarvi in braccio al dolore. Deh, Madre amantissima,
consolatevi al riflesso della vostra fedeltà ed amore verso il divin Padre,
verso di me, vostro unico ed amato Figlio, e della servitù, che mi avete
prestata con tanto affetto. La vostra mercede sarà incomparabile nel regno del
Padre mio, dove voi risiederete come Regina. Pertanto vi rendo grazie di quanto
avete patito per me e di quanto mi avete amorosamente compartito. Benedico le
stille di latte che mi avete dato, le fatiche fatte nell'allevarmi e
sostentarmi, i viaggi e le persecuzioni sofferte per salvarmi la vita
insidiatami dall'empio Erode, il dolore sofferto per il mio smarrimento al
Tempio, il cordoglio in tutto il tempo della mia predicazione. Quanto avete
fatto per me, tutto benedico, e di tutto vi ringrazio. Assicuratevi, mia cara
Madre, che essendo voi l'oggetto più gradito del mio amore, dopo il divin
Padre, siete anche l'oggetto maggiore del mio dolore, per vedervi in tanto
affanno. Voi, colomba innocente, senza macchia, voi Madre sempre cara e diletta
dovete stare in sì gravi martiri, per mio amore! Ah, che il mio Cuore sente una
grave angustia! Ma conviene soffrir tutto con amore, e consolarci al pensiero
che adempiamo la volontà del Padre.
A tali parole, trafitta dal dolore la diletta Madre si
prostrò a terra, adorò il divin Padre e tutta si uniformò
al suo volere; poi mi chiese perdono ce avesse mancato nell'adempimento
del suo ufficio di serva e di Madre. Mi pregò a benedirla, e mi domandò la
grazia di sentire nell'anima sua e nel suo corpo tutti i dolori, che ero per
soffrire nella mia passione, e di trovarsi presente alla mia agonia ed alla mia
morte. Tutto le fu da me promesso. Non poteva proferire parola la diletta ed
amorosa Madre, per l'acerbità del dolore. Però andava replicando: Figlio
mio, in quante pene vi vedrò! In quanti strapazzi, in quanti martiri! Deh, chi
mi darà, o mio Figlio Gesù, che io muoia in cambio vostro! che io sola soffra
tutto il dolore e tutte le amarezze! Ah, Gesù mio, caro Figlio! Devo rimanere
priva di voi che siete la mia vera vita, l'unica mia consolazione, l'unico
oggetto del mio amore?
Lasciai che desse per qualche tempo sfogo al suo grave
cordoglio. Avendola poi confortata il divin Padre, volle esser da me benedetta.
E pregandola a dare anche
a me la materna benedizione, la lasciai in braccio al dolore,
tutta uniformata alla divina volontà, restando con lei parte del mio Cuore, in
cui Ella viveva.
In tale occasione, vidi tutti coloro che si sarebbero
separati nel mondo per adempire la divina volontà, e tutti quelli che avrebbe
separato il duro colpo della morte. Anche di tutti questi intesi io il dolore e
la compassione. Perciò rivolto al Padre, lo pregai di dare ad essi la sua
grazia per soffrire una sì dura separazione, con l'uniformità al suo divin
volere ed alle sue disposizioni e permissioni. Per ottenere ai miei fratelli
tale grazia gli offri il mio dolore. Tutto mi promise il divin Padre, e vidi che
l'avrebbe fedelmente eseguito. Vidi coloro che se ne sarebbero approfittati,
uniformandosi al suo divino volere e soffrendo con pazienza la dura separazione.
Di ciò mi rallegrai, e resi grazie al divin Padre, benché sentissi l'amarezza,
nel vedere che molti non si sarebbero approfittati della grazia, anzi avrebbero
dato in grande impazienza offendendo anche il Padre, col rivolgere lo sdegno
verso di Lui, per le Sue disposizioni, senza riflettere che il Padre fa tutto
per il bene delle anime, e tutto ordina con paterna provvidenza. Perciò
domandai di nuovo al Padre maggior grazia per essi. Vidi che il Padre l'avrebbe
data loro, per cui alcuni si sarebbero rimessi alla Sua divina volontà.
Resegli, perciò, le dovute grazie, anche da parte dei miei fratelli, andai a
licenziarmi da Lazzaro, Marta e Maddalena, miei amorevoli albergatori e
discepoli amati.
SI LICENZIA DA LAZZARO, MARTA E MADDALENA
Li ringraziai di tutta la carità, l'amore e l'ossequio
usati verso di me, della mia diletta Madre e dei miei apostoli, poiché tante
volte ci avevano cibati e consolati. Li assicurai della eterna ricompensa, li
esortai all'amore ed alla fedeltà verso il divin Padre e verso di me, loro
Maestro. Raccomandai loro la mia diletta Madre. Per questa mia partenza i loro
cuori furono feriti dal dolore, e molte furono le lacrime ed i sospiri, in
particolare della Maddalena, che molto mi amava, come anche delle altre devote
donne, che accompagnavano la diletta Madre; le consolai tutte con la promessa
della mia risurrezione, dopo il terzo giorno.
Mi pregò la Maddalena di farne grazia di trovarsi presente
alla mia morte. Glielo promisi, come anche alle altre, che erano venute in
compagnia della mia afflitta Madre. Stava la Maddalena ai miei piedi, sfogando
il suo dolore e l'amore, che mi portava. Essendo intanto arrivata l'ora di
partire, li benedissi tutti, lasciandoli afflitti e addolorati.
Mentre io mi trattenevo con questi, la mia diletta Madre
parlava in disparte con i miei apostoli, esortandoli all'amore ed alla
fedeltà verso di me, loro Signore
e Maestro, pregandoli di non abbandonarmi nell'ultimo
momento della mia vita, e di mostrarsi veri discepoli ed amici fedeli. Tutti le
fecero grandi promesse e solo il perfido Giuda stava indurito. Ed ella mi
raccomandò al traditore in modo particolare, sperando di muoverlo a
compassione; ma non si arrese neanche per questo l'ostinato. Del che intese
grande afflizione la mia diletta Madre. Pregò poi Giovanni, da lei molto amato,
di informarla su quanto sarebbe occorso circa la mia persona. Tutto le promise
il discepolo amato, e tutto eseguì fedelmente.
LASCIA BETHANIA
Terminati pertanto i colloqui, parti con i miei apostoli,
dando di nuovo l'ultimo addio a tutti, lasciando quella casa colma di
benedizioni, e tutti gli abitanti ripieni di dolore e di amarezza. Benedissi
anche tutto il paese nel partire, supplicando il divini Padre affinché qui si
effondessero le sue benedizioni e le sue grazie divine, avendo io ricevuto in
tal luogo tante cortesie, essendovi stato ricevuto con tanta cordialità ed
amore.
Andando pertanto con i miei apostoli verso Gerusalemme per
celebrare la Pasqua, il discepolo traditore andava alquanto scostato da me,
mentre tutti gli altri mi stavano vicini, molto afflitti e ripieni di timore; ma
si illudevano che io non fossi per morire, e che i miei nemici non avrebbero
avuto ardire di pormi le mani addosso per farmi prigioniero. Stando tra il
timore e la speranza, mi facevano varie domande, alle quali con il solito amore
e carità rispondevo, capacitandoli. Espressi loro la brama grande che avevo di
fare quella Pasqua insieme, prima della mia morte, della quale Pasqua avevo
avuto sempre un vivo desiderio. Intendevo dar loro il mio Corpo in cibo, ed il
mio Sangue in bevanda, il quale mistero essi ancora ignoravano. Perciò
camminavo con grande ardore, mostrandomi molto desideroso di presto arrivare. Il
discepolo traditore diceva dentro di sé: Se fosse consapevole di quanto gli si
è preparato, certo non andrebbe in Gerusalemme con tanta allegrezza, né
mostrerebbe tanto desiderio di arrivare presto. Tanto l'aveva accecato la sua
rea passione, che, quantunque gli avessi fatto capire chiaramente, che già mi
aveva macchinato il tradimento, si andava illudendo che io non ne fossi al
corrente.
ESORTAZIONE ALLA SUA SPOSA
Tu hai capito, sposa mia, in questo capitolo, come in tutti
gli altri, che devi
stare bene attenta e vigilante sopra le tue passioni, non
permettendo mai che esse dominino in te, ma devi sempre combattere per vincerle.
Abbi in odio ogni acquisto temporale, perché, entrando a poco a poco nell'anima
tua, l'avidità di possedere la roba, o il denaro, potrebbe tale avidità
condurti al precipizio. Il nemico è sottile ed astuto, e sotto pretesti di
bene, inganna molto le anime inconsiderate. Non ti fidar mai di te stessa, ma
ricorri sempre al divin Padre, con le orazioni. Sta attenta ad eseguire le
divine ispirazioni. Serviti dei lumi che ti dà il divin Padre, e non abusare
della grazia, che io, vivendo in terra, ti meritai. Sta attenta nel respingere
le tentazioni del nemico infernale, che tende molte insidie alla tua salute. Si
certa dell'aiuto particolare della divina grazia. Si fedele nelle promesse.
Non ti scordar mai di me, servendomi con esattezza e con fervore. Non ti
scandalizzare mai delle azioni altrui. Non giudicare. Abbi una carità ardente
verso i peccatori, pregando sempre per la loro conversione. Offri spesso al
divin Padre i miei meriti, per placare la sua divina giustizia, irritata dalle
molte e gravi offese, che di continuo riceve. Procura di far del bene a tutti,
non escludendo neppur quelli dei quali sai che ti renderanno male per bene.
Fuggi i rispetti umani, e, dove si tratta della gloria del divin Padre, abbi un
cuor generoso per operare, senza alcun timore. Vivi distaccata da tutte le
creature per sante che siano, onde, venendo l'occasione di doverne restar
priva, o per la morte o per altro accidente, tu rimanga in tutto uniformata alla
volontà del divin Padre. Non fare operazione alcuna, senza che prima non l'abbia
trattata col divin Padre nell'orazione. Procura di consolare il tuo prossimo
affitto. Si grata dei benefici, che ricevi tanto dal Padre mio, quanto dal tuo
prossimo. Non si facile a sdegnarti, quando sei trattata male, ma sopporta tutto
con pazienza e rassegnazione. Accompagna le opere tue esterne con sante
disposizioni interiori e procura di conservare la pace del cuore in tutte le
contrarietà: imitami fedelmente.
CAPO TERZO
Ritorna il Figliuolo di Dio in Gerusalemme, per celebrare l'ultima
Pasqua con i suoi discepoli. Istituisce il divin Sacramento. Di ciò che operò
nel suo interno sino a che andò all'orto di Getsemani ad orare, dove soffrì
la penosa agonia.
ARRIVO A GERUSALEMME
Arrivato a Gerusalemme con i miei apostoli, prima di entrare
nella città, la mia umanità intese rincrescimento per l'imminente morire,
per tutto quello che avrei dovuto soffrire durante la mia acerbissima passione.
Sebbene avessi bramato per tutto il corso di mia vita di morire e di patire per
la salute degli uomini, tuttavia nell'appressarsi il tempo destinato, sentivo
rincrescimento, volendo io assoggettarmi a tutte le pene e le amarezze, che suol
sentire l'umanità, quando si vede vicina al patire ed al morire. Divenuto,
però, animoso, mi rivolsi al Padre, offrendomi di nuovo a Lui, prontissimo ad
eseguire il suo volere divino, e pregandolo del suo aiuto, nel colmo dei
travagli in cui dovevo trovarmi, sia in quella notte dolorosa, come in tutto il
resto della mia vita. Mi promise il Padre il suo favore e la sua assistenza, ed
lo, generosamente, entrai nella città. Nel passare per la porta, vidi che in
breve vi sarei fatto entrare legato, strapazzato, in mano dei miei fierissimi
nemici, e tremai per l'orrore. Incoraggiato però dal Padre, entrai, ed andai
addirittura al Cenacolo, dove tutto era preparato per la cena legale.
In questa circostanza, rivolto al Padre, lo pregai per tutti
i miei fratelli, che si sarebbero trovati in angustie, costretti a soffrire
travagli e patimenti, affinché il Padre li avesse animati e confortati con la
sua divina grazia. E violi che il Padre l'avrebbe fatto, ed io ne intesi
consolazione, offrendogli il mio rincrescimento e la tristezza interna. Avevo
presenti tutti coloro che si sarebbero trovati in travagli ed angustie, e
sentendo anche per essi la pena, mi consolai nel vedere la grazia e l'aiuto
che loro avrebbe dato il divin Padre. Di ciò lo ringraziai anche da parte loro.
LA CENA
Arrivato nel Cenacolo, ed essendo stato tutto preparato da
Pietro e da Giovanni, che avevo inviati prima, mi posi a tavola con i miei
discepoli. Fatte le solite benedizioni e cerimonie, che in tale occorrenza si
solevano fare, dissi loro di nuovo, che avevo avuto un gran desiderio di far
quella Pasqua e mangiare con loro, perché era l'ultima che celebravo con
essi, essendo vicino il mio patire (1).
Stando a tavola, mangiando l'agnello, dissi varie cose ai
miei discepoli, facendo loro ben capire che in breve sarei stato dato in mano ai
nemici, e fatto morire crocifisso, dopo molti strapazzi, battiture e scherni, e
che uno di loro mi avrebbe tradito. Dicevo queste parole, e rimiravo tutti i
miei apostoli, i quali, molto afflitti, uno per uno mi domandavano: « Sarei
forse io? ». Senza rispondere io fissavo gli occhi sul traditore Giuda. Quando
anche lui mi fece la richiesta, gli dissi: Tu lo sei (2); ma in modo che nessuno
degli altri mi capì. Ed allora gli parlai al cuore e l'ammoni con grande
amore, chiedendogli che cosa avesse ricevuto da me di male, da volermi sì
brutalmente tradire. Gli ricordai tutte le grazie che gli avevo fatte, l'amore
con cui l'avevo sempre trattato, gli dissi che, essendo uno dei miei più
intimi familiari, cioè, del mio collegio apostolico, non doveva fare un azione
così indegna. Gli offri il perdono del contratto fatto con gli Scribi e
Farisei, ma, per quanto cercassi di toccargli il cuore, non si volle arrendere,
perché armai indurita nel suo cattivo proposito. Grande amarezza sentivo nel
vedere l'ostinazione del traditore.
I miei discepoli mi fecero chiedere da Giovanni, chi fosse il
traditore, con 1 intenzione di togliergli la vita. Al quale risposi: E quello
che ora intinge il pane nel mio piatto. Ciò non capirono i miei apostoli (1).
Ma Giovanni, trafitto dal dolore, si addormentò sul mio petto: in questo sonno
capì molti dei divini misteri (2). Udì, però, Giuda, che nello stesso tempo
intingeva arditamente il pane nel mio pianto; per mostrare che egli era
innocente, egli si prendeva quella (1) Joan., XII, 2226.
(2) In proposito leggiamo nei Colloqui, che Gesù diceva alla
sua serva: «Giovanni, nell'ultima Cena che io feci con i miei Apostoli,
intese che fra di essi ve ne era uno che doveva tradirmi, e mi domandò chi
fosse, ed io avendoglielo significato, restò sorpreso da un cordoglio si fiero,
e da una pena tanto grave, per l'amore che mi portava, che. privatolo de
sentimenti, quasi preso da un profondo sonno, si addormentò sopra il mio petto.
dove gli furono rivelati molti segreti celesti, ed in particolare sopra la mia
passione e sopra la divinità unita alla mia umanità ». Vol. VI. Anche S.
AGOSTINO (In Joan. tract. 36) fa eco a quanto qui si dice: [parte
in latino non rivista]« In quatuor
Evangelis vel potius quatuor libris unius Evangeli, sanctus Ioannes Apostolus
non immerito secundo intelligentiam spiritalem aquilae comparatus, altius
multoque sublimius alis tribus erexit praedicationem suam: et in eius erectione
etiam corda nostra erigi voluit. Nam ceteri tres Evangelistae tanquam cum homine
Domina in terra ambulant, et de divinitate eius panca dixerunt: istum autem
quasi piguerit in terra ambulare sicut ipso exordio sui sermonis intonuit,
erexit se non solum super terram, et super omnem ambitum aeris et coéli, ed
super omnem etiam exercitum Angelorum, omnemque constitutionem invisibilium
potestatum: et pervenit ad eum, per quem facta sunt omnia, dicendo: In principio
erat Verbum, et Verbum erat apud Deum, et Deus erat Verbum. Huic tantae
sublimitati principi etiam coetera congrua praedicavit, et de Domini divinitate,
quomodo nullus alius, est locutus; hoc ructabat, quod biberat. Non enim sine
causa de illo in isto ipso Evangelio narratur, quia et in convivio super pectus
Domini discumbebat. De illo ergo
pectore in secreto bibebat, ed quod in secreto bibit, in
manifesto eructavit: ut perveniat ad omnes gentes non solum incarnatio Fili Dei,
passio et resurrectio, ed etiam quod erat ante incarnationem unicus Patris,
Verbum Patris, coaeternus generanti, aequalis ei a quo missus est».
. confidenza per mostrarsi amico, non traditore, affinché
nessuno degli altri penetrasse che era egli il perfido. Vedendo tanta
ostinazione nell'apostolo traditore, lo minacciai col dire: «Guai a colui che
mi tradirà e meglio sarebbe per lui non esser nato » (1). Ma il traditore
rimase indurito nella sua ostinazione. Vedendo, pertanto, nella persona di Giuda
anche tutti i peccatori ostinati, che né per i molti benefici, né per le
minacce si sarebbero convertiti, ne intesi più grave pena ed amarezza; onde il
mio Cuore amareggiato per la loro ostinazione, si rivolse al Padre per conforto,
offrendogli la sua sofferenza per placare la divina giustizia, molto irata verso
il traditore. Ed il Padre restò placato e pronto ad inviare nuovi lumi al cuore
indurito del traditore, come anche a tutti quelli, che sarebbero stati simili a
lui nell'ostinazione. Vedendo tanta bontà del divin Padre, gli resi le dovute
grazie.
LA LAVANDA DEI PIEDI
Ardendo il mio Cuore sempre più della fiamma divina e di
immensa carità, e bramando di istituire presto il divin Sacramento, mi levai da
tavola, e, deposta la veste di sopra, mi cinsi con un panno di lino bianco, e,
facendo prendere dell'acqua in un catino, incominciai a lavare i piedi ai miei
discepoli. Prima però di incominciare, offri al Padre quell'atto di
abbassamento e di umiliazione, supplicandolo ad inserire un tale sentimento nell'anima
non solo dei miei discepoli, ma anche di tutti i miei fratelli e seguaci.
Perciò, rivolto al Padre, gli dissi: Chi sarà, o mio divin Padre, che ricusi
di umiliarsi e di abbassarsi da ora in poi, se io, vostro Figlio, tanto mi
umilio e mi abbasso spontaneamente, per insegnare al mondo una, virtù tanto a
voi cara? E vedendo che molto pochi sarebbero stati quelli che l'avrebbero
praticata e che in ciò mi avrebbero imitato, ne intesi grande amarezza; rivolto
al Padre gli offri di nuovo quella mia azione, in sconto di tutta la superbia,
il fasto e l'alterigia dei miei fratelli, perché si placasse verso di loro l'ira
paterna. Vidi anche coloro che mi avrebbero imitato in tale virtù, e ne intesi
consolazione: pregai il Padre, di dar loro la grazia di potersi sempre più
umiliare, per rendersi a lui sempre più grati: perché il divin Padre ama molto
chi pratica la suddetta virtù. Vidi, che il Padre avrebbe loro dato la grazia
da me richiesta e gliene resi grazie da parte di tutti.
Volendo incominciare a lavare i piedi a Pietro, come capo
degli apostoli, avendomi egli confessato per vero Figlio di Dio, essendo
illuminato dal Padre, conobbe la mia dignità e la sua viltà, perciò ricusava,
né valeva in modo alcuno che lo fossi così umiliato ai suoi piedi, per
lavarglieli. Perciò, pieno di confusione, esclamava: Signore, voi volete lavare
i piedi a me? voi dovete abbassarvi tanto? Io devo vedere voi lavare i piedi a
me? Non sarà mai! Io, che sono un miserabile peccatore, devo permettere che voi
mi laviate i piedi ? Non sarà mai Voi, Figlio di Dio! Io, servo indegno! E come
potrò consentirlo ? Godevo, nel vedere l'umiltà di Pietro, e come già il
divin Padre lo illuminava, per conoscere la sua bassezza e la dignità della mia
persona. Tutti gli altri apostoli stavano attoniti ed anche essi con timore,
conoscendo la loro bassezza e la maestà mia tanto umiliata.
Di ciò resi grazie al Padre. Solo il periodo Giuda biasimava
dentro di sé l'azione che volevo fare. Ed io, rivolto a Pietro dissi: Che non
conosceva allora quello che volevo fare e in che consisteva quell'atto; ma che
l'avrebbe conosciuto dopo, perciò si lasciasse lavare i piedi da me, suo
Signore e Maestro, altrimenti non avrebbe avuto parte con me. A queste parole
Pietro si arrese, e si lasciò lavare i piedi, dicendo che anche il capo si
sarebbe fatto lavare, perché non l'avessi privato di aver parte con me.
Perciò io, genuflesso ai suoi piedi, glieli lavai con grande amore, stando l'apostolo
tutto confuso e concentrato nel suo nulla. Mentre lavavo i piedi a Pietro,
pregavo il divin Padre di fargli capire ilf significato di quella lavanda e ciò
che operava nell'anima sua. Infatti, l'apostolo intese che era come
rivestito di nuova grazia, e capì che l'anima sua veniva illuminata e
purificata; perciò, tutto compunto, andava fra di sé replicando: Oh, mio divin
Maestra, quanta grazia mi andate partecipando in questa azione di tanto vostro
abbassamento, e quale esempio mi date di umiltà! Si sentì anche molto
confortato, e con lo spirito raccolto, perché la grazia lo andava disponendo a
ricevere il divin Sacramento.
Dopo aver lavato i piedi a Pietro, mutata l'acqua del
catino, feci lo stesso agli altri miei apostoli, sentendo anch essi ciò che
aveva inteso Pietro. Stavano tutti in :silenzio e confusi, non facendo
resistenza, perché avevano udito ciò che aveva detto a Pietro. Perciò nessuno
ardì più rispondere, e, solo ammirando l'atto eroico di umiltà, si
confondevano e compungevano (1).
Arrivato al perfido Giuda, il traditore; la mia umanità
intese orrore e rincrescimento, per il peccato che aveva, nell'anima; con
tutto ciò, feci anche a lui ciò che avevo fatto agli altri, tenendo celato il
sino tradimento. Risolsi però di dare un nuovo assalto al suo cuore indurito:
stando per lavargli i piedi, gli dissi internamente: Oh, Giuda! tu vedi il tuo
Maestro ai tuoi piedi umiliato. Tu sai pure che sono il Dio della Maestà, e
soffrirà il tuo cuore di vedermi tanto abbassato ? Tu, creatura vilissima,
avrai ardire di alzar il piede contro di me, e di darmi in mano dei nei? Giuda,
torna al tuo caro Maestro! Riconosci il tuo grave errore! Chiedi perdono, mentre
io telo offro ed il Padre è pronto a perdonarti! Riconosci la tua viltà,
indegnità e miseria! Eccomi qui pronto, non solo per lavarti i piedi, ma per
abbracciarti e per mondare l'anima tua da ogni colpa. Fece resistenza il
traditore a sì amorosi inviti, e con faccia torbida ricusò la grazia
offertagli: rigettò i divini lumi, e restò nella sua durezza, più che mai
aggravato dalla colpa. Onde ferito il mio Cuore dal dolore, per tanta
ostinazione, lo lasciai.
LA CARITà FRATERNA
Terminata la funzione, feci un ragionamento, lasciando loro
un nuovo precetto: quello dell'amore scambievole, con cui si dovevano amare l'un
l'altro con fraterna carità. Vedevo come si sarebbero trattati tra di loro i
miei fratelli, e il poco amore con cui si sarebbero amati: anzi, come molti si
sarebbero odiati, e come ognuno avrebbe procurato di opprimere il fratello,
cercando il proprio interesse. Perciò intesi gran dolore. Ardeva il mio Cuore
dal desiderio di vederli tutti uniti in carità perfetta, e vedendo che fra di
loro vi sarebbe stata tanta disunione, intesi grande amarezza. Perciò, rivolto
al Padre, Io supplicai di dare la sua grazia ai miei apostoli per capir bene il
nuovo precetto; e poi a tutti i miei fratelli, affinché l'avessero messo in
pratica. Vidi allora tutti quelli che avrebbero osservato il mio precetto, e ne
intesi consolazione, benché sentissi dell'amarezza nel vedere il gran numero
di coloro che non solo l'avrebbero trasgredito, ma di più conculcato.
Malgrado ciò, rivolto ai miei discepoli, prima di istituire
il divin Sacramento, diedi logo il precetto della dilezione fraterna, perché
ognuno conoscesse, che, essendo quello che stavo per istituire Sacramento d
unione e d amore, non deve accostarsi a riceverlo, chi non ha questa unione ed
amore col prossimo suo. Pertanto incominciai a dir loro: Io vi do un nuovo
precetto, ed è che vi amiate l'un l'altro, come io ho amato voi. Avete
veduto l'azione che io ora ho fatto, e l'esempio che vi ho dato. Voi mi
chiamate Signore e Maestro, e dite bene, perché lo sono. Ora se io, che sono
vostro Maestro, ho lavato a voi i piedi, voi non dovete ricusare di lavarvi i
piedi l'un l'altro. Non deve il servo esser più del suo Signore, né l'invitato
deve esser da più di chi l'invita. Amatevi perciò scambievolmente, come io
ho amato voi. Sopportatevi fra di voi, come vedete che io ho sopportato voi con
tanta carità ed amore. Amatevi, figlioli miei, perché da questo conosceranno
che siete miei discepoli: se vi amerete scambievolmente (1).
Mentre dicevo loro queste parole, si andava inserendo nelle
loro anime la dilezione, che loro comandavo e ne provavamo gli effetti. Anche il
Padre li andava illuminando, onde capissero bene il peso del nuovo precetto, che
davo loro. Difatti capirono e si accesero, di un vivo desiderio di metterlo in
pratica. Allora fra di loro poteva dirsi che erano un sol cuore, rimirandosi con
carità ed amor perfetto. Con questo si andavano sempre più disponendo a
ricevere il divin Sacramento. Sentivo perciò molta consolazione nel vedere i
miei discepoli uniti con perfetta carità e come avesse fatta sì buona
impressione nella loro mente il comandamento dell'amor fraterno. Si
amareggiava però molto il mio Cuore nel vedere, che il perfido Giuda stava
ancora ostinato, e non poteva più sentire le mie parole, perché se ai buoni
discepoli apportavano tanta consolazione, a lui, per la sua reità, apportavano
noia e fastidio.
Vedendo che nei miei apostoli il mio precetto aveva acceso
sentimenti di amore fraterno, bramai che simile effetto avesse causato a
chiunque l'avesse udito predicare. Ne chiesi grazia al divin Padre, affinché
avesse a tutti comunicato i lumi e la grazia che comunicava allora ai miei
discepoli. Il Padre mio me lo promise. E vidi, che l'avrebbe fedelmente
eseguito. E vidi tutti coloro che avrebbero approfittato di detta grazia, e ne
intesi consolazione, ma intesi dell'amarezza nel vedere il numero grande di
quelli che ne avrebbero abusato.
SUPPLICA PEI FRATELLI
Terminato il discorso ai miei apostoli, che mi avevano
ascoltato compunti ed umili, stando fra di loro in perfetta carità, rivolto al
(1) Joan., XII, 1316; 34, 35.
Padre, Io supplicai di nuovo a nome dei miei fratelli, di
degnarsi di concedere loro il grande benefici di restar io con essi nel
Sacramento, fino alla consumazione dei secoli, offrendogli, da parte loro, tutti
i miei meriti, per ottenere un sì gran dono. Gradì il divin Padre la supplica
fattada me e molto più i miei meriti, che furono una moneta di prezzo infinito,
meritevoli di ottenere il grande beneficio; con gli stessi miei meriti
soddisfeci la divina giustizia per le offese che avrebbe ricevuto d agli uomini
in questo divin Sacramento. Vidi allora di nuovo tutte le offese che avrebbe
ricevuto in detto Sacramento da quelli, che, con rea coscienza, si sarebbero ad
Esso accostati; vidi anche tutte le profanazioni a cui sarebbe stato esposto e
ne intesi di nuovo un dolore sommo; e offri anche questo al Padre in
soddisfazione di tutte le offese che avrebbe ricevuto il Padre si dichiarò
soddisfatto.
L'ISTITUZIONE DEL SACRAMENTO EUCARISTICO
Intanto, ardendo sempre più il mio Cuore del desiderio di
presto istituire il Sacramento, per donarmi tutto ai miei fratelli, e fare ad
essi conoscere l'incendio della mia carità e del mio infinito amore, presi il
pane nelle mie mani, ed, alzati gli occhi al cielo, resi grazie al Padre,
perché si adempiva il mio desiderio, e poi lo ringraziai da parte di tutti i
miei fratelli per il gran beneficio che ricevevano. Acceso vieppiù l'amore
verso i miei fratelli, giunse all'eccesso mirabile. Spezzato, pertanto, il
pane, avendolo prima benedetto, dissi ai miei apostoli: Prendete e mangiate e
rimirando il pane, dissi: Questo è il mio corpo. Nel dire queste parale, ebbi
intenzione di mutare la sostanza del pane nel mio vero e reale corpo, sangue,
anima e divinità. Difatti, nel proferirle, rimasi tutto nelle specie del pane,
cambiandosi questo nel mio vero corpo e sangue, come ho detto. In tale atto,
untesi un godimento infinito, per l'infinito dono che feci di tutto me stesso
all'uomo: e l'amore restò soddisfatto. Dando pertanto il pane a tutti i
miei apostoli, sotto le cui specie si conteneva il vero corpo, anima e
divinità, dissi loro che quello. era il mio Corpo dato per, essi, soggiungendo:
Fate questo in memoria di me li ordinai allora miei ministri, e diedi logo la
facoltà, che con le parole dette da me nella consacrazione, consacrassero il
pane, il quale, si sarebbe subito cambiato nel mio vero corpo.
Dato loro il mio corpo in cibo, sotto le specie del pane,
presi il calice, e di nuovo, alzati gli occhi, resi grazie al Padre, come avevo
fatto nel consacrare il pane; lo diedi ai miei apostoli, dicendo loro: Prendete
e bevetene ognuno la propria parte: questo è il mio sangue, che sarà sparso in
remissione dei peccati. Essendosi convertito il vino nel mio vero sangue, i miei
apostoli ne bevvero ciascuno la sua porzione, ed io, nel darlo loro, provai lo
stesso godimento che avevo sentito nel dare ad essi il mio corpo sotto le specie
del pane (1).
LA COMUNIONE
I miei apostoli, nel ricevere il mio corpo in cibo ed in
bevanda, intesero internamente una somma consolazione, provando in quell'istante
e gustando l'unione perfetta, che si fece tra l'anima loro e il mio spirito.
Nel ricevere il mio corpo e la mia divinità, restarono rinvigoriti e confortati
per la stretta unione; furono rivestiti di una nuova grazia; gustarono
finalmente la soavità del cibo divinò, e rimasero infiammati, in un modo più
perfetto, dell'amore verso di me, perciò, tutti, internamente, rendevano
grazie per il cibo ricevuto. Solo il perfido Giuda, poiché aveva ricevuto un
tale cibo con l'anima rea di grave colpa, e perciò preso la sua condanna,
imperversò, ed il demonio si impossessò di lui, in modo che, provando in sé
un inferno di inquietudini e turbamenti, bramoso di eseguire il pessimo
contratto della mia vendita, non poteva più indugiare perché stava come sopra
un fiero patibolo. A lui io dissi: Quello che tu vuoi fare, va , e fallo presto
(2). Facendogli capire con queste parole che io sapevo tutto. Difatti partì in
gran fretta il traditore, ed andò ad eseguire il suo pessimo disegno. Io rimasi
con i miei undici discepoli, i quali non avevano capito il tradimento di Giuda,
ché altrimenti l'avrebbero arrestato e fatto in pezzi, perché era molto
grande l'amore che mi portavano e il dispiacere che avevano nel sentire, che
uno di essi mi avrebbe tradito e dato in mano ai miei nemici.
Fu molto grande l'amarezza intesa per il discepolo
traditore, tanto più che, nonostante l'avessi ripetutamente avvertito egli
avessi dato tanti lumi e tanta grazia, volle restare nella sua ostinazione, ed
unirsi con gli ostinati Farisei suoi pari. Costoro, dopo essere stati da me
tanto beneficati ed aver ricevuto tanta luce, per mezzo della mia dottrina, si
fecero accecare dalla loro malizia e rimasero nella loro durezza, cercando anche
loro, con grande avidità, di togliermi la vita e darmi una ignominiosa morte.
Oh, quanto, sposa mia, veniva trafitto il mio cuore da questi perfidi! Io non
mancavo di soffrire tutto e di offrirlo al Padre in sconto delle loro iniquità.
Mentre stavo operando ciò che ho detto, si trovava la mia
diletta Madre nel suo ritiro, orando (1). Col suo spirito, tutto penetrava e mi
accompagnava negli atti interni, supplicando e rendendo grazie al divin Padre.
Anche lei ricevé il mio corpo sotto le specie sacramentali (2), le quali si
conservarono nel suo cuore, finché di nuovo fu consacrato il pane, dopo la mia
risurrezione, e di nuovo mai ricevé Sacramentato, conservandosi in lei le
specie sacramentali da una comunione all'altra (3).
Furono mirabili gli effetti che il mio corpo opero nella
diletta Madre, sperimentando essa i giubili e le consolazioni, che aveva goduto
nella mia incarnazione, quando scesi nel suo seno verginale. Fui da lei ricevuto
ed accolto con tutti gli atti di ossequio e di amore, che mente umana non sa
capire né intendere. Ed io ne godei in modo, che, anche se non avessi avuto
altro grato accoglimento, che quello che ricevetti da lei sola, il mio amore
sarebbe stato appagato: tanto mi gradi e tanto amorosamente mi accolse la mia
diletta Madre.
Desiderai che tutti i miei fratelli mi avessero accolto con
grande amore, ed offri questo mio desiderio al divin Padre, supplicandolo di
dare, a chi mi avesse ricevuto nel Sacramento, un lume particolare, per
conoscere la grandezza del dono e l'amore con cui avevo istituito questo
Sacramento, affinché con una tale cognizione, si fossero accesi d amare, e con
grande amore mi avessero ricevuto. Vidi, che il Padre l'avrebbe fatto, che
molti ne avrebbero approfittato e, ricevendomi con ardente desiderio ed amore,
avrebbero conseguito molta grazia ed avrebbero dato a me grande soddisfazione.
Ne resi grazie al Padre, benché soffrissi dell'amarezza nel vedere la
moltitudine di quelli, che si sarebbero abusati della detta grazia e dei lumi
divini, non facendone alcun caso, privando me di detta soddisfazione, e se
stessi di un bene tanto grande.
GIUDA ACCORDA LA CATTURA DI GESù
Stando dunque con i miei apostoli, cominciai di nuovo a
parlare, perché erano già molto confortati. Dissi loro, che era giunta l'ora,
in cui io dovevo lasciarli. Si riempirono di tristezza i miei apostoli, ed io li
andavo consolando con parole di speranza e dei amore. Mentre li consolavo,
sentivo nel mio Cuore dell'amarezza, perché il discepolo traditore stava già
trattando con gli Scribi ed i Farisei, dai quali ricevé le trenta monete
pattuite per la mia vendita. Sapeva il traditore, che, quando pernottavo in
Gerusalemme, ero solito, per lo più, di andare all'orto di Gethsemani a
passare la notte in orazione; e credette che io in quella notte, vi fossi già
andato. Difatti vi andai (1). Si accordò coi Farisei di venire egli stesso per
darmi nelle loro mani, additandomi, con finto segno di amicizia, alla coorte,
che si metteva all'ordine per venire, nottetempo, a farmi prigioniero. Stavano
i Farisei come pazzi, presi dal timore e dalla falsa allegrezza: dal timore,
perché ancora non erano sicuri se sarebbe loro riuscito di potermi avere nelle
mani, e poi perché, essendo già entrata
la solennità, dicevano fra di loro: Non si dovrà
farlo morire in giorno di Pasqua, perché forse si farà tumulto nel popolo. Ma
i più perfidi dicevano: Purché arriviamo a dargli la morte, sia quando si sia,
cosa importa? Se si può riuscire adesso, facciamolo pure, e leviamocelo
davanti. E si consigliavano fra di loro, come potessero fare per darmi una morte
ignominiosa, sopra un infame patibolo. Difatti si accordarono di fare ciò che
poi fecero. Era la loro allegrezza molto grande, benché falsa, perché nel loro
interno era cruccio, passione e un anticipato inferno. Con tutto ciò saltavano
e battevano le mani in segno di allegrezza, perché Giuda li aveva assicurati
che mi avrebbe dato nelle loro mani. Non trovavano riposo, aspettando l'ora
stabilita, e riducendo intanto la coorte con molta segretezza. Dicevano fra di
loro: Eppure sarà vero, che alla fine ci riuscirà di averlo nelle mani? Oh,
che fortuna sarà la nostra. Non vi sarà più costui che ci inquieti e turbi la
nostra pace! Tutto udivo, sposa mia, e puoi credere quanto grande fosse l'amarezza
del mio Cuore!
AVVISI E CONFORTI
Mentre stavano così trattando i perfidi Farisei, io trattavo
con i miei discepoli, ricordando loro di nuovo il precetto della fraterna
dilezione (1). Li avverti di stare attenti, perché in quella notte sarebbero
stati molto travagliati dal nemico infernale. Predissi loro tutto ciò che
sarebbe seguito, dicendo che tutti avrebbero patito scandalo per me, in quella
notte, e beato chi non si fosse scandalizzato: che tutti mi avrebbero
abbandonato, ed a Pietro predissi che mi avrebbe negato. Egli mai rispose
francamente, che non l'avrebbe fatto giammai. E perché era molto ardente l'amore
che mi portava, diceva che, se fosse stato necessario, piuttosto che negarmi,
sarebbe morto con me. Gli risposi che tre volte mi avrebbe negato, prima del
canto del gallo. Ma non credette a quanto gli predicevo, fidandosi molto di sé
(2). Sentendo che l'apostolo si fidava tanto di sé, ne intesi pena, e vedendo
che molti dei miei fratelli l'avrebbero in ciò imitato, presumendo di sé e
che poi sarebbero caduti come Pietro, pregai per essi il divin Padre, affinché
desse loro lume e grazie per conoscere l'errore e per ravvedersi. Me lo
promise il divin Padre, e vidi che Pietro si sarebbe ravveduto, come anche molti
altri miei fratelli; intesi consolazione per il loro ravvedimento le ne resi
grazie al Padre, benché sentissi dell'amarezza nel vedere che molti avrebbero
abusato dei lumi e della grazia, e sarebbero rimasti nella loro infedeltà.
Seguitando a parlare con i miei discepoli, molte cose dissi
loro; ma essi, perché molto angustiati ed intimoriti, appena capivano. Dissi
che avevo molto da dire loro, ma che trovandoli così incapaci a comprendere,
rinunciavo a parlare. Sarebbe venuto il tempo in cui il Padre mio loro avrebbe
mandato lo Spirito Consolatore, per mezzo del quale avrebbero capito tutto, e
tutto sarebbe stato loro suggerito (3).
Vedendoli tanto afflitti ne sentivo pena, ed andavo
temperando, con parole di consolazione la loro tristezza. Voi, figliuoli miei,
dicevo loro, siete molto afflitti per dover restar privi della persona mia. E in
verità, avete ragione di rattristarvi. Ma non temete, che, dopo il terzo giorno
risorgerò glorioso, ed allora sarete molto consolati. Per ora è tempo di
tristezza, e motto più vi rattristerete per quello che seguirà di me, ma la
vostra tristezza si convertirà in gaudio (1). Molti si rallegreranno e godranno
per la mia passione e morte, ma questa loro allegrezza andrà a finire in eterno
pianto. I principi avranno tutta la potestà sopra di me, ora che è giunto il
tempo determinato dal Padre, in cui il Figliuolo dell'uomo deve essere dato
nelle loro mani e condannato a morte per compir l'opera della Redenzione, ma
in voi non avranno per ora potestà alcuna. E giunto il tempo, in cui devo
glorificare il divin Padre e restare Lui glorificato in me ed io in Lui:
affinché conosca il mondo che io amo il Padre mio e faccio tutto ciò che Egli
vuole da me. Andiamo, perché è già arrivata l'ora nella quale devo dar
principio alla mia acerbissima passione. Dico io: perché, se io non volessi,
non vi sarebbe alcuno che potrebbe mettermi le mani addosso. Ma io voglio,
perché questa è la volontà del Padre mio. Detto ciò ai miei discepoli,
rivolto al Padre, lo pregai per tutti loro, e gli domandai molte grazie per
essi, come anche per tutti i miei fratelli e seguaci. Raccomandai al Padre quel
mio piccolo gregge, che mi aveva dato. Gli chiesi che, dove fossi andato io,
cioè, al possesso dell'eterno Regno, ivi fossero i miei ministri, cioè
coloro che avessero operato fedelmente. Tutto ciò che domandai al Padre, tutto
mi concesse, ed io lo lodai e ringraziai (2).
In questa circostanza pregai il Padre di dare lume e grazia
anche ai miei fratelli, ministri e seguaci e di consolare i loro prossimi,
quando sanno che vivano in afflizione. E vidi, che il Padre l'avrebbe fatto.
Vidi, però, che molti non avrebbero di ciò saputo giovarsi e che, di cuore
molto duro, avrebbero lasciato i loro prossimi in gravi afflizioni, senza
consolarli neppure con parole. Ne intesi quindi amarezza, e supplicai il Padre
di consolarli Lui con la sua divina grazia ed interna consolazione. Me lo
promise il divin Padre ed io gliene presi le dovute grazie.
VERSO IL GETHSEMANI
Avendo ottenuto dal Padre tutte le grazie che gli avevo
domandato, ed avendo detto ai miei discepoli quel tanto che dovevo dir loro, per
ben avvertirli e consolarli, mi avviai con essi verso. l'orto di Gethsemani.
Andiamo, figliuoli miei, dissi loro, perché in breve sarò dato in mano ai miei
nemici che si avventeranno addosso a me, come lupi affamati, per divorarmi.
Tutto ciò vi dico prima, affinché vi prepariate a soffrire il travaglio, non
restiate sbigottiti e vi armiate con lo scudo della fede e dell'orazione,
perché il demonio vi crivellerà, come si crivella il grano (1).
Andavo verso l'orto con i miei undici apostoli, dicendo
loro molte cose, onde restassero fortificati. Ed essi erano tutti intorno a me,
afflitti e dolenti. Sentivo gran pena per la loro tristezza e li raccomandavo al
divin Padre. Non potevano neppur
parlare per l'afflizione e le lacrime, che tutti spargevano; quantunque li
consolassi, era tanta l'afflizione che provavano, che non potevano fare a meno
di piangere, perché era molto grande l'amore che mi portavano, e il doverne
restar privi causava loro una tristezza profonda.
Nell'uscire dalla parta della città, mi voltai, e, vedendo
tutto quello che in essa si operava contro di me, intesi grande amarezza per l'offesa
al divin Padre, e per il male che, sopra di essa, sarebbe venuto. Rivolto al
Padre lo pregai di perdonare e di trattenere il castigo. La benedissi, col
desiderio che cadesse la divina benedizione sopra di tutti, bramando di render
loro altrettanta bene, quanto grave era il male che preparavano a me, lasciando
di ciò esempio ā
tutti i miei seguaci, di far bene a chi fa loro del male, e di pregare per chi
li calunnia e li perseguita, come avevo fatta io in tutto il corso della mia
vita; pregai il Padre di dare Lume, grazia e virtù a tutti i miei seguaci, per
poterlo fare. Vidi che il divin Padre l'avrebbe fatto, e che molti se ne
sarebbero approfittati. Del che intesi consolazione, come anche provai dell'amarezza
nel vedere il gran numero di quelli, che se ne sarebbero abusati.
ESORTAZIONE ALLA SUA SPOSA
Hai inteso, sposa mia, come ti devi preparare per ricevere il
mio Corpo sotto le specie sacramentali; avendone un ardente desiderio e
ricevendomi con amare e con anima monda da ogni colpa grave, quanto più sarà
purificata l'anima tua, tanto, maggior grazia riceverai. A misura della fante
che di questo cibo avrai, resterai saziata di beni spirituali, e mi darai molto
gusto, compiacendomi io di unirmi e trattenermi nei cuori puri e mondi dia ogni
macchia di colpa. Ti inculco la dilezione fraterna: di qui si conoscerà se
veramente mi ami: se osserverai questa precetto, come anche tutto ciò che ti ho
insegnato. Stai attenta, perché, essendo mia sposa e seguace, devi imitarmi in
tutto. Procura di far bene a chi ti fa male, e prega per chi ti perseguita. Tu
senti, che in tutta la mia vita ho pregato per i miei nemici, beneficandoli. Non
ti accordar mai con chi mormora dei fatti altrui: anzi, fuggi da essi, e
procura, per quanto puoi, che si conservi l'unione e la pace fra coloro con
cui stai. Fa che ognuna prenda esempio da te nell'amore e nella carità verso
il prossimo, come anche in tutte le altre virtù da me praticate ed a te con
tanta carità ed amore insegnate, affinché chi ti vede e ti pratica passa dire
di te: questa è una vera sposa e seguace del Crocifisso. Se farai ciò, mi
darai molta gusto.
CAPO QUARTO
Dell'arrivo del Figliuolo di Dio nell'orto di Getsemani e
della sua penosa orazione sudore di sangue e conforto dell'angelo e di ciò
che operò nel suo interno sino a che fu dato in mano dei suoi nemici.
GIUDA SPIA IL MAESTRO E TRAMA LA CATTURA
Essendo arrivati all'orto, per orare al Padre, come ero
solito fare, il discepolo traditore era venuto a spiare, se con i miei apostoli
fossi partito dal Cenacolo, e fossi andato all'orto per orare. Trovando che
già ero partito, si recò dai Farisei a darne la nuova. Del che tutti si
rallegrarono; saltando e battendo le mani, facevano molta accoglienza al
traditore. Chi lo lodava, chi l'abbracciava, e tutti festeggiandolo, gli
dicevano: Solo tu ci potevi fare questo sì gran servizio. Veramente tu sei un
grande uomo, degno di ogni lode! Stava, però, il traditore molto agitato,
provando dentro di sé una infinità di confusioni. Credeva, che, dopo avermi
dato nelle loro mani, sarebbe restato libero da quella grave agitazione,
perché, diceva: " Non avrò da pensare ad altro". Tanto gli suggeriva il
nemico infernale, e tanto credeva il miserabile. Perciò procurava di
affrettarsi, per uscire presto sia dall'impegno che dal travaglio, che
internamente sentiva, in modo che girava dall'uno e dall'altro come pazzo,
avvertendo i soldati, che mi avessero ben legato e tenuto forte, perché
facilmente sarei loro uscito di mano. Diceva loro: State attenti, perché
facilmente vi scapperà. Io per me ve lo darò nelle mani, pensate voi a
tenerlo. Sentendo questo, la coorte si provvide di funi, di catene, di armi, di
bastoni, e determinarono di strapazzarmi in modo, che, restando oppresso dalle
percosse, non potessi aver più forza e spirito neppure di muovermi. Tanta
determinarono e tanto fecero, come sentirai. Stabilivano anche in che modo il
traditore avrebbe dovuto darmi nelle loro mani. Chi diceva una cosa, chi un
altra, quando il traditore risolvette la questione dicendo: io andrò avanti a
tutti, mai appresserò a lui, e lo saluterò, dandogli un bacio; quello che
vedete che io bacerò, è lui: perciò, avvicinatevi subito, prendetelo,
tenetelo ben forte e mettetevi a lui dintorno da ogni parte, perché non vi
fugga. A questa risoluzione tutti di nuovo saltarono per l'allegrezza, lodando
l'invenzione pessima del traditore. Tutto ciò si operava in Gerusalemme,
mentre io oravo al Padre e pregavo per tutti.
GES� NELL'ORTO COI SUOI - SUE PRIME PENE
Essendo arrivati all'orto, lasciai alla prima entrata otto
dei miei apostoli, ai quali dissi, che orassero, affinché non li sorprendesse
la tentazione. Orate figliuoli miei, dissi loro, perché ora è tempo di
raccomandarvi molto al Padre, onde ottenere che vi liberi dalla tentazione, e vi
dia aiuto e forza, essendo vicino il travaglio! (1). Restarono quivi mal
volentieri i miei apostoli, presi da grave timore. Con tutto ciò, animati da
me, rimasero a pregare, ma, poco dopo, si addormentavano.
Condussi Pietro, Giacomo e Giovanni vicino al luogo dove mi
valevo porre ad orare, e quivi li lasciai, esortandoli a fare orazione (2).
Condussi questi tre apostoli presso di me, perché erano stati spettatori della
mia Trasfigurazione gloriosa, ed erano quelli, che, più degli altri, si
mostravano ferventi. Pietro aveva protestato di voler morire con me, se fosse
stato necessario; Giacomo e Giovanni si erano offerti di bere il calice.
Lasciatili, dopo aver loro inculcato molto lo star vigilanti e l'orare,
perché non entrassero in tentazione, mi allontanai da loro di poco e mi
prostrai in terra, per orare al Padre mio.
La mia umanità aveva inteso rincrescimento ed orrore nell'entrare
nell'orto, sapendo il grande travaglio e l'amarezza che mi era stata
preparata. Animato, però, dal pensiero che andavo ad adempire la volontà del
Padre, entrai con generosità, pronto a soffrir tutto. Essendomi posto ad orare
al Padre, facendogli profonda adorazione, mi senti riempire tutto di un più
grave timore ed amarezza, per l'imminente passione e morte. Intesi orrore per
i gravi patimenti, che mi erano stati preparati, ed esposi al Padre il mio
travaglio, dicendogli: Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice;
nondimeno non si faccia la mia volontà, ma la tua; mostrandomi così pronto a
soffrire tutto per adempire la volontà del Padre (1).
A questa richiesta mi senti riempire di maggiore tristezza,
trovandomi come abbandonato dal Padre, il Quale lasciava che la parte inferiore,
cioè, l'umanità mia sentisse tutto il travaglio e l'amarezza, senza, che
la parte superiore, cioè, la divinità che era unita a me, mi desse alcun
conforto (2). Stando quindi solo, abbandonato, senza alcun conforto, mi riempi
di grave desolazione. Vidi allora tutte quelle anime che avrebbero patito
travagli e tristezze interne, senza trovar conforto alcuno, permettendolo il
Padre per altissimi fini. Per esse intesi dolore e pregai il Padre onde si
degnasse di raddolcir loro la grave pena, offrendomi pronto a soffrire io tutta
l'amarezza e tristezza; capi che il Padre avrebbe addolcito le loro amarezze,
in virtù della tristezza sì grande che io soffrivo. lo gliene resi grazie da
parte di tutti.
Non ti apporti meraviglia, il sentire che, essendo allora
come abbandonato dal Padre, con l'umanità mia priva di ogni .conforto, da
parte della divinità, che a me stava unita, intendessi ciò che il Padre
avrebbe operato a favore dei miei fratelli, per i quali istantemente pregavo:
questo abbandono era solo per la persona mia, per privare me d ogni conforto,
non già per quello che riguardava il bene e l'utile dei miei fratelli.
SVEGLIA I SUOI
Stando, dunque, così in preghiera, vedevo che i miei
apostoli si erano addormentati. Volli andare a destarli, perché non li
sorprendesse la tentazione: vedevo il nemico infernale che si studiava molto per
farli cadere in pusillanimità. Ed allora più che mai, per il tradimento di
Giuda, aveva preso ardire, e la faceva da padrone crudele, istigando tutti
contro di me, per procurare la mia morte, perché, stando io al mondo, gli erano
di gran tormento le perdite che faceva. Non potendo il nemico penetrare, che io
fossi veramente il Messia promesso, i demoni fecero fra di loro un conciliabolo,
risolvendo di istigar tutta contro di me, e farmi patire, per mezzo dei ministri
di giustizia, tutti gli strapazzi ed i tormenti immaginabili, sperando di farmi
perdere la virtù della pazienza, che sino allora avevo esercitata, come anche
per scoprire chi fossi.
Alzatomi pertanto dalla mia penosa orazione, andai a destare
i discepoli che dormivano. Dissi loro che vegliassero ed orassero, perché non
entrassero in tentazione (1). Destati i discepoli, e postisi di nuovo ad arare,
tornai alla mia orazione.
Allora supplicai il Padre a volersi degnare di destare i miei
fratelli, quando fossero sorpresi dal sonno pernicioso della tiepidezza e della
trascuratezza dell'obbligo di attendere alla loro eterna salute. E vidi, che
il Padre l'avrebbe fatto con vari e opportuni rimedi, secondo il bisogno di
ciascuno. Per questo intesi qualche sollievo alla mia grave amarezza, benché
sentissi molta pena, nel vedere che pochi se ne sarebbero approfittati,
ritornando a dormire, come fecero i miei apostoli, che il nemico infernale
procurava di opprimere col sonno, perché non facessero orazione; in tal modo
stimava di poterli vincere facilmente. Vidi allora io tutti quelli cui il
demonio avrebbe impedita l'orazione, perché, trovandoli sprovvisti di questa
fortissima e potentissima arma, può vincerli molto facilmente. Per questo
parlai tanto ai miei apostoli della necessità di fare orazione, e nella persona
dei miei, apostoli, a tutti i miei fratelli. Pregai il divin Padre di dar lume a
tutti, affinché conoscano questa verità, e la necessità grande che ognuno ha
di orare, per poter vincere il nemico infernale. E vidi, che il Padre non
avrebbe mancato di dare a tutti il suddetto lume. Vidi ancora che molti se ne
sarebbero approfittati, e, con questa potente arma, avrebbero vinto i loro
nemici, ottenendo molte grazie dal divin Padre.
Di ciò godei, benché sentissi grande amarezza nel vedere il
numero grande di coloro che se ne sarebbero abusati, rimanendo vinti dai loro
nemici infernali.
Volli anche lasciare esempio ai miei seguaci, che a volte
devono lasciare i pi esercizi, per aiutare i loro prossimi bisognosi, in
pericolo di perdersi, affinché tornassero poi a pregare, come vi tornai io.
L'AGONIA DI GESù
Genuflesso, adorato ancora il divin Padre, tornai a
supplicarlo dicendo: Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice; non
si faccia però la mia volontà (1), ma la tua. Volli anche in questo, lasciare
esempio ai miei fratelli, insegnando il modo con cui devono pregare il Padre,
esponendogli il loro desiderio, rimettendosi, però, tutti al divin beneplacito.
In questa seconda orazione, sentendomi abbandonato, mi riempi
di più grave tristezza: e come derelitto, fintesi tedio e mestizia (2). Si
rappresentarono alla mia mente tutti i patimenti che avrei dovuto soffrire nel
corso della mia acerbissima passione: le ingiurie, gli strapazzi, le derisioni.
Permisi alle dette passioni che mi tormentassero per soffrirne volontariamente
tutta l'amarezza, la pena, lo sfogo sopra la persona mia, onde ottenere che
restassero mitigate e raddolcite per tutti i miei fratelli, quando essi le
avessero dovute soffrire per l'adempimento della volontà del divin Padre.
Trovandomi; perciò, in grande abbattimento, oppresso da
tante pene, ricolmo di affanno, mi ridussi in mortale agonia, senza conforto
alcuno. Vedevo anche la mia diletta Madre, che si trovava in grande affanno,
perché sentiva, nel suo cuore amante, i crucci che io stavo provando; questo
accresceva il mio travaglio. Tutti i miei discepoli dormivano, ed io ero solo,
derelitto, abbandonato, tra sfinimenti di morte. Non vi era chi mi dicesse una
parola di conforto. E ciò che più mi crucciava era l'abbandono del Padre.
Prolungai con tutto ciò la mia penosa orazione, soffrendo allora nella mente
tutto ciò che poi avrei sofferto nel corpo durante la mia acerbissima passione.
O sposa mia, quanto vidi e quanto intesi di travaglio e di pena in questa
penosissima orazione! Offrivo tutto al Padre in sconto delle offese, che
riceveva dai miei fratelli.
Stando in sì penosa agonia, soffrivo anche una grandissima
debolezza di forze corporali; prostrato colla faccia in terra, replicavo le
preghiere al Padre; ma il Padre mi lasciò in grave affanno, dimostrando di non
ascoltarmi.
VA A DESTARE I SUOI
Essendo stato per un pezzo a penare in tal modo, mi alzai a
fatica dall'orazione, ed andai di nuovo a destare i miei apostoli, che
dormivano, dicendo a Pietro: Simone, anche tu dormi? Non hai potuto vegliare
neppure un ora con me? (1) Volevo con queste parole fargli conoscere, che, se
non poteva stare per breve tempo in orazione e vegliare con me, come poi avrebbe
potuto morire con me, se fosse stato necessario? Dissi queste parole a Pietro,
e, nella persona sua, a tutti quelli che fanno promesse, di voler patire e
soffrire grandi cose per amor mio e per imitarmi, e poi, all'occasione, non
sanno soffrire neppure un incomodo, né la privazione di una minima
soddisfazione, come sfece Pietro, che non seppe superare un po di sonno. Vidi
allora tutti coloro che l'avrebbero imitato in questo suo darsi al sonno
durante il mio grave travaglio, e ne intesi amarezza.
Svegliati i miei apostoli, dissi loro il mio grande patire:
Sappiate che l'anima mia si trova in tristezza, sino a soffrire l'agonia di
morte. Ciò dissi loro con parole molto compassionevoli; ma essi, sbigottiti ed
oppressi dal sonno, non mi dissero neppure una parola di conforto.
TORNA ALL'ORAZIONE
Onde io, tutto afflitto e amareggiato, di nuovo ricorsi all'orazione.
Prostrato in terra e adorata il divin Padre, Gli ripetei: Padre mio, se è
possibile, passi da me questo calice: non si faccia, però, la mia volontà, ma
la tua. Il Padre neppure allora mi confortò, ma, lasciandomi abbandonato alla
mestizia, alla tristezza e all'amarezza, mi riempì di un più grave affanno.
SUDA SANGUE
Allora si presentarono alla mia mente tutti i peccati dei
miei fratelli, dal principio sino alla fine del mondo, con tutto il loro, peso,
gravezza e misura. Vidi la mia persona che si era addossata tutto il peso per
pagare alla divina giustizia una traboccante soddisfazione. Vidi l'ira paterna
contro di me, per le colpe addossatemi. Vidi la gravezza delle offese al divin
Padre, da me infinitamente amato. Vidi, di nuovo, la gravezza ed acerbità della
mia passione e morte, per pagare il debita di tanti delitti. Vidi il numero
grandissimo di quelli che si sarebbero dannati, per i quali sarebbero stati
inutili i miei gravissimi patimenti ed il mio,sangue sparso con tanta carità ed
amore. Vidi le offese di coloro che si sarebbero salvati, e che pur essendo
anime elette, avrebbero offeso molto il divin Padre, ravvedendosi poi. Vidi
tutto ciò che si sarebbe operato nel monda. Vidi la dignità della mia persona
esposta a sì gravi tormenti, e il poco conto che i miei fratelli rie avrebbero
fatto. Allora, immerso in un mare di crucci e di tormenti, rivolgendomi al
Padre, provai un grandissimo dolore per le molte e gravi offese che aveva e che
avrebbe ricevuto sino alla fine del mondo; ed in siffatto dolore caddi in terra
bocconi, sudando vivo sangue, che, uscendo dal mio corpo, scorreva in terra a
gocce ben grosse. Offri quel sangue al Padre per placare il suo sdegno, in
caparra di quello che avrei sofferto durante la mia passione e morte, e di tutto
il sangue che avrei in essa versato.
Stando in così grave tormento, bagnato di sanguigno sudore,
agonizzante, caduto in terra, vedevo che il traditore Giuda e tutta la
sbirraglia si erano adunati insieme per venire a prendermi. Ciò causava maggior
cruccio al mio cuore afflitto, in modo che arrivarono al colmo le mie pene, i
miei dolori e la mia amarezza. Mi trovavo in tale stato che sarei morto, se il
Padre, con la sua potenza, non mi avesse conservato in vita. In me la divinità
serviva solo per questo prodigio: che non restassi morto sotto il peso di sì
gravi tormenti.
Alla fine si placò il Padre, per l'offerta che gli feci
dell'acerbissimo dolore, della contrizione che avevo di tutte le offese del
genere umano é del sudore sanguigno che versai; per cui, soddisfatta appieno la
divina giustizia, Egli mandò un angelo perché mi confortasse e mi animasse a
bere l'amaro calice della passione. essendo quella la volontà Sua (1).
SUPPLICHE E PENE
Udita la volontà,del Padre mio, e confortato dall'angelo,
mi alzai da terra con generosità, bramando di adempirla. Riacquistate le forze,
adorai di nuovo il Padre, lo ringraziai del conforto inviatomi, e gli offri
tutto ciò che avevo patito, in sconto di tante offese del genere umano,
supplicandolo di molte grazie per tutti i miei fratelli, in virtù di quello che
gli offrivo.
Mentre stavo agonizzante, vidi tutti i miei fratelli ad uno
ad uno, e non solo vidi tutte le offese che avrebbero fatte al Padre mio, ma
anche tutti i loro bisogni e necessità, sia spirituali che temporali, e ne
intesi compassione. Perciò, riavuto dalla penosissima agonia, pregai il divin
Padre per tutti in generale, e per ciascuno in particolare, affinché si fosse
degnato di soccorrerli con la sua divina grazia, secondo il loro bisogno. Gli
domandai questo, in virtù di quanto avevo patito. Il Padre così fu placato per
le offerte che gli avevo fatto e per la contrizione che per tutti avevo avuta e
vidi, che non avrebbe mancato di fare quanto gli chiedevo. Di questo intesi
consolazione, benché fu,più l'amarezza e soffri, nel vedere il gran numero
di quelli, che se ne sarebbero abusati.
Supplicai ancora il Padre di dare ai miei fratelli un vero
dolore di tutte le loro colpe, quando gliel'avessero domandato con umiltà, e
specialmente e quelli, che, stando vicini alla morte, nella penosa agonia, ne
hanno grande necessità. Questo glielo domandai in virtù della contrizione che
io ebbi, allorché ero agonizzante. Vidi che il Padre gliel'avrebbe dato, e
che molti, per questa contrizione, si sarebbero salvati. Io ne intesi
consolazione e ne resi grazie al Padre. Ebbi però dell'amarezza, nel vedere
che molti se ne sarebbero resi indegni, perché durante la loro vita, non l'avrebbero
richiesta mai al Padre, ed in morte non se ne sarebbero neppur curati, per cui
sarebbero periti miseramente.
Gli domandai ancora, in virtù della pena che soffri nella
mia penosa agonia, che si fosse degnato di addolcire le amarezze dell'agonia a
tutti i miei fratelli, e che, infine li avesse confortati, così come aveva
fatto con me, mandandomi 1 angelo confortatore. Il Padre tutto mi promise, e
vidi che avrebbe tutto eseguito fedelmente con paterno amore. Di sciò gli resi
le dovute grazie, anche a nome dei fratelli.
Ottenuto tutto dal Padre, lo lodai e lo ringraziai per tanta
misericordia e bontà, ed andai di nuovo dai miei apostoli, che dormivano, ma
con timore, per quello che avevo detto loro prima; quindi soggiunsi che
dormissero e riposassero anche, per quel breve tempo che ci restava, giacché
non avevano potuto vegliare (1). Poi, ritirato di nuovo, mi offri al Padre,
pronto a soffrire quanto mi era preparato nel corso della mia acerbissima
passione, per adempire la sua volontà divina. Anzi, acceso da una brama ardente
di patire, aspettavo l'ora con gran desiderio ed amore, perché si compisse l'opera
dell'umana redenzione. Andai a destare i miei discepoli, dicendo : Alzatevi ed
andiamo incontro ai miei nemici, perché si avvicina l'ora, nella quale il
Figliuolo dell'uomo sarà dato in mano ai peccatori. Ecco, che si appressa il
traditore (1).
Si destarono i miei apostoli, ma tutti sbigottiti, per le
suddette parole, ed intimoriti, perché, non avendo orato, come io avevo
ordinato doro, si trovarono privi della forza e della virtù, che suole
apportare all'anima la fervente orazione.
ESORTAZIONE ALLA SUA SPOSA
Hai inteso, sposa mia, come sia necessaria l'orazione;
perciò ti stia a cuore la pratica di questo sì importante esercizio, non
trascurandola giammai, perché tu sia ben provvista di armi per combattere
contro i tuoi nemici infernali, contro le tue passioni, ed anche per ottenere
dal Padre mio le grazie, per te per i tuoi prossimi. Offri spesso la contrizione
che ebbi, in questa mia penosa orazione, con il sangue che sparsi, per la
conversione dei peccatori e per ottenere il perdano delle offese e ti assicuro
che il Padre mio gradirà molto quest'offerta; domandagli anche una vera
contrizione ed il dolore per te e per i tuoi prossimi, specialmente per i
peccatori, perché piace molto al Padre mio un cuore contrito ed umiliato. Nella
tua orazione domanda tutte le grazie necessarie per te e peri tuoi prossimi, e,
se vedi che non sei esaudita, non ti perdere d animo, ma continua a domandare.
Non ti stanchino masi il tedio e la tristezza che, a volte, proverai in questo
esercizio, ma uniformati sempre alla divina volontà. Hai inteso il modo con cui
devi orare e domandare: esponendo il tuo bisogno, o il tuo desiderio, e
rimettendoti alla volontà del Padre. E, quando intendi la sua volontà,
eseguiscila con prontezza, senza replica, senza turbamento, come feci io,
quando, udita la volontà del Padre, che dovessi bere l'amaro calice, subito
mi alzai ed andai incontro ai miei nemici. E fa tutto con amore e desiderio. di
dar gusto al mio divin Padre.
CAPO QUINTO
Come il Figliuolo di Dio fu preso e legato dai suoi nemici
nell'orto di Getsemani. Del bacio di Giuda, il traditore, e dei molti
strapazzi che ricevette dai ministri di giustizia nell'esser condotto in
Gerusalemme ed indi in casa di Anna, e di ciò che operò nel suo interno sino a
che tu condotto da Caifa.
IL BACIO DI GIUDA
Mentre stavo con i miei apostoli, dissi loro che già veniva
la coorte a prendermi e mi avviai ad incontrarla. Essi stavano alquanto
indietro, pieni di timore. Veniva la coorte in gran silenzio, onde non fosse da
me sentita, perché temevano che fuggissi; tenevano le lanterne serate, perché
non si vedesse il lume.
Venne avanti Giuda, il traditore, e, salutandomi con maniere
cortesi e fingendosi amico e discepolo, come prima del tradimento, mai disse:
Dio vi salvi, o Maestro! Ed io gli risposi con amorosa voce: Amico, a che sei
venuto? Ed egli, appressandosi sfacciatamente al mio volto, mi diede il
sacrilego e finto bacio, in segno di amore e di vera amicizia. Non respinsi il
traditore, mia con altrettanto amore, quant'era la sua indegnità e finzione,
diedi un nuovo assalto al suo cuore indurito dicendo: Ah, Giuda! Tu con questo
baciò tradisci il Figliuolo dell'uomo! A queste parole, ed ai lumi che allora
gli impetrai dal Padre, il traditore incominciò a conoscere il sino tradimento,
ma non si arrese. Si ritirò, però,indietro con la coorte, che stava all'entrata
dell'orto, per prendermi; nessuno,però, osava avvicinarsi per mettermi le
mani addosso.
Per il fatto di Giuda, fu ferito il mio Cuore da fierissimo
dolore. Provai, o sposa mia, un grande orrore nel vedere presso di me quel
sacrilego ed il suo sordido volto appressarsi al mio, per baciarmi con la sua
infame bocca. Allora si rinnovarono in me le amarezze e le angustie, perché
vidi tutti i sacrileghi, che, con sfacciata fronte, sarebbero venuti a ricevermi
nel Sacramento dell'Eucaristia, introducendomi dentro le loro sordide anime,
macchiate di grave colpa. Intesi orrore e pena grave, vedendo la stretta unione
che, in quell'atto, si sarebbe fatta fra il mio e il loro spirito, e vedendo
che tante volte mi sarebbe convenuto umiliarmi ed avvilirmi tanto. Offri questa
mia umiliazione ed abbassamento al divin Padre, in supplemento delle offese
gravissime che, con questo mezzo, avrebbe ricevuto.
Parlai poi internamente al traditore e gli dissi Ah, Giuda,
hai avuto tanto cuore di tradire il tuo Maestro, che tanto ti ha amato e
beneficato! E come hai potuto fare ciò? E possibile che tanta carità, tanta
bontà, tanto amore, non sia stato sufficiente a spezzare il tuo duro cuore?
Deh! torna a me contrito del tuo fallo, ché ancora sei in tempo e ti offro il
perdono. Resisté anche a questo il traditore, e più si indurì dopo il suo
grave misfatto, che ben conobbe, ma inutilmente, perché disperò della divina
misericordia.
Nel finto bacio del traditore vidi tutti coloro che l'avrebbero
imitato nella finzione e nel tradimento dei loro prossimi. Ne intesi grande
amarezza, che offri al Padre mio, supplicandolo di illuminarli e di fare loro
conoscere il grave male, che è il tradire il prossimo, mostrando amicizia ed in
realtà trattandolo peggio di un nemico. Vidi che il Padre l'avrebbe fatto, e
che molti avrebbero approfittato dei lumi divini, emendandosi. Di ciò intesi
consolazione, benché provassi dell'amarezza nel vedere che molti sarebbero
restati nella loro perfida Ostinazione, come l'empio Giuda, e sarebbero
perirti miseramente. Vidi anche tutti gli innocenti che sarebbero stati traditi
e calunniati dai malvagi; pregai il Padre di dar loro la sua grazia ed i suoi
aiuti speciali, per sopportare il tradimento e le calunnie ad imitazione mia, e
di far conoscere la loro innocenza, come anche la malizia dei traditori e
calunniatori. Vidi, che il Padre l'avrebbe fatto per l'onor suo e dei suoi
veri servi, e che i perfidi sarebbero stati conosciuti ed aborriti, come avvenne
a Giuda, che, stando nella sua disperazione, non trovò alcuno che lo
sollevasse. Chi lo incontrava infatti rivolgeva altrove gli sguardi per non
vederlo, perché il suo stesso aspetto spirava orrore, anche a quelli con i
quali si era confederata; infatti riportando il denaro ai principi dei sacerdoti
e ai Farisei, dicendo loro che aveva errato, che aveva tradito e venduto il
sangue di un innocente e di un giusto, tutti rimasero sorpresi dall'orrore e
rivolsero la testo altrove per non vederlo.
ROVESCIA I SOLDATI A TERRA E LI RIALZA
Stando, come dissi, vicino all'uscita dell'orto con la
coorte vicina a me per farmi prigioniero, nessuno osava pormi le mani addosso:
non si potevano appressare. Volendo far conoscere che spontaneamente mi davo
nelle loro mani, le che, se non avessi voluto, non sarebbe mai riuscito loro di
prendermi, dissi: Chi cercate? Risposero: Cerchiamo Gesù Nazzareno.
Alle quali parole risposi: Sono io. Dissi queste parole con
voce maestosa, ed essi caddero in terra, come tramortiti, sentendo il tono della
mia voce. Valli con questo far conoscere la mia potenza, e che io erra il vero
Figlio di Dio; ma essi se ne servirono per maggiormente infuriare contro di me:
perché, avendo, l'animo mal disposto, ed essendo istigati dai demoni, non
fecero conto del lume e della potenza usata contro di loro; per la quale, se
avessero voluto, potevano pentirsi del loro fallo e riconoscere me per il vero
Messia promesso loro.
Stando così rovesciati in terra, ebbi di essi grande
compassione. Il Padre, sdegnato verso di loro, voleva con la sua divina
giustizia, fulminarli tutti, e farli precipitare negli abissi infernali, come
meritavano. Ma io lo pregai di placare lo sdegno, e di contentarsi, che
tornassero al loro primo essere. Lo pregai anche per il loro ravvedimento. Per
alcuni non furono vane le mie suppliche, perché, servendosi dei lumi e della
grazia, che impetrai loro dal divin Padre, si ravvidero dopo la mia morte; pochi
però mi confessarono come vero figlio di Dio, mentre i più rimasero nella loro
ostinazione e durezza.
Placato pertanto il divin Padre per le mie suppliche,
ordinasi che quegli scellerati tornassero al foro primo essere. Disfatti,
rialzatisi, alcuni dei più perfidi, si avventarono contro i miei discepoli,
perché non conoscevano quale fosse la mia persona, essendo rimasti sbigottiti
per la caduta. Ed io dissi di nuovo: Chi cercate ? Essi risposero: Gesù
Nazzareno. Allora dissi di nuovo: Sono io. Se cercate me; lasciate liberi
questi, e prendete me. Con questa parola davo loro licenza di prendermi,
altrimenti non l'avrebbero potuto giammai.
PERCOSSE ED INGIURIE E MANSUETUDINE DI GESù
A queste parole lasciarono liberi i miei apostoli e si
avventarono tutti contro di me. Ed, oh, sposa mia, quanto gravi furono le
ingiurie che alcuni mi dicevano, quante le percosse che mi davamo, quanti gli
strapazzi! Erano decisi a ridurmi a tal segno, che nessuno mi potesse più
riconoscere. E difatti lo fecero.
Nel vedermi addosso tutti quei fieri ed arrabbiati manigoldi,
puoi credere quanto fosse grande la pena e l'amarezza del mio nuore! Perciò
dissi loro: Siete venuti a prendermi con funi e bastoni, come se fossi un ladro
ed un infame assassino. Eppur sapete, che sono stato continuamente nel Tempio ad
insegnare la celeste dottrina. Perché ora mi trattate così male? Dissi loro
queste parole con tanta dolcezza ed amore, che anche i cuori di ferro si
sarebbero mossi a pietà. Eppure quei perfidi si indurirono più che mai. Questa
gente era stata ammaestrata da Giuda e dai Farisei, che avevano loro detto di
essere forti, perché con la dolcezza delle mie parole incantatrici, li avrei
fatti arrendere. Ed essi, stando su l'avviso, si facevano violenza e si
sforzavano di trattarmi altrettanto male, quanta pera la dolcezza con cui
trattavo con essi.
Il perfido Giuda, vista la mia cattura, e sentiti i molti e
gravi strapazzi che mi facevano, partì; sentirai dopo ciò che successe di lui.
Mentre stavo fra le mani dei nemici, i miei apostoli si ritirarono; rimasero
solo Pietro e Giovanni. Pietro, nel vedere i grandi strapazzi e le percosse,
mise mano ad una sciabola, e tirò un colpo ad uno, che, più di tutti, mi
maltrattava; voleva recidergli la testa, ma gli tagliò un orecchio. Rimproverai
allora l'apostolo, e preso l'orecchio di quel perfido, glielo risanai; ma
essendo quello tanto infuriato contro di me, non pensò al beneficio che gli
avevo fatto, per cui risanato, mi mise di nuovo le mani addosso, più infuriato
di prima.
CATTURA UMILIANTE E PENOSA DI GESù
Mi gettarono in terra, mi legarono le mani e le braccia, e mi
misero la cintura al collo. ed ai piedi una grossa catena. Mi percuotevano coi
pugni sulla testa, negli occh�. Mi davano dei morsi nelle braccia, mi
calpestavano i piedi, mi davano delle bastonate, mi strappavano i capelli, mi
davano dei calci, degli urtoni, chiamandomi mago, seduttore, vagabondo, infame,
ambizioso; dispregiatore della legge, ipocrita, capopopolo; tutte ingiurie che
contro di me avevano udito dagli Scribi e dai Farisei. Io stavo sotto la pioggia
di tante percosse e di tante ingiurie, come un agnello mansueto; non mi adiravo,
non mi lagnavo, ma offrivo tutto al Padre. Allora la mia umanità sentiva tutti
i dolori e i martiri assai più di quello che lo possa sentire alcun altro
mortale: perché molto gentile e delicata era la mia complessione.
Quei fieri ministri ristavano tutti intorno, come cani
arrabbiati e come tori furiosi. Urlavano, fremevano, facevano rumore e fracasso
per l'allegrezza di essere riusciti ad avermi nelle loro mani. Sotto la
pioggia di tante percosse, di tante ingiurie, di tanti strapazzi, vedendo che
così ricompensavano l'amore che avevo loro dimostrato ed i molti benefici che
ad essi avevo fatto, ne sentivo grande amarezza. In quei ministri che facevano a
gara a chi più mi potesse percuotere ed oltraggiare, vedevo tutti quelli, che,
per le loro colpe, erano responsabili delle pene, che io soffrivo proprio per
soddisfare le colpe di tutti.
Non credere, sposa mila, che io li guardassi coni orrore e
con sdegno. Anzi, soffrivo tutto con grande amore, ed era mio desiderio che essi
approfittassero di sì grande beneficio; la mia maggior pena era, prima per le
offese del Padre, e poi nel vedere che molti non avrebbero goduto del frutto
della redenzione per colpa loro, e che tanti miei patimenti sarebbero stati
inutili per essi. Oh! questo sì che mi passava l'anima, e come una spada mi
feriva il cuore! Da quando fui preso dai miei nemici, ed incominciai a patire
per le loro mani, volli sospesa anche la poca consolazione ed i gusto che mi
apportava il vedere le anime, le quali avrebbero approfittato delle grazie che
loro meritavo dal mio divin Padre, e mi avrebbero imitato nelle spie pene,
perché durante la mia passione volevo rimaner privo di ogni conforto e
consolazione, e soffrire tutta l'amarezza ed il dolore.
La stessa mia diletta Madre mi serviva di grande amarezza,
perché la vedevo in tanto grave cordoglio; Essa sentiva nel suo cuore tutto
quello che io pativo, edera immersa in un mare di amarezze e di dolori. Oh!
quanto mi accresceva la pena, il vedere quell'innocente immacolata colomba, in
tanti martiri, ed il suo cuore, veramente amante, gin tanti dolori! Io non avevo
chi mi confortasse in tante pene; Lei non aveva chi la consolasse in tanti e si
gravi affanni. E così, uniti insieme, stavamo totalmente abbandonati al dolore
ed alle pene. Non rivolgevo il pensiero a quelli che ci avrebbero compatito ed
imitato, per privarmi anche di questa consolazione; lo rivolgevo, invece, verso
coloro che avrebbero tanto patito per amor mio. Vedevo i dolori e le sofferenze
di tutti i martiri, di tutti quelli che avrebbero molto patito per amor del mio
nome. Di ciò sentivo grande compassione ed amarezza; così, in tutto e per
tutto, si andavano, accrescendo le mie pene interne e quelle esterne per mano
dei miei nemici. Questo lo praticai per tutto il tempo della mia passione, e l'offrivo
al Padre, in sconto dei peccati di tutto il genere umano, soffrendo per miei
fratelli, non escludendone neppure uno solo dalla possibilità del beneficio, e
soddisfacendo appieno alla divina giustizia per tutti.
OGGETTO DI SCHERNO E DI TORMENTI
Avendo alquanto sfogato sopra la persona mia il loro furore,
dopo avermi i perfidi, caricato di percosse e di Ingiurie, cominciarono a
trascinarmi versa la città, con le funi e le catene, dandomi delle bastonate,
dei calci e dei pugni. Altri si trastullavano e, battendo le mani, con risate
sconce, dicevano: Evviva, abbiamo avuto nelle nostre mani il mago, il
malfattore. E tutti alzavano la voce. Altri mi tiravamo per lue orecchie, altri
per i capelli. I demoni che li istigavano, quando, vedevano. che alcuni si
stancavano e cessavano di percuotermi ed oltraggiarmi, li assalivano con più
violenza, in modo che, infuriati più che mai, tornavano a tormentarmi con
maggior crudeltà. Ero spesso fatto cadere, per gli urtoni impetuosi che mi
davano, e per la violenza che facevano nel tirarmi con le fumi. Alcuni andavano
avanti,altri dietro, altri mi stavano dintorno, come ara stato loro ordinato
dall'empio Giuda e dai Farisei: alcuni di questi vennero dietro alla coorte,
segretamente, per vedere se riusciva loro di farmi prigioniero e se ero trattato
come avevano ordinato. Avendo tutto veduto, se ne tornarono lieti in Gerusalemme
a darne avviso agli altri, onde si fossero rallegrati. Infatti ne fecero grande
festa.
L'ORA DELL'INFERNO
Andavo in mezzo a quei perfidi, gin sommo silenzio, non
aprendo, bocca, non lamentandomi della crudeltà ed inumanità, lasciando tutti
liberi di sfogare sopra di me l'ira,e lo sdegno, avendo loro detto, che quella
era la loro ora e l'ora della potestà delle tenebre. Vedendo le furie
infernali la mia invitta pazienza, vieppiù si infuriavano sospettando che
veramente potessi essere il Figlio di Dio; ma, non potendo avere sicurezza
alcuna, procuravano di istigarne maggiormente i ministri a maltrattarmi. Poi
dicevano non essere possibile che il Figlio di Dio si fosse tanto, avvilito e
dato in potere di gente infame e perversa. Così non potevano assicurarsi del
vero.
Mentre ero così trattato offrivo tutto al divin Padre in
sconto delle offese che riceveva, lo pregavo di dare a tutti li miei fratelli e
seguaci un invitta pazienza nelle ingiurie e negli strapazzi, che avrebbero
ricevuto dai malvagi, come anche dalle furie infernali, che si sarebbero servite
dei cattivi per tormentare i buoni. Allora vedevo tutte le pene che avrebbero
sofferto i miei seguaci dagli empi per istigazione dei demoni. Pregai per tutti
ed ottenni per essi dal Padre la grazia di soffrire tutto con pazienza e
rassegnazione. Vidi il premio che questi avrebbero acquistato per la loro
sofferenza, e resi grazie al divin Padre di tutto, come anche degli aiuti
spirituali che avrebbe dato loro.
Vedendomi tanto sfigurato, che non si riconosceva più la mia
persona, intesi qualche rincrescimento nella mia umanità di dover comparire in
pubblico, dinanzi a tutta Gerusalemme, ed esser deriso da quanti mi avrebbero
veduto; mia offri tutto al Padre, mostrandomi pronto a soffrire ogni
umiliazione. Volevo sentire nella mia persona tutti i rincrescimenti e lue
confusioni che avrebbero inteso i miei fratelli nelle loro pene, travagli e
derisioni, offrendoli al Padre per ottener loro la fortezza e la pazienza in
tutte le occasioni di dispregi; derisioni e patimenti, ed anche perché non
potessero dire all'occasione: io soffro questo travaglio, che Gesù Cristo,
mio esemplare, non ha sofferto. Tutto ciò che la creatura potrà incontrare di
travagli, di ingiurie e di pene, sempre troverà che io ne ho sofferte assai
maggiori, senza paragone alcuno.
LO DEFORMANO NELL'UMILIAZIONE - ABBANDONATO
Gli iniqui, già si erano accordati di maltrattarmi in modo,
che non fossi neppure riconosciuto; poiché sapevano che il mio volto ed i miei
sguardi erano di tanta virtù, che attiravano i cuori, conciliando l'amore di
chi mi rimirava con buona volontà; si studiarono perciò in tutto e per tutto
di deformarmi, affinché le turbe, vedendomi, non avessero compassione dei me,
né si rivolgessero contro di loro e contro i Farisei. Perciò mi percuotevano
spesso il volto con guanciate e gli occhi con pugni, e mi dicevano: Ora va, e
con i tuoi sguardi tira a te i popoli interi. Quanto sentivo questo affranto, e
quanto dolore soffriva, non vi è chi lo possa comprendere! I miei occhi, pieni
di sangue, si erano tanto gonfiati, che appena vedevo la luce. Naso e labbra, a
causa delle monte percosse e delle cadute, erano tumefatte, tanto che il mio
aspetto metteva compassione anche ai cuori più duri. Sulla fronte e su un
ciglio aveva ammaccature e urna ferita sanguinante, per aver battuto, cadendo,
su di un sasso. I denti erano parte rotti e parti smossi, per i pugni e per le
cadute. Le guance peste e nere, e tutto il volto ridotto in maniera, che non vi
era più effigie di uomo. Tutto il corpo era pesto, e le braccia, per i morsi
che mi avevano dato, stillavano sangue. I piedi ammaccati e anneriti, e parte
delle unghie staccate. Le mani gonfie e annerite per la strettezza delle funi
con le quali stavano legate.
Ridotto in tale stato, mi condussero alla città di
Gerusalemme, tra fischiate, urli, battimenti di mani, ingiurie; ognuna faceva a
gara a strapazzarmi, per far cosa grata agli Scribi e ai Farisei, i quali
avevano promesso buona mancia, a chi più mi avesse malmenato. Ed io mi trovavo,
in mezzo a sì crudele gente, da tutti abbandonato.
I miei apostoli erano fuggiti, spaventati; solo Pietro e
Giovanni mi seguivano, ricolmi di timore e di amarezza. E Pietro camminava
assali lontano da me, per il timore che aveva di udire tanto strepito, e di
vedere le tante percosse che mi davano. Ed io soffrivo tutto con grande amore.
Compativo molto i miseri che tanto mi straziavano, e pregava il divin Padre di
perdonar loro un sì grave eccesso. Ed alle furie infernali dicevo dentro di me:
Sfogate pure, spiriti ribelli, il vostro furore, perché, in breve, vedrete chi
sono io, e sentirete ciò che cadrà sopra di voi! Progettavo infatti di
incatenare Lucifero, e dei fulminare tutta i maligni spiriti negli abissi
infernali, dopo la mia morte, come a suo luogo sentirai.
Offriva poi tutti i patimenti per amar dei miei fratelli e
per ciascuno in particolare, secondo le offese che il divin Padre avrebbe da
essi ricevuto. Il Padre si mostrava soddisfatto, ed io lo lodavo e ringraziavo a
nonne dei miei fratelli, e mi offrivo pronto a soffrire tutta per amore suo, e
per la salute del genere umano. Lo pregavo dei aiutarmi in tonti miei travagli e
patimenti: ed il Padre mi dava la forza di soffrire, facendo un continuo
miracolo di conservarmi in vita, per patire infatti molte volte sarei morto
sotto la pioggia di tante percosse e di tanti strapazzi; perché la mia umanità
sentiva tutto e la divinità stava come nascosta in me, per privare l'umanità
del gaudio che le avrebbe apportato il sentirsi unita alla divinità. Voleva il
Padre che io rimanessi immerso allora in un puro patire, senza mescolanza di
consolazione alcuna, per meritare ai miei fratelli la divina consolazione nelle
loro pene, travagli e patimenti.
IN CITTà - UMILIAZIONI
Mi fecero poi passare il torrente Cedron a guado, tirandomi
con le funi, e la mia umanità intese molta patimento. dentro quelle acque.
Arrivati infine alla città, sebbene fosse notte, era accorsa
molta gente ;per vedermi, istigata dagli Scribi e dai Farisei, e molto più
dalle furie infernali. Al mio arrivo, incominciarono ad ingiuriarmi, chiamandomi
seduttore, mago, incantatore. Sei alla fine caduto in mano della Giustizia! Ora
pagherai il fio dei tuoi incantesimi e delle tue falsità. Queste furono le
accoglienze che ricevei nell'entrare in città. Ve ne erano anche di più
perfidi che mi tiravano dei sassi, avvicinandosi, per farlo: perché essendo
circondato dagli sbirri e dai soldati, non potevamo farlo da lontano. Vi furono
anche di quelli che, cui sassi, mi pestavano le spalle. Nell'entrare per la
porta della città così strapazzato, alla mia mente si rappresentarono quelle
anime infelici, che, abusando del beneficio della redenzione e morendo
impenitenti, sono consegnate in mano dei nemici infernali, dai quali, introdotte
nell'abisso infernale, vengono tormentate sopra ogni umano intendimento.
Vedendo gli strazi che lue misere avrebbero patito in tale luogo, e i tormenti
che loro stanno preparati per tutta un eternità, ne intesi una gravissima pena;
come anche provavo grande amarezza nel vedere, che, quasi tutti quelli che mi
tormentavano, sarebbero caduti in sì grandi tormenti. Bramando, che tutti ne
fossero restasti liberi, offri per essi e per tutti i miei patimenti al divin
Padre, supplicandolo che si fosse degnato di liberarli da tanta miseria, dando
loro li suoi lumi e la sua grazia. E vidi che il Padre l'avrebbe fatto; ma
intesi dell'amarezza nel vedere l'esiguo numero di coloro che ne avrebbero
approfittato, ed il numero quasi incalcolabile dei miseri, che avrebbero abusato
della misericordia divina (1).
è CONDOTTO AD ANNA
Entrando così straziato e sfigurato nella città, mi
condussero nella casa di Anna, che era vicina. Questo fu il primo tribunale al
quale fui presentato. Anna mi aspettava con grande desiderio dei vedermi:
perché era precorsa la voce, che, essendo stato catturato dai ministri, mi
avevano Oltremodo strapazzato e percosso. Del che tutti si rallegrarono. Vi
erano anche molti Scribi e Farisei, che mi aspettavano, per vedermi e
rallegrarsi della cattura, ed anche per ingiuriarmi e maltrattarmi: perché
allora ognuno si faceva lecito di trattarmi peggio che avesse saputo. Intesi
gran de rincrescimento per essere condotto a questo tribunale, perché sapevo la
gravezza degli oltraggi che vi avrei ricevuto. Nonostante ciò, animato, andai
con pronta volontà di soffrire tutto, per adempire la volontà del Padre, e per
lasciare ai miei seguaci l'esempio di praticare le virtù che con invitta
pazienza esercitai io.
Entrato in casa di Anna, Giovanni, che mi seguiva, partì ed
andò a portare la funesta novella alla mia diletta Madre, la quale in spirito
sapeva e vedeva tutto, trovandosi perciò in gravissimo cordoglio. Ira compativo
molto e si accrescevano in me le pene per i suoi interni dolori ed amarezze.
NEGAZIONE DI PIETRO
Vidi che anche Pietro, il quale da lungi mi seguiva, entrò
in detta casa, dietro a quelli che mi accompagnavano (1). Tutto ripieno di
timore e di amarezza, avrebbe voluto fuggire anche lui, ma era sì grande l'amore
che mi portava, che non gli bastava 1 animo di abbandonarmi. Entrò tutto
timoroso interrogato da una servente, e riconosciuto per uno dei miei discepoli,
negò di esserlo. Procurava di farsi violenza e di tenere nascosto il timore e
la tristezza che sentiva, per dimostrare che non era della mia sequela. Andò a
porsi con la donna al fuoco per scaldarsi, essendo l'aria rigida, perché era
notte. Essendosi messo nell'occasione, l'apostolo cadde di nuovo e mi negò.
E lo fece per tre volte, come gli avevo predetto (2). Tutto ciò accadde mentre
io stavo alla presenza di Anna (3).
INTERROGATORIO DI ANNA
Giunto alla sua presenza, Anna mi rimirò con ciglio grave,
altero e superbo, come anche quelli che si trovavano coro lui. Tutti pareva
volessero fulminarmi con gli sguardi, rimirandomi con occhi torbidi e maligni e
ingiuriandomi. Restarono però tutti attoniti nel vedermi tanto mal ridotto e
sfigurato. Dicevano fra di loro: Veramente la coorte ha secondato i nostri
desideri.
Io stavo con il capo chino, con gli occhi fissi in terra, con
le mani legate, in atto umile, con serenità di volto, in profondo silenzio. A
tale vista Anna mi chiese, che ne era dei miei discepoli. Fece ciò perché mai
vide solo, in mano della coorte le da tutti abbandonato. In quello stesso
momento Pietro mi stava rinnegando. Puoi credere quanta amarezza sentissi in
questa interrogazione fattami per scherno! Alla quale, io non diedi risposta
alcuna. Il mio Cuore era oppresso dal dolore per le negazioni di Pietro, che
già sentivo. Pregavo il Padre di illuminarlo, e fargli conoscere il suo fallo.
Difatti il Padre lo illuminò, ed, al cantar del gallo, si ricordò dei quanto
gli avevo predetto, ed io, rimiratolo internamente, lo ripresi con molta
dolcezza. Alle interne parole ed allo sguardo amoroso, 1 apostolo si pentì, si
compunse, e proruppe in amarissime lacrime, dicendo fra sé : O Maestro, da me
tanto amato! eppure sono caduto in sì grave eccesso di negarvi, mentre Voi
pativate tanto per mostrarci il Vostro grande amore e sopportavate i più gravi
tormenti per la salute delle nostre anime. Ferito nel cuore dal dolore, andò a
piangere il suo fallo. Pietro corrispose alla grazia ed ai lumi, sperando il
perdono, che subito ottenne.
Non cosi Giuda, il traditore, che, essendo tornato in sé, e
conosciuto il suo grave delitto, disperò, facendo anche questa ingiuria alla
divina infinita misericordia, per la quale non vi è peccatore, per grande che
sia, che, contrito dei suoi falli, non trovi il perdono e la divina misericordia
in favor suo. Vide anche il perfido Giuda i molti strapazzi e le percosse che
ricevetti dai ministri di giustizia, e, conscio di esser lui la causa di tanti
miei. patimenti, si empì d amarezza e di disperazione insieme, in modo che il
vivere gli sembrò impossibile, avendo dentro di sé un inferno di crucci e di
tormenti, perché tutte le sue passioni la laceravano, come tanti cani
arrabbiati, ed i demoni lo tormentavano con la disperazione, procurando di
indurlo a darsi la morte. Temevano si convertisse come Pietro, per il quale
molto si turbò il nemico infernale, che cercava di far cadere e perdere tutti.
è SCHIAFFEGGIATO
Mentre stavo alla presenza di Anna, soffrivo grande amarezza.
Vedendo che io non rispondevo alla richiesta che mi fece dei miei discepoli, me
la rinnovò, perché, sapendo che uno di essi mi aveva tradito dandomi nelle
loro mani, con tale richiesta pensò di schernirmi ed accrescermi l'amarezza,
per darmi motivo di lamentarmi di loro; ma, vedendo che io non rispondevo, mi
chiese, con voce più altera, quale fosse la dottrina che insegnavo. A questa
richiesta risposi, che avendo parlato sempre pubblicamente, interrogasse quelli
che erano presenti, i quali si erano trovati molte volte ad udire la mia parola.
Tutti gli astanti restarono feriti da questa risposta: perché non potevano dire
cosa alcuna dei male contro di me, essendosi manifestata la mia dottrina
santissima, e le mie opere tutte perfette. Perciò fremettero con sdegno; ed un
servo, alzando arditamente la mano, mi diede un orribile schiaffo, dicendo:
Così rispondi al Pontefice? Questo fu quel perfido, al quale avevo sanato l'orecchio,
quando mi avevano fatto prigioniero. Si chiamava Malco, ed era uno dei più
perfidi e più duri di cuore.
Tutti fecero festa a questo orrendo schiaffo, dicendo: O
servo veramente valente e di spirito ! e battevano le mani per l'allegrezza,
ridendo tutti sconciamente, anche il Pontefice.
L'orrendo schiaffo mi fracassò la testa, che era molto
indebolita per le percosse e le cadute, sicché appena la potevo reggere; la
guancia, che già era tutta pesta, stillò sangue per la violenta percossa, e si
ingrossò molto, in modo che mi rese più sfigurato. E l'iniquo servo invitava
gli astanti a rimirarmi, schernendomi e beffeggiandomi. Ecco, o sposa mia, a
quale segno mi ridussi in casa di Anna: ad essere schiaffeggiato peggio di un
vilissimo malfattore, e da un vilissimo servo, senza che alcuno riprendesse la
sua temerità ed il suo ardire. Anzi, fu da tutti lodato ed applaudito, tanto
era fiero l'odio ed il livore che quei perfidi avevano contro di me: si
facevano lecito di usare ogni ingiustizia.
MANSUETUDINE DI GESù
A questa percossa parlai al percussore, dicendogli: Se ho
parlato male, danne testimonianza: ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?
Gli dissi ciò con voce sommessa e umile, anche perché, avendomi il detto servo
inteso parlare molte volte al Tempio, desse testimonianza al Pontefice delle mie
parole, se fossero state riprovevoli; ma, non potendo far questo, perché io
avevo parlato sempre bene, gli richiesi perché mi avesse percosso. E ciò gli
dissi,perché il servo rientrasse in se stesso, e si pentisse del grave fallo.
Ma egli s indurì più che mai, mentre io, nel tempo stesso che mi aveva
percosso, ero pronto a perdonargli, anzi bramavo la sua conversione. E pregai il
divin Padre non solo di trattenere il castigo che meritava un sì grave eccesso,
ma anche di perdonargli. Ma il perfido non corrispose alla grazia ed ai lumi
divina (1).
Nella circostanza dell'orribile guanciata, vidi tutti
quelli che avrebbero imitato questo perfido ed ingrato, che dopo aver ricevuto
il beneficio dell'orecchio risanato,
mi fece dei grandi maltrattamenti, e poi ardì percuotermi,
alla presenza del pontefice. E vidi, ed oh con quanto orrore! che molti dei miei
fratelli, dopo aver ricevuto molte e molte grazie, avrebbero offeso gravemente
il mio divin Padre, con offese pubbliche e scandalose; per essi sarebbero state
derise ed oltraggiate le grazie del Padre anno e le cose del divino servizio, ed
applaudite dai cattivi le male operazioni degli empi. Di ciò intesi grande
amarezza.
La mia umanità ebbe grande confusione per quella percossa, e
ne intese sommo dolore, che offri al Padre, in sconto della gravissima offesa
che aveva ricevuta nella mia persona. Il Padre con questo si placò e trattenne
il castigo verso quel perfido. Gliel'offri anche in sconto di tutti quelli
che, all'occasione, avrebbero imitato quel sacrilego, e lo supplicai del
perdono per tutti, e della grazia che, riconosciuto il loro fallo, si fossero
pentiti e ravveduti. E vidi, che pochi se ne sarebbero approfittati, ma che i
più sarebbero restati nella loro ostinazione e perfidia: di ciò ne provai
grande amarezza.
Lasciai in questo fatto un raro esempio, a tutti i miei
seguaci, di soffrire con pazienza e per amor mio anche le percosse, e di
imitarmi; e pregai il divin Padre di dar loro la grazia di poterlo fare. Vidi
che il Padre gliel'avrebbe data, ma molto pochi sarebbero stati quelli che l'avrebbero
praticato, approfittandosi della detta grazia. I più non solo non l'avrebbero
voluto soffrire, ma n avrebbero fatto vendetta con grandi risentimenti. Il
vedere, o sposa mia, lo scarso numero di quelli che avrebbero imitato i miei
esempi, mi cagionava una più crudele pena ed amarezza.
Essendo stato trattato in tal modo alla presenza di Anna, il
mio Cuore si preparava a soffrire maggiori pene e dispregi. Dicevo al divin
Padre: Padre mio, eccomi pronto a soffrire tutto, purché resti soddisfatta
appieno la divina giustizia. Io mi sono addossato i debiti di tutti i miei
fratelli, e sono pronto a darvene una paga traboccante. Solo vi prego, o Padre
mio, del vostro aiuto, e che si plachi il vostro giusto sdegno verso tutti
quelli che vi offendono, trattando così male la mia persona. Placatevi, o mio
divin Padre, perché questi non sanno ciò che si fanno. Il Padre, a queste mie
suppliche, restava placato, benché venisse continuamente irritata la divina
giustizia dalle molte e gravi offese che riceveva nella mia persona.
Lo pregai anche di volersi degnare di are un simile
sentimento a tutti i miei seguaci, affinché fossero
pronti a soffrire tutti i tormenti e i dispregi per imitarmi;
avessero pregato per quelli che li oltraggiano, e tutto offrendo al divin Padre
in sconto delle offese che riceve dai loro persecutori; Io supplicai ancora di
rimunerare la loro sofferenza. E vidi che il Padre avrebbe concesso detta grazia
a tutti i miei seguaci. Vidi anche tutti coloro che se ne sarebbero giovati ed
il premio che loro stava preparato. Vidi però, che molti ne avrebbero abusato,
ricusando di imitarmi. Intessi amarezza, nel vedere come la creatura, vile per
se stessa, avrebbe rifiutato di praticare ciò che praticavo io loro capo,
Maestro e vero Figlio di Dio.
è CONDOTTO A CAIFA - UMILIAZIONI
Essendo stato trattato, come hai inteso, Anna ordinò ai
ministri, che gli fossi levato davanti, perché non poteva soffrire la vasta di
una persona sì vile e deforme. In verità ero ridotto in stato, da non aver
più figura di uomo, tante erano state le percosse.
Fui condotto fuori di quella casa, accompagnato da fischiate,
da ingiurie e da percosse e tirato, a forza con funi e catene, per essere
condotto da, Caifa, che mi stava ad aspettare con impazienza, insieme a molti
Scribi e Farisei, tutti bramasi di vedermi, e di maltrattarmi (1). Le furie
infernali pori non riuscivano a capirne donde potesse procedere in me tanta
pazienza, tanta tolleranza, tanta umiltà. Temevano molto, che potessi essere
veramente il Messia, perché la virtù da me praticata in tanti oltraggi, in
tanti strapazzi e percosse erra sopra ogni umano potere: ma i superbi non
potevano persuadersi, che il Figlio di Dio volesse tanto abbassarsi da divenire
meno che uomo; perciò si affaticavano a suggerire a coloro che mi conducevano,
sempre nuovi modi per tormentarmi maggiormente, dicendo: Se è puro uomo, alla
fine cederà e cadrà, almeno in impazienza; e se è Figlio di Dio, non è
possibile che non faccia vendetta di tanti oltraggi che riceve. Perciò,
seguitiamo ad istigare i ministri e tutti contro di lui, finché arriviamo a
sapere chi sia. Difatti, andavano istigando sempre più quei perfidi contro di
me, suggerendo loro i modi più crudeli per tormentarmi. Ed essi li eseguivano
senza compassione, come se io fossi stato una bestia indomita e non un uomo:
tutti erano privi di umanità verso la persona mia.
ESORTAZIONE ALLA SUA SPOSA
Hai udito, o sposa mia, quanto soffri, quando fui preso dai
miei nemici: le percosse, le ingiurie, gli strapazzi che ebbi a subire in questo
tribunale: l'esempio di umiltà, di mansuetudine, che ho lasciato a te, ed a
tutti i miei fratelli e seguaci. Per imitarmi dovrai anche tu soffrire tutto con
invitta pazienza e con generosità; non dovrai fuggire mai l'occasione di
patire; nelle ingiurie e nei torti, che ti saranno fatti, dovrai mantenere il
silenzio, e, quando sarà necessario che tu parli, dovrai parlare con umiltà e
mansuetudine. Ti ho insegnato anche come devi pregare il divin Padre per chi ti
offende, ed offrire i tuoi patimenti in sconto delle offese che il divin Padre
riceve da quelli stessi che ti offendono e ti maltrattano. Sta bene attenta ai
lumi ed alla grazia che ti dà il divin Padre, onde mi possa imitare
perfettamente. Abbi sempre in mente quanto ho patito e sofferto io, essendo
Figliuolo di Dio: tutto ho fatto per lasciare a te ed a tutti i miei seguaci un
raro esempio, di come vi dovete comportare in tutte le occasioni. Così non
ricuserai mai di soffrire e di patire ciò che ti si presenterà, se terrai
fissi gli sguardi in me, tuo esemplare. Io, in tutta la mia vita, praticai
quello che insegnavo; ma, nel tempo della mia passione, lo praticai in modo
mirabile, come vai sentendo. Ti avverto ancora di non diffidar mai della divina
misericordia, quantunque ti conosca colpevole; ed esorta anche tutti a
confidare: perché hai inteso come fossi pronto a perdonare le ingiurie e le
offese più gravi; anzi,con quanta liberalità offrivo il perdono al traditore
Giuda, a Mallo, ed a tutti quelli, che tanto mi maltrattavano. Anche tu in
questo imitami, come seguace e fedele sposa: non solo nel perdonare ai tuoi
prossimi le ingiurie ed i maltrattamenti, ma nel pregare per essi, e nell'offrire
al divin Padre, quella tua sofferenza, perché si plachi con essi e perdoni
loro, domandandoglielo anche tu, dia parte loro. E fa tutto di buon cuore e con
vero zelo, perché le loro anime si salvino e tornino all'amicizia di Dio. E
quando vedrai che le tue suppliche sono esaudite dal Padre, rallegrati e
ringrazialo da parte di tutti quelli che avranno ottenuto le grazie, che per
essi domandi.
CAPO SESTO
Come il Figliuolo di Dio fu condotto da Caifa e giudicato reo
di morte. Dei patimenti che soffrì nel restante di quella notte. Dei falsi
testimoni trovati contro di lui e di ciò che operò nel suo interno sino a che
fu condotto da Pilato.
VIAGGIO DOLOROSO ED UMILIANTE
Uscito dalla casa di Anna, mi condussero in casa di Caifa,
dove molti stavano ad aspettarmi, perché non volevano andare a riposare, prima
di avermi visto. E, quantunque sapessero che ero stato presa, e stavo legato in
mano della coorte, con tutto ciò vollero avere la soddisfazione e la
consolazione di vedermi con i propri occhi. Pertanto i ministri mi tiravano con
gran fretta per le strade, essendo venuta gente a dire che si fossero
affrettati, perché Il Pontefice mi aspettava con impazienza, volendo poi andare
a riposare.
Poiché ero così violentemente tirato, spesso cadevo in
terra, perché la mia umanità era molto indebolita, per i patimenti sofferti. A
forza di percosse e di tirature di funi, mi facevano rialzare. Mi conducevano
con strepito, ingiuriandomi e maltrattandomi, affinché la gente che udiva, si
fosse tutta rivoltata contro di me. Difatti non vi era chi di me avesse
compassione. Per lo più tutti dicevano: Ecco che alla fine è caduto, in mano
della giustizia: si è scoperto chi egli è. Chi l'avrebbe mai pensato, che
fosse stato tale ? Veramente i nastri superiori avevamo ragione di Odiarlo
tanto!
Non mancò, chi anche dalle finestre mai accompagnasse con
ingiurie e schermi, beffandomi e deridendomi. Tra questi ed anche fra quelli
stessi che mi conducevano e mi malmenavano, molti da me erano stati risanati da
varie infermità. Ed io, nel vedere tanta crudeltà e tanta ingratitudine,
sentivo, una somma amarezza.
Avendo poi io i capelli lunghi, facevano a gara chi più ne
potesse strappare. Li tiravano con tale empietà, da ridurli così mal conci,
che più non si distinguevano se non dal colore. Infatti, deformarono tutto ciò
che in me pareva loro potesse conciliare l'amore, affinché mettessi orrore in
chi mi rimirava. Tanta era la loro malizia! Ed io offrivo tutto al Padre, in
sconto delle offese che riceveva, ed offrivo la deformità in cui mi avevano
ridotto, in sconto dei peccati dei miei fratelli, i quali pongono tutto il loro
studio nell'ornarsi per comparire e piacere alle creature. Io allora vedevo
tutto e ne sentivo amarezza. Dicevo: Ecco quanto cari mi costano i vostri vani
ornamenti, e lo studio che ponete nel comparire, per piacere alle creature! Ecco
ciò che soffro per pagare alla divina giustizia le vostre vane soddisfazioni!
Ah, almeno trovasse in voi corrispondenza l'amore con cui io pago i vostri
debiti, e vi ricordaste di quanto ho patito per voi! E vedendo che la maggior
parte ne sarebbe vissuta dimentica, ne sentivo una grande amarezza.
Sappi, sposa mia, che andavo spesso lamentandomi in tal modo
con i miei fratelli. Vedendo la loro incorrispondenza e la loro ingratitudine a
tanta bontà ed a tanto amore, il mio Cuore soffriva gran pena, perché bramava
che tutti si giovassero delle grazie, che loro impetravo dal Padre mio, e
corrispondessero all'amore che portavo ad essi ed al beneficio loro concesso.
Rivolto poi al divin Padre, gli offri me stesso così sfigurato e lo pregai che,
per quanto soffrivo, si fosse degnato di dare ai miei fratelli lume e grazia da
conoscere il loro errore, sì da avviarsi ad ornare l'anima, che deve piacere
a Lui, e non il corpo per piacere
alle creature. Vidi che il Padre l'avrebbe fatto, e che
molti ne avrebbero approfittato, rinunziando a tutte le vanità e pompe mondane,
contentandosi di vivere sotto umili vesti, per seguire me, povero ed abietto.
Soffri però molta e grave amarezza nel vedere il numero stragrande di quelli
che sarebbero andati perduti dietro le vanità e le pompe mondane. Ma ciò che
più mi affliggeva era il vedere che, anche quelli che si dichiaravano miei
seguaci ed imitatori, si sarébbero perduti dietro queste pazzie e vanità
mondane, che non servono se non a nutrire la loro passione di amor proprio. Con
tali sentimenti essi disgustano molto il divini Padre, e restano privi degli
ornamenti nobilissimi, che il Padre darebbe alle loro anime, per mezzo della sua
divina grazia.
IN VEGLIA
Andando, come già ho detto, in casa di Caifa, e soffrendo
molti strapazzi ed ingiurie per la strada, nell'avvicinarsi alla casa del
Pontefice, la mia umanità sentì grande rincrescimento, per i molti
maltrattamenti e i dispregi, che mi erano stati preparati. Ma animato dall'amore
con cui soffrivo, e tutto rimesso alla volontà del Padre, andavo con il
desiderio di soffrire per l'amore e la salute di tutti i miei fratelli.
Molti stavano alle finestre della casa del Pontefice, per
sentire, dal rumore delle fischiate, quando fossi arrivato, e darne a lui la
nuova. E, quantunque fosse di notte, pure stavano elle finestre, non temendo né
arda, né freddo, e patendo tutti il sonno, per dare soddisfazione al Pontefice,
agli Scribi e ai Farisei: tutta la servitù era in veglia. Ed io, nel vedere
questo, sentivo grande amarezza, perché si rappresentavano alla uria mente
tutti quelli che avrebbero vegliato e patito molto per le loro vane
soddisfazioni, e per sfogare le loro ree passioni, e che invece per la salute
delle loro anime, e per il servizio e la gloria del divin Padre, non avrebbero
potuto né voluto soffrire cosa alcuna, sembrando loro molto grave ogni leggero
incomodo, ed ogni piccolo patimento insoffribile e difficile. Perciò, pregavo
il divin Padre di illuminarli e di far loro conoscere l'inganno in cui vivono.
E vidi che il Padre l'avrebbe fatto, e che molti, servendosi dei lumi divini,
avrebbero procurato di soffrire incomodi e patimenti per la loro eterna salute e
per il servizio e la gloria del divin Padre. Di ciò ne resi grazie al Padre. Ma
senti dell'amarezza nel vedere il gran numero di quelli che si sarebbero
abusati dei lumi divini, non facendone conto alcuno, e che avrebbero patito e
sofferto molto per le loro vane soddisfazioni e capricci. Io offrivo al Padre
quella veglia dolorosa in sconto delle loro colpe.
DINANZI A CAIFA ED AL SINEDRIO
Arrivato, pertanto, in casa del Pontefice Caifa, tutti quelli
della coorte incominciarono a far festa, chi saltando e chi battendo le mani per
l'allegrezza: facevano tutto per aderire agli Scribi e ai Farisei, che stavano
ad aspettarmi.
Entrai in quella casa col capo chino, cogli occhi bassi,
pieno di confusione, per la figura deforme in cui mi trovavo: solo, in mano dei
nemici, da tutti abbandonato. Tutti erano contro di me, non essendovi uno solo
che avesse per me un po' di compassione. Ero pieno di confusione, per vedermi
tanto sfigurato, perché volevo soffrire tutte le pene, che un puro uomo avrebbe
sofferto, se si fosse trovato in quello stato deplorabile. E nel soffrire quelle
pene, andavo compatendo tutti i miei seguaci, che, per amor mio e del mio Nome,
avrebbero patito travagli e confusioni. Domandavo per essi al Padre mio la
grazia e la virtù, onde avessero sofferto con generosità, come lo soffrivo per
loro amore.
Arrivai frattanto alla presenza del giudice, che sedeva in
trono, con volto serio, gonfio di superbia. Intorno all'ampia sala erano, in
gran numero, egli Scribi e i Farisei, tutti con aria seria, mostrando autorità
sopra di me. Mi guardavano con occhi torbidi ed irati, come se volessero
uccidermi con i loro sguardi. E pur vedendomi già tanto mal ridotto e
sfigurato, si accrebbe tuttavia in essi l'odio e la vendetta contro di me,
essendo io divenuto l'oggetto del loro sdegno e furore per i molti benefici
che loro avevo fatto.
INTERROGATORIO E CONDANNA
Io stavo Come un agnello mansueto, in mezzo a quei lupi
rapaci, alla presenza dell'empio giudice, alle interrogazioni del quale, non
diedi mai risposta, essendo falso tutto ciò che mi chiedeva e di cui mi avevano
accusato quegli empi e crudeli. Tutti gli astanti fremevano, perché non davo
alcuna risposta. Vi fu chi disse al Pontefice, che, essendo io un ipocrita, non
rispondevo, perché, stimandomi innocente, pretendevo che anche il giudice mi
stimasse tale: per questo stavo in atteggiamento umile, ma in verità, ero un
superbo ardito, che, con tanta sfacciataggine, riprendevo tutti, quando
predicavo al Tempio. Poi ognuno degli astanti disse il suo sentimento e parere
contro di me. Furono molte le accuse che mi fecero in questo tribunale, tutte
false ed infami, tacciandomi da seduttore, da prevaricatore, da superbo, da
indemoniato, amico di gente infame, che avevo commercio coi pubblicani, che
mangiavo e bevevo con essi, che volevo essere Re, e mi chiamavo Figlio di Dio. E
nel dire tutte queste ed altre cose contro di me; le accompagnavano con ingiurie
e maldicenze. Dopo che si furono sfogati alquanto, stando io ad udire tutto in
profondo silenzio, che offrivo al Padre, in sconto dei loro gravi peccati, alla
fine mi interrogò il Pontefice, in Nome di Dio vivo, perché gli dicessi, se
veramente ero il vero Figlio di Dio, come gli avevan detto che da me stesso mi
ero dichiarato. Il Pontefice mi fece questa interrogazione, non per sapere se io
fossi veramente il Figlio di Dio, ma per sentirlo dire dalla mia bocca alla
presenza di tutti; e per prendere motivo di condannarmi, se l'avessi
confessato; di deridermi e farmi restar confuso e svergognato alla presenza di
tutti, se l'avessi negato. Quantunque fosse cattiva la sua intenzione, io
risposi a questa domanda, per il rispetto e la riverenza che avevo al divin
Nome, e gli confessai, alla presenza di tutti, che io ero veramente il figlio di
Dio, e che mi avrebbero veduto sopra le nuvole, per giudicare il mondo. Appena
ebbi proferita questa parola di verità, furono tante le fischiate, i battimenti
di mano, e le ingiurie che quella sala sembrava un luogo di confusione o di
vendetta. Irato per la risposta e pieno di sdegno, il giudice esclamò: Ha
bestemmiato, e perciò lo faccio reo di morte. Alzando le voci, tutti gridavano:
è reo di morte. Strappatesi le vesti in due parti, in segno di ira e di
vendetta, ordinò che fossi posto in carcere per il resto della notte (1).
Gli Scribi e i Farisei presero, poi, motivo dalle parole che
avevo detto al giudice, confessandomi vero Figlio di Dio, per far credere, che
fossero vere anche tutte le altre falsità che mi opponevano. Dicevano al
Pontefice: Come non ha negato questa falsità, così è reo anche di tutte le
altre. E fini considerato tale. Né io volli discolparmi, ma tacqui. Tra tutte
le falsità che dissero di me in questo tribunale, due sole cose erano vere: che
io mi chiamassi Figliuolo di Dio, cioè, che chiamavo Iddio, mio Padre celeste,
e che mangiavo coi pubblicani. Questo era accaduto qualche volta, ma non perché
fossi uno cui piacesse il mangiare e bere, come essi dicevano: infatti la mia
vita in questo fu molto parca; patii molto la fame e la sete, ed il mio solito
cibo era pane ed acqua; ma trattai con i pubblicani per convertirli. E se
mangiai con essi fu, perché vedendo il mio modo di vivere, restassero
edificati, ed anche per non lasciare l'occasione, che mi si presentava di bene
ammaestrarli.
Soffrii tutte le ingiurie e le false imposture, con somma
pazienza, per insegnare ai miei fratelli, che, molte volte, si deve tacere e
soffrire; ma, quando è necessario parlare per la gloria del divin Nome, lo si
deve fare con libertà e franchezza, come io confessai pubblicamente che ero il
vero Figlio di Dio, quantunque sapessi, che tale confessione mi sarebbe costata
molte derisioni ed ingiurie, e per essa mi avrebbero dichiarato reo di morte.
In questa circostanza vidi tutti quelli, che per la
confessione del'mio Nome e per dichiararsi cristiani, avrebbero sofferto
tormenti dai tiranni e dai nemici della mia fede, e che sarebbero stati
condannati ad una morte assai penosa. Sentii grande amarezza per tutti, ché io
vidi non sol tutti quelli che sarebbero morti per la confessione del mio Nome,
ma anche tutti i tormenti che avrebbero sofferto, uno per uno, distintamente, ed
intesi allora nel mio intero tutta la pena che essi avrebbero sofferto nei loro
corpi. La offri al divin Padre, supplicandolo di volersi degnare di raddolcir le
loro sofferenze in virtù della pena, che allora soffrivo io. Lo pregai di dare
loro fortezza e generosità nel patire e perseveranza, sino alla fine. E vidi,
che il Padre l'avrebbe fatto, e di ciò gli resi grazie. Vidi ancora, con mia
somma amarezza, tutti quelli che si sarebbero arresi, rinnegando la mia fede.
Oh, quanto fu grande il mio dolore nel vedere così disonorato il divin Padre, e
perdute irreparabilmente tante anime ! Perciò offri quel mio dolore al Padre, e
lo pregai del suo aiuto, dei suoi lumi e della sua grazia per tutti quei
miserabili. E vidi, che il Padre glieli avrebbe dati, e per questo molti si
:sarebbero convertiti e ravveduti. Ne resi grazie al Padre; ma intesi dell'amarezza
nel vedere il numero grande di coloro, che sarebbero rimasti nella loro,
ostinazione ed infedeltà: e, perciò, sarebbero miseramente periti.
VIENE CONDOTTO IN UNA STANZA IMMONDA - UMILIAZIONI
Avendo ordinato il giudice, che gli fossi levato davanti, e
che fossi posto in carcere per il resto della notte, ben custodito dati
ministri, perché non scappassi dalle loro mani, mi condussero, a, forza di
percosse, in una stanza sordida, dove stavano delle immondezze.
Intanto gli Scribi e i Farisei rimasero a consigliarsi con il
Pontefice, di ciò che dovevano fare della mia persona. Si accordarono di farmi
condurre, la mattina per tempo, da Pilato,giudice gentile e governatore, e di
trovare testimoni che mi avessero accusato, per farmi condannare alla morte di
croce. Era questa, allora, la morte più ignominiosa ed infame, che il giudice
gentile soleva dare ai malfattori. Mi vollero condurre da Pilato, perché loro
non potevano condannarmi ad una morte così umiliante. Onde, risolto ed
aggiustato tutto, partirono, per andare a riposare. Vi furono, però, quelli che
non vollero prendere né riposo né cibo, finché non mi videro morto in croce.
Perciò, usciti dalla casa del Pontefice, vi fu chi andò ad ordinare la croce e
chi i chiodi, affinché quando Pilato avesse data la sentenza, si potesse subito
eseguire e non vi mancasse cosa alcuna. Vi fu anche chi restò in casa di Caifa,
andando dietro alla sbirraglia, per attizzarla a strapazzarmi e tormentarmi nel
resto di quella notte. E vollero prendersi la soddisfazione di vedermi
tormentare con i propri occhi. Difatti, quei perfidi ministri di giustizia,
vedendo che i Farisei gradivano molto che mi avessero tormentato, fecero a chi
mene poteva far di più. Questi erano attizzati e fortemente istigati dai
demoni. Incominciarono i più giovani ed insolenti a strapazzarmi.
O quanto, sposa mia, soffri in quella notte dolorosa! Non vi
è mente che lo possa comprendere. E siccome le creature si fanno lecito di
commettere nella notte ogni sorta di peccati, così quei perfidi si permisero
dei farmi ogni sorta di maltrattamenti e di ingiurie. Ed io soffri tutto con
pazienza, e lo offrivo al Padre, in sconto di tutte le offese, che nelle notti
funeste, riceve dai mici fratelli. Tutte sì rappresentarono in quella notte
alla mia mente: tutto vidi e per tutti patii, come ora udrai.
In primo luogo mi bendarono gli occhi, chiamandomi falso
profeta, dicendomi che, allora,era veramente il tempo di far loro conoscere le
mie profezie. Incominciarono a percuotermi, con pugni in testa, sulle spalle,
ne1 petto, dicendomi che profetizzassi ed indovinassi chi di loro mi aveva
percosso. Altri con calci, altri con bastonate, altri mi tiravano i capelli,
altri la barba, altri le orecchie, dicendo tutti: Gran profeta, indovina chi di
noi ti percuote. Altri, cavandosi le scarpe, mi percuotevano con le medesime, in
segno di disprezzo. Altri mi acciaccavano i piedi, altri mi pigliavano per la
carne delle braccia e della vita, e la torcevano fortemente. Altri mi davano
delle guanciate.
Stavo io, sposa mia, sotto la piena di tante percosse, in
grande silenzio e con invitta pazienza. Altri mi torcevano il collo e mi
facevano girare intorno. Sentivo molto il dolore delle percosse e degli
strapazzi. E mentre vedevo tutte le offese che il divin Padre, nelle funeste
notti, avrebbe ricevuto, gli offrivo la soddisfazione, pagandogli con i miei
dolori e disonori, tutti i debiti, che, con la divina giustizia, avrebbero
contratto i miei fratelli.
IL MASSIMO DEI DILEGGI E DEGLI OBBROBRI
Essendosi trastullati un pezzo, in tal mordo, i ministri,
stanchi di tormentarmi, mi levarono il sordido panno, che mi avevano posto sugli
occhi, e, fattomi sedere, incominciarono a dire che, pretendendo di essere Re,
mi dovevano dare i meritati ossequi., Difatti, preso vigore e incitati sempre
più dalle furie infernali, incominciarono a farmi dei disprezzi, salutandomi
con le spalle rivolte a me, e facendo tutti a gara a chi più potesse
dileggiarmi. Incominciarono,poi, a sputarmi in faccia: ognuno procurava di
raccogliere delle flemme,per gettarmele con impeto sul volto. Furono tanti gli
sputi, che arrivarono a ricoprirmi tutto il volto, in modo che sino gli occhi ne
erano pieni. Non ci vedevo più e non potevo pulirmi, perché avevo le mani
legate dietro alla cintura. Mi empirono di sputi anche la bocca, tanto che mi
sentivo soffocare. Errano, poi, si fetenti e stomachevoli, che la mia umanità
soffrì un grande tormento ed una grande pena. Nel gettarmi in faccia quei
fetenti sputi, mi ingiuriavano dicendomi: Bisogna che noi aggiungiamo ornamento
al tuo bel volto, ché tanto conto facevi della tua bellezza, che volevi essere
da tutti amato, onorato e rispettato. Prendi, ora, questi ossequi e questi
ornamenti per la tua bellezza e per la vaghezza del tuo aspetto! Ora si vede
come era posticcia la tua bella presenza! sì presto si è tutta deformata. Ora
sì, che puoi andare a cacciare i demoni, perché il tuo aspetto stesso, sì
orribile, li farà fuggire. Or va, e tirati dietro le città intere con i tuoi
sguardi! Mi dicevano tutto ciò, e mi andavano sempre percuotendo, senza
stancarsi, perché erano aizzati dalle furie infernali, l'e quali, vedendo la
mia grande sofferenza, infuriavano sempre più, non potendo arrivare a capire
chi io fossi; per scoprirlo, inventavano ogni sorta di disprezzi, di ingiurie,
di strapazzi, che la loro malizia sapeva ritrovare, suggerendoli a quei ministri
crudeli, perché me li avessero fatti. E quelli erano pronti ad eseguire tutto
ciò che loro veniva suggerito. Non poterono mai, i demoni, resistere ai miei
comandi, e non potevano stare alla mia presenza, perché soffrivano grande
tormento; perciò fuggivano da me. Sentivano farsi anche una grande violenza, e
perdendo le forze, restavano atterriti ed abbattuti, e non potevano sapere donde
provenisse ciò. Provarono tutto questo nel tempo in cui vissi fra gli uomini;
ma, durante la mia passione, restarono in libertà, ed ebbero tutta la
possibilità di esercitare contro di me la loro rabbia ed il loro furore,
servendosi dei ministri di giustizia. Lo permise il Padre, ed io volli
soggiacere alla loro insolenza ed al loro furore, affinché con questa mia
sofferenza, potessi meritare a tutti i miei fratelli la grazia di essere liberi
dalle insolenze delle furie infermali, e di poterne allontanare da sé e mettere
in fuga; perché, divenuti i suddetti spiriti ribelli privi di forza e di
potare, sarà loro possibile di fare soltanto ciò che, per altissimi fini il
divin Padre permetterà. Perciò, soffrendo io i molti strapazzi, le insolenze e
i tormenti inventati da quei maligni spiriti, li offrivo al divin Padre,
supplicandolo di dare, a tutti i miei fratelli, virtù, e dominio sopra gli
spiriti infernali, affinché essi non abbiano alcun potere, né dominio sopra
nessuno. Vidi, però, che molti sarebbero stati travagliati in varia modi dai
suddetti spiriti, e che il Padre l'avrebbe permesso per altissimi suoi fini.
Di ciò ne intesi .pena, e pregai il Padre di dare fortezza a tutti quelli, che
sarebbero stati travagliati, e di liberarli dalle plani di un nemico sì fiero.
Vidi, che il Padre l'avrebbe fatto, e gliene resi grazie. Intesi, però, dell'amarezza
nel vedere, che molti sarebbero restati sempre travagliati da sì fiero nemico;
perciò adorai i profondi giudizi del divin Padre e le sue divine permissioni, e
lo pregai della sua grazia ed assistenza per tutti coloro che sarebbero stati
travagliati. Vidi che il Padre l'avrebbe fatto, ed lo gliene resi grazie a
nome di tutti.
Continuando a soffrire molti strapazzi e percosse da parte
degli stessi crudeli ministri, alla fine essi si presero giuoco di me,
balzandomi da una parte all'altra. Salendo sopra un banco, che vi era per
sedere, mi prendevano per i capelli, alzandomi in aria, e mi rigettavano in
terra. Furono tanti, sposa mia, gli strapazzi e le percosse che ricevetti nel
resto di quella notte, che, se la divinità non avesse conservata in vita l'umanità,
sarei morto più volte, soffrendo tali dolori e patimenti, che si rendevano
molto sensibili alla mia umanità (1).
Assai maggiore, però, erano la pena ed il dolore interno che
soffrivo, nel vedere le offese del divin Padre, l'ingratitudine delle
creature, per le quali pativo, e i dolori della mia diletta Madre, che, in
spirito, vedeva e sentiva tutto nel suo amante ed afflitto cuore. Non trovavo
alcun conforto nelle mie pene, tanto esterne che interne, puoi quindi capire in
parte, quanto grande fossero il mio dolore, la mia pena e la mia amarezza.
Offrivo tutto al Padre in sconto delle offese, che riceveva.
RACCOLGONO FALSI TESTIMONI
Intanto alcuni degli Scribi radunavano falsi testimoni, per
accusarmi al presidente Pilato, affinché mi condannasse a morte. Promisero
buona mancia a quelli che trovarono. Sebbene le accuse non fossero sufficienti
per potermi condannare a morte, dicevano: Ci sarà la nostra autorità, per cui
il presidente farà quanto gli chiederemo. Vedevo ed udivo tutto, ed ogni cosa
accresceva pena ed amarezza al mio Cuore divino, che si trovava immerso in un
mare amarissimo di affanni e di dolori, senza un minimo conforto. Mi dava motivo
di consolazione il vedere, che soddisfacevo in tutto e per tutto alla divina
giustizia, per i peccati di tutto il genere umano; ma il vedere che
continuamente veniva irritata con nuove offese, mi era causa di più crudele
amarezza.
Molte furono de accuse, che prepararono i maligni.
Insegnavano ai testimoni quello che,dovevano dire, cioè Che mi avevano udito
dire che in tre giorni volevo riedificare, il Tempio; che avevo negato dei
pagare il tributo a Cesare, e che avevo detto non doversi pagare; che pretendevo
il regno; che pervertivo il popolo; che riprendevo e predicavo senza che alcuno
me ne avesse data l'autorità; che avevo commercio col demonio; che, per opera
del demonio, facevo molti miracoli. I falsi testimoni promisero di dir tutto, ed
amiche con giuramento, se fosse stato necessario. Si rallegrarono moto di ciò
giri Scribi, sembrando già ad essi, che sarebbero arrivati a conseguire il loro
intento.
Io sentivo tutto, e ne provavo grande amarezza. Mi offri al
Padre, pronto a soffrire in sconto delle molte e gravi offese, che avrebbe
ricevuto dai miei fratelli, specialmente da quelli che testimoniano il falso
contro gli innocenti, che tutti ebbi allora presenti alla mia mente, e per i
quali intesi grande amarezza e dolore. Pregai il Padre che, in virtù del mio
dolore e amarezza, si fosse degnato di illuminarli, facendo conoscere loro il
grave errore, e avesse data ad essi la grazia di potersi emendare e di fare
penitenza del loro peccato. Vidi che il Padre l'avrebbe fatto, e che alcuni si
sarebbero ravveduti e, dopo aver confessata la loro falsità, ne avrebbero fatta
la dovuta penitenza. Di ciò resi grazie al Padre. Ma soffri dell'amarezza,
nel vedere che molti sarebbero restati nel loro errore e nella loro falsità.
Pregai il divin Padre di dare virtù, grazia e fortezza. agli innocenti,
affinché soffrano tutte le calunnie e le falsità con invitta pazienza, come le
soffri io per amore di tutti i miei fratelli e in sconto dei loro errori. Vidi
che il divin Padre avrebbe eseguito ciò che gli chiedevo. Vidi inoltre che si
sarebbe palesata la loro innocenza, e di ciò ne resi grazie al divin Padre,
anche a nome di tutti. Quantunque stessi sotto la pioggia di tante percosse,
ingiurie e strapazzi, che non mi facevano avere un momento di requie, non
lasciai mai di pregare il Padre per tutti i miei fratelli, e di offrirgli tutto
in sconto delle loro colpe, non escludendo nemmeno coloro che mi tormentavano
con tanta empietà; pregavo il divin Padre di volersi degnare di dare grazia a
tutti i miei seguaci di imitarmi anche in questo; cioè, che, stando travagliati
e tormentati dai cattivi, non tralascino di offrire tutto al Padre, e di
pregarlo per quelli stessi che li travagliano e tormentano. Vidi che il Padre
avrebbe dato loro la detta grazia, e che essi ne avrebbero approfittato. Di ciò
resi grazie al divin Padre, pur sentendo grande amarezza nel vedere i miei
seguaci in tanti travagli e in tante pene. Pregai Il Padre mio, che, in virtù
di quella mia amarezza, si fosse degnato di consolarli tra tante loro angustie,
perché mi contentavo di restar io privo di ogni consolazione. Vidi che il Padre
l'avrebbe fatto con paterno amore, riempiendo le loro ariane di consolazione
in mezzo aghi stessi travagli e patimenti. Di ciò gli resi grazie.
Stando fra tanti strapazzi e tormenti, ridotto ad uno stato
veramente compassionevole, non trovai, nel cuore di quei perfidi, né
compassione né carità, perché il loro cuore era divenuto carne una pietra
verso di me, senza sentimento di pietà alcuna.
Spuntato il giorno, vennero tutti in causa di Caifa per
vedermi; vennero anche molti dei detti Scribi e Farisei e, vedendomi tanto mal
ridotto e sfigurato, incominciarono a ridere e a beffarmi con motti di scherno e
parole ingiuriose; lodando i ministri, che avevano avuto tanto spirito da
ridurmi in sì misero stato.
SUPPLICA IL PADRE
La mia umanità non si reggeva più in piedi, e, rivolto al
Padre, lo pregai del suo aiuto, affinché potessi soffrire il molto di più che
mi restava. Lo pregai anche, ricorrendo a lui i miei seguaci e fratelli, a
domandargli l'aiuto e la grazia di poter patire gli strapazzi e quant'altro
Egli permette che sia loro fatto dalle creature, si degni concederlo con
prontezza. Vidi che il Padre non avrebbe mancato di farlo. Di ciò lo ringraziai
da parte di tutti.
Devi sapere, sposa mia, che durante la mia passione, mi
trovavo spesso privo affatto di forze, in modo che la mia umanità non poteva
più reggere a tante percosse e strapazzi. Allora domandavo forza al divin
Padre, e Lui me la dava. La mia umanità riprendeva allora vigore da poter
reggere ai molti patimenti. Sempre, però, mi umiliavo a domandarla al Padre,
quantunque l'avessi potuta avere con un atto della mia volontà. Con tutto
ciò, volli vivere in tutto e per tutto soggetto al mio divin Padre, ricorrendo
sempre al suo aiuto, e mostrandomi in tutto soggetto a Lui. Lo pregavo anche,
ogni volta che gli domandavo la suddetta grazia, che si fosse degnato di dar
lume a tutti i miei fratelli, affinché essi pure avessero fatto ricorso a Lui
in tutti i loro bisogni, domandandogli con ogni umiltà e confidenza, il suo
aiuto. Vedevo che il Padre l'avrebbe fatto. Vidi che molti se ne sarebbero
prevalsi . ed avrebbero trovato pronto il soccorso. Di ciò resi grazie al
Padre, benché sentissi dell'amarezza, nel vedere che molti non si sarebbero
giovati della grazia, anzi, ne avrebbero abusato, per cui avrebbero patito con
più pena ed avrebbero inteso molto il travaglio, rivolgendosi essi alle
creature invece di chiedere aiuto al divin Padre. Perciò pregai di nuovo il
Padre di illuminarli, facendo loro conoscere l'errore. Vidi che molti si
sarebbero ravveduti e, ricorrendo al Padre, sarebbero restati consolati ed
aiutati. Di ciò resi grazie.
GIOVANNI PRESSO MARIA SS
Mentre stavo in tanti patimenti, si accrebbe molto il mio
dolore, perché, essendo andato Giovanni ad avvisare la mia diletta Madre, di
quanto mi era accaduto in quella notte: della cattura, degli strapazzi che mi
avevano fatto, di come si diceva da tutti; che mi avrebbero fatto morire, la
diletta Madre si riempì, nel sentirlo raccontare, di una più grave pena ed
amarezza. Così crebbe anche la pena del mio Cuore nel vederla in sì grave
affanno. La Maddalena pure, con tutte le altre devote donne, furono prese da
fierissimo cordoglio, e, tutte meste e addolorate, piangevano amaramente. Io non
tralasciavo di pregare il Padre acciò le confortasse e desse loro fortezza da
soffrire tante angustie, giacché, per allora, non potevo consolarle di persona,
essendo divenuto l'oggetto del loro dolore. Risolvettero di venire, con la mia
diletta Madre e col discepolo amato, per vedermi e farmi compagnia nelle mie
pene. Misero tosto in atto il proposito e si avviarono verso Gerusalemme,
spargendo molte lacrime e sospiri lungo il cammino. La diletta Madre, che più
di ogni altra era afflitta, con generosità veramente mirabile, andava
sconsolando e confortando tutte. Ed io mi riempivo di una più grave pena, nel
pensare al dolore che avrebbe sofferto la mia afflitta Madre nel vedermi, con i
propri occhi, ridotto in uno stato sì deplorabile e compassionevole, che non
era rimasta in me figura di uomo. Offri il mio dolore al Padre, pregandolo che
si degnasse di dare forza e virtù alla diletta Madre, affinché,con tutta
rassegnazione, avesse potuto soffrire sì grave pena e dolore: come anche alle
altre devote donne che l'accompagnavano, specialmente alla Maddalena, che
molto mi amava, e molto si affliggeva.
MACCHINAZIONI DEI FARISEI
Essendo spuntato il giorno, ed adunati gli Scribi e i Farisei
davanti al Pontefice Caifa, stabilirono, di nuovo, di mandarmi da Pilato,
accompagnato dai falsi testimoni; vollero venire anche alcuni di essi, per
mostrare la loro autorità al Presidente, perché, se non avesse voluto
condannarmi alla morte di croce, essi l'avrebbero minacciato, per indurlo a
far ciò che essi pretendevano.
Ricevuto, pertanto, l'ordine da Caifa, intimarono ai
ministri di condurmi fuori da quella prigione. E questi mi trassero fuori a
forza di pugni, calci ed urtoni, mentre io tacevo e non mi lamentavo punto della
loro inumanità. Mentre uscivo da quella casa, per essere condotto dal
presidente, pregai il Padre di perdonar loro tutti gli strapazzi, che mi avevano
fatto, le percosse, che mi avevano dato, e ingiurie e i disonori, che vi avevo
ricevuto. E lo pregai anche di degnarsi di trattenere il castigo da essi
meritato, offrendomi di soffrire tutto in sconto delle loro iniquità. Ciò che
feci in questa casa, lo feci anche in tutti gli altri tribunali, dove fui
condotto. Il Padre lo gradiva molto; con ciò restava placato, ed io lodavo la
sua infinita bontà ed il suo amore.
ESORTAZIONE ALLA SUA SPOSA
Hai udito, sposa mia, le gravi ingiurie, gli affronti, le
percosse e gli strapazzi, che ricevei in casa del perfido Pontefice, che
favoriva molto i miei nemici, dando loro tutta la Libertà di maltrattarmi. Alla
mattina, avendo egli saputo lo stato in cui mi avevano ridotto, non volle
vedermi, temendo di muoversi a compassione. Da ciò puoi carpire come fosse
ridotta la mia umanità! Tu sai che devi aiutarmi in tutto, e, se non puoi
soffrine i patimenti corporali, per la debolezza della tua umanità, ricorri al
divin Padre, affinché almeno tu possa soffrire i patimenti, che Egli stesso ti
invia: perciò, domandargli sempre la sua grazia ed il suo aiuto. Per quanto
riguarda poi, il soffrire le ingiurie, gli affronti ed i disprezzi, non puoi
scusarti in alcun modo, perché devi soffrire tutto, quando te ne capiti l'occasione,
e soffrirlo con pazienza, in silenzio, offrendo tutto al divin Padre, in sconto
delle tue e delle altrui colpe, per placare la divina giustizia. E, per dar
valore alle tue offerte ed alle tue opere, le devi offrire sempre unite con i
miei patimenti e con i miei meriti; così saranno molto grate al divin Padre, ed
atterrai facilmente tutte le grazie, che, per essi, gli domanderai,
se saranno espedienti per la salute tua e dei tuoi prossimi.
Non si trovi in te falsità alcuna: essendo costretta, in qualche occasione, a
parlare, parla con sommissione e di la verità, anche se ti dovesse costare
monti travagli e derisioni. Prendi esempio da me, che confessai di essere
Figliuolo di Dio, sebbene mi costasse tante ingiurie, derisioni, e sapessi che
per questo mi avrebbero dichiarato reo di morte. Interrogato in Nome di Dio, lo
confessai, assoggettandomi a tutte le derisioni e gli strapazzi. Sai come ebbi
sempre un cuore amoroso e pacifico verso tutti coloro che mi strapazzavano e
disonoravano. Ora voglio che anche tu abbia un simile cuore con chi ti offende;
sia lontana da te ogni ombra di sdegno e di rancore. Sta bene attenta, perché
mi dispiacerebbe molto se sentendo, continuamente, quanto fosse pacifico ed
amoroso il mio Cuore, si trovasse poi in te lo sdegno ed il rancore, cosa troppo
disdicevole ad una mia sposa e seguace, e, quel che è più, ad una da me
ammaestrata continuamente con tanta carità e con tanto amore. Approfittati di
tutto, non mancare in cosa alcuna, e sii in tutto diligente.
CAPO SETTIMO
Come il Figliuolo di Dio fu condotto a Pilato, indi ad Erode:
delle ingiurie ed accuse che ricevé in questi due tribunali e di ciò che
operò nel suo interno sino a che fu condotto di nuovo a Pilato.
VIAGGIO UMILIANTE E PENOSO
Uscito dalla casa di Caifa, era ormai giorno. La sera si era
già divulgata la nuova della mia cattura, e, molti della città, ed anche
forestieri, i quali erano venuti per la solennità della Pasqua, corsero a
vedermi. La plebe, già rivoltata tutta contro di me, stava preparata per
schernirmi e maltrattarmi, volendo far cosa grata agli Scribi e ai Farisei. E
questi perfidi, venivano ad accompagnarmi, benché alla lontana, affinché il
popolo, vedendoli, pigliasse animo, e facesse a chi più poteva strapazzarmi e
schernirmi.
Appena uscito dalla casa di Caifa, essendosi riunita gente
per vedermi, incominciarono a gridare e far strepito. Chi diceva un'ingiuria,
e chi un'altra. Tutti concorrevano a maltrattarmi. Alcuni mi chiamavano mago,
stregone, incantatore; altri, falso profeta; altri, seduttore; altri, ambizioso
e superbo. Ognuno procurava di ingiuriarmi, né vi mancò chi mi tirasse delle
immondezze. Fra questi ve ne erano molti, che, da me, erano stati risanati: essi
si mostravano più fieri degli altri, per far cosa grata ai Farisei.
I ministri, poi, mi tiravano spietatamente con le funi,
facendomi spesso cadere, dandomi delle bastonate,
specialmente sulla testa e sul dorso, percuotendomi ed
ingiuriandomi continuamente. Chi per le strade, chi dalle finestre, quasi tutti
concorsero a vedermi; ingiuriarmi e maltrattarmi. Gli Scribi e i Farisei,
vedendo che la plebe si era già voltata tutta contro di me, ne sentivano grande
allegrezza. Dicevano i perfidi fra di loro: Veramente Iddio ci favorisce, avendo
permesso che tutti siano arrivati a conoscere costui, e che tutti si siano
rivoltati contro di Lui, perfino quelli che Lui ha risanato. Solo Iddio ci
poteva consolare in questo! Ciò :dicevano i malvagi. Di questo ne restava
gravemente offeso il divin Padre, e sdegnato contro di loro. Ma io gli offrivo i
miei patimenti in sconto delle loro colpe, ed il Padre si placava.
Lungo il viaggio io procedevo con gli occhi fissi in terra,
col volto sereno ed umile, soffrendo tutto con amore. Sentivo grande amarezza
nel vedere, che non vi era alcuno che avesse compassione di me. Tutti prendevano
motivo dalla deformazione a cui mi avevano ridotto, per schernirmi e burlarsi di
me. Dicevano: Ha risanato tanti infermi, ed ora non può liberare se stesso
dalle percosse e dalle cadute. Si vede proprio che faceva tutto per opera
diabolica; infatti adesso che sta in potere della giustizia, non può più
operare. Così ero accompagnato fra ingiurie, fischiate e schiamazzi. E quelli
che avevano un po' di compassione per me, stavano ritirati, non facendosi
vedere, per timore degli Scribi e dei Farisei.
In questo viaggio, rivolto al divin Padre, offrivo tutto in
sconto delle offese, che riceveva, allora, nella mia persona, e che avrebbe
ricevuto poi da tutti i miei fratelli. In questi dolorosi viaggi, e nell'esser
condotto ai tribunali, vedevo tutti coloro che, per amor mio, sarebbero stati
condotti davanti ai giudici tiranni, e gli strapazzi che sarebbero stati fatti
loro dai ministri di giustizia, le percosse e le ingiurie che avrebbero
sofferto; perciò sentivo per loro grande compassione. Pregavo il divin Padre
che, in virtù di tutti i miei patimenti e strapazzi, si fosse degnato di
alleggerire loro le pene, e di dare ad essi fortezza in sì gravi travagli e
patimenti. Vidi che il Padre l'avrebbe fatto, e vidi, che questi avrebbero
sofferto tutto con grande costanza, fortezza ed amore, per la grazia che io
avevo impetrato loro dal divin Padre. Di ciò gli resi grazie. Vidi anche la
fierezza e la crudeltà dei giudici tiranni verso quelli che avrebbero
confessato il mio Nome, ed io sentivo amarezza per tanta crudeltà e tirannia.
Pregai il Padre di illuminarli, facendo ad essi conoscere la virtù di quelli
che erano tormentati per loro ordine. Vidi che il Padre l'avrebbe fatto, ma
che essi avrebbero abusato dei lumi divini, respingendoli da sé, ed esercitando
sempre più la loro fierezza, verso i confessori della fede. Di ciò intesi pena
maggiore, e supplicai di nuovo il divin Padre, perché avesse dato loro un più
potente lume e la cognizione della verità confessata da coloro che per essa
davano anche la vita. Ed il Padre mi promise di fare ciò. E vidi, che il Padre
l'avrebbe fatto, e che qualcuno se ne sarebbe approfittato e si sarebbe
convertito. Di ciò resi grazie al Padre, sentendo, però, maggiore amarezza nel
vedere che la maggior parte ne avrebbe abusato.
Vedendo, poi, che tutti quelli che emano spettatori dei miei
tormenti, invece di compatirmi, si rivolgevano contro di me, ne senti grande
pena ed amarezza; rivolto al Padre, lo pregai, per l'amarezza che soffrivo nel
vedere tutti contro di me, di consolare i miei fratelli e seguaci, mostrando
come molti, nel vederli costanti nel patire, si sarebbero convertiti. Lo pregai
anche di illuminare tutti gli spettatori dei loro patimenti, affinché,
conoscendo la verità della fede nelle opere meravigliose che avrebbero fatto
coloro che per la detta confessione erano tormentati, si fossero convertiti alla
fede e cognizione di Lui. E vidi che il Padre l'avrebbe fatto, e vidi anche la
moltitudine dei convertiti che avrebbero confessato il nome mio. Di ciò
ne resi grazie al divin Padre, pregandolo di dar loro il
dono della perseveranza. Intesi, però, dell'amarezza nel vedere il numero
grande di quelli, che avrebbero abusata della grazia, rimanendo nella loro
cecità ed infedeltà.
ORRIBILE MORTE DI GIUDA
Intesi anche una pena più grave per l'apostolo traditore,
il quale, avendo veduto i molti strapazzi che avevo sofferto nella cattura, e
sapendo i gravi tormenti che pativo nei tribunali, rientrato in sé, conobbe il
suo errore, ed entrò in smania terribile. Provando un inferno di pene dentro di
sé, andava ricordando tutti gli avvisi che gli avevo dato, le grazie che gli
avevo fatto, la benignità e mansuetudine con cui l'avevo trattato, l'amore
che sempre gli avevo dimostrato, ma tutto ciò gli serviva di cruccio e di
tormento. Il misero entrò in una fierissima disperazione. Pensò che si sarebbe
calmato andando dai Farisei a confessare il suo errore ed a rendere il denaro
avuto, per liberarmi dalla morte. Difatti lo fece. Ma fu vana la sua
risoluzione: perché, essendo andato dai Farisei, ed avendo reso il loro denaro,
col dire che aveva tradito il sangue del giusto, fu da quelli schernito, anzi,
aborrito da tutti; per l'orrore che metteva il suo aspetto, tutti gli
voltarono le spalle. Ed egli, gettato giù ivi il denaro, partì disperato. Io
bramava la conversione del traditore, e non mancai di pregare il Padre per lui,
ma il perfido, che aveva sempre abusato della grazia, che con tanta liberalità
gli erga stata offerta, si rese incapace di riceverla ancora, ed eseguì
pertanto ciò che gli suggerì il nemico infernale, al quale aveva voluto
obbedire in tutte le perfide suggestioni. Difatti si diede la morte da se
stesso, non potendo più soffrire la disperazione ed il cruccio che in sé
sentiva, per il male commesso (1). Così fece un altro male: quello di diffidare
della misericordia divina, e di credere che per lui non vi potesse essere più
remissione. Intesi, perciò, grande amarezza nel vedere la pessima fine del
traditore. Rivolto al Padre, lo pregai, per il dolor e che sentivo, che si fosse
degnato di illuminare tutti i miei i fratelli, specialmente quelli, che
sarebbero caduti in gravi errori, affinché non diffidassero mai della divina
misericordia, quantunque fossero ridotti al colmo dell'iniquità. Non
disperino mai, ma, con animo dolente e cuore contrito, riscorrano alla divina
misericordia, la quale è sempre pronta a perdonare al peccatore dolente! Vidi,
che il Padre l'avrebbe fatto. Vidi anche il numero grande di coloro che, dopo
aver commesso molti errori, si sarebbero pentiti, e, confidando nella
misericordia divina, l'avrebbero conseguita. Di ciò resi grazie al div�n
Padre. Intesi, però, dell'amarezza, nel vedere che molti avrebbero fatto la
pessima fine di Giuda, il traditore: facendo ingiuria alla divina misericordia,
essi avrebbero diffidato, e sarebbero miseramente periti. Per questo motivo si
accrebbe molto l'amarezza del mio Cuore, il quale, fra tante pene ed affanni,
non aveva neppure una stilla di consolazione. Volli soffrire tutto ciò, per
meritare la divina consolazione per tutti i miei fratelli nelle loro pene.
DINANZI A PILATO
Andando, dunque, per questo viaggio, tanto strapazzato e
vilipeso, arrivai in casa di Pilato, dove fui condotto alla sua presenza con i
falsi testimoni che mi accusarono. Stavo dinanzi a lui, con la mia solita
serenità e con gli occhi fissi in terra. Fui interrogato circa le accuse che mi
facevano. Io non diedi risposta alcuna. Gli Scribi ed i Farisei non entrarono,
per non contaminarsi, dovendo celebrare la Pasqua. I perfidi si fecero scrupolo
di entrare in casa di un gentile, quando avevano l'anima contaminata da tante
iniquità. Vollero comparire osservanti della Legge, e invece ne trasgredivano i
maggiori precetti. Essi non entrarono nel pretorio di Pilato, ma insegnarono
bene ai ministri ciò che avrebbero dovuto dire di me e stavano fuori, per
mettere timore al presidente, con la loro autorità.
Pilato ebbe compassione del mio aspetto, ridotto ad uno stato
che avrebbe mosso a pietà le pietre, nonché i cuori umani. Eppure i perfidi
ebrei non ebbero di me pietà alcuna. Il presidente, vedendo che io non
rispondevo alle molte accuse, credette che fossi innocente, e, per liberarsi dal
condannarmi, e per non incorrere nello sdegno dei Farisei, risolvé di mandarmi
ad Erode, tanto più, che, essendovi fra di loro poco buoni rapporti, sperava di
ristabilire l'amicizia, rimettendo al suo giudizio la mia causa; segno questo
della stima che aveva di lei. Dopo varie domande Pilato, vedendo che appena mi
reggevo in piedi, mostrò compassione di me e disse che mi avevano ridotto così
malamente, da dover temere che potessi sopravvivere per poco. A tali parole i
ministri risposero con grande arroganza, dicendo che mi avevano percosso e
strapazzato per le violenze che avevo fatto loro nel voler fuggire dalle loro
mani. Io non, risposi a queste falsità: soffri tutto con pazienza. Il
presidente credette a quanto gli dissero contro di me, ed ordinò ai ministri di
condurmi ad Erode (1). Di ciò furono contenti anche gli Scribi e i Farisei,
perché pensavano che sarei stato sempre più strapazzato ed oltraggiato.
Difatti i ministri, ricevuto l'ordine, mi condussero ad Erode così legato,
fra fischiate, strilli, percosse ed ingiurie. In questo viaggio ricevetti più
disprezzi dalla gente, perché, essendosi fatto giorno, si erano adunati molti,
che mi accompagnavano con dispregi ed ingiurie.
Essendo stato accusato e maltrattato nel tribunale dei
Pilato, soffrii tutto con invitta pazienza. Rivolto al divin Padre, gli offri
tutto a nome e da parte dei miei fratelli, giacché soffrivo per la loro salute
eterna. In questo tribunale vidi tutti quelli che sarebbero stati falsamente
accusati, pregai il diva Padre, affinché avesse loro dato virtù e forza da
soffrire tutto con pazienza e rassegnazione. Vidi, che il Padre l'avrebbe
fatto. Vidi tutti coloro che mi avrebbero imitato, soffrendo, con invitta
pazienza, tutte le ingiurie e le falsità. Vidi il premio che a questi era
preparato dai Padre e gliene resi grazie.
Nel sentire che il presidente ordinava che fossi condotto and
Erode, ne intesi rincrescimento, perché vedevo gli affronti e gigli scherni che
mi erano preparati. Tuttavia vi andai volentieri, per avere occasione di offrire
al divin Padre nuove e inaudite ingiurie, fra cui quella di essere trattato da
pazzo.
Vidi che Pilato si servì di questa occasione, per far pace
con Erode, e che io, a forza di strapazzi, dovevo servire loro da mezzano, per
pacificarsi. Abbracciai tutto volentieri, contentandomi di servire di occasione,
perché si unissero fra di loro. Per ciò pregai il divin Padre di farmi la
grazia per i miei fratelli, ché quando sono in disunione fra di loro, abbiano
lume di servirsi di me per riunirsi; e dando un occhiata alla mia vita, passione
e morte, e, ad imitazione mia, perdonino a chi li offende, e tornino in pace col
loro prossimo. Vidi che il Padre avrebbe loro dato il detto lume e la grazia di
poterlo fare. Di ciò gli resi grazie, vedendo che molti se ne sarebbero
prevalsi. Intesi, però, dell'amarezza, nel vedere il numero grande di quelli,
che ne avrebbero abusato.
UMILIAZIONI E PENE
Condotto da Erode, con i soliti strapazzi, ingiurie e
percosse, i ministri mi tiravano con violenza, per accelerare il viaggio,
perché dai Farisei era stato loro ingiunto di fare in fretta, sembrando loro
troppo lunga la dimora, per il desiderio che avevano di darmi presto la morte.
Dicevano fra di loro: Bisogna sbrigarsi, affinché non sopraggiunga qualche
impedimento che ci lasci delusi.
Durante questo viaggio mi andavo offrendo al Padre, pronto a
soffrire tutte le ingiurie e gli strapazzi, per soddisfare appieno la divina
giustizia in sconto di tutti
i peccati del genere umano. Furono molte le ingiurie che
ricevetti da ogni sorta di gente. I più dicevano: Questo è colui che operava
tanti prodigi, che faceva tanti miracoli, che predicava con tanta sapienza, che
si tirava dietro le città intere? Or vedete, come faceva tutto per opera
diabolica! Così parlavano i forestieri, perché i ministri mi andavano
presentando con tal marchio di infamia. Erano queste parole come tante spade,
che passavano il mio Cuore, per le offese del divin Padre; tutto a Lui offrivo.
Poi rivolto col pensiero ai miei seguaci, dicevo: Chi di voi potrà lagnarsi,
dal momento che io ho sofferto tanto, per la vostra salute, per lasciarvi un
esempio da imitare, sicché arrivate a possedere l'eterna beatitudine,
meritata da me per voi a costo di tante pene? E chi potrà ricusare il patire,
mentre io soffro tanto per amor vostro, per salvar l'anima vostra? Nel dire
ciò, vedevo tutti coloro che mi avrebbero imitato, che avrebbero patito e
sofferto molto per amore del mio Nome, e sentivo compassione per le loro pene.
Sentivo, poi, dell'amarezza nel vedere il grande numero di quelli, che,
dichiarandosi miei seguaci, non vogliono soffrire, cosa alcuna, e si mostrano
molto delicati e risentiti nelle ingiurie e nei dispregi. Pregavo il divin Padre
di illuminarli, perché conoscano l'inganno in cui si ritrovano; è mio
seguace solo chi soffre con pazienza e con amore: le opere san quelle che
distinguono i miei seguaci, non le parole. Vidi, che il Padre non avrebbe
mancato di dar loro il lume, e che alcuni se ne sarebbero prevalsi, ravvedendosi
dell'errore, imitando i miei esempi, patendo e soffrendo generosamente con
pazienza, ciò che i cattivi avrebbero loro fatto soffrire con ingiurie,
affranti, percosse, falsità. Ne resi grazie al Padre, sentendo, però, dell'amarezza
nel vedere il gran numero di quelli che avrebbero abusato del lume divino,
vivendo nel loro inganno; dichiarandosi cioè miei discepoli e seguaci con le
parole, ma con i fatti rimanendo seguaci del mondo: perché camminano tanto
lontani dai miei esempi, non volendo soffrire cosa alcuna, risentendosi molto in
tutte le occasioni in cui dovrebbero patire e soffrire qualche cosa per amor
mio, e imitarmi nelle pene e nei dispregi.
DINANZI ALLA CORTE - è SCHERNITO DA TUTTI
Essendo pertanto giunto in casa di Erode, subito fui beffato
e deriso da tutta la sua corte, perché mi vedevano così deformato: Ognuno mi
disse delle parole ingiuriose e impertinenti. Ed io, rivolto al Padre, mi offri
di nuovo a Lui, pronto a soffrire tutto. Lo pregai del suo aiuto, dicendogli: Vi
prego, mio divin Padre, di avere pietà del vostro Unigenito Figlio! Non mi
abbandonate in tanto bisogno! Datemi il vostro aiuto e la forza di resistere a
tutte le percosse e gli strapazzi ! Placate il vostro sdegno verso i miei
fratelli, le iniquità dei quali stanno tutte sopra di me, per pagarne a voi il
debito. Voglio pagarlo con prezzo traboccante, non solo per soddisfare appieno,
per tutti, la divina giustizia, ma anche perché vi sopravanzi di molto, a
ffinché voi, o Padre mio, usiate sempre in maggiore abbondanza la vostra
misericordia verso tutti i miei fratelli. Il divin Padre gradiva le mie
suppliche e le espressioni, che gli erano presentate dal mio Cuore veramente
amante e fedele, e ani dava il suo aiuto, onde io, come uomo, potessi soffrire
tutto, e resistere a tanti strapazzi, senza questo aiuto sarei morto più volte.
Ottenuta la grazia per me, subito pregai per i miei fratelli,
che mi stavano molto a cuore, e li tenevo sempre fissi nella mente. Sebbene
soffrissi e patissi tanto per essi, e vedessi la loro ingratitudine e durezza,
non ebbi mai verso di loro un minimo sdegno, nemmeno verso quelli che tanto mi
tormentavano ed oltraggiavano. Anzi, soffrivo tutto con grande amore per essi,
come per tutti gli altri, bramando che i miei fratelli avessero avuto un cuore
così amoroso e caritatevole verso i loro prossimi. Inoltre avrei desiderato
che, se avessero dovuto soffrire per causa loro, l'avessero fatto con l'amore
e la carità, con cui io pativo e soffrivo per coloro che mi oltraggiavano e
percuotevano. Perciò, rivolto al Padre, lo pregavo di dare a tutti simili
sentimenti di amore e di carità. Vidi, che il Padre l'avrebbe fatto, ma che
molti neppur vi avrebbero fatto riflessione, ma sarebbero stati anzi dominati e
vinti dalle loro passioni. Vidi il piccolo numero di quelli che avrebbero
approfittato di tale grazia, ed il grande numero di quelli che si sarebbero
rifiutati di imitarmi. Di ciò intesi amarezza, perché non sarebbero stati
adempiuti le mie brame e il desiderio del mio Cuore.
Avvisato, pertanto, Erode, che ero stato mandato a lui da
Pilato, perché giudicasse la mia causa, si rallegrò: anzitutto per l'onore
che gli faceva Pilato, poi perché aveva grande desiderio di vedermi e di
sentirmi parlare. Erode aveva udito dire grandi cose di me: dei miracoli che
facevo, della dottrina che insegnavo, perciò bramava di conoscermi, per vedermi
operare qualche prodigio.
Arrivato alla sua presenza, si turbò Erode e mi disprezzò
perché ero tanto deformato. Gli era stato detto delle mie mirabili attrattive e
della vaghezza del mio aspetto; per cui vedendomi in quello stato, pensò di
essere stato burlato, e domandò ai ministri, se veramente fossi quel Gesù
Nazzareno, tanto famoso per opere mirabili. Gli fu risposto che ero proprio
quello, ma che operavo tutto per opera diabolica, e che avevo commercio coi
demoni. Per queste risposte si turbò vieppiù Erode, e si fece cattivo concetto
di me. Prese ad interrogarmi come operassi i miracoli, e quali dottrine
insegnassi. Io non diedi mai risposta. Erode mi minacciò di volermi condannare
a morte, se non davo a lui risposta. Ma io continuai a tacere. Questo perfido
non meritava di udire dalla mia bocca alcuna parola per molti motivi. Non vide e
non seppe cosa alcuna da me, perché volevo fargli capire che non doveva cercare
di sapere la mia dottrina e di vedere i miei miracoli, per curiosità e con fine
cattivo.
Vedendomi stare in tanto silenzio, sì infuriò contro di me
e mi chiamò pazzo e senza intendimento; ordinò ai suoi servi di dame una veste
derisoria ai ministri, perché mi vestissero con quella e mi riconducessero, da
Pilato, dicendogli che lui non sapeva che farsene di uno scimunito senza
giudizio. La veste era bianca, quale si metteva a coloro che pretendevano onori
e grandezze, per schernirli, trattarli da pazzi, e prendersi giuoco dì essi.
Ciò si faceva alla gente vile e plebea. A questo ordine chinai la testa, adorai
la sapienza divina unita a me, ed intesi grandissima amarezza nel vederla
trattata da stolta. Oh, qui sì, che il Cuore fu ferito da fierissimo dolore! la
divina sapienza dichiarata pazza da un infame ed iniquo giudice! Rivolto al
Padre, gli offri quella gravissima ingiuria in sconto dei peccati dei miei
fratelli, specialmente di quelli che avrebbero commesso nei riguardi della
sapienza divina. Allora vidi, che la maggior parte dei miei seguaci sarebbero
stati ritenuti come pazzi dalla gente mondana. Di ciò intesi grande amarezza.
Vidi, che gli iniqui e scellerati avrebbero giudicato pazzi quelli che avessero
seguito le mie orme, ed imitato i miei esempi; perciò, rivolto al Padre, lo
pregai, di dar loro la sua grazia e virtù, da soffrire tutto con pazienza e
rassegnazione, per amor suo, e per imitarmi in ciò che, con tanta pazienza io
soffri nell'essere trattato anche da pazzo, quantunque fossi la sapienza del
Padre.
I ministri, ricevuto il comando, in tutta fretta mi vestirono
con quella veste, alla presenza di Erode, che fu i1 primo a deridermi e
schernirmi, imitato poi da tutta la sua corte e da tutti quelli che mi
conducevano. Erode dopo ordinò che, in tal modo, fossi condotto da Pilato, al
quale dovevano dire che gli aveva mandato un pazzo, di cui non sapeva che farne,
e perciò lo rimandava a lui (1).
SULLA VIA - UMILIAZIONI
Difatti fui condotto fuori della casa di Erode, facendo tutti
a gara a chi più mi poteva schernire, percuotere, ingiuriare. Ebbi grande
confusione nell'uscire da quella casa con la veste derisoria, che mi
dichiarava pazzo, già vedendogli scherni e gli affronti, che per il viaggio
avrei ricevuto. Offri la mia confusione al divin Padre, e vidi la grande
confusione che avrebbero avuto i miei fratelli e seguaci nel dover soffrire
simili ingiurie e derisioni per amor del mio Nome; perciò volli soffrirne io
tutta la confusione e l'amarezza, acciò fosse raddolcita la confusione e l'amarezza
loro con la divina consolazione, che allora ad essi meritai dal divin Padre, con
la mia offerta. Fatto così animoso, di nuovo mi offri al divin Padre, pronto a
soffrire tutto con grande amore.
Appena uscito dalla casa di Erode, si udirono le fischiate e
i battimani di tutta la plebe insolente, che mi seguiva per schernirmi ed
oltraggiarmi, come bramavano gli Scribi e i Farisei, che a bella posta l'avevano
fatta adunare.
In questo viaggio ricevei degli affronti. Vi furono molti che
mi tiravano delle immondezze; e chi mi vedeva si faceva lecito di schernirmi ed
oltraggiarmi, gridando: Il matto, lo scimunito, lo stolto! Andavo io, sposa mia,
in questo viaggio, con la mia solita serenità di volto e molto più di cuore,
non avendo sdegno o passione con alcuno, sentendo solo l'amarezza grande per
le, offese, al divin Padre: perciò gli offrivo tutto, in sconto delle offese
che riceveva, supplicandolo di placare lo sdegno verso quella gente, che non
sapeva ciò che faceva, la quale era anche molto istigata dai demoni. Ed il
Padre si placava alle mie suppliche ed alle mie offerte.
Quando gli Scribi e i Farisei mi videro in quella figura e
con la veste derisoria trattato da pazzo, si rallegrarono molto. Dicevano: Oh,
come Iddio permette che siano adempiti i nostri desideri, e che tutti vedano che
costui è veramente un pazzo, un ambizioso, come noi per tale l'abbiamo sempre
conosciuto e predicato a tutti! Ecco che si verificano le nostre parole. Ora
vedrà la turba chi era lui, e chi siamo noi; se avevamo ragione di trattarlo
male, e di volerlo levare di mezzo! Restava per ciò molto offeso il divin Padre
ed adirato contro di loro, i quali andavano predicando, quali grazie e favori di
Dio, gli affronti che essi mi facevano, e tutto ciò che inventava contro di me
la loro malizia e l'odio che mi portavano. Essi, perfidi, mi disonoravano e mi
propalavano per un infame, per uno stregone, poi vedendo che la plebe aderiva
alle loro iniquità e alle loro ree passioni, dicevano che erano grazie che loro
faceva Iddio:con questo offendevano gravemente la divina bontà. Ed io gli
offrivo tutto, in sconto dei loro gravissimi peccati, supplicando il divin Padre
di placare lo sdegno; ed il Padre si placava; ma il mio Cuore, ferito dal
dolore, stava in continua amarezza.
ESORTAZIONE ALLA SUA SPOSA
Hai udito le molte ingiurie, gli strapazzi, le derisioni che
soffri in questi due tribunali, e come fui trattato da pazzo dall'iniquo
Erode; ed il silenzio che tenni. Impara a soffrire con pazienza ed a mantenere
il silenzio, tacendo specialmente nelle cose in cui non vi è la mia gloria e la
salute dell'anima tua, cioè, il tuo profitto spirituale. Ché se la carità
del prossimo lo richiedesse, allora devi parlare liberamente. Fuggi la vana
stima delle creature e per farlo meglio tieni celati i tallenti e le grazie, che
dalla liberalissima mano del divin Padre hai ricevuto godendo che altri ti stimi
sciocca e di poco talento, come vedi che feci io alla presenza di questo Re
superbo ed iniquo. Anche negli altri tribunali hai inteso che non feci mai
mostra della mia divina sapienza, ma per lo più tacqui, passandomela in
silenzio. Ti stia a cuore l'umiltà che io praticai, e vedi a quale stato di
abbassamento mi ridussi, essendo dalla plebe più vile maltrattato, ingiuriato,
affrontato. Mi umiliai, né mai feci atto di risentimento. Sappi, sposa mia, che
questa virtù è molto cara a me, per esser virtù mia propria. Quanto più la
praticherai, tanto più mi sarai gradita.
CAPO OTTAVO
Come il Figliuolo di Dio fu condotto di nuovo a Pilato, che
lo esaminò e ordinò poi che Gesù fosse flagellato. Fu anche coronato di
spine. Di ciò che operò nel suo interno sino a che fu condannato alla morte di
croce.
ZIMBELLO DI TUTTI
Essendo stato mandato da Erode a Pilato, ed avendo sofferto
in questo penoso viaggio ciò che hai inteso, arrivato in casa di Pilato, fui
anche qui ricevuto con fischiate e derisioni. I perfidi ministri facevano della
persona mia come una palla, sbalzandomi ora in una parte, ora in un'altra,
acciò tutti mi vedessero e si burlassero di me; tirandomi con le funi come una
bestia da macello; essendo essi come cani arrabbiati, e tentando di divorarmi
con le percosse, le ingiurie e gli strapazzi.
Mi mettevo spesso a riflettere sopra la dignità della mia
persona: facevo ciò per sentire maggior pena nel vedermi ridotto in quello
stato. Offrivo tale pena al divin Padre in sconto delle offese che riceveva
nella persona mia, da Lui infinitamente amata. Gradiva il Padre mia le offerte,
che gli facevo con un Cuore tutto amore, soffrendo volentieri per soddisfare la
divina giustizia e placare l'ira paterna. Soffrivo con amore anche per la
salute di tutti i miei fratelli, e bramavo che i miei seguaci soffrissero i
propri travagli con amare ed allegrezza, perché così facendo sono graditi al
Padre. Perciò gli offrivo l'amore e l'allegrezza con cui li soffrivo io, e
per il compiacimento che ne aveva, lo pregavo di dare ai miei seguaci il
sentimento e la buona volontà, di soffrire tutto con amore e con allegrezza,
per adempire la divina volontà, e per far cosa grata al divin Padre. Vidi che
il Padre non avrebbe mancato di dare un tale sentimento a tutti, e che molti se
ne sarebbero approfittati: di ciò gli resi grazie. Intesi però dell'amarezza
nel vedere che molti se ne sarebbero abusati, privando se stessi del merito, ed
il divin Padre del compiacimento e del gradimento.
INTERROGATORIO DI PILATO
Arrivato alla presenza di Pilato, mi derise anche lui, e si
burlò dei me nel vedermi con quella veste. Sentendo che Erode mi aveva
rimandato a lui, perché non sapeva che fare di me, tenendomi per un insensato e
trattandomi da pazzo, si pose ad esaminarmi. Tiratomi in disparte mi esaminò
più sottilmente. Vedendo che da principio non gli davo risposta, mi disse che
pensassi che lui aveva potestà di condannarmi o di lasciarmi in libertà. Alle
quali parole risposi, che lui non avrebbe avuto potestà alcuna sopra di me, se
non gli fosse stata data dall'alto. Volli con questa parola fargli conoscere,
che se il Padre mio non avesse voluto, lui non avrebbe avuto potestà di
condannarmi. Restò Pilato ammirato della risposta, ed ebbe un chiaro lume da
conoscere la mia innocenza. Fece riflessione all'invitta pazienza e alla mia
tolleranza, e tornò ad interrogarmi, se veramente ero il Re dei Giudei, e se
pretendevo il regno, come essi mi accusavano. Io risposi che il mio regno non
era dì questo mondo. A queste parole Pillato rimase molto più persuaso della
mia innocenza, ed ebbe in animo di liberarmi dalla morte. Ebbe tanto lume, che
se vi avesse corrisposto si sarebbe potuto convertire e riconoscermi per quello
che ero. Ma lo disprezzò. Con tutto ciò disse agli Ebrei, che non trovava in
me causa alcuna per la quale mi potesse condannare alla morte, come essi
volevano: perciò mi prendessero e mi condannassero conforme la loro legge, e
giudicassero loro la mia causa. A queste parole, i Farisei infuriati
incominciarono a fremere, e parlarono arditamente a Pilato, minacciando di
volerlo accusare a Cesare. Ebbe timore Pilato, delle loro minacce, ma con tutto
ciò, perché conosceva la mia innocenza, non volle condannarmi. Disse loro: Che
male ha fatto? perché volete che lo condanni alla morte? I perfidi Farisei
arditamente gli risposero, che ero un malfattore, che meritavo la morte, e che
se non fossi stato tale essi non mi avrebbero dato nelle sue mani. Conobbe
Pilato la loro malignità verso di me e l'odio fierissimo che mi portavano,
perciò si turbò molto, ma non volle per allora condannarmi a morte, cercando
di placarli, col farmi flagellare. Ebbe però l'intenzione, se non si fossero
placati, dopo che fossi stato flagellato, di condannarmi, come essi chiedevano.
Perciò ordinò che fossi legato alla colonna e battuto. In tutto questo fatto
soffri nel mio Cuore grande amarezza e dolore per le offese al divin Padre, e
per tutto ciò che si rappresentava alla mia mente. Stavo alla presenza di
Pilato come reo e malfattore. Vedevo allora tutti coloro che sarebbero stati
giudicati dai giudici cattivi e perfidi, e quanti imputati sarebbero stati
condannati a gravi patimenti da quelli che hanno maggiore reità di loro. Vidi i
lumi divini che il Padre avrebbe dato a questi empi, acciò conoscano la loro
reità, e come spesso i giudici siano più colpevoli di quelli che devono
condannare. Vidi ancora che avrebbero sprezzato i lumi divini, abusando della
grazia. Intesi perciò grande amarezza. Vidi pure che non solo i rei sarebbero
stati sottoposti a molto patire dai giudici cattivi, ma che anche gli innocenti
sarebbero soggiaciuti a gravi tormenti. Di ciò ne intesi maggiore amarezza, e
per essi pregai il divin Padre, onde avesse dato loro la sua grazia e la forza
di soffrire tutto a mia irritazione. In tutti i miei patimenti, rimiravo la
moltitudine delle offese, che avrebbero fatto i miei fratelli al divin Padre, e
per ciascuno di essi gli davo la debita soddisfazione e molto più, perché una
sola delle mie pene sarebbe bastata a soddisfare per tutti, come anche una
goccia del mio sangue. Ma io lo volli spargere tutto e volli soffrire ogni sorta
di dolori e di tormenti, per far vedere ai miei fratelli quanto amavo il Padre e
quanto amavo anche loro. E volli lasciare ad essi un vivo esempio, affinché mi
avessero imitato, ed avessero patito molto per la gloria del mio divin Padre e
per la loro eterna salute. Nel vedere tutti quelli che mi avrebbero imitato,
resi grazie al Padre e lo pregai per essi del suo aiuto. Intesi ancora dell'amarezza
per la moltitudine di quelli che sarebbero andati, non solo molto lontano dagli
esempi che ho loro lasciato, ma che ne sarebbero vissuti del tutto dimentichi.
LA FLAGELLAZIONE
I1 presiedente Pilato ordinò per me le battiture con verghe,
come si costumava di fare allora verso coloro che avevano commesso qualche
delitto, che non li facesse rei di morte, onde si correggessero dei loro falli.
Con questo voleva che anch'io mi correggessi di quelle cose di cui mi
accusavano i Farisei, sperando nello stesso tempo che si placasse il furore dei
medesimi. Furono contenti i Farisei che Pilato mi avesse con dannato ai
flagelli, perché avessi anche quell'ignominioso tormento. Dicevano fra di
loro: Adesso lo condanna ad esser battuto; di qui a poco lo condannerà ad esser
crocifisso. E risolvettero di non partire, fintantoché Pilato non mi avesse
condannato alla morte. Difatti riuscì loro, perché tirarono Pilato al loro
volere a forza di minacce.
IL DENUDAMENTO
Avendo avuto, i perfidi ministri, l'ordine di battermi, si
armarono di fierezza, e, condottomi al luogo destinato, mi fecero circolo d
intorno, ordinandomi che mi spagliassi non solo della veste bianca, che mi
avevano posto indosso, ma anche dei miei vestimenti. Oh qui sì, che restò
ferito il mio Cuore più che mai! Anche la mia umanità intese un sommo
rincrescimento. Intanto la divina giustizia voleva restar soddisfatta di tutte
le offese che avrebbe ricevuto dai miei fratelli contro la purità. Essendomele
io addossate tutte, e dovendo soddisfare per tutti, chinai la testa e mi esposi
a quella somma confusione ed erubescenza. Difatti ubbidii ai fieri manigoldi.
Due volte soffrii la somma confusione di essere spogliato affatto delle mie
vesti: una fu alla colonna, per soddisfare le molte e gravi offese che i miei
fratelli avevano ed avrebbero fatto al mio divin Padre, peccando contro la
purità. La seconda volta restai spogliato affatto sul Calvario, alla vista di
tutta la gente. Qui senti maggiore confusione, perché fui fatto morire in tal
modo, in alto sulla croce. Questo fu per pagare la divina giustizia per i
peccati che contro la purità avrebbero commesso tutti coloro che sono
consacrati al culto divino. E siccome questi sano di più grave offesa al Padre,
così fu a me di maggiore confusione e di più grave tormento. Avendo ricevuto l'ordine
dai manigoldi di spogliarmi, mi levai la veste bianca, e la strinsi al petto,
dicendo al divin Padre: Ecco, o Padre, che il vostro Unigenito è stato ritenuto
pazzo, e l'eterna Sapienza è stata derisa e oltraggiata. Perciò di nuovo io
vi offro questa grave ingiuria, in sconto di tutte le offese che su questo
particolare ricevete dai miei fratelli. Per questa mia sofferenza vi supplico di
dar lume a tutti quelli che si comportano da veri pazzi, lasciando Voi, fonte di
ogni bene, per andar dietro alle pazzie del mondo fallace ed ingannatore.
Perciò, vi prego, o mio divin Padre, di volervi degnare di dare a tutti una
vera sapienza, cioè il lume da conoscere le pazzie del mondo ingannatore, onde
si rivolgano a voi, vera fonte di sapienza. Vidi, che il Padre mi avrebbe
consolato, facendo ciò di cui lo pregavo. Vidi tutti quelli che avrebbero
approfittato de1 detto lume, e ne resi grazie al Padre. Intesi però dell'amarezza
nel vedere il gran numero di quelli che ne avrebbero abusato. Nello spogliarmi
della mia veste, si rappresentarono alla mia mente tutte le anime, che si
sarebbero spogliate della bella veste dell'innocenza per mezzo della colpa, e
ne intesi una somma amarezza. Rivolto ad esse, dissi loro: Ah, incaute! per voi
ora soffro così grave confusione e tormento! Almeno, giacché io patisco tanto,
ve ne sapeste approfittare col tornare a penitenza!
Nel levarmi la veste mi ricoprii tutto di un verginale
rossore. Vidi anche tutte le vergini, che sarebbero state tormentate sopra
questo particolare, e di cui sarebbe stata molto insidiata la purità. Per esse
pregai il divin Padre, acciò avesse dato loro fortezza e spirito da soffrir
tutto ed uscir vittoriose, in virtù di ciò che allora io soffrivo. E vidi, che
il Padre l'avrebbe fatto, assistendole e proteggendole con paterna cura. Di
ciò resi grazie al divin Padre, anche per parte loro.
Spogliato delle mie vesti, tutti quei perfidi incominciarono
a deridermi, dicendo: Ecco quello che pretende di essere Re! Vedendo il mio
corpo tutto ricoperto di un verginale rossore, dicevano: Veramente questo
rossore è la porpora reale da te meritata. Ed in questo dicevano il vero,
benché in altro senso. Si doveva la porpora verginale alla mia innocenza, come
Re delle vergini. Ecco qua, mi dicevano, la tua ricchezza, le facoltà del tuo
regno: un'estrema povertà e nudità! Anche in questo dicevano il vero:
perché io sono i1 Re di coloro che vivono in povertà e nudità di spirito,
distaccati da tutto. Tali appunto devono essere i miei seguaci, i quali militano
sotto la mia bandiera. Rivolto al Padre lo pregai, per la mia nudità, che si
volesse degnare di dar lume a tutti i miei fratelli e seguaci, acciò conoscano
come devono spogliarsi,di tutto, per seguire me, e con il lume desse loro anche
la grazia di poterlo fare. E vidi, che il Padre l'avrebbe fatto. E vidi ancora
tutti quelli che se ne sarebbero approfittati e l'avrebbero messo in pratica;
di ciò lo ringraziai. Intesi però dell'amarezza nel vedere il numero grande
di quelli che se ne sarebbero abusati, e non sarebbero mai arrivati ad un totale
distacco da tutte le cose, e ad una vera nudità di spirito; quindi non
sarebbero mai giunti and uno stato di vera perfezione, come io desideravo.
Rivolto al Padre lo pregai di nuovo di illuminarli e far loro conoscere, che per
seguirmi, devono spogliarsi dei tutto, anche di se stessi. Vidi che il Padre
avrebbe dato loro un nuovo lume, e per questo e per una maggiore grazia, che
pure avrebbe dato, molti si sarebbero approfittati. Di ciò resi grazie al
Padre. Intesi però dell'amarezza, nel vedere che molti ancora si sarebbero
abusati.
Essendo così spogliato, ed avendomi i perfidi molto
schernito, vidi tutti quelli che per imitarmi sarebbero stati scherniti e
motteggiati dagli empi, perciò offri i miei scherni al Padre pregandolo di
volersi degnare di dare a tutti una grazia particolare, in virtù di ciò che io
soffrii, affinché avessero sopportato con pazienza tutte le derisioni e gli
scherni, che in circostanze simili loro sarebbe convenuto soffrire. E vidi, che
il Padre l'avrebbe fatto ed io lo ringraziai anche per parte di tutti.
LA CARNEFICINA
Mentre stavo, in tal modo, aspettando di esser legato alla
colonna, non ardivano gli empi di toccare il mio corpo verginale denudato,
perché sentivano dentro di sé un gran timore: credettero che fosse per
naturale compassione; perciò, fattisi animo ed istigati molto più dai demoni,
mi si avventarono addosso come cani arrabbiati. Mi legarono fortemente alla
colonna, con le mani incrociate, cioè una sopra l'altra, stringendo tanto la
fune, che i miei polsi rimasero risegati dalla legatura, e si gonfiarono le mani
con mio grande patimento. Essendo stato legato, incominciarono, i più fieri e
barbari, a battermi con verghe e funi nodose, e con gravide violenza, mi
pestarono tutto il corpo, senza pietà e compassione. Sentivo un estremo dolore,
perché oltre la delicatezza della mia umanità, ero anche tutto pesto per le
percosse avute, onde i colpi mi si rendevano più sensibili e dolorosi.
Offrivo ogni colpo al divin Padre, per pagare i debiti di
tutti i miei fratelli e di ciascuno in particolare, secondo le loro offese.
Domandai aiuto al divin Padre, per poter soffrire così dura carneficina: in
verità vi sarei morto, se il Padre non avesse fatto il miracolo di conservarmi
in vita per più patire. Mentre stavo ricevendo i fieri colpi, invitavo tutti i
miei fratelli e seguaci a venire in questo luogo a contemplarmi. Allora li
invitavo, acciò poi vi fossero venuti. Invitavo anche tutti i peccatori,
dicendo loro: Venite voi tutti, che con tanta facilità offendete il divin Padre
! Venite e vedete, quanto care costano a me le vostre soddisfazioni illecite e
le vostre colpe! Venite anche voi tutti, miei seguaci, e vedete quanto cara mi
costa la vostra eterna salute! Venite, tutti, venite! Rimirate il vostro
fratello, Dio e uomo, quanto per voi patisce! Così dicendo, vedevo tutti quelli
che mi avrebbero contemplato in queste pene, e la compassione che di me
avrebbero avuto. Vidi, inoltre, che molte anime amanti si sarebbero appassionate
per i miei dolori. Vidi tutti coloro che, per mio amore, avrebbero battuto e
flagellato il proprio corpo per imitarmi nel patire. Vidi anche tutti i
peccatori, che sarebbero accorsi all'invito, ma per più tormentarmi, perché
non avrebbero avuto che un pensiero di passaggio, senza aver di me compassione.
Sentivo estremo cordoglio nel vedere quelli, per cui maggiormente pativo, che
appena avrebbero rivolto io sguardo verso di me, perciò con essi mi lagnavo: Ah
crudeli e spietati! dicevo loro: è possibile, che tante pene, tanti dolori,
tanto sangue, non vi muovano a compassione? Eppure sapete che soffro per voi!
Rivolgevo sempre il pensiero al divin Padre, pregandolo di avere compassione
delle loro anime. E per il sangue, che per. essi spargevo con tanto amore, lo
pregavo di perdonar loro.
Essendo ormai tutto pesto il mio corpo, incominciò a versare
sangue in gran copia. Mi sentivo mancare per il dolore e per la debolezza, ne vi
era chi mi desse soccorso. Quei crudeli ministri si stancavano e si davamo il
cambio, subentrando gli uni agli altri. Si posero in animo di far macello del
mio corpo, battendo con rabbia e furore: se tante percosse mi avevano dato per l'addietro,
senza che alcuno desse loro licenza, puoi pensare quante me ne diedero quando
dal presidente fu loro ordinato. Stavano quivi in disparte anche figli Scribi e
i Farisei, istigando i manigoldi, perché facessero a gara a chi mi potesse
percuotere, per fare ad essi cosa grata. Il sangue scorreva in terra ed era da
me rimirato ed offerto al Padre. Dicevo: Questo sangue sarà la lavanda delle
anime che vi ricorreranno, per essere mondate dalle loro colpe. Quelli stessi
che mi flagellavano, erano tinti del mio sangue, il quale schizzava sopra di
loro. Di ciò sentivo grande amarezza, perché il sangue che sopra di loro
cadeva, serviva ad essi per maggiore condanna. Allora si rappresentavano alla
mia mente tutte le anime infelici, per le quali il mio sangue si spargeva per
loro maggiore condanna, perché non se ne sarebbero volute approfittare. Vedendo
calpestato il mio sangue, che scorreva in terra, da quei barbari, si
rappresentavano alla mia mente tutti quelli che avrebbero calpestato il sangue
mio con le loro iniquità: di ciò sentivo grande dolore. Pensavo che una sola
stilla di quel sangue era di tanto valore, che sarebbe stato sufficiente a
riscattare tutto il genere umano, e nel vederlo tanto conculcato e disprezzato,
ne sentivo un grande cordoglio. Rivolto al Padre Io supplicavo, dicendogli:
Padre mio, vi offro questo sangue, sparso con tanto amore, per la salute di
tutto il mondo, e vi supplico, per i suoi meriti e per il suo valore, di dare ai
miei fratelli tutte le grazie che sono loro necessarie, per la loro eterna
salute. E come io non risparmio fatiche e patimenti, così voi non lasciate di
dare ad essi ciò che è necessario e molto più, onde tutti quelli che
vogliono, si possano salvare. Mi udiva il divin Padre e mi esaudiva, ed io lo
ringraziavo a nome di tutti. Sentivo però dell'amarezza nel vedere il numero
grande di quelli che ne avrebbero abusato.
Essendo il mio corpo ridotto quasi tutto ad una piaga,
scorrendo gran copia di sangue in terra, ed essendo stanchi, i manigoldi
temettero che morissi, perciò lasciarono di battermi: perché temevano che non
fossi arrivato a lasciare la vita sopra la croce, come bramavano. Si erano però
messi in cuore di ridurmi ad uno stato tale che non potessi più sopravvivere,
se mai il presidente avesse negato di sentenziarmi alla morte, perché ne
stavano con qualche timore. Dicevano: Se mai il presidente lo lasciasse in
libertà, non ha da esser più uomo. Difatti mi ridussero ad uno stato, che l'umanità
mia, se non fosse stata sostenuta dalla divinità, non avrebbe potuto più
vivere. Tante furono le percosse e gli strapazzi che mi fecero.
Vedendo che quei barbari non si saziavano mai di tormentarmi,
senti grande amarezza; tanto più che si rappresentarono alla mia mente quelli,
che hanno, tanta crudeltà verso i loro prossimi, che non si saziano mai di
travagliarli e di perseguitarli. Onde rivolto al Padre lo supplicai di valersi
degnare di illuminarli, facendo conoscere il grande male che fanno, e la
crudeltà che usano verso i loro prossimi. Vidi, che il Padre avrebbe dato loro
il lume da poterlo conoscere, e la grazia di emendarsi, e che alcuni se ne
sarebbero approfittati. Di ciò ne resi grazie al Padre. Vidi però il numera
grande di quelli che ne avrebbero abusato e ne intesi grande amarezza. Supplicai
il divin Padre di volersi degnare dei dare pazienza a tutti quelli che sarebbero
stati perseguitati dagli empi. Vidi che il Padre l'avrebbe fatto ed io lo
ringraziai.
IL RE DEI DOLORI
Sciolto pertanto dalla colonna, caddi in terra sopra il mio
proprio sangue. Caddi per l'estrema debolezza a cui era ridotto il mio corpo.
Eppure a tal vista quegli spietati non si mossero a compassione; vedendomi così
in terra più morto che vivo, non vi fu chi si movesse ad aiutarmi, acciò mi
fossi potuto rialzare. Anzi, quel ministro crudele e spietato, chiamato Malco,
mi diede delle bastonate e dei calci. O quanto, sposa mia, intesi la crudeltà
di quel ministro, che era stato da me beneficato poche ore prima, nell'orto di
Gethsemani, avendogli risanato l'orecchio tagliato. Fu lui che più d ogni
altro mi percosse e maltrattò. Vedendomi così in terra, tutto una piaga,
ricoperto del mio proprio sangue, tornarono di nuovo a schernirmi. Mi dicevano:
Oh, questa sì che è una porpora che ti sta bene, fatta dal tuo sangue ! Ora
sì, che sei veramente il Re che pretendi di essere! Difatti, dicevano il vero:
perché io bramavo di essere il Re dei dolori, per acquistare l'eterno regno a
tutti i miei fratelli.
Soffrivo tutte le derisioni, le ingiurie, le molte e spietate
percosse, senza dire neppure una parola, o fare un atto di dispiacimento. Eppure
tanto silenzio, tanta pazienza e tanta mansuetudine, non mosse mai a compassione
quei perfidi e duri cuori: se fosse stata una bestia ne avrebbero avuto pietà.
Solo per me non vi fu chi avesse un atto di compatimento. Grande sollievo è per
chi patisce, l'essere compatito. Ma io, anche di questo mi volli privare,
perché le mie pene, fossero pure, volendo con questo meritare il sollievo e la
consolazione dei miei fratelli nei loro patimenti, nelle loro angustie ed
afflizioni. Perciò tutto offrivo al Padre supplicandolo delle dette grazie, non
escludendo da esse nessuno.
BURLE CRUDELI
Stando così in terra, né potendomi rialzare, mi ordinarono
che mi rivestissi con le mie vesti, le quali stavano in terra. Si prendevano
giuoco, con i calci, di gettarle ora da una parte ora dall'altra, per vedermi
andare carponi per terra a prenderle. Perciò rivolto al divin Padre, lo pregai
del suo aiuto, per potermi rialzare. Ed alzatomi mi rivesti della via veste, la
quale subito si attaccò a tutto il mio corpo piagato.
Vedendomi ridotto a tale stato, puoi credere quanto fosse
grande l'amarezza del mio Cuore, riflettendo alla dignità della mia persona,
tanto avvilita, vilipesa, oltraggiata e tutta impiagata. E vero, che godevo di
patire per l'amor grande che portavo al genere umano, ma l'amarezza del mio
Cuore era molto grande, nel vedere che questo amore sarebbe stato tanto
conculcato e sì malamente corrisposto; quei fieri e crudeli manigoldi, mi
rappresentavano tutti i peccatori ostinati, che avevo sempre presenti, e per cui
tanto pativo. E benché soffrissi per tutti, nondimeno gli ostinati accrescevano
le mie pene e l'amarezza del mio Cuore.
INCORONAZIONE DI SPINE
Stavano le furie infernali molto confuse, nel vedere tanta
fortezza, tanta pazienza e mansuetudine in me, né potevano capire donde potesse
ciò venire. E dicevano: Questi non è puro uomo: se fosse puro uomo non
potrebbe soffrire tanto. Che sia il Figlio di Dio? Non può essere mai che un
Dio si assoggetti a tante pene ed a tanti oltraggi. E dicevano: Chi sarà mai? E
per indagarlo, cuggerivano ai manigoldi nuove invenzioni da tormentarmi,
dicendo: Qualche segno alla fine darà, acciò noi possiamo intendere chi sia.
Difatti, avevano suggerito ai manigoldi di tormentarmi
maggiormente. Mentre quelli che mi avevano flagellato si stavano prendendo gioco
di me, altri andarono a formare una corona di acutissime spine, ed altri a
cercare una porpora vecchia, tutta lacera. Questo fu per consiglio dei Farisei,
avendolo suggerito ad essi il nemico Infernale, onde mi vestissero da Re di
scherno, perché dicevano che pretendevo di essere loro Re. Volevano essi farmi
comparire da Re, perché tutti mi schernissero, e così condurmi alla presenza
di Pilato, in figura di Re, ma con la stima che essi ne facevano, cioè di Re
finto e da scherno.
Difatti, trovata la porpora, e formata la durissima corona di
acute spine, vi fecero sopra delle risate, saltando e battendo le mani per la
nuova e dolorosa invenzione. Non avevano, i perfidi, licenza alcuna di trattarmi
in tal modo e di maltrattarmi con tanta empietà ma si facevano lecito di fare
tutto ciò che volevano sopra la mia persona, perché avevano gli Scribi e i
Farisei dalla loro. Io era solo, né avevo nessuno per me, né vi era uno solo
che difendesse la mia causa, e chi li riprendesse per tanta empietà. Eppure
nella città molti da me erano stati beneficati, molti ancora eseguivano la mia
dottrina. Ma tutti questi stavano ritirati per timore dei Farisei. Vedendo
allora quelli che avrebbero patito molto, senza che vi fosse alcuno che di loro
avesse avuto pietà e compassione, e che nelle loro pene e travagli sarebbero
stati da tutti abbandonati, ne intesi grande amarezza. Pregai il divin Padre,
acciò si fosse degnato di consolarli, difenderti e liberarli. Vidi che il Padre
l'avrebbe fatto con somma provvidenza. Vidi anche il. premio preparato a chi
in tal modo patisce, e ne resi grazie al divin Padre.
LA PORPORA
Avendo i perfidi preparato tutto per vestirmi da Re di
scherno, mi condussero in un'altra stanza, ordinandomi che mi fossi di nuovo
spogliato della mia veste, la quale era tutta attaccata con il sangue coagulato.
Intesi molto rincrescimento, nel dovermi di nuovo togliere la veste, per il
dolore che di nuovo dovevo sentire; ma offrendomi al Padre, pronto a far tutto,
gli domandai il suo aiuto e con stento e dolore intenso, mi levai la veste.
Difatti mi posero indosso la lacera porpora.
Nel togliermi la mia. veste, offri quel dolore al Padre,
pregandolo di dare ai miei fratelli, specialmente a tutti i miei seguaci,
fortezza, virtù e grazia da spogliarsi affatto dell'amor di se stessi, della
carne e del sangue, per poter speditamente seguirmi per la via da me calcata e
ad essi insegnata. Vedendo che per far questo ci vuole una grazia particolare,
più volte ne pregai il divin Padre in modo speciale, e vidi, che il Padre l'avrebbe
fatto. Vidi tutti quelli che se ne sarebbero prevalsi, e per il dolore che
soffri, pregai il Padre di dare ad essi la consolazione in tale distacco.
Vedendo che il Padre l'avrebbe fatto, gliene resi le grazie, anche per parte
loro. Intesi però dell'amarezza, nel vedere il numero grande di coloro che
avrebbero abusato di tanta grazia.
LA CORONA DI SPINE
Avendomi vestito con la porpora, la quale pure si attaccò
alle mie piaghe, mi fecero sedere, tirandomi per i capelli e percuotendomi.
Stavo a sedere,non già per mio riposo, ma per loro comodità, perché mi
potessero porre in testa la corona di spine, la quale era fatta in modo, che mi
coprisse tutta la testa. Intese rincrescimento la mia umanità alla vista di
questa tormento; ma l'amore con cui pativo, subito mi faceva abbracciare tutto
con allegrezza, domandando però sempre al Padre il suo aiuto, sì da poter
soffrire ogni tormento.
Stando a sedere, ricoperto con la porpora, mi posero in testa
la corona di spine, e parte con le mani ferrate, parte con i bastoni, la
calcarono con grande forza sopra il mio capo: restando la fronte, le tempie e
tutto il capo traforato. Fu così acerbo il dolore che intesi in questo aspro
tormento, che sarei morto, se il Padre non mi avesse sostenuto, facendo che la
divinità unita a me, mi servisse per conservare in vita la mia umanità, e
darle forza da soffrire.
In questa dolorosissima incoronazione, tutto il mio corpo si
riempì di un acerbo dolore, in modo che le fierissime punture che sentivo nella
testa, le sentivo anche per tutta la vita, esacerbandosi le mie piaghe, e
sentendo un tremare in tutte le membra, per l'eccessivo tormento. Il sangue,
in gran capi, scorreva per tutto il corpo dalla testa piagata. Si riempirono i
miei occhi, la bocca, né mi potevo asciugare, perché mi avevano legate le
mani. Non morii, ma soffri i dolori della morte penosa, che avrei fatto, se la
divinità non mi avesse sostenuto.
Nella circostanza dell'incoronazione, invitai di nuovo
tutti i miei fratelli, affinché venissero a contemplarmi, e vedessero quanto
soffrivo per loro amore, e quanto care mi costavano le loro colpe. Vidi tutti
quelli che sarebbero accorsi per contemplarmi ed imitarmi, e che avrebbero
compatito le mie pene, ed a questi impetrai molte grazie dal divin Padre. Vidi
inoltre tutti coloro che sarebbero accorsi, ma per più tormentarmi, come fecero
gli spietati Ebrei, che con moltiplicate offese accrescevano a me il dolore. Per
questi pregai il divin Padre a perdonare. Sentendo poi le asprissime punture, si
rappresentarono alla mia mente tutti quelli, che con i superbi ed indegni
pensieri, avevano la maggior parte nei miei aspri dolori. Di essi mi dispiacevo,
per vederli senza compassione alcuna verso di me, che tanto pativo per loro, e
ne sentivo un aspro dolore. Mi crucciava poi l'offesa del divin Padre, ed a
Lui mi offrivo in quella forma sì dolorosa. Vedevo il Padre adirato col
peccatore, e lo supplicavo a voler placare lo sdegno, in virtù del mio patire,
che offerivo in sconto di tutte le offese che riceveva; ed il Padre si placava.
Rivolto poi a tutte le anime a me fedeli, che pure avevo
presenti alla mia mente, le invitavo a seguirmi ed imitarmi nelle mie pene. Vidi
tutti quelli, che molto avrebbero patito per amor mio, e ne intesi compassione,
e supplicai il divin Padre a dar loro copiosa mercede, per quanto avrebbero
sofferto per mio amore. Lo supplicai anche, per il dolore che sentirono tutte le
membra del mio corpo nel tormento, e che per la dura incoronazione soffriva il
mio capo, di volersi degnare di dare un sentimento di dolore e di compassione a
tutti i miei fratelli, membra mistiche di me, loro Capo. Vidi, che il Padre l'avrebbe
dato. Vidi anche, che tutti quelli che sarebbero stati uniti, membri di me, loro
Capo, avrebbero inteso il dolore e la compassione vera e cordiale. Intesi però
dell'amarezza, nel vedere la moltitudine di coloro che, come membri recisi dal
mio corpo, per la colpa, non avrebbero avuto né dolore, né alcun sentimento di
compassione per le mie pene: molto mi afflisse la loro crudeltà ed
ingratitudine.
Domandai poi al divin Padre le grazie per tutti i miei
fratelli, che avessero avuto volontà di fuggire la colpa, affinché li avesse
assistiti con la sua divina grazia, dando loro forza di resistere a tutti i mali
pensieri di superbia, di vendetta, e. di tutto ciò che è sua offesa. Vidi, che
il Padre sarebbe stato pronto a dare ad essi la suddetta grazia. Vidi tutti
quelli che se ne sarebbero prevalsi, ne resi grazie al divin Padre; intesi però
dell'amarezza per tutti quelli che se ne sarebbero abusati. Vidi la
moltitudine di coloro, che, in questo campo, avrebbero commesso ogni sorta di
colpa, senza alcun ritegno, non facendo conto alcuno dei molti e gravi peccati,
che con i loro pensieri, continuamente fanno. Ed oh, quanto fu grave il mio
dolore e l'amarezza dèl mio Cuore, per queste sì gravi offese! Rivolto al
Padre lo pregai per il mio grande dolore, a volersi degnare di dar loro un nuovo
lume e maggior grazia. E vidi, che il Padre lo avrebbe fatto, e che alcuni se ne
sarebbero approfittati e si sarebbero ravveduti: di ciò resi grazie al Padre
mio. Intesi però dell'amarezza nel vedere la moltitudine di coloro che si
sarebbero abusati anche di questo.
LA CANNA
Stando così coronato, afflitto, e pieno di amarezza, quei
barbari mi fecero un nuovo affronto, mettendomi in mano una canna per scettro
regale: acciò in tutto e per tutto comparissi Re finto e da scherno. Intese
molta amarezza il mio Cuore anche per questo scherno. In quella canna, vidi
tutti quelli che sarebbero instabili nel divino servizio, vuoti d ogni virtù, e
pieni di leggerezza. Nel veder tali anime, che dichiarandosi della mia sequela a
parole, ma con i fatti stando lungi da me, avrebbero dato occasione a molti di
deridere e mettere in scherno le cose del divino servizio, ne intesi amarezza.
Rivolto al Padre lo pregai di illuminarle facendo loro conoscere il loro errore.
Giacché stanno nelle mie mani, giacché si dichiarano della mia sequela, si
pongano ad operare con senno; lascino le leggerezze e si applichino alla pratica
delle vere virtù. E vidi, che il Padre non avrebbe mancato di dare loro il
detto lume, e che alcune se ne sarebbero approfittate, e operando con senno si
sarebbero stabilite nel divino servizio e nella pratica delle vere virtù: per
loro resi grazie al Padre. Intesi dell'amarezza nel vedere la moltitudine di
quelle che se ne sarebbero abusate. Esse, non facendo conto dei lumi divini,
sarebbero restate sempre nel loro misero stato, piene di vanità, di leggerezze
e vuote affatto di ogni virtù.
IL RE DEI DOLORI
Avendomi quei perfidi, così accomodato, si posero tutti
sconciamente a ridere ed a schernirmi, chiamandomi il falso Re. Dicevano: Oh.
adesso sì, che sei veramente Re come ti sei proclamato! Difatti dicevano il
vero, perché nel mondo altro non pretesi che di adempire la volontà del Padre
mio, di patire tutti i tormenti per soddisfare la divina giustizia per tutti i
peccati, ed essere Re dei dolori, acciò tutti i miei seguaci prendessero
esempio da me e si animassero a patire molto per l'acquisto della gloria, che
ad essi meritavo con tante pene e tormenti.
Vedendomi ridotto a stato sì deplorevole, dissi all'amore
che ardeva nel mio Cuore: Sarai ormai contento, giacché sono ridotto a tale
stato. Vedendo che le brame dell'amore ancora non erano soddisfatte, e che
molto più desideravano di patire, mi animai a soffrire maggiore pena e più
gravi tormenti. Rivolto al Padre lo supplicai, con dirgli: O mio divin Padre!
giacché l'amare che arde nel mio Cuore ha una fame insaziabile, di sempre
più patire, per mostrarvi la sua grandezza, fate che questo infinito amore,
così bramoso di pene, penetri nel cuore dei miei fratelli, onde anche essi
siano avidi di patire, per far conoscere a voi l'amore che vi portano. Vidi,
che il Padre mio non avrebbe mancato di adempire questa mia domanda, e che tutti
i cuori che avrebbero racchiuso in sé questo beato incendio, non si sarebbero
saziati mai di patire, cercando sempre nuove invenzioni di pene, per testificare
al divin Padre l'amore che gli portano, ed imitare me, loro Redentore. Di
questo resi grazie al divin Padre. Intesi però dell'amarezza, ed oh quanta!
nel vedere la moltitudine dei cuori, che, per esser pieni dell'amore del mondo
e di se stessi, chiudono affatto la porta al divino amore, perciò non sanno
bramare altro che delizie, spassi e piaceri, fuggendo il patire. A questi cuori
feci sentire i miei rimproveri, chiamandoli ingrati ed infedeli, perché vanno
sì lungi, dall'acquisto dall'amore del divin Padre. Essendo essi tanto
amati dal divin Padre e da me, che tanto pativo per loro amore, corrispondono
con ingratitudine e disamore.
IL LUDIBRIO DI TUTTI
Stavo dunque a sedere, ricevendo molte ingiurie e scherni,
dai fieri ministri, i quali erano molti; perché tutti i servi più vili di
Anna, di Caifa e di Erode mi seguivano per schernirmi ed oltraggiarmi; vi erano
poi i manigoldi, la sbirraglia, e la gente più vile. I Farisei stavano fuori.
in disparte ed attizzavano i ministri di giustizia, affinché mi avessero sempre
più maltrattato. Anche essi vomitavano contro di me imprecazioni, ingiurie e
bestemmie esecrande. I demoni si affaticavano molto ad istigare tutti quei
perfidi, e suggerire loro sempre nuove invenzioni per più tormentarmi.
Fremevano molto nel vedere la mia invitta pazienza e tolleranza, e pur non
potendo arrivare a capire, se fossi il vero Figlio di Dio, ne dubitavano molto
per i segni che in me vedevano. Non potevano però trattenersi di non operare
conforme la loro malizia e perversità, che è di procurare sempre che tutti
facciano del male. Però, quantunque avessero grande timore e sospetto, che io
fossi veramente il Messia, con tutto ciò, istigavano i ministri di giustizia, i
Farisei, la plebe, e tutti contro di me, procurando che ognuno mi oltraggiasse e
gravemente offendesse Iddio nella persona mia, perché conoscevano chiaramente
la mia santità ed innocenza.
Suggerirono, i perversi ribelli spiriti, ai ministri, un
nuovo atto di scherno verso di me: che ognuno di essi mi venisse a prestare
ossequio con quegli atti di disprezzo, che sa inventare la malizia diabolica.
Difatti, incominciarono a venire avanti a me ad uno ad uno per salutarmi come
loro Re. Fu questo da tutti applaudito, quantunque avessero molta fretta,
perché i Farisei si volevano sbrigare, facendomi presto morire. Ma siccome si
trattava di tormentarmi e di schernirmi, non si curavano troppo di perdere
tempo. Chinando ognuno il ginocchio, mi dicevano: Ti saluto Re dei Giudei. E
schernendomi, mi percuotevano. Ognuno fece a gara a chi più mi sapeva
schernire. Alcuni mi tiravano la barba e mi sputavano in faccia, altri mi
tiravano i capelli, con mio grande tormento; altri mi tiravano le orecchie,
alcuni mi davano calci e pugni, altri delle bastonate, altri ancora mi
scuotevano la vita e mi torcevano la testa. Pigliando la corona di spine per una
punta, la giravano, e così mi torcevano il collo in tutti i modi. Io sentivo un
asprissimo tormento, ma quando mi pigliavano per la corona, mi si rendeva molto
più doloroso, perché le spine mi tormentavano. Chi mi dava dei pugni sulle
spalle, sul petto, sulle braccia; chi le bastonate sulle gambe; chi, infine, mi
pestava i piedi.
Io stavo in sommo silenzio, senza dire parola alcuna,
soffrendo con invitta pazienza, ed offrendo tutto al divin Padre. Vedevo che
quasi tutti i ministri avevano le mani e i vestimenti tinti del mio sangue.
Sentivo grande amarezza, che quel sangue prezioso fosse maneggiato ed
oltraggiato da sacrileghi.
Furono tante le percosse, le ingiurie, gli affronti, le
insolenze che soffri in questa occasione da quegli spietati, che non vi è mente
che possa arrivare a comprenderli. E tutto facevano con furore e sdegno.
Mentre stavo ricevendo ciò che ora ti ho detto, offrendo
tutto al divin Padre, vedevo che quasi tutti i miei fratelli avevano qualche
parte in ciò che da quei perfidi ricevevo; perciò offrivo al Padre ciò che
pativo, per tutti in generale, e poi in particolare per ciascheduno, secondo le
loro colpe, onde il Padre restasse soddisfatto. Poi per ciascuno gli domandai la
grazia che era necessaria per la sua eterna salute. Il Padre me la prometteva,
come difatti non manca di darla. Resta che la maggior parte ne abusa e la
disprezza non facendone conto alcuno.
Vedendomi così schernito da quei perfidi, si rappresentavano
di nuovo alla mia mente, tutti coloro che per amor mio, e per la confessione del
mio Nome, sarebbero stati scherniti ed oltraggiati, e che tanto avrebbero
patito. Intesi compassione di essi, e supplicai il divin Padre a dare loro
grazia, forza e virtù da soffrire tutto con pazienza. Gli domandai ciò in
virtù di quanto pativo io. Di più lo pregai a dare ad essi gusto e
consolazione nelle loro pene, raddolcendole con la sua divina grazia, visita e
consolazione interna. Vedendo che il Padre avrebbe eseguito tutto fedelmente, lo
ringraziai, e lodai la sua infinita bontà.
Sentivo, sposa mia, una continua pena ed amarezza nel mio
Cuore, perché i perfidi, che mi tormentavano ed oltraggiavano con tanta
empietà, rappresentavano alla mia mente tutti gli ostinati peccatori, dai quali
tanto sarei stato offeso ed oltraggiato.
Intanto che i perfidi mi facevano tali atti di scherno,
chiamandomi Re finto, invitai tutti i miei fratelli a venire a riconoscermi ed
adorare come loro vero Re e Signore. Li invitai con desiderio che tutti mi
avessero riconosciuto per tale. Allora vidi tutti coloro che sarebbero accorsi
all'invito, e vidi quanti mi avrebbero riconosciuto per loro Re e Signore. A
tutti promisi la mia protezione ed assistenza, e mi offri a reggerli e
governarli con amore e sollecitudine. Li offri tutti al mio divin Padre
affinché li avesse protetti. Vidi anche tutti quelli che non riconoscendomi per
loro Re e Signore, mi avrebbero molto offeso ed oltraggiato. Di essi intesi urna
grandissima amarezza, e per essi pregai il divin Padre, perché li avesse
illuminati, e avesse fatto conoscere il gran danno che loro sarebbe derivato per
andar dietro ad altri signori, che avrebbero precipitato le loro anime e privato
me dell'ossequio e dell'onore dovutomi: Vidi, che il Padre avrebbe dato loro
lume, accompagnandoli con la sua divina grazia, e che molti se ne sarebbero
approfittati: dopo aver riconosciuto il loro errore, si sarebbero pentiti, e,
rivolti a me, mi avrebbero adorato e confessato per loro Re e Signore. Di ciò
resi grazie al divin Padre, pregandolo di dare ad essi i suoi aiuti speciali e
la perseveranza. Vidi, che il Padre l'avrebbe fatto con grande amore. Intesi
poi dell'amarezza nel vedere il grande numero di coloro che si sarebbero
abusati del lume e della grazia, che il Padre avrebbe loro compartito con tanto
amore, e che mi avrebbero voltato le spalle, riconoscendo altri per loro Re e
Signore. Fu molto grande la pena che questi fecero soffrire al mio Cuore.
è CONDOTTO A PILATO
Avendo i perfidi, terminato di fare quegli atti di scherno,
si risolvettero di condurmi alla presenza del Presidente Pilato, perché mi
avesse veduto in tale figura, ed anche lui mi avesse schernito in loro
compagnia. Volevano anche fargli vedere la vile stima che facevano della mia
persona; ed in quale basso concetto mi tenevano. Perciò mi ordinarono di
alzarmi. Tiratomi per le funi con cui stavo legato, a forza di percosse,
ingiurie, gridi e fischiate, mi condussero alla presenza di Pilato.
Quando Pilato mi vide in sì deplorabile stato, si turbò e
restò ammirato della loro fierezza e crudeltà, ma non li riprese, dicendo
dentro di sé: Costoro hanno sfogato abbastanza la loro rabbia e furore, e,
senza dubbio, lo lasceranno andare, ed io sarò libero dal condannarlo.
INTERROGATORIO - SILENZIO DI GESù
Mi fece Pilato altre interrogazioni circa le colpe che mi
attribuivano. Io non risposi, perché gli avevo parlato prima, egli aveva, con
poche parole, fatto conoscere la mia innocenza.
Gli avevo impetrato anche il lume dal Padre, onde conoscesse
la dignità della mia persona e la verità della mia dottrina, in modo che se
avesse corrisposto, non solo non mi avrebbe condannato ai flagelli ed alla
morte, ma si sarebbe anche lui convertito. Ma Pilato sprezzò i lumi divini,
facendosi vincere dal timore e dal rispetto umano.
Vedendomi Pilato in tale figura, risolvè di condurmi sopra
una loggia, dei dove si vedeva tutto il popolo che stava ad aspettarmi, con
molti Scribi e Farisei. Tutti, con impazienza e coni rabbia stavano ad aspettare
che Pilato mi condannasse alla morte di croce, perché i Farisei andavano
aizzando la turba, con le loro persuasioni, affinché avesse gridato,
strepitato, e domandato a Pilato, che mi facesse morire. E se non l'avesse
voluto fare, l'avessero assediato e costretto a farlo per forza. Perciò si
affaticavano molto i perfidi Farisei, girando e rigirando intorno alla turba
ebrea, promettendo a tutti il loro favore, la loro grazia e protezione. Avevano
già dato ordine che si portasse la croce, che tenevano in disparte. Tenevano in
ordine anche le cose necessarie per crocifiggermi, facendo tutto con grande
cautela e sollecitudine. Io vedevo tutto, e ne sentivo grande amarezza. Nelle
persone degli ebrei, vedevo coloro che si sarebbero lasciati sedurre dalla gente
maligna e perversa; e nelle persone degli Scribi e dei Farisei vedevo tutti
quelli che pongono il loro studio e la loro sollecitudine nel tirare la gente al
male. Vedevo quanto sono tutti solleciti per le cose temporali, mentre per la
salute delle loro anime non spendono neppure un pensiero. Di tutto sentivo
grande amarezza e dolore, Rivolto al divin Padre lo pregavo di dare a tutti lume
da conoscere il loro errore, e la grazia da emendarsi. E vidi che il Padre non
avrebbe mancato di farlo e che alcuni se ne sarebbero approfittati. Di ciò resi
grazie al Padre. Intesi però dell'amarezza nel vedere la moltitudine di
quelli che avrebbero abusato della grazia, e disprezzato i lumi divini. Per
questi intesi grande amarezza.
GESù ABBANDONATO DA TUTTI
Sentivo poi che per tutta la città di Gerusalemme si
sparlava molto di me. Essendosi divulgato dappertutto, che io ero fatto
prigioniero, e dal Pontefice Caifa condannato e dichiarato reo di morte, ognuno
diceva, che veramente ero quello di cui i Farisei avevano sempre predicato,
cioè: uno stregone, uno che aveva commercio col demonio, e che per opera del
demonio aveva fatto tutti i miracoli. Molti ringraziavano Dio, che avesse
permesso che fossi stato scoperto e preso dalla giustizia, per farmi morire.
Tutti quelli che erano stati sanati da me, si reputavano disgraziati, perché
avevano ricevuto la salute per mezzo mio. Tutti contro di me, mi ingiuriavano e
maledicevano.
Il mio Cuore era ferito da acuto dolore, per sentir tutto
ciò che ora ho detto. Molto dolore sentivo per le offese del divin Padre, al
quale offrivo il mio dolore in sconto delle offese sì gravi che riceveva.
Alcuni pochi stavano forti nella fede, credendo alla mia
dottrina ed alla santità della mia persona. Ma questi stavano ritirati per
timore molto confusi. Per essi io non mancavo di pregare il Padre, onde avesse
dato loro fortezza, e li avesse tenuti saldi nella fede. Difatti il Padre non
mancava di assisterli con la sua grazia. Così in tempo di tanta tribolazione,
venivano confortati, e si ricordavano di quanto loro avevo detto, cioè, che
sarei morto, e il terzo giorno sarei risuscitato. E così, anche con questa
speranza, si andavano consolando.
GESù E LA MADRE SUA
Vedevo tutti i miei apostoli dispersi ed afflitti in amaro
pianto, ripieni di timore e di tristezza; e pregavo il divin Padre ad
assisterli, consolarli e fortificarli nella fede. Il Padre non mancava di farlo,
quantunque se ne rendessero indegni, per avermi abbandonato in tempo di tanto
travaglio.
Vedevo la mia diletta Madre, la quale sentiva nel suo cuore
tutte le mie pene e i miei dolori. Ed oh, quanto mi tormentava il vederla in
tanto strazio! Era per me un grande martirio il vedere martirizzata per mio
amore, quella purissima ed innocente colomba.
Spesso parlavo al di lei cuore e l'animavo al patire, e
pregavo il divin Padre a confortarla; Egli lo faceva con paterno amore. Dicevo
poi alla diletta Madre che mi accompagnasse nelle offerte e nelle domande, che
rivolgevo al mio divin Padre. E Lei non mancava punto di eseguire quanto da me
le era insinuato. Vedevo che il Padre si compiaceva molto delle sue offerte,
perciò lo ringraziavo, unito con la medesima. Erano molti i sospiri di
compassione, che mi inviava il suo cuore amante, e i desideri di più patire per
mio amore. Spesso mi diceva: O Gesù mio! amato Figlio! quanto sarei contenta se
io sola soffrissi tutte le vostre pene, e voi, mia vita, foste esente da ogni
dolore! Poi tutta uniformata alla volontà del Padre, chinando la testa, l'adorava
e lodava nell'opera sua. Adorava i suoi decreti e le sue permissioni. Di ciò
il Padre molto si compiaceva.
ESORTAZIONE ALLA SUA SPOSA
Hai inteso, sposa mia, i molti e gravi tormenti che soffrii
nell'essere flagellato alla colonna e coronato di spine. Hai inteso l'invito
che facevo a tutti i miei fratelli, acciò mi venissero a contemplare, per
vedere quanto patii per loro amore. Hai inteso che invitai tutti a venire a
riconoscermi per loro Re e Signore. Hai inteso gli scherni e gli strapazzi che
soffrii. Perciò non ti sembrerà difficile di imitarmi e soffrire con pazienza
quanto ti sarà fatto di male dai prossimi tuoi, sia in fatti, sia in parole.
Rallegrati quando ti vedi schernita e disprezzata, perché allora hai occasione
di imitarmi in qualche cosa. Hai inteso la confusione ed il rossore che provai
nell'essere spogliato, per la flagellazione. Anche in questo devi imitarmi,
qualora tu senta qualche parola contro la purità: abbi confusione e rossore.
Così si sollecita a cacciare da te anche i pensieri. Ricordati che la purità
è un candore che ogni piccola cosa appanna e macchia. Vivi distaccata non solo
da tutte le cose create, ma anche da tutte le cose appartenenti a me: spogliata
affatto di tutto. Non vi sia cosa alcuna che tenga occupato il tuo cuore, acciò
possa abitare in esso l'amare di Dio e di me tuo Sposo. Mentre pativo alla
colonna e nell'essere coronato di spine, invitavo tutti i miei fratelli a
venirmi a contemplare; ora invito te, come mia sposa, a venirmi a contemplare.
Rimirami! osserva bene quel che patii, e sta' attenta, perché come sposa
fedele, devi in tutto e per tutto assomigliare a me. Quanto più sarai simile a
me, tanto più mi sarai grata e sarai da me amata. Godo molto nel vedere le mie
spose in qualche modo simili a me nelle pene, perché poi nella gloria saranno
molto a me dappresso e possederanno una gloria sublime. Non tralasciare di
imitarmi anche nelle offerte al divin Padre, e di accompagnare coll'interno
tutte le tue opere esterne. Avverti, che in questo ti voglio molto sollecita e
diligente. Ti stia a cuore inoltre, la conversione dei peccatori, non
tralasciando mai di pregare per essi e di offrire al Padre mio la mia Passione,
per la loro conversione. Si in tutto sollecita, fedele e amante sposa.
CAPO NONO
Come il Figliuolo di Dio da Pilato fu mostrato al popolo.
Viene posposto a Barabba. E condannato alla morte. Di ciò che operò nel suo
interno sino a che ricevette la croce sulle spalle.
GESù PRESENTATO AL POPOLO
Il presidente avendo determinato di farmi vedere al popolo
nella figura compassionevole in cui mi avevano ridotto i miei nemici, affinché
avesse pietà di me, come lui stesso l'aveva avuta nel rimirarmi, mi fece
condurre sopra una loggia, dove potessi esser veduto da tutti. Vi intervenne
anche lui, e con parole di compassione, levando la porpora dall'impiagato
petto, disse ad alta voce: Ecco l'uomo! volendo, con queste parole, far loro
conoscere che non vi era in me più sembianza d'uomo, essendo tutto lacero e
piagato, ridotto in uno stato che poco più avrei potuto vivere.
A tali parole esclamarono, prima i Farisei, e poi con essi
tutto il popolo: Levacelo davanti, e dà ordini che sia crocifisso. A queste
parole restò molto confuso il presidente; e non sapendo che modo trovare per
liberarmi, senza perder la loro grazia, propose ad essi l'infame assassino e
omicida Barabba. Lo paragonò con me, domandando, chi di noi due volevano che
liberasse; perché nella solennità si liberava uno dalla morte. Il popolo,
appena udita la proposta, incominciò a gridare ad alta voce: Viva Barabba, e
muoia Gesù Nazzareno! Restò molto disgustato il presidente per la pessima
elezione, e tornò di nuovo a dir loro, con volto adirato, cosa doveva fare di
me, perché lui mi conosceva innocente. Allora incominciarono tutti ad alzar le
grida, dicendo di nuovo: Levacelo davanti e condannalo alla morte di croce.
Crocifiggilo, perché è un malfattore! Allora Pilato, pensando di metterli in
reputazione, disse loro: Ma volete che io faccia crocifiggere il vostro Re?
Allora più che mai alzarono la voce, e cominciarono ad ingiuriarmi, dicendo al
presidente, che non avevano altro Re che Cesare. E di nuovo tutta la turba
sgridò: Crocifiggile!
I FARISEI SI IMPONGONO
I Farisei si mostrarono adirati verso i1 presidente, perché
differiva tanto la sentenza. Gli dissero che doveva credere a loro, che se il
Nazzareno non fosse stato un malfattore non glielo avrebbero portato avanti,
perché la loro coscienza non comporterebbe che si condannasse un innocente.
Pilato, preso dal timore, per le minacce e per le parole serie dei Farisei, si
indusse a dare la condanna, quantunque conoscesse chiaramente che ero del tutto
innocente. Ma rivolto, al popolo, adisse: Io non voglio aver parte alcuna nella
morte di questo innocente. Ed essi gridarono, che si addossavano tutta la colpa,
e che il mio sangue fosse caduto sopra di loro e dei loro discendenti. Dissero
questo, per ottenere che il presidente li avesse soddisfatti, e mi avesse con
più libertà condannato alla morte.
Infine Pilato si fece vincere, e per far vedere che lui non
aveva parte alcuna nella mia morte, si lavò le mani, poi pronunciò la
sentenza, condannandomi alla morte di croce, benché conoscesse chiaramente la
mia innocenza. Scrisse pertanto la sentenza, poi la lesse al popolo; tutti
stettero ad udire con grande attenzione. Finito di leggere, furono tante le
grida, le fischiate, i battimani, i salti che facevano per l'allegrezza, che
ognuno fosse arrivato al colmo della consolazione. Gridarono: Evviva il
Presidente! E tutti lo lodavano,
specialmente i Farisei, chiamandolo uomo prudente, che avendo
voluto prima esaminare bene la causa, infine, conoscendo la mia reità, mi aveva
condannato come meritavo. Molti di essi, per sfogare 1'allegrezza che
sentivano, si abbracciavano insieme dicendo: Eppure siamo arrivati al nostro
intento! Oh che fortuna è stata la nostra! Oh che consolazione abbiamo avuto in
questo giorno! Ora sì che vivremo quieti, felici e contenti, perché non avremo
più chi turbi la nostra pace!
AMAREZZA DI GES� E SUPPLICHE
In tutto questo fatto, stetti sempre col volto sereno, con
gli occhi fissi in terra, con la mente ed il cuore rivolto al divin Padre ed a
tutti i miei fratelli, per i quali tanto pativo e pregavo. Ah, sposa mia, quanto
fu grande l'amarezza del mio Cuore in tutto ciò, che finora ho narrato!
Quanto dolore, quanta pena, quanta angustia e mestizia nel vedere le offese del
divin Padre, la perfidia e l'odio degli Scribi e Farisei e di tutta la plebe,
tanto da mie beneficata, tanto amata, per la cui salute tanto pativo! Ma essi
non vollero giovarsi di tanta mia bontà, mentre per quello che avevo loro
insegnato e per i benefici che loro avevo fatto, potevano esser divenuti atti
perfetti e santi.
Intese rincrescimento la mia umanità, quando Pilato mi
condusse alla presenza di tutta l'adunanza. Rivolto al Padre lo pregai del suo
aiuto per soffrire tutto ciò, che quivi mi sarebbe occorso. Mi offri pronto ad
andare al patibolo, affinché tutti vedessero l'amore che loro portavo, fino a
soffrire per la loro salute così grandi pene.
Arrivato sulla loggia, invitai tutti i miei fratelli,
affinché fossero venuti a contemplarmi. E mentre il popolo gridava: Levacelo
davanti e condannalo alla morte , vedevo tutti quelli che si sarebbero uniti a .
loro, e mi avrebbero tanto disprezzato, che nemmeno avrebbero voluto vedermi,
né udir raccontare, quanto per la loro salute io abbia patito. Di ciò intesi
grande amarezza. Il mio Cuore veniva ferito anche da un altro dolore,perché le
invenzioni che Pilato trovava per liberarmi, tutte riuscivano in mio grandissimo
disonore e tormento. Allora si rappresentarono alla mia mente tutti coloro cui
il divin Padre avrebbe dispensato sempre nuovi lumi e nuove grazie di salvezza,
delle quali essi si sarebbero serviti per offenderlo ed aggravare maggiormente
di colpe le loro anime, a più grave loro condanna, per il mal'uso che ne
avrebbero fatto. Nel vedere, poi, che quel popolo ingrato, non aveva compassione
alcuna di me, intesi grande amarezza, perché si rappresentarono alla mia mente
quanti non avrebbero avuto mai un minimo sentimento di dolore per le mie pene.
Sapendo che io per essi ho tanto patito, non ne fanno alcun conto, né si
rivolgono a me neppure con un atto di compassione. Perciò rivolto verso di
loro, dicevo: Ah crudeli, ingrati! Per voi patisco tanto, e voi neppure
rivolgete gli sguardi verso di me, né avete compassione alcuna delle mie pene!
E rivolto al Padre, lo pregavo di illuminarli, di farli rientrare in sé e
conoscere la loro ingratitudine. Vidi che il Padre l'avrebbe fatto, e che per
questo alcuni si sarebbero arresi e dopo aver conosciuto chiaramente, quanto io
ho patito per loro amore, avrebbero avuto qualche compassione delle mie pene, e
avrebbero approfittato del beneficio. Di ciò ne resi grazie al Padre. Intesi
però dell'amarezza, nel vedere la moltitudine di quelli, che di tutto si
sarebbero abusati.
Essendo dal presidente messo in comparazione con l'iniquo
ed infame Barabba, intese il mio Cuore una grande amarezza, e la mia umanità
una somma confusione. Vidi, che molti dei miei seguaci sarebbero stati trattati
in tal modo. Intesi pena, nel vedere gli innocenti esseri ritenuti cattivi e
perversi, e da molti paragonati agli empi, per non essere conosciuta la loro
virtù, che, per lo più è nascosta agli occhi degli uomini. Perciò, rivolto
al Padre, lo pregai di dar lume a tutti, acciò da ognuno sia conosciuta la
bontà e la virtù delle anime giuste. Vidi che il Padre l'avrebbe fatto, e
che molti l'avrebbero conosciuta, benché i più si sarebbero abusati di
questo lume, ed avrebbero ritenuto per gente cattiva, i buoni. Vidi però che il
Padre molte volte l'avrebbe permesso, perché i buoni abbiano occasione di
meritare, e di imitarmi anche in questo.
Nell'udire poi l'elezione che fece il popolo di liberare
Barabba, ritenendo la mia persona più indegna e meritevole della morte, di
quello che fosse l'infame Barabba, puoi credere, sposa mia, quanto grande
fosse il mio dolore e quanta l'amarezza del mio Cuore! Allora si
rappresentarono alla mia mente tutte le anime, che avrebbero imitato in questo
gli empi Ebrei, posponendo la persona mia alle loro soddisfazioni, al peccato,
all'iniquità. Udivo anche sgridare, se non con le parole, con i fatti: Muoia
Gesù Nazzareno, e viva il peccato ! Muoia il giusto e viva l'empio! Cioè:
Muoia l'onore, la gloria di Dio, e viva la nostra rea soddisfazione! Oh!
quanto dolore e quanta pena sentiva il mio Cuore per questi iniqui! Rivolto al
Padre, lo supplicai, per l'angustia e il dolore, che sentivo, che si fosse
degnato di illuminarli, affinché conoscessero il loro grave errore, la pessima
elezione che facevano e l'offesa di Dio. Vidi, che il divin Padre non avrebbe
mancato di dar loro lume e tutti gli aiuti necessari per ravvedersi e che molti
se ne sarebbero approfittati, riconoscendo il loro errore, ed emendandosi. Di
ciò resi grazie al divin Padre. Intesi sperò dell'amarezza nel vedere il
numero grande di quelli che se ne sarebbero abusati, continuando nel loro
errore. E perché ne sentivo una pena molto grande, bramando che il divin Padre,
la sua gloria ed il suo onore, fossero anteposti a tutte le loro soddisfazioni,
pregai di nuovo Il Padre per tutti quelli ostinati, affinché avesse dato loro
maggior lume e più potente grazia ed aiuti. Vidi che il Padre avrebbe
soddisfatto alla mia domanda, e che per questo alcuni si sarebbero ravveduti.
Del che resi grazie al Padre. Intesi però una più grave amarezza nel vedere
che molti, anche di questo, si sarebbero abusati.
Si rappresentò allora di nuovo alla mia mente l'altra
proposta fatta, circa la persona mia ed il genere umano, nel divin concistoro,
cioè: se si doveva lasciare perire il mondo immerso nella colpa, oppure se
doveva la persona mia, cioè, l'eterno Verbo, incarnarsi, patire e morire, per
riscattare e salvare il mondo perduto. Posponendo la mia persona al genere
umano, elessi di patire e morire, perché il genere umano si salvasse e restasse
redento. Vedendo, allora, che gli uomini si mostrarono così ingrati a tanta mia
carità e a tanto amore, contraccambiando questa mia amorosa elezione con quella
pessima, fatta da loro, di un infame ladro assassino da liberarsi in vece mia,
ne intesi luna grande pena ed amarezza. Rivolto al Padre, lo supplicai di
perdonare tutti gli ingrati, in virtù del mio dolore. E rivolto ad essi mi
lamentai della loro somma ingratitudine e mala corrispondenza a tanta carità ed
a tanto amore, supplicando il Padre di illuminarli, facendo loro conoscere l'ingratitudine
con cui rispondevano al mio infinito amore. E vidi, che il Padre li avrebbe
illuminati, e che molti, a questo chiaro lume, si sarebbero ravveduti: avrebbero
conculcata la colpa, anteponendo in tutto la gloria divina e il divin onore,
facendo vivere nelle loro anime la grazia e morire il peccato e l'iniquità.
Di questo resi grazie al Padre, supplicandolo di continuare a dare a questi i
suoi lumi ed aiuti speciali. Intesi però della amarezza, nel vedere la grande
moltitudine di quanti si sarebbero abusati, ed avrebbero disprezzato i lumi
divini, restando nella loro durezza ed ingratitudine. Per questi supplicai di
nuovo il divin Padre con grande istanza, affinché avesse dato loro maggiori
lumi e grazie. E vidi, che il divin Padre l'avrebbe fatto, e che per questo
alcuni si sarebbero ravveduti. Di ciò resi grazie al divin Padre, e lo
supplicai di dare loro nuova grazia, affinché fossero stati stabili nel bene,
da loro conosciuto ed eletto. E vidi che il Padre l'avrebbe data loro, ed io
lo ringraziai anche per parte loro. Intesi però una più grande amarezza, nel
vedere tutti coloro che avrebbero abusato dei nuovi lumi, che loro avevo
impetrato, rimanendo nella loro ostinazione e somma ingratitudine; perciò
sarebbero miseramente periti. Nel vedere, poi, che gli Scribi e i Farisei
presenti erano quelli che, con i loro mali esempi e cattive persuasioni,
facevano pervertire tutto il popolo, tirandolo al loro pessimo partito, perché
essi erano i primi a gridare, e dietro ad essi si accordava la plebe, si
rappresentarono alla mia mente tutti i superiori cattivi ed indegni del grado
che tengono, che con i loro mali esempi e cattive persuasioni, avrebbero fatto
pervertire la plebe, e le persone ignoranti e vidi. Di ciò intesi una grande
amarezza, e per questi pregai molto il divin Padre, acciò avesse dato lumi e
fatto conoscere che da essi procede, in buona parte, tutto il mule che si fa
dalla plebe. Vidi che il Padre non avrebbe mancato di dar loro il detto lume, e
per questo alcuni sarebbero entrati in se stessi, e, conosciuto il proprio
errore, si sarebbero emendati. Di ciò resi grazie al divin Padre. Intesi però
dell'amarezza nel vedere la moltitudine di quelli per cui la grazia sarebbe
stata vana. Vedendo che, per causa loro, molti sarebbero periti, rivolto di
muovo al Padre, lo supplicai di tornare misericordiosamente ad illuminarli, con
lumi più potenti e stimoli gagliardi al cuore. Vidi che il Padre l'avrebbe
fatto, e che per questo alcuni si sarebbero ravveduti. Di ciò resi grazie
affettuose al Padre. Intesi però dell'amarezza, ed oh quanto grande! nel
vedere la moltitudine di quelli che, ad imitazione degli empi Scribi e Farisei,
sarebbero rimasti nella loro durezza ed ostinazione, ciechi volontari, anche in
mezzo a tanta luce.
Nel vedere che il presidente Pilato, pur conoscendomi e
dichiarandomi innocente, si lasciò indurre a condannarmi come reo e malfattore,
e dichiarò di non aver colpa nella mia morte, lavandosi le mani; si
rappresentarono alla mia mente tutti quelli, che operano il male con i fatti, e
con le parole si dichiarano innocenti. Cioè: operano in modo, che il loro
prossimo resti danneggiato e poi, con le parole, lo compatiscono e lo difendono.
Per questi ciechi, stolti, ed anche maliziosi, pregai il divin Padre, acciò li
avesse illuminati, onde conoscano il loro errore. Vidi che il Padre l'avrebbe
fatto, e che alcuni si sarebbero approfittati: conosciuto il loro errore, si
sarebbero emendati, ed avrebbero fatta la penitenza del male arrecato al loro
prossimo. Di ciò resi grazie al divin Padre, Intesi però dell'amarezza, nel
vedere la moltitudine di questi che sarebbero restati nel loro errore, per l'abuso
dei lumi divini e della grazia.
Vidi tutti i giudici, che, a persuasione dei maligni e
perversi, avrebbero dato la sentenza contro gli innocenti. Di costoro intesi
grande dolore ed amarezza, e supplicai il divin Padre ad illuminarli facendo
loro conoscere il grande male che operano. Vidi che alcuni, riconosciuto il loro
errore, ne avrebbero fatto la penitenza e si sarebbero emendati. Intesi però
dell'amarezza nel vedere il grande numero di quelli che, abusando dei lumi
divini, e disprezzando la grazia, sarebbero rimasti nel loro errore. Rivolto al
Padre, lo supplicai per tutti gli innocenti, che sarebbero stati dagli empi
giudici condannati come rei, affinché avesse dato loro la sua grazia e gli
aiuti speciali, per soffrire l'ingiustizia e la condanna, con pazienza, ad
imitazione mia. Vidi che il Padre non avrebbe mancato di dar loro la detta
grazia. Vidi anche il grande premio che per questi stava preparato.
Feci poi una supplica assai premurosa al Padre, acciò nel
mondo si fosse amministrata la giustizia con rettitudine; che fossero puniti i
rei, conforme i l'oro delitti, e lasciati liberi gli innocenti. Vidi che in
questo si sarebbe mancato molto, e ne intesi grande dolore ed amarezza.
Supplicai di nuovo il divin Padre ad illuminare tutti quelli che amministrano la
giustizia, facendo conoscere loro lo stretto conto che dovranno rendere al
tribunale della giustizia divina. Vidi che il Padre non avrebbe mancato di dare
ad essi chiari lumi, e vedendo tutti coloro che se ne sarebbero approfittati, ne
resi grazie al divin Padre. Intesi, però, dell'amarezza, nel vedere il numero
grande di quelli, che ne avrebbero abusato, e la sentenza di morte eterna, che
per questi stava preparata.
Mentre si leggeva al popolo la sentenza della mia morte, nel
vedere la finta allegrezza di tutti dico finta: perché il loro cuore non era
contento, ma inquieto si rappresentò alla mia mente la funesta sentenza di
eterna morte, che io stesso avrei fulminata contro le anime reprobe, e la vana e
finta allegrezza che avrebbero dimostrato gli spiriti infernali. Allora il mio
Cuore restò immerso in un mare di amarezza e di dolore, e soffri tutta la pena,
che non avrei poi intesa nel condannarle. Rivolto al mio divin Padre, gli dissi
O Padre mio amatissimo ! Voi vedete il dolore e l'amarezza che soffro nel
vedere che io stesso dovrò fulminare la sentenza di eterna morte contro tutte
le anime, che con tanto sangue ho redento, e alle quali, con tanti stenti e
patimenti, ho meritato l'eterna beatitudine. Questo è un dolore che al
presente mi passa il Cuore. Rivolto alle anime reprobe, che tutte avevo
presenti, mi lamentai molto con esse: è possibile, infelici ed insensate,
dicevo loro, che vogliate a forza strapparmi di mano la sentenza della vostra
condanna? Dite su, che posso fare io per salvarvi? E voi, infelici, di tutto vi
volete abusare? Ah! tornate in voi, misere! tornate! Riconoscete il vostro
errore! Tornate al vostro giudice ora, che è padre amoroso, e sta pronto per
abbracciarvi! Non vi lasciate ingannare dai nemici infernali, né accecare dalle
vostre ree passioni e disordinati affetti! Rivolgete gli sguardi verso di me, e
vedete quanto cara mi costa la vostra eterna salute, e quanto patisco per
liberarvi dall'eterna morte! Questi inviti feci allora a tutte le anime ree,
che si sarebbero volute dannare, e mi proposi di farli a tutti i loro cuori, e,
con muta loquela, far udire a tutti queste amorose e dolci chiamate. Vidi che
molti se ne sarebbero approfittati e si sarebbero convertiti a via di verità.
Per questi resi grazie al divin Padre. Intesi però una grande amarezza nel
vedere il numero, quasi innumerabile, di quei miseri, che si sarebbero di tutto
abusati, e che avrebbero voluto far sempre i sordi alle mie voci ed ai miei
dolci inviti.
RIMORSO DI PILATO
Letta che fu la sentenza della, mia morte, il presidente
Pilato mi lasciò nelle mani dei ministri di giustizia, affinché mi avessero
condotto fuori, perché gli Scribi e i Farisei, con tutto il popolo, mi
aspettavano con impazienza, non potendo più soffrire la dilazione della mia
morte.
Si ritirò il presidente in parte soddisfatto, per gli
applausi che gli avevano fatto gli Scribi ed i Farisei con tutto il popolo, ma,
con il cuore amareggiato, perché conosceva chiaramente il grande male che aveva
fatto, condannando, ad una morte sì infame, un innocente, per istigazione di
gente maligna ed appassionata, quali erano i Farisei, che ben conosceva. Onde
restò con una grande tristezza e con timore che gli sopraggiungesse il castigo,
come poi gli successe (1).
Nella persona di Pilato vidi tutti coloro che, dopo aver
fatto il male, sentono la pena, perché conoscono di aver errato; ma, ad
imitazione di Pilato, si ritirano a considerare il male fatto, mia non si
convertono, né si pentono: restano nel loro travaglio, aspettando il castigo,
il quale non tarda molto a sopraggiungere. Per questi inconsiderati, supplicai
il divin Padre di illuminarli, acciò,conoscendo di aver errato, si convertano,
e, ricorrendo al Padre delle misericordie, facciano penitenza del male commesso
e non si diano in preda alla disperazione. Vidi che il Padre avrebbe loro dato
lume, e che alcuni se ne sarebbero approfittati. Di questo resi grazie al Padre.
Intesi però dell'amarezza nel vedere il gran numero di quelli, che sarebbero
rimasti nel loro errore.
Rivolto di nuovo al divin Padre, lo pregai, che, per aver io
chinato il capo e ricevuta volentieri la sentenza di morte, mostrandomi in tutto
e per tutto obbediente ai suoi divini decreti, morendo volentieri per la sapute
del genere umano, si fosse degnato, in virtù di quella mia pronta obbedienza,
di dar lume a tutti i miei fratelli e seguaci, onde chinino il capo ed
obbediscano in tutto e per tutto ai divini precetti e consigli evangelici, da
mie lasciati; acciò, adempiendo la divina legge, siano fatti degni dell'eterna
retribuzione. Lo pregai inoltre di degnarsi di dar loro grazia ed aiuti
speciali, affinché l'avessero potuto fare. Vidi che il Padre non avrebbe
mancato di esaudirmi, e che monti se ne sarebbero approfittati; avrebbero
chinato il capo ed obbedito ai divini comandi. Del che resi grazie al Padre.
Intesi però dell'amarezza, nel vedere la moltitudine di quelli, che se ne
sarebbero abusati, e non si sarebbero mai ridotti ad obbedire ai divini comandi.
Per questi ostinati trasgressori, pregai di nuovo il divin Padre con grande
istanza, di illuminarli, e dar loro gagliardi stimoli al cuore. Vidi che, per
questa nuova grazia, alcuni si sarebbero ravveduti, ed avrebbero volentieri
obbedito e chinato il capo ai divini precetti. Di questi resi grazie al divin
Padre. Vidi però la moltitudine degli ostinati trasgressori, che, malgrado i
lumi e le grazie del divin Padre, non si sarebbero mai voluti arrendere,
restando nella loro durezza ed ostinazione. Di essi intesi una somma amarezza.
Lo supplicai ancora di dare a tutti i miei seguaci una grazia
particolare, affinché prendano tutte le cose contrarie ed avverse, dalle sue
divine mani, non guardando la creatura che fa soffrire, ma la divina
disposizione, che tutto permette per bene e profitto delle loro anime. Vidi che
il divin Padre avrebbe dato loro la detta grazia, e che molti se ne sarebbero
approfittati. Di ciò gli resi grazie. Intesi però dell'amarezza nel vedere
la moltitudine di quelli, che se ne sarebbero abusati non accomodandosi mai a
ricevere tutto dalle mani del divin Padre; e così facendo, non avrebbero
acquistato alcun merito, anzi, molto detrimento per le loro anime. Questi
causavano al mio Cuore grande dolore ed amarezza.
ESORTAZIONE ALLA SUA SPOSA
Hai inteso, sposa mia, i miei patimenti, e come mi
comportassi, tanto con il mio divin Padre, come con i miei fratelli. Procura di
imitarmi. Hai udito la pessima elezione che il popolo ebreo fece, posponendo la
persona mia all'iniquo Barabba. Perciò, sta bene attenta: procura in tutte le
cose di eleggere sempre il più perfetto, e di anteporre in tutto e per tutto la
gloria e l'onore divini. Questo ti stia a cuore! Odia il peccato e fuggilo,
tenendolo lontano da te, acciò là mia grazia, 1'amor mio regnino in te.
Muoia in te l'iniquo Barabba, e viva sempre io in te. Con questo voglio dirti,
che quando mai la colpa si appressasse a te, per volere entrare nell'anima
tua, tu le devi dare la morte, cioè, scacciarla subito da te: così vivrò
sempre io in te con la mia grazia. Hai udito la mia pronta obbedienza nell'accettare
la sentenza di morte vituperosa. Non volere essere dissimile a me. Obbedisci
perfettamente agli ordini dei tuoi maggiori, e molto più ai divini precetti e
consigli. Non mancare mai all'obbedienza, se non in casi di grave necessità;
perché avendone il voto, devi, con maggiore esattezza, praticare questa virtù.
Ricevi infine tutte le cose che ti succedono, tanto prospere come avverse, dalle
mani del tuo Padre celeste, ringraziandolo sempre, tanto del bene, come del
male: assicurandoti che il Padre ti ama molto, e tutto ciò che dispone di te,
tutto lo fa con paterno amore, per bene e profitto dell'anima tua. Procura,
dunque, di mostrarti mia seguace e fedele sposa.
CAPO DECIMO
Come il Figliuolo di Dio ricevette la croce sulle SS. spalle.
Del viaggio che fece per andare alla morte e di ciò che operò nel suo interno
finché arrivò al monte Calvario per essere crocifisso.
GESù NELLE MANI DEI NEMICI
Essendo lasciato dal presidente nelle mani dei miei crudeli
nemici, perché mi conducessero a morte, questi, come lupi e cani arrabbiati, mi
si avventarono addosso, e, chi per le corde, chi per i capelli, mi condussero
giù, dove gli Scribi e i Farisei, con tutto il popolo, si stavano, con grande
desiderio, ad aspettare, ed ivi arrivato, fui da tutti ingiuriato, schernito ed
oltraggiato. Battendo le mani dicevano: Ecco che alla fine, o seduttore, sei
arrivato ad avere la sentenza da te meritata! Gridavano ad alta voce, dicendo:
Mago, stregone infame, trasgressore, superbo; arrogante, vile, raffinato,
seduttore, finto, ribelle, incantatore! Ognuno faceva a gara a chi più ne
poteva dire contro di me, per l'odio che mi portavano, o per far cosa grata
agli Scribi e ai Farisei, i quali furono i primi ad ingiuriarmi.
Stavo alla loro presenza, e ricevevo tutte le ingiurie con
volto sereno, offrendole tutte al divin Padre, in sconto delle loro colpe.
Sentivo però nel mio Cuore grande dolore ed amarezza, per le divine offese.
I demoni, che li istigavano, restavano sempre più attoniti
nel vedere tanta mia sofferenza ed imperturbabilità, e sempre più andavano
sospettando che io potessi essere il vero Messia. Con tutto ciò, non sapevano
persuadersi, che se fossi stato il vero Messia, mi fossi assoggettato a sì
strani tormenti, e che il divin Padre avesse trattenuto il castigo, per tanta
sfacciataggine e crudeltà dei miei nemici. Perciò dicevamo fra di loro Non
può esser mai che un Dio si assoggetti a tanti patimenti, a tante ingiurie, e
che tanto si avvilisca la suprema maestà. Impazienti, nel vedere in me tanta
virtù, non sapevano più che cosa inventare per farmi fare qualche atto d'impazienza.
o di collera, verso chi tanto mi oltraggiava. Perciò si univano a consiglio,
per trovare nuovi modi di farmi tormentare ed oltraggiare da quei fieri
ministri, i quali erano privi di umanità e pieni di malizia e di crudeltà
verso di me. Io mi mostravo pronto a soffrire tutto con pazienza ed allegrezza.
RIPRENDE LA VESTE E LA CORONA
Avendo i crudeli sfogato il loro animo nell'ingiuriarmi e
schernirmi, gli Scribi e i Farisei ordinarono che fossi rivestito delle mie
vesti, perché, andando per la città, fossi meglio riconosciuto da tutti (1).
Difatti mi diedero la mia veste, acciò mi fossi rivestito. Mi strapparono a
viva forza la porpora, sicché si riaprirono le mie ferite, ed incominciò il
mio corpo a grondare sangue. Mi levarono la corona di spine, a viva forza, con
grande empietà, e dalle ferite grondava il sangue in tanta copia, che bagnato
il volto, il petto, le spalle e tutto il corpo, ne cadeva gran copia in terra.
Offrivo quel sangue al divin Padre, e lo supplicavo di
placare lo sdegno che aveva verso i ministri crudeli. Il Padre, nel vedere il
mio sangue, si placava.
Fu molto grande l'amarezza del mio Cuore, nel vedere che
quegli inumani carnefici, non si muovevano punto a compassione di me; ma quanto
più mi vedevano impiagato, tanto più si accendevano di furore e di odio contro
di me.
Rivestito pertanto della mia veste, tornarono di nuovo a
mettermi in capo la corona di spine, e a farmi nuove ferite con grande
crudeltà. Fu molto il dolore che perciò senti e lo spasimo per le nuove
ferite, essendo già la mia testa tutta addolorata. Rivolto a quelle anime, che
con tanta facilità tornavano a peccare, e che avevo tutte presenti, mi
lamentavo dicendo loro: Ah, crudeli, spietate! Cessate una volta di offendere
tanto il divin Padre! Non vedete quanto tormento accrescete alla mia umanità
piagata, con aggiungere ferite a ferite? Lo sapete, che le vostre replicate
colpe sono causa di tanto mio tormento e dolore! Vedendole tanto ostinate nella
loro iniquità, rivolto al Padre, tutto dolente, gli dicevo: Padre mio
amatissimo! Ecco, con questo nuovo tormento, pago il debito, che tante anime,
con replicate colpe, contraggono verso la divina giustizia. Perciò perdona
loro, perché non sanno ciò che si fanno.
Ecco, sposa mia, qual era la vendetta che facevo contro
quelli, che erano causa di tante mie pene e dolori: impetrare loro il perdono e
scusarli avanti al Padre. Tanto era grande l'amore che a tutti portavo, che
mentre ero tormentato per i loro peccati, chiedevo al Padre perdono e pietà per
essi, offrendo i miei patimenti, in sconto delle loro colpe, ed impetrando tutte
le grazie, che conoscevo essere ad essi necessarie per l'eterna salute. Vedevo
che questo mio infinito amore era contraccambiato con tanta ingratitudine e
crudeltà, puoi credere quanto si accrescesse l'amarezza del mio divin Cuore.
I DUE LADRONI CON GESù
Mentre stavano operando ciò che ho detto intorno alla mia
persona, ordinarono che fossero condotti due ladroni, che erano stati condannati
anch'essi alla morte di croce, per i loro misfatti (1). I Farisei, tutti
affaccendati, giravano ora da una parte, ora dall'altra, perché si
effettuasse il loro pessimo disegno: si erano accordati di condurmi al Calvario
e di farmi passare in mezzo alla città, con quei due malfattori accanto, cioè:
io, in mezzo ad essi, ed alquanto avanti, come capo dei malfattori e come ladro;
perché dicevano, che volevo usurpare il regno, per cui dovevo essere dichiarato
anche capo dei ladri.
Ed io, a questa loro risoluzione, dicevo fra di me Purtroppo,
è vero che sono ladro; ma ladro che rivoglio il mio; cioè, le vostre anime,
che stanno nelle mani del nemico infernale, e le voglio ripigliare a prezzo del
mio sangue, che ora spargo con tanto amore. Ma voi, ciechi, non volete restare
liberi dalla dura schiavitù, volete perdervi, disprezzando e calpestando lo
stesso sangue, che è il prezzo della vostra redenzione. Rivolto al Padre, lo
pregai dicendo: Padre mio amantissimo, illuminate tutte le anime da mie redente,
fate conoscere il grande beneficio che concedo loro, riscattandole dalla dura
schiavitù di Lucifero, e ricomprandole con il mio proprio sangue. Ah, Padre
mio! Troppo mi costano le anime dei miei fratelli! Troppo prezioso è il prezzo
della loro redenzione! Perciò, vi prego, mio divin Padre, di illuminarle,
affinché si prevalgano di un sì grande beneficio. Vedendo che il divin Padre
non avrebbe mancato di comunicare a tutti i suoi lumi divini, lo ringraziai, e
lodai la sua infinita bontà e misericordia. Intesi però una grande amarezza
nel vedere il grande numero di quelli che se ne sarebbero abusati, disprezzando
i lumi divini, e la grazia che il Padre, con tanta liberalità, offriva a tutti.
Essendo venuti i due ladri, che dovevano essere crocifissi,
quando videro la persona mia sì mal ridotta, si risentirono, stimando troppo
vituperio venire in mia compagnia, al luogo del supplizio. A tal segno si
ridusse la mia perdona: egli stessi malfattori mi disprezzarono. Una di essi si
pose ad ingiuriarmi: fu quel perfido che si perdè, perché non cessò mai di
oltraggiarmi con ingiurie e con motti impertinenti; anche l'altro ladro mi
andava ogni tanto ingiuriando; ma vedendo la mia invitta pazienza, restò
ammirato, e fra di sé andava dicendo : Costui ha una gran pazienza, né si
risente di tante ingiurie e di tante percosse. Con queste riflessioni andava
disponendosi a ricevere un lume particolare, per il quale mi riconobbe e poi mi
confessò per vero Figlio, di Dio, come ti dirò. Nel sentire, che quei due
ladri e malfattori si vergognavano di essere condotti al patibolo in mia
compagnia, si rappresentarono alla mia mente tutte le anime peccatrici, che
reputavano disonore operare il bene e praticare le virtù da me insegnate.
Compatendo la loro cecità, supplicai il divin Padre di illuminarle, affinché
conoscessero il loro errore e si vergognassero di reputare disonore l'operare
il male. Vidi che il Padre avrebbe dato loro il detto lume, e che alcune
sarebbero rientrate in se stesse, e si sarebbero emendate, come fece il buon
ladro, che, ricevuto il lume, si convertì. Di ciò resi grazie al Padre. Intesi
però dell'amarezza, nel vedere il gran numero di quelli che se ne sarebbero
abusati, come fece il cattivo ladro.
PRECEDE L'ARALDO
Essendo in ordine tutto ciò che era necessario, per condurmi
al patibolo, i Farisei ordinarono che andasse avanti un trombettiere, affinché
per tutte le strade divulgasse la causa per la quale i principi dei sacerdoti ed
il presidente Pilato mi avevano condannato a morte, e pubblicasse tutte le false
accuse che si erano fatte contro di me. Fecero questo acciò tutti mi
ritenessero un malfattore ed ingannatore, e nessuno avesse avuto compassione di
me, anzi, tutti si rallegrassero alla nuova della mia morte.
Allora si rappresentarono alla mia mente tutti gli uomini
perversi ed iniqui, che sarebbero andati seminando per il mondo false dottrine.
Tante infamie avrebbero detto contro la mia divina legge, ed avrebbero, col loro
veleno, fatto pervertire tante anime. Per essi intesi un grande dolore ed il mio
cuore si riempì di una grande amarezza. Rivolto al divin Padre, tutto dolente,
lo supplicai dei suoi divini lumi, del suo aiuto e grazia per tutte le povere
anime, che da quegli iniqui sarebbero state pervertite, acciò stessero salde e
costanti nella vera fede, da me insegnata. Lo pregai che si degnasse di
abbattere quei mostri di iniquità. Vidi che il Padre non avrebbe mancato di
dare a tutti la sua grazia, i suoi lumi, onde conoscessero la verità della
divina legge, e disprezzassero le falsità degli uomini iniqui e ribelli. Vidi
tutti coloro che sarebbero stati forti e costanti. Per questi pregai di nuovo il
divin Padre di assisterli e dar loro la perseveranza nella vera fede: e vidi che
il Padre l'avrebbe fatto. Del che gli resi grazie anche a nome di tutti. Vidi
poi ciò che avrebbero patito per la confessione della vera fede, e supplicai il
Padre del suo aiuto particolare per tutti. Vidi infatti che il Padre l'avrebbe
loro dato con grande amore. E di ciò lo ringraziai. Intesi però una
grandissima amarezza nel vedere la moltitudine degli infelici, che sarebbero
precipitati nell'eresia, abbandonando la vera fede. Rivolto al Padre, lo
supplicai con grande istanza, acciò avesse ispirato i suoi servi e ministri
fedeli, di prendersi l'impegno e 1'ufficio della predicazione, e di andare a
convertire quelle anime cieche e pervertite. E vidi che il Padre non avrebbe
mancato di farlo. Gli resi grazie, nel vedere che molte, per le loro sante
persuasioni, si sarebbero convertite, abbracciando di nuovo la vera fede. Intesi
però dell'amarezza, nel vedere il grande numero di quelli che sarebbero
rimasti nell'infedeltà, perciò sarebbero miseramente periti, per avere
abusato dei lumi divini e dell'aiuto di persone fedeli e bramose della loro
salute. Per questi infelici non lasciavo giammai di pregare il divin Padre. Lo
pregavo inoltre di dar forza, virtù e fervore a tutti coloro che si impiegano
nella conversione delle anime, specialmente degli infedeli, affinché possano
resistere alle molte fatiche e patimenti. Vidi che il divin Padre l'avrebbe
fatto con somma provvidenza. Vidi ciò che, nel praticare tale esercizio,
sarebbe loro convenuto patire dai perfidi infedeli e nemici della vera fede. Ne
intesi una grande amarezza e compassione, e supplicai il divin Padre di
aiutarli, consolarli e confortarli nei loro patimenti. E vidi che il Padre l'avrebbe
fatto con grande amore, e gli resi le dovute grazie, anche a nome loro.
ABBRACCIA LA CROCE
Mentre stavo con i due ladri, mi fu presentata la croce,
perché vollero, i crudeli, che la portassi da me. Quantunque fossi sì mal
ridotto, che stavo quasi spirante, con tutto ciò dicevano fra di loro Costui è
molto robusto. Ha resistito a tanti tormenti, resisterà anche a questo. Se
vedranno che manca sotto il peso, la leveremo, acciò lo possiamo far morire
crocifisso.
Alla vista della grande croce, tutto il popolo incominciò a
gridare ed a far festa. Ed io, vi fissai i miei amorosi sguardi. A tal vista si
liquefaceva il mio Cuore per 1'amore che ad essa portavo, perché la croce
doveva essere l'altare, su cui mi dovevo sacrificare, vittima all'eterno mio
Padre, per la salute del genere umano. Perciò la salutai amorosamente, e con
essa sfogai le mie amorose brame (1). L'abbracciai con grande dimostrazione di
amore, e la ricevei dalle mani di quegli empi, come datami dalle mani del mio
divin Padre. A Lui rivolto, dissi: Mio divin Padre; ricevo volentieri e con
grande amore, dalle vostre divine mani, questo legno di ignominia. Ma d'ora
innanzi sarà di gloria, per i miei seguaci. Voi sapete, da quanto tempo io
desidero di abbracciarla, e di morire sopra di essa, per testificare a voi ed al
mondo tutto, quanto grande è l'amore che vi porto, e che porto a tutto il
genere umano: per obbedire a voi e per salvare gli uomini, io morirò sopra
questa croce, e mai sacrificherò a voi, vittima innocente, per riscattare il
mondo perduto. Vi prego dunque, o mio divin Padre, di farmi la grazia, che tutti
i miei fratelli e seguaci vivano amanti della croce. Illuminateli voi, affinché
conoscano il grande bene che apporterà alle loro anime la croce, se da essi
sarà, volentieri e di buon cuore abbracciata. Date loro, o mio divin Padre, un
grande amore al patire, per l'amore col quale io tanto patisco per la loro
eterna salute. Date virtù alla croce di debellare l'inferno, e porre in fuga
gli spiriti ribelli. Datele la virtù di comunicare consolazione a tutte le
anime, che volentieri l'abbracciano, ad imitazione mia. Fate, infine, che
tutti la ricevano con l'amore e la rassegnazione con cui io ora la ricevo.
Udì il divin Padre le mie richieste e le esaudì. Vidi allora tutte le anime
che avrebbero approfittato delle grazie che loro avrebbe fatto il divin Padre.
Vidi quanti sarebbero stati amanti della croce, e che l'avrebbero abbracciata
volentieri. E rivolto ad essi, dissi: Seguitemi pure, amici fedeli, per il
sentiero del Calvario! Venite pure, fratelli e compagni miei, venite e
seguitemi; perché dove andrò io, verrete anche voi. Io vi spianerò la via,
con l'andare avanti, come vostro Capo. Per me prenderò tutto l'amaro, tutto
l'aspro; anche per voi resterà l'asprezza e l'amarezza; ma sarà molto
raddolcita! Voi sarete confortati e consolati, mentre io, per meritarvi la
consolazione, mi spoglio affatto di ogni conforto, ed abbraccio il solo e puro
patire. E vidi tutti coloro che avrebbero udito i miei amorosi inviti e con
tanta generosità e prontezza mi avrebbero seguito, e ne resi grazie al divin
Padre. Vidi anche il gran numero di quelli che avrebbero fuggito ed odiato la
croce, e con tutto il loro potere avrebbero fuggito il patire, perciò sarebbero
andati molto lontani dalle mie vestigia. Rivolto ad essi li esortai a non
evitare la croce, e li invitai amorosamente a seguirmi. Ma intesi una grande
amarezza nel vederli ostinati e sordi ai miei dolci inviti. Allora rivolto al
Padre lo supplicai di illuminarli, acciò conoscessero il loro errore, e
conoscessero anche che, andando così lontano da me, conviene loro soffrire
maggiori travagli; e più grave sarà la croce, che essi incontreranno, per
seguire i dettami del mondo, di quello che non sarebbe se prendessero la loro
croce e seguissero me, loro capo e Maestro. Vidi che il divin Padre non avrebbe
mancato di dare a tutti il detto lume, e che alcuni se ne sarebbero prevalsi, e
si sarebbero posti a seguirmi, con molta consolazione delle loro anime; ed lo ne
resi grazie al Padre. Intesi però una grande amarezza, nel vedere il grande
numero di quelli che, abusando dei lumi divini, sarebbero sempre andati lontani
dalle mie vestigia. Li vedevo, i miseri, gemere sotto il grave peso, che loro
impone il mondo ingannatore, senza dar loro una stilla di vera consolazione. Di
essi ebbi grande compassione, e non lasciai mai di invitarli a porsi alla mia
sequela, quantunque facciano i sordi ai miei inviti. Vedevo che alcuni avrebbero
conosciuto chiaramente il loro travaglio, eppure non si sarebbero mai risolti di
lasciare il mondo, per seguire me, che con tanto amore li invitavo. Per la loro
ostinazione, sentivo una più grave amarezza, e compassionavo la loro cecità,
non mancando di rimproverare la loro ostinazione; in modo che alla fine, dopo
molti rimproveri e molti inviti, vedevo alcuni che si sarebbero posti a
seguirmi. Per questi rendevo grazie al divin Padre, e lo pregavo di perdonare
loro la tanta resistenza fatta ai miei inviti, e il lungo indugio a ravvedersi e
porsi alla mia sequela. Vidi che il Padre si sarebbe mostrato loro benigno e
cortese, non negando ad essi la grazia che compartiva ai primi e più solleciti
a seguirmi. Di ciò lo ringraziai e lodai la sua infinita bontà e clemenza.
Intesi però dell'amarezza, ed oh, quanto grande! nel vedere l'ostinazione
di molti, che si sarebbero abusati di tanti lumi, di tanti inviti e di tanta
grazia.
L'ISCRIZIONE DELLA CROCE
Mentre i ministri di giustizia stavano per mettermi la croce
sulle spalle, i Farisei mandarono a dire al presidente Pilato di fare una
iscrizione da mettere sopra la croce, affinché, come capo dei malfattori, si
leggesse anche sopra il patibolo il mio nome, per mia maggiore ignominia, e per
distinguermi dai due ladri. Lo scritto, in poche parole, doveva manifestare la
causa principale per la quale mi crocifiggevano; dissero cioè che volevo
usurpare il regno della Giudea. Pilato fece l'iscrizione, e la fece senza
rifletterci. Scrisse: Gesù Nazareno, Re dei Giudei. Ciò fu ordinazione del mio
divin Padre, che volle che fossi dichiarato Re, anche sopra l'infame patibolo.
Come io nobilitavo ed esaltavo la croce coll'esservi crocifisso sopra, così,
essendovi il mio corpo, volle che vi fosse scritto anche il mio Nome, e fossi
dichiarato vero Re: perché con la mia morte, mai acquistavo il Regno, non solo
della Giudea, ma di tutto l'universo, ed anche di tutte le anime:
ricomprandole con la mia morte e col mio sangue, divenivo `infatti loro Re ed
assoluto padrone.
Non credette il presidente di fare ingiuria ai Farisei;
perciò, dopo averla scritta la mandò loro. Ma essi, leggendola, si
infuriarono, e tornarono da Pilato, perché la rifacesse, dichiarandosi molto
offesi da lui, per avere scritto: Re dei Giudei. Ma Pilato stette forte, né
volle in modo alcuno mutare l'iscrizione. I Farisei, dopo avere strepitato, si
quietarono, né vi fecero più riflessione !per allora, permettendolo il divin
Padre, onde si eseguisse la sua divina ordinazione (1). Vidi allora tutte le
anime che si sarebbero opposte ai divini decreti, e che si sarebbero tanto
affaticate affinché si seguisse nel mondo il loro sentimento. Di esse ebbi
grande compassione, perché le vedevo affaticarsi invano, mentre ciò che il
divin Padre ha decretato, conviene che si eseguisca. Perciò, rivolto al Padre,
lo pregai di far loro conoscere l'errore in cui si trovano. E vidi che il
Padre non avrebbe mancato di illuminarle, e che, per questo lume, molte si
sarebbero rimesse alle divine disposizioni. Di questo gli resi grazie. Intesi
però dell'amarezza nel vedere il grande numero di quelli che si sarebbero
abusati di detto lume, ed avrebbero tormentato sempre se stessi e gli altri,
senza mai poter arrivare ad effettuare i loro disegni: perché le creature tutte
devono assoggettarsi ai divini decreti, di buona voglia, essendo essi
immutabili.
SULLA VIA DEL CALVARIO
Stando con la croce, che tenevo con le mie mani appoggiata a
me, i perfidi me la posero sulla spalla, dalla parte destra, lasciandomi sciolte
le mani, perché la potessi tenere. Al primo movimento, la croce colpì la
corona di spine, per cui intesi grande dolore nella mia addolorata testa. Mi
avevano poi legate le braccia con corde, e una corda avevano legato alla
cintura. Mi posero una grossa e lunga fune al collo, con la quale mi teneva un
perfido manigoldo, gli altri mi tenevano per la corda della cintura, ma in modo
che potessero stare discosti alquanto da me, perché fossi veduto da tutti. Mi
precedevano il trombettiere e molti ministri di giustizia, come anche d'intorno
e dietro venivano altri, seguiti dalla plebe. Ai lati venivano i due ladri,
alquanto dietro di me. Dopo, tutta la plebe alla lontana, venivano gli Scribi e
i Farisei, cioè, quelli che non mi lasciarono mai, bramosi di vedere tutto, e
che si erano prefissi di non voler partire, se non dopo che fosse stata eseguita
la mia sentenza di morte. Vi venivano anche per il timore che fossi loro uscito
di mano; oppure, che qualche persona di autorità fosse venuta, e mi avesse
levato dalle mani dei ministri di giustizia. Dicevano fra di loro: Costui si è
fatto tanti amici e tanti aderenti: chi sa che non vengano con violenza a
levarlo dalle mani dei carnefici? perciò seguiamolo, acciò, vedendoci, abbiano
soggezione e timore di noi. Questi erano i più perfidi, che non stimavano né
onore, né reputazione, avvilendo anche il loro grado, per soddisfare alla loro
sfrenata passione. Così si incominciò il doloroso viaggio, alla volta del
Calvario. In tutto questo fatto, non apri mai bocca per dire neppure una parola.
Il mio Cuore stava immerso in un mare di amarezza.
Ricevuta la croce sulla spalla, intesi la gravezza del peso,
in modo che non potevo reggerla. Rivolto al divin Padre, lo pregai del suo
aiuto, e di darmi le forze, affinché la potessi portare. Accrebbe la divinità
le forze all'umanità, ma non le scemò il dolore; anzi, accrescendosi in me
le forze, si accresceva anche il dolore; perché per questo appunto, si
accrescevano le forze al mio corpo, affinché sentisse anche maggiore pena e
sofferenza. Rivolto al Padre lo supplicai per tutti i miei fratelli e seguaci,
che tutti vedevo, specialmente per quelli che sono molto aggravati dal peso
della croce, ed aggravati sopra le loro forze. Lo supplicai di dare anche ad
essi aiuto e forza per soffrire e portare la croce, di sì gran peso alla loro
debole umanità. Vidi che il Padre non avrebbe mancato di dare loro aiuto e
fortezza, e di ciò lo ringraziai.
Intese poi la mia umanità una grande ripugnanza per dover
passare in tal modo per la città, dove stavano quasi tutti in aspettazione per
vedermi, ed il dover comparire, in tal guisa, per le contrade, come capo di
ladri e di malfattori. Ne sentivo una grande amarezza, tanto più che vedevo
tutti gli scherni che mai sarebbero stati fatti, tutte le ingiurie e le molte
insolenze che avrei ricevuto. Rivolto al Padre lo supplicai di nuovo del suo
aiuto. L'amore infinito che stava nel mio Cuore, mi fece abbracciare tutto con
amore, rassegnazione e prontezza grande, e mi offri al divin Padre, pronto a
soffrire tutto. Vidi allora tutti coloro che avrebbero auto grande ripugnanza di
dover soffrire le ingiurie e gli scherni, di dover comparire in pubblico, ed
essere ritenuti persone indegne e cattive, di essere pubblicamente infamati,
scherniti e vilipesi, essendo per altro la loro vita innocente. Di questi ebbi
grande compassione. Rivolto al Padre lo pregai del suo potente aiuto e della sua
grazia speciale per essi, onde con generosità, soffrano tutto per amor suo; e
ad imitazione mia, portino pubblicamente questa grande croce. Vidi che il Padre
non avrebbe mancato di fare quello di cui lo supplicai, e che essi si sarebbero
prevalsi dei lumi e della grazia, e con generosità avrebbero sofferto tutto,
portando pubblicamente la croce e sopportando ogni ingiuria ed ignominia con
grande coraggio. Ne resi grazie al divin Padre, ed essi furono da me rimirati
con grande amore, come miei cari fratelli, seguaci, ed imitatori. Vidi anche
coloro che non avrebbero voluto mai soffrire cosa alcuna, che sarebbero stati
pieni di amor proprio, esigendo da ognuno un rispetto grande, amando il decoro
della propria persona, non volendo soffrire alcuna ingiuria, o sinistra opinione
del popolo, vergognandosi di portare la croce in pubblico, o di essere tenuti in
poca stima dalla gente mondana. Di questi intesi grande amarezza, perché
sarebbero andati tanto lontani d ai miei insegnamenti, e non avrebbero mai
fissato gli sguardi su ciò che io, per loro esempio, soffrii. Perciò supplicai
il divin Padre di illuminarli, facendo loro conoscere l'errore in cui si
trovano, quando per coprire la loro ripugnanza, trovano variai pretesti, sotto
figura di bene. Vidi che il Padre avrebbe dato loro il detto lume, che alcuni si
sarebbero ravveduti, ed avrebbero posto sotto i piedi ogni rispetto umano ed
ogni vana stima di se stessi, portando pubblicamente la croce, abbracciando l'ignominia
ed ogni altro obbrobrio, che il mondo suol far soffrire ai miei seguaci. Per
essi resi grazie al Padre, supplicandolo di continuare con i suoi lumi divini e
con l'assistenza della sua divina grazia. Intesi però una grande amarezza nel
vedere la moltitudine di quelli che di tutto si sarebbero abusati, e sarebbero
andati tanto lontani dai miei esempi, vergognandosi di portare la croce in mia
compagnia, e di essere vilipesi e scherniti dal mondo ingannatore.
Mentre camminavo con la mia croce, mi offrivo al Padre, ad
ogni passo, soffrendo tutto per amore. Perciò lo pregavo di voler dare ai miei
fratelli e seguaci un tale sentimento, cioè di soffrire con amore e per amore,
e di tener lontano da essi ogni ombra di vanità e di ambizione, di essere
stimati dagli uomini per gente buona e virtuosa. Feci molte volte questa
richiesta al divin Padre, perché vedevo che questa passione avrebbe tenuto
ingannati molti, e fatto perdere ad essi tutto il merito dell'opera buona e
dei patimenti sofferti: perché il demonio astuto, non potendoli vincere ed
impedire il bene da essi intrapreso, procura, con tutto il suo potere di porre
in testa ad essi la vanagloria. Vedendo che, in questo, il nemico avrebbe
riportato delle vittorie, spagliando le anime di tutto il merito, ne intesa una
grande amarezza, perciò molto mi affaticai presso il divin Padre, acciò si
fosse degnato di illuminare tutti i miei fratelli e seguaci, onde stiano
attenti, né si facciano ingannare dall'astuto nemico. Vidi che il divin Padre
non avrebbe mancato, con i suoi lumi, di far conoscere un sì grande errore, e
che molti se ne sarebbero approfittati, fuggendo ed aborrendo la vanagloria. Di
essi resi grazie al divin Padre, supplicandolo della sua continua assistenza, e
del suo aiuto in tutte le loro virtuose operazioni. Intesi però una molto
grande amarezza, nel vedere il grande numero di quelli che si sarebbero abusati
dei lumi divini e della grazia, e che in tutte le operazioni avrebbero cercato
sempre la vana stima e la gloria mondana, e con questo, sarebbero venuti a
perdere tutto il merito del bene che fanno e di quanto patiscono, perché il
fine loro non è retto, né ciò fanno per piacere al divin Padre e per imitar
me, nelle pene e nei patimenti, ma per essere lodati e stimati dagli uomini e
per acquistar credito presso di essi. Ed oh, quanta pena questi poveri ciechi e
insensati facevamo soffrire al mio povero Cuore! Perciò tornavo sempre a
supplicare il divin Padre, affinché li avesse illuminati ed avesse fatto
conoscere il loro errore. Vedevo che alcuni infine si sarebbero ravveduti della
loro vanità e pazzia, con dare udienza agli interni rimorsi, e con ricevere i
lumi divini. Di ciò lodavo il divin Padre, restando però sempre amareggiato il
mio Cuore, nel vedere il grande numero di quelli che si sarebbero abusati di
tutto rimanendo nella loro cecità e pazzia.
Seguitando il viaggio per la città, dove mai convenne
passare, per andare alla porta, che conduceva al Calvario, furono molte le
ingiurie e gli scherni che da tutti ricevevo. Chi stava sulla porta, chi alle
finestre: tutti vomitavano ingiurie e maledizioni verso di me. Mi furono tirate
anche delle immondezze. Andavo io, sposa mia, col capo chino, con gli occhi
fissi in terra, col volto sereno, senza turbamento alcuno: Invitavo i miei
fratelli e seguaci, dicendo loro: Venite e vedete in qual modo dovete anche voi
portare la vostra croce! Osservate come la porto io, che sono il vostro Maestro
e la vostra guida! Vedete la mansuetudine, il silenzio, la sofferenza, l'amore!
Osservate i miei dolori e patimenti! Sappiate che dovete imitarmi nelle virtù
che in me risplendono!
LE CADUTE DI GESù
La croce ad ogni passo mi batteva sopra la corona di spine, e
mi faceva soffrire un aspro tormento. La spalla era già tutta piagata. In
questo viaggio andavo soffrendo degli svenimenti per l'asprezza del dolore, e
spesso cadevo sotto il grave peso. Nelle cadute, ero percosso dai manigoldi con
le aste e con i bastoni, facendomi con impeto rialzare. Era tanto lo spasimo che
sentivo che non vi è finente che lo possa penetrare. Mi si sconvolgevano tutte
le ossa, e sopra il dorso ne restarono scoperte alcune e smosse, restando le mie
spalle tutte impiagate.
Mi si rappresentavano alla mente tutte le anime, che
essendosi poste alla mia sequela, ed essendo molto avanti nella virtù, cadono
dal dritto sentiero, ed incorrono in gravi errori. Di ciò sentivo un grande
dolore ed amarezza. Rivolto al divin Padre lo supplicavo per quello spasimo che
sentivo, che si fosse degnato di illuminarli e di fare and essi conoscere i1
loro grave errore. Vidi, che il divin Padre l'avrebbe fatto, ed avrebbe usato
verso di loro la sua grande misericordia, col dar loro l'aiuto per rialzarsi e
tornare di nuovo alla mia sequela. Vidi quanti si sarebbero approfittati della
grazia e dei lumi: e ne resi grazie al divin Padre. Vidi però quelli che, dopo
caduti, non si sarebbero più rialzati, e abusando delle grazie divine,
sarebbero stati sempre nei loro errori. Di questi intesi grande amarezza, tanto
più che sarebbero stati di scandalo ai loro prossimi, ed occasione a molti
incauti, di seguirli nei loro errori. Quando cadevo sotto il grave peso, privo
di forze, i perfidi alzavano grida, battendo le mani, fischiando e saltando.
Nell'udirli tripudiare in tal modo, si accresceva una grande amarezza nel mio
Cuore, e si rappresentava alla mia mente tutta la festa che fanno i demoni e la
gente perversa, quando vedono cadere in qualche grave mancamento quelli che sono
della mia sequela, che si dichiarano miei discepoli ed imitatori. Perciò si
accresceva allora la mia amarezza e confusione. Molti erano quelli che mi
rinfacciavano i miracoli che avevo fatto, e la liberazione di tanti infermi e
storpi. Mi dicevano: Perché ora, o gran profeta, non ti liberi dalle mani della
giustizia ? Vedi, se veramente eri un mago, un indemoniato! Ora che sei nelle
mani della giustizia, non puoi fare più niente! Questi, per lo più, erano i
saluti che mi facevano quelli che stavano alle finestre per vedermi. Mi
dicevano: Ora va a pagare il fio delle tue furberie; ben ti sta Ed io, rivolto
al Padre, lo supplicavo di perdono per tutta quell'ingrata e cieca gente, e
gli offrivo i miei dolori, in sconto delle loro colpe e di quelle di tutti i
miei fratelli.
LA PIETOSA VERONICA
Camminando avanti, fui veduto, alla lontana, dalla devota
Veronica, la quale, mossa a compassione, per scorgere il mio Volto pieno di
sangue e anche di sputi perché gli inumani non cessarono mai di farmi tale
oltraggio prese un panno di lino, e corse velocemente ad asciugarmi il Volto. Ma
fu subito dai manigoldi rigettata e schernita. Mi pose il panno sul Volto, con
grande compassione, dicendomi Oh, povero Gesù! A che stato vi hanno ridotto i
vostri nemici! Per queste compassionevoli parole, e per l'atto caritativo che
mi usò, e molto più per la generosità da lei usata, nel spassare fra i
manigoldi, fu ricompensata da me con un segno di amore straordinario,
lasciandole impressa nel panno la mia effige. Ma la scolpii molto più nel di
lei cuore, e finché visse, non se ne dimenticò mai, e sempre pianse
amaramente, per amorosa compassione. La donna, toltomi il panno dal Volto, fu da
me rimirata con grande amore. Del quale sguardo restò ferita, e visse amante di
me ed anche delle mie pene. Avvedutasi poi subito del mio ritratto nel panno,
corse frettolosa a contemplarlo, ed a sfogare l'amor suo in amare lacrime.
A questo fatto, invitai ancora tutti i miei seguaci a venire
a vedere ;il mio Volto deformato e sì mal ridotto, e ad avere di me una
compassione amorosa. Vidi tutti quelli che sarebbero accorsi all'invito, e
contemplando le mie pene e la deformità del mio Volto e di tutta la persona
mia, ne avrebbero avuto sentimento di compassione. Ed io, fissai fin d'allora
sopra le loro anime i miei sguardi amorosi, lasciando impressa nel loro cuore la
memoria delle mie pene ed accendendoli del mio amore. Vedendo la Loro
gratitudine e compassione, ne resi grazie al divin Padre, e lo supplicai di dar
loro una copiosa mercede. Intesi dell'amarezza, ed oh quanta! nel vedere la
moltitudine di quelli, che non solo non sarebbero accorsi al mio invito, a
contemplare le mie pene, ma, ad imitazione degli iniqui Ebrei, si sarebbero
burlati, schernendo quelli che vi sarebbero accorsi. Di costoro intesi una più
grave pena. Non mancai però di scusarli presso il divin Padre.
L'INCONTRO DELLA MADRE
Seguitando il doloroso viaggio, mi tiravano quei crudeli con
gran fretta e mi accompagnavano con ingiurie e percosse, senza pietà né
compassione. Dove mi rivolgevo, trovavo materia di dolore e di amarezza: per me
non vi era alcun conforto. Avendo camminato alquanto, giunse la mia diletta ed
afflitta Madre. Oh! quanta pena ed amarezza soffrì il mio Cuore nel vederla
immersa in un mare amarissimo di affanni! Mi vide da lontano, e fu da me
rimirata. Parlai al di lei cuore e d invitai ad appressarsi. Ed ella, spinta
dall'impeto dell'amore, corse ad abbracciarmi per l'ultima volta. Passò
in mezzo alla turba insolente ed ai carnefici, ed arrivata alla mia presenza,
restò priva di respiro, per la ferita crudele che sentì il suo afflitto ed
amante cuore. Non poté proferire altra parola che questa: Gesù, mio Figlio! E
mi abbracciò, e nell'abbracciarmi restò anch'ella bagnata del mio sangue e
punta dalle spine, ma molto più, ferita nuovamente nel cuore. Le dissi: Cara
madre, fatevi animo, perché più gravi dolori vi conviene soffrire. Altro non
potei dirle perché anch'io ero ferito dal dolore nel vederla in sì grave
affanno. Si parlarono i nostri cuori, animandosi l'un l'altro a soffrire e
ad eseguire la volontà del Padre.
Ma appena mi ebbe abbracciato, i crudeli manigoldi la
discacciarono. Io le dissi: Seguitemi, cara Madre! Ed ella, pronta, mi seguì,
non molto da lungi, sino alla cima del Calvario. L'amante Maddalena, il
discepolo Giovanni e le altre devote donne pure mi seguivano, ricolme d'affanno,
in compagnia della diletta Madre. In questo fatto vidi tutti i genitori, che
avrebbero provato grande travaglio e dolore per i loro figli, che sarebbero
stati uccisi dai loro nemici, o per mano della giustizia. Di loro ebbi grande
compassione, e rivolto al divin Padre, lo supplicai di dare ad essi fortezza e
grazia da poter soffrire sì gravi colpi. Vidi che il Padre non avrebbe mancato
di farlo. Vidi tutti quelli che si sarebbero rassegnati ed avrebbero sofferto il
travaglio con pazienza, e ne resi grazie al Padre. Intesi però grande amarezza
nel vedere la moltitudine di quelli, che dando nell'impazienza, e non
volendosi in modo alcuno rassegnare, avrebbero molto offeso il divin Padre, col
rivoltarsi contro di Lui, prorompendo in lamenti, trattandolo da crudele ed
ingiusto. Nel vedere questi tali (ve ne sono molti al mondo), fui riempito di
una più grave amarezza. Rivolto al divin Padre, lo supplicai, per quella mia
rassegnazione e per quella della mia addolorata Madre, che si volesse degnare di
illuminarli, e fare ad essi conoscere il loro grave errore. Vidi che il Padre l'avrebbe
fatto, e che alcuni si sarebbero ravveduti, e chiesto perdono al divin Padre, si
sarebbero emendati: di ciò resi grazie al Padre. Intesi però dell'amarezza
nel vedere che molti sarebbero rimasti nel loro errore: non si sarebbero mai
voluti arrendere e rimettersi alle divine permissioni, lasciandosi accecare dal
forte amore, in modo che, scordati di Dio, si sarebbero dati in preda alla
passione, vivendo sempre in rancore ed amarezza.
Essendo così seguito dalla mia cara Madre e dai diletti
discepoli, Giovanni, Maria Maddalena, con le altre devote donne, soffrivo un
altra pena, perché questi, con il loro cordoglio, accrescevano a me il dolore,
e mi servivano di doppia croce. Essendo immerso in tanti dolori ed in tante
amarezze, non li potevo consolare, perché io stesso ero la causa del loro
grande dolore. Perciò, rivolto al Padre, lo supplicai di volersi degnare di
consolarli Lui e confortarli. Li confortò il Padre e li animò a seguirmi: ma
non li consolò, perché questo era tempo di pene e di dolore. Vidi allora tutte
le anime, che essendo afflitte e sconsolate, non hanno chi le sollevi e le
consoli nelle loro pene ed affanni. Perciò, rivolto al divin Padre, lo
supplicai a volersi degnare Lini di confortarle, perché dove si valgono,
trovano materia di tristezza e di dolore. Vidi che il Padre l'avrebbe fatto,
con grande amore, specialmente a quelle anime che patiscono con rassegnazione e
per suo amore. Di ciò resi grazie al Padre.
La mia diletta Madre sentiva tutte le bestemmie e le
ingiurie, che contro di me vomitavano i perfidi manigoldi, e le molte percosse
che mi davano, erano al di lei cuore tante spade che la ferivano. Anche lei mi
andava accompagnando nelle offerte, supplicando il divin Padre di perdonare
loro, e di trattenere il castigo, che vedeva star fulminante su di loro.
LA CORREDENTRICE
Nel resto del cammino la diletta Madre mi andava
accompagnando con atti di compassione e di amare, e le sue voci interne
penetravano nell'intimo del mio Cuore. Spesso mi diceva: O amato Figlio, a
quale stato vi hanno ridotto i vostri nemici!
O come le colpe del genere umano sono vendicate dall'ira
paterna sopra di voi, Figlio innocente? Quanto è grande l'amore che portate
alle vostre creature, mentre, per la loro salute, tanto soffrite! Potessi io
sola soffrire tutte le vostre pene, purché voi, mio amato Figlio e. Signore, ne
foste esente! Quanta consolazione ne avrei! Ma giacché voi solo dovete e volete
soffrire tutto, io abbraccio volentieri il dolore che ne provo. E poi rivolta al
divin Padre, gli diceva: Padre amatissimo, io vi offro tutte le pene ed i
martiri del vostro e mio unigenito Figlio, ed uniti a questi, vi offro anche i
miei dolori ed il martirio del mio cuore, per soddisfare la divina giustizia,
per i peccati del genere umano! Se più pene volete da me, eccomi pronta a
soffrirle. Mandate pure sopra di me il castigo: tutto accetto volentieri, dalle
vostre paterne mani.
In questi atti la diletta Madre dava molto gusto al Padre
mio. Io parlavo al di lei cuore, l'animavo, e spesso le andavo replicando:
Consolatevi, cara Madre, purché voi sola siete quella che non avete parte
alcuna nelle mie pene. Ed essendo voi la più afflitta e dolente per i miei
martiri, sarete anche quella, che più d ogni altro ne godrà la ricompensa.
Cosi andavo spesso animandola a soffrire il grande martirio.
Essendo arrivato alla porta, per la quale dovevo uscire dalla
città ed andare al Calvario, feci una terribile caduta. Si affollarono tutti i
ministri di giustizia a percuotermi ed a farmi rialzare. Soffrii un grande
dolore e sconvolgimento di tutte le ossa, con sfinimenti mortali. Domandando
aiuto al divin Padre, per poter proseguire il viaggio, mi riebbi in forze per
andare avanti.
SUPPLICA PER L'INGRATA GERUSALEMME
Uscito dalla città, fissasi il pensiero all'ingratitudine
e crudeltà di quel popolo, tanto da me beneficato. Vedendo ricompensati i
benefici, con tanta ingratitudine e crudeltà, rivolto al divin Padre, lo pregai
di perdonare, per i meriti di quanto io avevo operato per sua gloria, nella
medesima città, dicendogli: Padre amantissimo, avete veduto quello che ho
operato in questa città, per vostra gloria e come ho in tutto adempito la
vostra divina volontà! Ora vi prego, per il compiacimento che avete avuto di
me, e per i meriti da me acquistati, che vi vogliate degnare di perdonare ai
miei nemici tutte le offese che quivi ho ricevuto. Vi prego ancora, che vogliate
illuminare questa cieca nazione, onde conosca il beneficio grande che le avete
fatto, di mandare ad essa il Messia promesso: e giacché non mi ha voluto
riconoscere ora vivente, fate che mi conosca almeno dopo la mia morte, affinché
goda il frutto della redenzione. Udì il divin Padre le mie suppliche, e vidi
che non avrebbe mancato di illuminarli e di fare ad essi molte grazie; ma vidi
la loro durezza: conoscendo chiaramente la verità, pure avrebbero voluto
restare nella loro ostinazione e cecità. Vidi però, che alcuni non avrebbero
mancato di corrispondere ai lumi divini e di convertirsi alla verità della mia
fede. Fu molta l'amarezza che soffrii nel vedere l'ostinazione di quel
popolo, tanto beneficato, e l'ingratitudine che usava verso di me. Vidi anche
l'ingratitudine di tutti i miei fratelli, e ne intesi una grande amarezza.
Vidi tutta l'ingratitudine che avrebbero usata verso il mio divin Padre, al
quale dopo tanti e sì grandi benefici, non sanno che recare sempre maggiori
offese. Di questo intesi una più grave amarezza. Rivolto al divin Padre gli
offrii la mia gratitudine e la corrispondenza al suo amore, in supplemento di
quanto mancano i miei fratelli. Il Padre lo gradiva e si chiamava soddisfatto.
Io lo ringraziavo e lodavo la sua infinita bontà. Lo ringraziavo anche a nome
di tutti i miei fratelli, per supplire al loro mancamento.
è TRATTATO QUALE VILE GIUMENTO
Andavo con la pesante croce verso il Calvario, molto stanco
ed affaticato, curvo, rendendomisi troppo gravoso il peso della croce. Sudavo, e
col sudore si mischiava il sangue, che usciva dall'impiagato corpo. Ero molto
affannato, e quei crudeli mi facevano violenza a camminare di buon passo, per la
fretta che avevano di farmi presto morire. Si levava spesso anche il lume dai
miei occhi; per l'estrema debolezza e per lo spasimo che sentivo in tutto il
mio corpo. A volte perciò mi fermavo alquanto, per respirare. Ed allora quei
crudeli, mi spingevano a gran forza: chi con calci, chi con percosse, mi
facevano camminare. L'estremità della grande croce andava battendo per terra
ad ogni passo; a causa di questo sentivo in tutta la mia persona un grande
dolore. Pensavo alle replicate offese contro il divin Padre e ne soffrivo una
più grande amarezza. Gli offrivo i miei patimenti ed aspri dolori, in sconto
delle continue offese che riceveva.
GLI VIENE LANCIATA UNA GROSSA PIETRA
Essendomi una volta fermato alquanto per respirare, un
perfido mi lanciò una grossa pietra sotto il fianco sinistro: da ciò ricevetti
una grande ammaccatura con acuto dolore. Rivolto al Padre lo supplicai del
perdono per quel ministro spietato. Poi rivolto a tutti quelli che mi
tormentavano, dicevo loro internamente: è possibile che in vai sia estinta ogni
pietà, e non si trovi compassione alcuna verso di me, nei vostri cuori
induriti? Vedendo che infuriavano sempre più, venivo ferito da una maggiore
pena, più per i loro peccati, che per i miei aspri dolori.
INCONTRA LE PIE DONNE
Alcune devote donne si posero a seguirmi; erano della plebe
più povera; piangevano per compassione, e dalla sbirraglia erano maltrattate.
Mi voltai a rimirarle, in segno della mia gratitudine, e con quello sguardo
pietoso ed amoroso, le consolai, parlando ad esse ed esortandole a piangere
sopra di loro e sopra i loro figli, non sopra di me, perché anche per esse vi
sarebbe stato molto da patire, perché, se tanto si scaricava il flagello sopra
di me, cosa sarebbe stato poi sopra di loro? (1). Volevo loro significare con
questo, che se il peccato era tanto punito nella persona mia innocente,
essendomelo solo addossato, cosa sarebbe stato sopra il peccatore, per il quale
stanno preparati gli eterni tormenti? Perciò le esortai a piangere le colpe
loro, quelle dei loro figli, cioè, dei loro prossimi e di tutto quel popolo
ingrato e ribelle. Rivolto al Padre, lo supplicai di dar lume a tutte le persone
che hanno qualche compassione delle mie pene, acciò, conoscendo la causa dei
miei dolori, che sono le colpe, si pongano a deplorare non solo le loro, ma
anche quelle di tutti i peccatori, affinché per le loro suppliche e per le loro
lacrime, vengano a conseguire il perdono, e trovino misericordia presso il divin
Padre, non solo per esse, mia anche per i loro prossimi; perché il Padre non
scaccia mai da sé un anima, che, contrita ed umiliata, lo supplica del perdono:
ed è sempre pronto ad usure misericordia, specialmente a chi, riconosciuto il
suo errore, si pente,e ricorre a Lui. Vidi che il Padre non avrebbe mancato di
illuminarli, e che molti si sarebbero prevalsi dei lumi e della grazia, e per
mezzo di questi, molti peccatori si sarebbero convertiti, avrebbero conseguito
il perdono é sarebbero stati liberati dagli eterni tormenti. Di ciò resi
grazie al Padre. Intesi però una grande amarezza nel vedere la moltitudine di
coloro che se ne sarebbero abusati, perché non avrebbero pianto i peccati
altrui, nemmeno quelli dei loro congiunti, né i propri: perciò sarebbero stati
sottoposti a gravissimi tormenti e crucci interni, nella presente vita e nella
futura, per essere condannati agli eterni supplizi. Supplicai inoltre il divin
Padre di dare lume e grazia a tutti quelli che per il grado o per l'obbligo,
devono consolare i loro prossimi afflitti, affinché non manchino di farlo,
quantunque essi si trovino nei travagli e nelle afflizioni maggiori; ma
soffrendo con pazienza il travaglio loro, consolino anche gli altri, come feci
io, che trovandomi in sì grave afflizione, non lasciai di confortare quelli,
che per me si affliggevano e mai si appressavano.
VEDE LE ANIME CHE SALGONO IL MONTE DELLA PERFEZIONE
Salendo il monte Calvario, con molta mia pena e dolore, e con
grande fatica per la pesante croce, vedevo tutte le anime che si sarebbero
incamminate al monte della perfezione, tra pene e travagli, con la loro croce.
Vidi tutti i loro patimenti, e quanto avrebbero sofferto per arrivare alla cima
del detto monte, cioè, alla sublime altezza della perfezione. Furono da me
compatite e con grande amore riguardate ed animate. Rivolto al divin Padre lo
supplicai di volersi degnare di assisterle con la sua grazia, di rinvigorirle,
di consolarle e confortarle; perciò gli dissi: Padre mio amatissimo, abbiate
compassione di questi miei fratelli e seguaci! Aiutateli, confortateli,
consolateli con le vostre visite interne, animateli con la speranza del premio,
perché io mi contento di restar privo di ogni consolazione e di ogni conforto,
volendo per me tutta l'amarezza, acciò essi siano consolati e confortati.
Assisteteli, onde seguitino il cammino incominciato; date loro il dono della
perseveranza e fate ad essi, ogni tanto, gustare la dolcezza del vostro amore e
la vostra soavità, affinché rinvigoriti, camminino con passi più veloci e con
più ardore. Udì il divin Padre le mie suppliche e mi promise di fare quello di
cui lo supplicavo, e vidi, che l'avrebbe eseguito fedelmente. Di ciò gli resi
affettuose grazie, anche da parte di tutti i detti miei fratelli e seguaci. Ebbi
poi un vivo desiderio, che tutti i miei fratelli si fossero incamminati per
questo monte della perfezione, e che tutti fossero giunti alla cima di esso.
Vedendo, che molto pochi sarebbero stati quelli che ci sarebbero saliti, e che
molti, incominciando a salire, sarebbero poi tornati indietro, ne intesi una
grandissima amarezza. Supplicai il divin Padre di illuminarli, facendo conoscere
il loro errore. Vidi, che per i detti lumi, alcuni si sarebbero ravveduti,
ponendosi di nuovo sul diritto sentiero. Per questi domandai il dono della
perseveranza. Vidi che molti sarebbero giunti alla cima della perfezione: per
questi resi grazie al divin Padre. Intesi però dell'amarezza, nel vederne
molti che, abusando dei lumi divini e della grazia, con farle resistenza,
sarebbero rimasti nel loro errore: anzi, avrebbero camminato a passi veloci per
la via della perdizione.
Nel salire il monte, poi, andavo ogni tanto invitando i miei
fratelli a seguirmi. Vedevo tutti quelli che sarebbero accorsi all'amoroso
invito, e per questi impetravo multe grazie dal divin Padre. Sentivo però dell'amarezza,
nel vedere il grande numero di quelli, che avrebbero fatto sempre i sordi ai
miei inviti, seguendo il mondo ingannatore ed il demonio, loro fierissimo
nemico. Di essi, oh quanto, sposa mia, sentivo dolore ed amarezza! Rivolto al
Padre, lo supplicavo con grande istanza, acciò li avesse illuminati facendo
conoscere i1 loro inganno, la loro miseria, lo stato miserabile in cui si
ritrovano. Vidi che il Padre non avrebbe mancato di fare quello di cui lo
pregavo, e che alcuni se ne sarebbero approfittati. Di questi rendevo grazie al
Padre. Sentivo però dell'amarezza nel vedere la moltitudine di quelli che se
ne sarebbero abusati, seguendo sempre i loro nemici, che infine li avrebbero
condotti alala perdizione.
ULTIMA CADUTA
Andavo in tal modo seguitando il viaggio, ed essendo tanto
indebolito, caddi di nuovo, sotto il grave peso. In quest'ultima caduta, mi
ridussi in fin di vita, provando un grandissimo sfinimento di forze, per la
veemenza del dolore e per lo spargimento di tanto esangue, privo affatto di
forze, in modo che non potevo più rialzarmi. Quegli spietati mi diedero delle
percosse con le aste e con calci, tirando le funi con violenza. Ed accorgendosi
che la mia umanità non poteva più reggere, ebbero timore che restassi quivi
morto. Ed affinché mi potessero far morire, come bramavano, inchiodato sulla
croce, per mia maggiore ignominia, risolvettero di scaricarmi della croce.
Mentre stavo così per terra, privo affatto di forze, mi dicevano delle
ingiurie, mi tiravano per i capelli, facendo soffrire un grande tormento alla
mia testa piagata.
COSTRINGONO SIMONE CIRENEO
Non si trovava chi volesse portare la mia croce, reputandolo
tutti vituperio ed infamia, perfino i manigoldi più vili. Stando in questo
contrasto, passò Simone, detto il Cireneo. Vedutolo i soldati e la sbirraglia,
lo presero a forza, e lo costrinsero a portare la mia croce. Ricusò questo più
volte, ma infine, costretto dai ministri, gli convenne portarla (1).
Stando il Cireneo presso di me, per prendere la croce, mi
osservò, ed io lo rimirai con occhi compassionevoli. Fissai molto più lo
sguardo nell'anima sua, di modo,che restò preso da un grande amore verso di
me e da una tenera compassione. Supplicai per lui nello stesso tempo il Padre,
affinché l'avesse illuminato. Difatti, lo fece il divin Padre. Così, per
avere compassione delle mie pene, mi credette innocente, perciò si prestò a
portare il legno d ignominia. Ricevutolo sulle sue spalle, intese riempirsi 1'anima
di compunzione e di consolazione. Gli si rese assai leggero il peso della croce;
e conoscendo tutti gli effetti, che il legno della croce in lui operava, di buon
cuore la portò, e ringraziava Dio, ad ogni passo, per la grazia ricevuta. Anzi,
bramò di morir lui stesso sulla croce. I manigoldi, nel vedere che il Cireneo
portava la croce con tanta facilità e con tanta allegrezza, dopo che l'ebbe
ricevuta, si stupirono, come all'improvviso si fosse così mutato, e mostrasse
tanta forza e vigore nel portarla. Ebbero anche qualche raggio di luce divina,
impetrata ad essi dal Padre; ma si estinse subito in essi, perché non vi fecero
riflessione e lo cacciarono da sé, dicendo tutti, che il Cireneo, essendo
persona di grande forza, voleva mostrare il suo valore. Si posero, allora, tutti
a deriderlo per questo fatto, che non fu se non ordinazione del divin Padre e
mia, per lasciare esempio convincente a tutti i miei fratelli, che anch'essi
devono portare la croce, o per forza o per amore: non vi è chi ne sia esente,
avendola portata io, loro Capo e guida.
Volli, col fatto del Cireneo, far ancora vedere, come si
renda leggera ed anche soave la croce a quelli che di buon animo ed allegramente
la prendono dalle mani di Dio. E quantunque venga loro presentata da gente
perversa e cattiva, con tutto ciò è sempre ordinazione divina, e di buon cuore
la devono ricevere e con generosità portarla. Vidi allora, nella persona del
Cireneo, tutti quelli che di mala voglia ricevono la croce. Questi sono quasi
tutti, perché all'aspetto della croce, ognuno si spaventa. Perciò supplicai
il divin Padre di illuminarli, perché conoscano la consolazione e la soavità
che sta nascosta nella croce, dopo che fu portata da me, e l'abbraccino di
buon cuore. Vidi che il Padre avrebbe dato loro il detto lume, e che essi,
servendosene, ne avrebbero sperimentata grande consolazione, portando con grande
amore la loro croce, soffrendo con pazienza ed anche con generosità tutti i
travagli che nella vita presente sogliono accadere. Vidi inoltre tutte le anime,
che sarebbero subentrate, come il Cireneo, a portare la mia croce, cioè, che si
sarebbero poste ad imitarmi e seguire le mie orme nelle cose di grande
patimento, quali le predicazioni, le conversioni delle anime, il patire e
soffrire molto per il mio nome, per la propagazione della vera fede, per la
gloria e l'onore del divin Padre, per la riforma dei costumi del secolo
corrotto e delle religioni rilassate. Per tutti questi pregai il Padre dei suoi
divini aiuti, delle sue grazie particolari, e lo ringraziai lodando e
benedicendo la sua infinita bontà.
ESORTAZIONE ALLA SUA SPOSA
Hai inteso, sposa mia, in che modo portai la croce, cioè:
con pazienza, con fortezza, con generosità, con silenzio e con amore. Procura
in questo di imitarmi, col portare volentieri la croce, che il Padre celeste ti
manda. Hai inteso, come domandavo al Padre d aiuto per poter portare la croce:
ma non troverai giammai che gli domandassi che mi alleggerisse il peso, e che mi
diminuisse le pene acerbissime che soffrivo. Ora anche tu, quando ti trovi
abbattuta e priva di forze, ricorri al divin Padre e supplicalo del suo aiuto e
della sua grazia, non perché ti diminuisca il patire: in tal modo lo
pregheresti di diminuirti anche il merito. Inoltre ti mostreresti a me
contraria, onde non saresti poi rimirata dal Padre, con l'amore di mia vera
seguace e sposa fedele: perché gli chiederesti il contrario di ciò che gli
domandavo io, e resteresti priva anche del grande premio che ti tiene preparato.
Domandagli bensì, che ti dia forza, spirito, virtù e grazia da poter portare
la tua croce, in quel modo appunto in cui la portavo io, tuo sposo, maestro ed
esemplare. Né ti vergognare giammai di portare la mia croce, in qualsiasi modo.
Voglio dire, che tu soffra con pazienza tutte le derisioni, le ingiurie, gli
affronti che ti saranno fatti, per seguirmi nell'esercizio delle virtù, come
io ne soffri tanti per tuo amore. Hai inteso ancora, quanto era grande la
carità che ardeva nel mio Cuore verso miei fratelli, e che con tutti i miei
aspri dolori, non lasciai giammai di pregare per essi il divin Padre; come
consolai le devote donne che mi accompagnavano, quantunque fossi tanto afflitto
ed angustiato. Così tu, quando ti troverai travagliata, angustiata. derelitta,
non tralasciare per questo di porgere al prossimo tuo quel sollievo che ricerca
da te, e di cui ha bisogno. Tieni per te ed in te la tua afflizione, e consola
il prossimo tuo, perché a te non mancherà mai la divina consolazione, né
sarai afflitta sopra le tue forze. E quando ti paresse di essere soverchiamente
angustiata, non temere, perché la grazia divina sta con te. Non tralasciare mai
di pregare anche per tutti i tuoi prossimi, come senti che facevo io ad ogni
respiro.
CAPO UNDICESIMO
Come il Figliuolo di Dio, arrivato che fu al Monte Calvario,
fu abbeverato di fiele mischiato, spogliato e inchiodato sulla croce. Di ciò
che operò nel suo interno finché fu inalberata la croce e posta a vista di
tutto il popolo.
SUL CALVARIO: VISTA ORRIBILE
Arrivato al Monte Calvario, molto stanco ed afflitto, in modo
che più non potevo reggermi in piedi, privo affatto di forze, domandai aiuto al
divin Padre, per poter sostenere gl. asprissimi e crudeli tormenti, che mi
stavano preparati. Rinvigorì la divinità le forze alla mia indebolita
umanità. Vidi tutti gli strumenti che erano preparati per tormentarmi. Intese
la mia umanità un grande rincrescimento per gli orribili tormenti; ma l'amore
infinito, che nel mio Cuore ardeva verso il divin Padre, ed anche verso il
genere umano, mi animò e mi riempì di un ardente desiderio di patir tutto, per
eseguire la volontà del Padre, e per la salute di tutti i miei fratelli. Feci
un offerta di me stesso al Padre, mostrandomi pronto a soffrire tutto con amore.
Vedevo i manigoldi ed i soldati far festa, ed applicati nel
preparare ciò che occorreva per la mia crocifissione. Chi metteva all'ordine
una cosa e chi l'altra, e tutto si faceva con grande fretta. Io ero spettatore
di tutto, senza che vi fosse chi mi dicesse una parola di conforto. I due ladri,
che erano venuti in mia compagnia, erano da molti confortati ed animati a
soffrire il supplizio, dovuto ai loro misfatti; io solo, essendo stimato il più
infame, fui lasciato da tutti in preda al cordoglio. Anzi, fui da molti
ingiuriato e schernito.
In questo fatto, vidi tutti quelli che, dovendo soffrire
gravi tormenti per la gloria del divin Padre, sono lasciati abbandonati in
braccio al dolore ed all'angustia, e pregai il divin Padre di consolarli,
animarli e dar loro spirito e fortezza, per soffrire tutto per suo amore, ad
imitazione mia. E vidi che il Padre l'avrebbe fatto con grande amore. Vidi
anche tutta la ripugnanza ed il rincrescimento che avrebbero avuto nel dover
soffrire i tormenti. Per questo ancora porsi suppliche al Padre, acciò avesse
accresciuto in essi l'amore verso di Lui. E vidi che il Padre l'avrebbe
fatto, ed essi, per l'amore ardente verso il divin Padre, avrebbero preso
grande coraggio e si sarebbero mostrati pronti a soffrire tutto per amore. E
vedendo che tanti e tanti sarebbero corsi al martirio, ed avrebbero sofferto
tanti tormenti, ne lodai il divin Padre, e lo supplicai di alleggerire loro le
pene, offrendomi io pronto a soffrirle tutte, acciò essi, fra i loro tormenti,
trovassero consolazione. Ed il Padre in questo mi compiacque e di ciò lo
ringraziai. Vidi, come tanti martiri si sarebbero burlati dei tormenti,
chiamandoli piuttosto loro delizie, per l'amore che ardeva nel loro cuore, e
per la divina consolazione che inondava l'anima loro. Di ciò resi grazie al
Padre, restando io soddisfatto, che, in virtù dei miei patimenti, e delle mie
suppliche, essi restassero consolati negli stessi tormenti. Pregai inoltre il
divin Padre per tutti quelli che erano spettatori delle mie pene, onde li avesse
illuminati facendo loro conoscere la verità, cioè, che io ero il loro vero
Messia. Vidi, che il Padre l'avrebbe fatto, ma vidi anche 1'ostinazione di
quei perfidi. Vidi però, che dopo la mia morte, molti l'avrebbero confessato
con grande sentimento. Lo pregai ancora per tutti quelli che sarebbero stati
spettatori del martirio e dei tormenti di quanti per la confessione del mio
Nome, li avrebbero sofferti; affinché li avesse illuminati e fatto conoscere la
verità della fede e della mia dottrina. Vidi che il Padre l'avrebbe fatto.
Vidi la moltitudine di coloro che ricevendo i lumi divini, si sarebbero arresi
alle verità della fede, e che molti avrebbero sparso il sangue e data la vita,
per la verità della medesima. Per questi resi grazie al divin Padre. Intesi
però dell'amarezza, nel vedere il gran numero degli ostinati che sarebbero
rimasti nelle loro tenebre e cecità.
IL REDENTORE E LA CORREDENTRICE
Stava la mia diletta Madre alquanto lontana da me, non
potendosi appressare per la moltitudine dei soldati e della sbirraglia. Non
cessava però di parlarmi al Cuore con le sue voci amorose, le quali erano da me
ben capite. Mi spiegava il suo cordoglio ed il dolore del suo cuore amante. Non
cessavo di animarla a patire ed a sempre più rassegnarsi alla volontà del
Padre e ad accompagnarmi nelle suppliche ed offerte: Ecco, Madre mia amatissima,
che siamo giunti alla cima del monte, dove il vostro unico Figlio deve esser
sacrificato; e voi, cara Madre, mi offrirete al Padre, quale già sono, vittima
innocente, per pagare i debiti di tutti i miei fratelli, e redimerli dalla
schiavitù di Lucifero. Voi, Madre amorosa, sarete la prima, unita, con me, a
fare al divin Padre questa offerta, e la prima a dargli questa soddisfazione e
compiacimento. Sarà poi, ogni giorno, più volte offerta al Padre, dai miei
fedeli; ma voi siete quella che prima di ogni altro gliela farete nell'atto
stesso in cui sarò immolato. Consolatevi, dunque, cara Madre, per questo
privilegio; cioè: che la vittima innocente da voi offerta per l'umana
redenzione, è anche parto delle vostre viscere, e frutto del vostro purissimo
seno. Si rinvigoriva ed animava la diletta Madre, e conoscendo l'amore
infinito che io portavo al divin Padre, procurava anche lei dei accendersi
sempre più nel di Lui amore, col desiderio ardente di più patire, se fosse di
gradimento del Padre, e se fosse stato possibile patire. Vedeva anche l'amore
ardente e la carità immensa che avevo io per il genere umano, ed anche in
questo mi accompagnava, patendo volentieri per la salute di tutti. Vedeva, come
io rimiravo tutti i miei nemici con amore grande, e che per essi pativo, non
escludendone neppure uno solo, ed in questo ancora mi imitava, perché anche lei
rimirava tutti i miei nemici, che tanto mi oltraggiavano, con grande amore
perfino gli stessi crocifissori, non avendo avversione alcuna verso di loro,
anzi, pregando molto per essi. In tutto procurava, la diletta Madre, di
imitarmi, e di ricavare in se stessa un perfetto originale di me, suo Signore e
Figlio amatissimo.
Vedendo la mia diletta Madre tanto attenta e sollecita d
imitarmi in tutto e per tutto, ebbi un ardente desiderio che tutti i miei
fratelli l'avessero imitata. Di ciò (porsi supplica al Padre, acciò avesse
dato a tutti un ardente desiderio e grazia di poterlo fare. E vidi che il Padre
non avrebbe mancato di darlo ad essi, specialmente ai miei seguaci. E vidi, che
alcuni si sarebbero approfittati della grazia; e di ciò resi grazie al divin
Padre. Questi furono rimirati da me con grande amore, e mi proposi di dar loro
tutti gli aiuti necessari per tale effetto. Vidi quanti si sarebbero abusati
della detta grazia, e non avrebbero accolto in sé il desiderio, che il divin
Padre avrebbe dato loro; perciò sarebbero andati molto lontani dalla mia
imitazione. Per questi intesi una grande amarezza, e con essi mi lamentavo,
vedendo il poco canto che avrebbero fatto dei miei esempi e delle grazie che,
con tanta sollecitudine, loro meritavo dal mio divin Padre.
LA BEVANDA DISGUSTOSA
Stando sul Calvario, ed avendo fatta intera oblazione di me
al Padre, mostrandomi pronto a soffrire tutto con grande amore e desiderio, per
adempire la divina volontà, da quei crudeli mi fu data l'amarissima bevanda,
per rinvigorire la mia umanità, acciò potessi sostenere il grande tormento
della crocifissione. Era quella composta di aceto con fiele ed altre cose
potenti, disgustosissime al palato, in modo che sarebbe stata sufficiente a
darmi la morte, se la divinità non mi avesse sostenuto in vita, tanto era
pessima la bevanda. Mi fu portata col dirmi che prendessi quel ristoro e
conforto, giacché ero tanto abbattuto di forze. Stavano tutti attenti per
vedere se la bevevo. E dicevano: Prendi questo conforto, meritato da te, infame
seduttore! Meglio di questo non si conviene alla tua infamia. Tu hai tanto
amareggiato gli Scribi e i Farisei, ed anche i principi dei sacerdoti, con le
tue infamie e ribalderie; ora, da (parte loro, ti si presenta questa bevanda.
Tutto ciò mi dicevano con altre ingiurie e gesti impertinenti, ai quali io non
risposi parola alcuna. Chinai la testa, e gustai qualche sorso di quella pessima
bevanda, ricusando poi di berla (1). Nel gustarla contremarono tutte le mie
viscere e la mia bocca restò sommamente amareggiata. Essi si contentarono che
io non la bevessi, pensando di darmela a poco a poco. Mi ingiuriarono però con
molti motti impertinenti, dicendo che non la bevevo perché non era secondo il
mio genio e gusto. Mi dicevano: Infame, seduttore, l'avresti ben trangugiata
tutta, se fosse stata di vino ottimo! o se ti fosse stata data da qualche infame
pubblicano, o da qualche indemoniato, seduttore par tuo! Non risposi alcuna
parola, ma stando in silenzio, trattavo col divin Padre, e lo pregavo di
perdonar loro sì grande empietà. Molti furono, sposa mia, i misteri racchiusi
in questa amarissima bevanda, che io gustai, in modo, che le mise viscere ne
restarono tutte amareggiate. Fino allora, solo il mio Cuore era stato sempre
amareggiato dal dolore, le viscere però erano state esenti dall'amarezza,
come anche la mia lingua e il palato col gusto. La mia umanità aveva sofferti
grandi tormenti in tutte le parti del corpo, solo le viscere non avevano ancora
sofferto i tormenti sensibili: ma perché le iniquità del genere umano erano
arrivate al sommo, cioè sin dove può arrivare la malizia, era necessario che
io, dovendo dare un intera soddisfazione alla divina giustizia, arrivassi al
sommo delle mie pene, e che in tutta la mia persona ne dovessi soffrire i
tormenti: e perché nelle viscere non vi erano penetrati i flagelli, vi penetrò
l'amarissima bevanda, volendo io dare alla divina giustizia un intera e
sovrabbondante soddisfazione per tutte le offese che dall'uomo avrebbe
ricevuto. Fu per me di grande tormento tale bevanda, restando tutto amareggiato.
Rivolto al divin Padre gli offri questa mia amarezza e tormento, in sconto di
tutte le offese che dai miei fratelli avrebbe ricevuto in questo particolare
genere di cose. Vidi allora tutti quelli che, con i peccati del gusto, avrebbero
offeso il divin Padre, e lo pregai, per quel tormento che allora soffrivo, che
si fosse degnato di illuminarli, di fare ad essi conoscere il loro errore, dando
loro grazia di emendarsi. E vidi che il Padre l'avrebbe fatto. Vidi allora
tutti coloro che si sarebbero prevalsi della grazia, si sarebbero emendati e ne
avrebbero fatto anche penitenza: e di ciò resi grazie al Padre. Vidi poi quelli
che in questa specie di patimenti avrebbero, con grande amore, procurato di
imitarmi, con mortificare il loro gusto con bevande amare e disgustose. E per
questi pregai il Padre di fare ad essi gustare la dolcezza dell'amor suo, e di
riempire di consolazione il loro spirito. E vidi che il Padre l'avrebbe fatto.
Del che gli resi grazie a nome di tutti. Vidi inoltre tutti quelli che,
aggravati da varie infermità, avrebbero dovuto gustare bevande amare e cose
molto disgustose. Di essi ebbi grande compassione, perché, per conforto dei
loro mali, e per esserne liberati, avrebbero tanto patito nel gusto. Per questi
domandai al divin Padre, una totale rassegnazione a soffrire tutto con pazienza,
pregandolo di dar loro la sua grazia, acciò possano sostenere il travaglio; e a
dar loro anche il premio, col restituire ad essi la salute, se è giovevole per
la salvezza dell'anima; ed a quelli a cui non é espediente, lo pregai di dar
la ricompensa, col raddolcire ad essi l'amarezza e le pene della morte, tutto
mettendo in sconto delle loro colpe. Vidi che il Padre l'avrebbe fatto con
grande amore, e di tutto gli resi grazie. Intesi poi dell'amarezza, ed oh
quanto grande! nel vedere, come la maggior parte dei miei fratelli avrebbero
abusato della grazia da me richiesta al divin Padre, specialmente i peccatori
più grandi, che in queste particolari contingenze avrebbero commesso tante
colpe, delle quali, perché ostinati nel vizio; non si sarebbero mai voluti
ridurre a penitenza, abusando sempre dei lumi e della divina grazia.
Avendo gustato, come ho detto, alquanto della pessima ed
amara bevanda, ne lasciai una gran parte, ed invitai tutti i miei fratelli a
fare altrettanto. Venite, dissi loro, e gustate ognuno di questa amara bevanda,
che ora ho gustato io. è veramente amara e disgustosa al senso, ma la
sperimenterete gustosa, ed oh quanto! allo spirito. Gustate pure dell'amarezza
della bevanda, che ora gusto io, perché questa vi meriterà l'eterna
consolazione, e se sarete a parte delle mie pene, delle mie amarezze, sarete
anche a parte della mia gloria e della beatitudine eterna. Vidi, che molto pochi
sarebbero accorsi a quest'invito, e che, per non gustare poche stille di
amarezza, sarebbero rimasti privi, non solo della dolcezza che suole comunicare
allo spirito, ma anche dell'eterno gaudio: perché non arriverà giammai a
possedere l'eterno riposo, chi non vuol gustare dell'amarezza della mia
passione, e non vuol soffrire cosa alcuna: mentre è necessario che ognuno, che
vuol venire dove sono io, cammini per quella strada che ho calcato io. Chi non
mi segue, chi non mi imita, chi ricusa di soffrire ciò che il Padre gli invia
per la salute della sua anima, va molto lungi da me, e chi va lungi da me, non
verrà dove sono io. Intesi una grande amarezza nel vedere il numero grande di
questi tali, e fui ripieno di tristezza, perché il mio desiderio era che tutti
accorressero all'invito. Mi proposi però di non cessare mai d'invitarli a
bere l'amaro calice, sintantoché si fossero arresi. E vidi che alcuni, alla
fine, dopo molti inviti, avrebbero accettato di farlo. Difatti l'avrebbero
gustato col soffrire tutti i travagli, e col mortificare tutti i loro gusti ed
appetiti. Per essi resi grazie al divin Padre, ma intesi dell'amarezza nel
vedere il grande numero degli ostinati. E più,si accrebbero la mia amarezza e
il mio dolore, quando vidi la grande moltitudine di quelli, che sarebbero
accorsi agli inviti del mondo, loro nemico ed ingannatore, che sotto apparenza
di bene, cioè di gusti e di piaceri, porge loro una stilla di miele, che poi fa
loro gustare quale è, cioè, fiele amarissimo, senza conforto alcuno.
VIENE SPOGLIATO CON CRUDELTà
Mentre stavo tutto amareggiato ed addolorato, i manigoldi mi
ordinarono che mi spogliassi, e per farlo con più prestezza ed empietà, mi si
avventarono addosso, per farlo loro stessi. Mi levarono dal capo la corona di
spine, ed il sangue incominciò di nuovo a grondare dalle ferite. Mi levarono
dopo la veste a forza, la quale era tutta attaccata alle piaghe, sentendo io un
grande dolore. Si ricoprì il mio corpo di sangue, e si riaprirono tutte le
piaghe, in modo che divenni una piaga sola. Si vedevano le ossa spolpate in più
parti del corpo, specialmente sugli omeri. Ed essendo così denudato e tutto
impiagato, fui da tutta la spietata gente deriso ed oltraggiato. Mi posero di
nuovo la corona di spine in capo, facendomi nuove ferite, con mio grande
tormento.
In questo fatto la mia umanità intese un grande
rincrescimento, per dover restare di nuovo spagliata, alla vista profana di
tutto quel popolo scellerato, che con occhi maligni e licenziosi, si erano posti
a rimirarmi. Ma riflettendo, che dovevo soddisfare la divina giustizia per i
peccati dei miei fratelli; mi animai a soffrire quel rossore, che fu per me
molto grande e doloroso. Vidi i peccati di tutti quelli, per i quali allora
venivo spogliato, e ne intesi una più grande confusione, perché erano i
peccati di coloro che, dedicati al servizio del divin Padre, si danno in preda
ad una vita licenziosa, lacerando, anzi, strappandosi di dosso la bella veste
dell'innocenza e l'ornamento della purità. Vidi anche tutti quelli che,
essendosi astretti con voto a conservare il prezioso tesoro della castità, 1'avrebbero
poi perduta, con tanta ignominia ed offesa del mio divin Padre. Vidi le piaghe
putride ed incurabili, che avrebbe fatto nelle loro anime questa sorta di colpe.
E di tutto intesi grande confusione, amarezza e dolore. Rivolto al divin Padre,
lo supplicai del suo aiuto, dei suoi lumi e della sua grazia per quei
miserabili, acciò, riconosciuti almeno i loro falli, ne avessero fatto
penitenza e si fossero emendati. Vidi che il Padre non avrebbe mancato di farlo:
e perché era molto adirato contro questi miserabili, io, per placarlo, gli
andavo replicando le offerte, delle quali il Padre mio molto si compiaceva e
restava placato. Vidi poi, che molti, per i lumi divini e per la grazia da me
impetrata loro, si sarebbero ravveduti del loro grave fallo e si sarebbero
emendati, facendo anche penitenza dei loro peccati. Di questi resi grazie al
divin Padre. Vidi però il grande numero di quelli che si sarebbero mostrati
ostinati, sprezzando i lumi divini e la grazia, e che avrebbero continuato nei
loro errori. Per loro intesi una più grande amarezza.
Vidi ancora tutte le vergini innocenti, che sarebbero state
straziate dai carnefici, per la confessione del mio Nome e per sostenere la
verità della mia fede. E vidi, che molte di esse avrebbero sofferto il grande
martirio e rossore della nudità, perché dai manigoldi sarebbero state denudate
ed oltraggiate, con parole indegne. Di queste ebbi una grande compassione. E
supplicai il divin Padre di volersi degnare di difenderle dagli insulti dei
nemici, e dare ad esse virtù e fortezza da poter soffrire con generosità un
sì grave tormento e confusione. E vidi, che il Padre l'avrebbe fatto con
grande amore e provvidenza, prendendosi la cura di difendere e custodire la loro
purità ed innocenza. Di ciò gli resi grazie; poi, rivolto ad esse, che mi
erano tutte presenti, le animai, le incoraggiai, le esortai alla sofferenza, e
dicevo loro: Specchiatevi in me, che essendo la stessa innocenza e purità, mi
convenne soffrire sì grande rossore e confusione, per soddisfare gli altrui
delitti, io, sposo purissimo delle vostre caste anime. Vi serva di esempio, e
perciò animatevi a soffrire sì grande rossore, perché vedete come lo soffro
anche io, per le colpe altrui. Proposi anch'io di volerle custodire e
difendere dagli insulti dei nemici, acciò non vi fosse stato chi avesse ardito
accostarsi ad esse, e restasse così intatto il loro candore. Per queste
supplicai il divin Padre di voler preparare un più grande premio nel regno dei
cieli.
Mentre gli spietati carnefici mi ponevano di nuovo in capo la
corona di spine, producendomi altre ferite, si rappresentarono alla mia mente
tutte le anime che avendo camminato per qualche tempo per là via della virtù,
tornano di nuovo ad oltraggiare il divin Padre, con ricadute in colpe gravi. Di
queste intesi una grande pena. Vidi il numero grande di esse e ne intesi
amarezza e dolore. Perciò, rivolto al divin Padre, lo supplicai, per i miei
aspri dolori, di volersi degnare di richiamarle di nuovo a penitenza ed alla mia
sequela. Vidi che il Padre l'avrebbe fatto in vari modi; a chi con gagliardi
stimoli al cuore, ed a chi con minacce e castighi. E vidi, che alcune si
sarebbero ravvedute, si sarebbero poste a seguirmi per la via del patire, ed
avrebbero fatta grande penitenza dei loro errori. Di esse resi grazie al. Padre.
Intesi però dell'amarezza nel vedere la moltitudine di quelle che sarebbero
rimaste nella loro cecità ed ostinazione.
Nel sentire poi le derisioni di tutto quel popolo infame e
ribelle, vidi tutte le derisioni e gli scherni che sarebbero stati fatti contro
coloro che tengono in pregio l'innocenza e la purità, e che la custodiscono;
cosa che ai cattivi mondani serve di tormento; e perché non possono far altro,
si mettono a deriderli ed a schernirli. Ne intesi una grande amarezza. Supplicai
il divin Padre a dare fortezza e pazienza a quanti avrebbero dovuto soffrire
simili derisioni. E vidi che il Padre l'avrebbe fatto con grande amore. Lo
supplicai poi di dar lume a tutti i disgraziati, che fanno un tale oltraggio
alla purità e all'innocenza; acciò conoscano il loro errore e si emendino. E
vidi, che il Padre l'avrebbe fatto, e che alcuni si sarebbero emendati. Di
questi resi grazie al Padre. Intesi però dell'amarezza nel vedere il grande
numero che sarebbe rimasto nella cecità, perché ostinato nell'errore.
SI OFFRE SULL'ALTARE DELLA CROCE
Essendo all'ordine tutte le cose necessarie per inchiodarmi
sulla croce e crocifiggermi, mi ordinarono, i manigoldi, che mi stendessi sulla
croce. Postomi ginocchioni sulla stessa croce, adorai il divin Padre, e ad esso
mi offri pronto ad esser crocifisso. Intese la mia umanità rincrescimento per
dover soffrire quegli aspri dolori; ma l'amore, che nel mio Cuore ardeva, mi
animò ad eseguire la volontà divina, perciò, fatta di me stesso un offerta
intera al Padre, mi coricai sopra il duro legno, con grande dolore di tutte le
lacere membra.
Appena coricato, quegli spietati, con grande fretta, mi
posero le mani addosso,e molti di essi, saltando e sollazzandosi, gridavano:
Ecco che siamo arrivati a soddisfare le nostre richieste! Ecco che siamo giunti
alla fine ad inchiodarlo sulla croce, castigo da lui meritato! Tutti alzavano la
voce, facendo una grande confusione, tutti uniti ad ingiuriarmi e ad
oltraggiarmi. Mi presero i manigoldi per le braccia. E chi mi teneva i piedi,
chi le mani, chi porgeva i chiodi, chi i martelli. Ognuno di loro voleva avere
qualche parte nella mia crocifissione. Nel vedermi toccare tanto spietatamente
da quegli infami e crudeli ministri, sentivo una grande amarezza; mentre si
rappresentarono alla mia mente, tutti i pessimi sacerdoti, che con le loro mani
sacrileghe, avrebbero toccato e maneggiato il mio corpo, sul sacro altare. E di
ciò ne ebbi un grande orrore ed una grande amarezza. Vidi tutti gli strazi che
mi avrebbero fatto, e tutti gli oltraggi, come se i crudeli ministri me li
facessero sull'altare della croce, dove dovevo essere immolato. E di ciò
intesi grande dolore. Rivolto al divin Padre il quale, nel vedere il mio dolore
e l'amarezza del mio Cuore, e per la loro iniquità, stava con essi molto
adirato lo supplicai per i miei dolori, a volersi placare, e degnarsi di dar
loro luce e grazia, onde si ravvedano, e conosciuti i loro gravissimi errori, si
emendino e ne facciano penitenza. Vidi che il Padre, in virtù delle mie
suppliche, avrebbe dato loro il detto lume e la grazia, mostrandosi anche pronto
al perdono. Vidi che alcuni si sarebbero approfittati, e per questi resi grazie
al Padre. Restai però con una grande amarezza, nel vedere la moltitudine di
quelli che si sarebbero di tutto abusati, e rimanendo nei loro errori avrebbero
continuato a compiere iniquità. Vidi i grandi castighi preparati a questi
pessimi ed iniqui sacerdoti, e ne intesi compassione, quantunque fossero da essi
più che meritati.
LA CROCIFISSIONE: LA MANO DESTRA
Stese le braccia sulla croce, per ordine dei carnefici, prima
mi inchiodarono la mano destra, e ciò fu con mistero: perché la mia
crocifissione era a me procurata dai nemici, ma prima decretata dal divin Padre,
ed Io dalla destra del Padre presi quel tormento, per soddisfare la divina
giustizia e per salvare il genere umano. Intesi prima lo spasimo nella mano
destra, perché questa a tanti doveva aprire la porta dell'eterno Regno.
Difatti la prima fu la destra a sentire il dolore, e la prima fu la destra che
donò il Paradiso al ladro. Volli anche soffrire prima il dolore nella mano
destra, e sentire quanto spasimo mi conveniva sopportare per salvare le anime
perdute e per aprire loro il sentiero e l'entrata al Paradiso.
Stesa pertanto la mano sul forame già fatto nella croce, uno
spietato ministro vi pose il chiodo, ed a colpi di martello l'inchiodò sulla
croce. A questo tormento sì grave si risentirono pel dolore tutte le mie
membra, e mi arrivò sino al Cuore. Dissi allora all'amare che quivi ardeva:
Sarai ormai soddisfatto, o amore insaziabile, mentre arrivano i tormenti di far
sentire spasimo anche al Cuore. Ma l'amore non pago, domandava più pene. Ed
io, rivolto al divin Padre, lo pregai di volersi degnare di darmi forze ed
aiuto,perché già mi sentivo mancare. Ed il Padre fece che la divinità desse
vigore all'umanità, acciò potesse sostenere i più aspri tormenti. Ed io,
tutto rassegnato alla volontà del Padre, mi mostravo pronto a soffrire tutto
con grande amore; e non lasciavo di domandare ogni tanto forza ed aiuto al
Padre, quantunque questo mi servisse per farmi sentire di più i patimenti.
Inchiodata che fu la mano destra sulla croce, rivolto al
Padre, lo supplicai, per quel dolore che soffrivo, di volersi degnare di
adoperare la sua destra onnipotente, in favore di tutti i miei fratelli, non
solo con perdonar loro tutte le colpe, ma col dare la grazia di emendarsi e
mutar vita, dicendogli: Voi, Padre mio amatissimo, fate con la vostra destra,
che tutti i miei fratelli erranti, si riducano al diritto sentiero della virtù.
Mutateli voi, con il potere del vostro braccio, e riempite tutte le loro anime
di benedizioni. Stendetela pure sopra tutti, e siano tutti protetti dalla vostra
destra. Fate, infine, che tutti si ritrovino alla destra, nel giorno dell'universale
giudizio, vengano tutti a possedere quel Regno, che io ora merito loro, a costo
di tante pene. Udì il divin Padre la supplica, ed esaudì le mie richieste. E
vidi tutte le grazie, tutte le benedizioni, tutta la protezione e tutta la
mutazione delle anime, che Lui avrebbe operato con la sua destra onnipotente, e
di tutto gli resi affettuose grazie. Intesi però dell'amarezza, nel vedere
che molte anime si sarebbero abusate delle grazie che la destra del Padre
avrebbe loro dispensate. Invitai ancora tutte le anime giuste ad entrare in
questa piaga, per conservarsi e per crescere nelle virtù. Invitai anche tutti a
venire a questa piaga a domandare l'entrata al Paradiso, e ad offrirla al
Padre, acciò, per i meriti di essa, l'avesse loro donato. E vidi quanti
sarebbero accorsi all'invito, e per essi domandai al Padre molte grazie, ed in
particolare che li avesse introdotti nell'eterno Regno. Vidi però, con mia
grande amarezza, tutti quelli che avrebbero ricusato l'invito, e che sarebbero
stati sempre sordi alle mie voci amorose. Intesi poi un più aspro dolore, nel
vedere che la mia diletta Madre sentiva nel suo cuore i colpi di martello, e che
il chiodo le penetrava il cuore con aspro dolore, ed io, parlando al di lei
cuore, la compativo e la invitavo ad offrire anche lei il suo dolore al Padre,
con tutti gli atti con cui glieli offrivo io, e che avesse domandato anche lei
tutte le grazie che io gli domandavo per i miei fratelli. E la Madre amorosa mi
accompagnava con grande coraggio e fortezza, dando molto gusto al divin Padre.
LA MANO SINISTRA
Intanto i ministri, legato l'altro braccio, lo stiravano
con gran forza, perché non arrivava al forame che era stato fatto alla croce.
In questo stiramento sentii grande dolore: si incominciava a dividere la
legatura delle ossa, e ad aprirsi le ossa del petto. Grande era perciò il
dolore! Ma molto più grande fu l'amarezza e la pena che soffrivo, perché in
questo fatto vedevo tutte le anime infelici, che si sarebbero lasciate tirare a
forza dai loro nemici, cioè: demonio, mondo e carne, a commettere le colpe, e
che non avrebbero fatta ad essi la dovuta resistenza. Vedevo la potenza di
questi nemici e ne sentivo una grande amarezza. E rivolto al Padre lo supplicai,
per quello spasimo che allora sentivo, che avesse indebolito le forze nemiche,
ed avesse dato fortezza e grazia a tutti i miei fratelli, per poter loro
resistere stando forti alle loro violenze. E vidi, che il Padre l'avrebbe
fatto, e di ciò lo ringraziai. Vidi però la grande moltitudine degli incauti,
che si sarebbero lasciati tirare dalle loro frodi, e non si sarebbero prevalsi
della grazia. Ed oh, quanto fu grande la mia amarezza! Li invitavo a resistere e
a star forti, dicendo loro: Ecco il mio braccio che vi darà fortezza! Non vi
allontanate da me! Accorrete ai miei inviti! Non seguite i vostri nemici!
perché vi tireranno agli abissi infernali. Ma essi, sordi alle mie chiamate, si
lasciano tirare, e non curandosi dei loro strapazzi, per un momentaneo piacere,
si dilungano da me, e si lasciano strascinare dai loro nemici, volendo a forza
fuggire da chi solo può dare ogni bene vero ed ogni vera consolazione.
Essendo stirato il braccio, con grande crudeltà, ed arrivata
la mano al forame, fu inchiodata sulla croce. Ed oh, quanto grande fu il mio
dolore e quello della mia diletta Madre, che tutto sentiva nel di lei cuore!
Inchiodata questa mano, fu tanto lo spasimo, che mi sentivo mancare in tutto.
Domandai di nuovo aiuto al divin Padre, per poter soffrire maggiori pene. In
questo fatto, vidi tutte le anime che sarebbero precipitate negli eterni
tormenti, per seguire gli allettamenti del demonio, del senso e del mondo, loro
nemici; e che sempre si sarebbero allontanate da me, disprezzando i miei inviti
amorosi. Intesi, oh quanta! amarezza e dolore, vedendo che tutte, nel giorno del
finale giudizio, sarebbero state alla sinistra, ed avrebbero avuta la sentenza
di eterna pena. Allora, tutte le mie ossa e tutte le giunture si sconvolsero,
per lo spasimo, ed il mio interno soffriva indicibile dolore ed amarezza, in
modo che già ero privo di ogni conforto; ma in questo poi le mie pene
arrivarono a sommergermi in un mare di dolore. Rivolto a tutti quei miseri,
dissi loro: Venite, venite a questa piaga amorosa, a domandare la liberazione
dagli eterni tormenti! In questa nascondetevi, ed udite i suoi dolci inviti:
ché questa piaga vi chiamerà sinché avrete vita, né cesserà mai di
chiamarvi ed invitarvi a ricorrere ad essa, a riconoscere i vostri errori ed a
farne penitenza. Vidi che tutti si facevano sordi a queste mie voci. Ed io più
forte chiamai ed invitai. E vidi, che alcuni alla fine, sarebbero accorsi all'invito,
e rientrati in se stessi, avrebbero conosciuto i loro errori, e, fattane
penitenza, per i meriti di questa piaga, avrebbero scampato gli eterni supplizi.
Per questi resi grazie al Padre. Invitai poi tutti ad entrare nella detta piaga,
per trovare lo scampo dai logo crudeli nemici. Intesi poi una grande amarezza
nel vedere il numero di quelli che avrebbero dispregiato i miei inviti, e
sarebbero eternamente periti.
IL PETTO DI GESù
Sentivo poi un asprissimo dolore nel petto, per essersi
aperto e tutto scompaginato. Offri questo grande dolore al Padre, col dirgli:
Mio divin Padre, Voi vedete, come il mio petto si è tutto fracassato e si è
aperto! Perciò, io vi offro questo spasimo che ora soffro. Giacche si è
aperto, fate, in virtù di questo mio aspro dolore, che traspiri la fortezza dal
mio petto a quello di tutti i miei fratelli! Voi, Padre mio, vedete, che essendo
il mio petto la stessa fortezza, ora dai miei nemici è stato fracassato. Ed è
di ragione che la fortezza del mio petto patisca e si trovi in affanni e senta
la debolezza, per meritare al petto dei miei fratelli fortezza e costanza.
Perciò vi prego di nuovo, o divin Padre, di darla loro, acciò siano forti e
costanti nel patire. Il Padre udì le spie suppliche e le esaudì. E vidi che
avrebbe dato tanta fortezza a tutti i confessori della fede, ed a tutti i
martiri, ed a tutti coloro che si pongono alla mia sequela. Di ciò gli resi
affettuose grazie. Intesi però dell'amarezza, nel vedere che molti si
sarebbero serviti della fortezza per maggiormente offendere il divin Padre e
star forti nei loro errori e falsi dogmi.
POSIZIONE PENOSISSIMA
Inchiodate già le mani, le quelli stavano tanto stirate, che
appena potevo respirare, con grande stento andavo respirando. Le spalle poi, che
già erano tutte una piaga, e di cui si scoprivano le ossa, stavano attaccate
alla croce con mio asprissimo dolore. La testa pure stava appoggiata alla croce,
e ne sentivo uno spasimo indicibile, perché le spine della corona mi
tormentavano. Ed ai tanti miei martiri, non vi era neppure uno che avesse
compassione; anzi erano tutti infuriati contro di me: chi non mi poteva
tormentare con le percosse, mi tormentava con le ingiurie. Grande era l'amarezza
del mio Cuore per tanta crudeltà. Rivolto al Padre, gli offrivo tutti quegli
spasimi, e spesso gli andava replicando: Padre mio, grandi sono le offese che
ricevete dal genere umano! Ma mirate come grandi sono anche i miei dolori.
Perciò vi prego, per tutti questi spasimi, di placare il vostro giusto furore,
e perdonare loro.
CROCIFISSIONE DEI PIEDI
Avendo inchiodate le mani, mi legarono i piedi con funi, ed
incominciarono a stirarli spietatamente, perché non arrivavano ai forami, già
fatti nella croce, onde ne sentivo un asprissimo tormento. O quanto, sposa mia,
era grande il mio dolore! Mi sentivo morire di spasimo: perciò ad ogni istante
supplicavo il Padre del suo aiuto, e la divinità andava ogni momento facendo il
miracolo di conservarmi in vita.
Quei perfidi si erano consigliati ed avevano determinato il
modo di crocifiggermi, cioè, non come gli altri crocifissi, mia in modo più
doloroso, inchiodandomi i piedi l'uno sopra l'altro. E questo fu con grande
mistero, benché essi lo facessero per mio maggiore tormento. Ma nell'inchiodarmi
non poteva loro riuscire: perciò prima mi inchiodarono il piede destro. Parte
di loro tenevano le braccia della croce, e parte tiravano le corde, a cupi erano
legati i piedi; ed inchiodato il piede destro, passarono ad inchiodare il
sinistro. Ed essendo stato così alquanto stirato, svelsero il chiodo del piede
sinistro, e tirato a forza di tenaglie il chiodo del piede destro, l'inchiodarono
sopra il sinistro, con mio grande spasimo sicché fui crocifisso con quattro
chiodi come si costumava, ma prima di inalberare la croce, essendo già il corpo
stirato, mi inchiodarono il piede destro sopra il sinistro con un solo chiodo,
di grossezza maggiore di quelli delle mani (1).
In questo fatto si racchiuse il mistero della divina
giustizia e della misericordia, perché andando queste del pari, infine la
misericordia vinse e sovrabbondò la giustizia. L'ira si mitigò, e la
misericordia sovrabbondò. Il rigore di giudice cedette all'amore di padre; si
unirono insieme e si baciarono, e la giustizia cedette il primato alla
misericordia: sicché, avendo per l'addietro camminato del pari, per i miei
meriti, la giustizia si contentò di cedere il primato alla misericordia; ed io
ne resi grazie al divin Padre, per parte di tutti i miei fratelli. Lodai la
giustizia divina ed esaltai la misericordia.
Quando mi inchiodarono il piede destro, offrii l'aspro
dolore al Padre, e lo supplicai di volersi degnare di dar lume a tutti quelli
che camminano per il diritto sentiero dell'eterna salute, acciò non errino
nel cammino, e seguitando il loro viaggio, arrivino al termine bramato. Intesi
poi un grande dolore, quando vidi tutte le angustie ed i travagli che avrebbero
sofferto quelli, che vogliono andare per il diritto sentiero: pregai il divin
Padre di assisterli con la sua grazia, e li invitai tutti a venire ad abitare in
questa piaga, perché quivi sarebbero stati confortati, animati ed illuminati.
Vidi tutti gli assalti che ad essi avrebbero dato i loro nemici perciò ancora
li invitai a ricorrere a questa piaga; che quivi avrebbero trovato scampo
sicuro. Vidi inoltre tutte le colpe che avrebbero commesso questi, che camminano
per la dritta strada della salute, e quantunque non fossero gravi, tuttavia ne
intesi dolore: perché le offese del divin Padre, quantunque leggere, erano a me
di grande tormento, per l'amore immenso che gli portavo, e perché conoscevo
il suo merito infinito. Perciò offri al Padre i dolori che sentivo, in sconto
di tutte le loro mancanze; ed il Padre si mostrò pronto al perdono ed anche a
concedere loro la grazia di ravvedersi subito ed emendarsi.
Nell'inchiodatura del piede sinistro, intesi 1'asprissimo
dolore per la piaga, e molto più perché vidi tutti coloro che camminano alla
perdizione. Nel vedere la gravezza delle loro colpe, ero molto amareggiato, e
rivolto al Padre gli offrii i miei dolori in sconto di tutte le loro iniquità,
e lo supplicai di illuminarli e far conoscere il loro grave errore, e come
camminano per la via della perdizione. Lo pregai della sua misericordia infinita
verso di essi; e perché vedevo che la divina giustizia sarebbe stata sempre in
atto di castigarli, lo pregai, che avendo ceduto il primato alla misericordia,
avesse trattenuto i castighi ed avesse dato luogo alla misericordia, onde questa
li avesse aspettati a penitenza. E vidi, che la giustizia avrebbe trattenuto i
castighi, e la misericordia li avrebbe benignamente aspettati a penitenza. Vidi,
che molti avrebbero approfittato di sì grande beneficio, riducendosi infine a
penitenza. Di questi resi grazie al Padre. Intesi però dell'amarezza, ed oh
quanto grande! nel vedere il grande numero di coloro che avrebbero abusato della
misericordia e della bontà divina, così paziente nell'aspettarli a
penitenza, e che perciò sarebbero periti miseramente; provando alfine i rigori
della divina giustizia, la quale per tanto tempo aveva trattenuto i castighi.
Mentre mi inchiodavano i piedi uno sopra l'altro, intesi un
più grande dolore: vidi allora tutte le anime sopra le quali avrebbe tanto
sovrabbondata la divina misericordia, e che infine, quantunque per le loro colpe
avrebbero dovuto provare i rigori della giustizia, sarebbero arrivate a godere e
ad esaltare eternamente la divina misericordia: perché si sarebbero ravvedute,
ed avrebbero corrisposto ai benefici divini. Di queste, ne resi grazie al divin
Padre. Intesi però un aspro dolore ed una grande amarezza nel vedere la
moltitudine di quelli che di tutto si sarebbero abusati, anche di tanta
misericordiosa bontà loro usata e che, miseri, sarebbero infine periti, facendo
sì che prevalesse su di loro la giustizia divina, per avere, in vita,
disprezzata la misericordia.
Terminata la crocifissione, e stando la croce in terra,
soffri un tormento incomparabile. Grande era lo spasimo: ogni momento soffrivo
sfinimenti di morte, levandosi il lume dai miei occhi per l'asprezza dei
dolore. Supplicavo di continuo il divin Padre del suo aiuto, e la divinità non
mancava di darmi forza per resistere e soffrire gli asprissimi tormenti.
ESORTAZIONE ALLA SUA SPOSA
Hai udito, sposa mia, quanto furono acerbi i dolori della mia
crocifissione, e quanto furono più grandi quelli del mio interno, quanta l'amarezza
del mio Cuore, quanto grande la mia sofferenza! Perciò procura di imitarmi nel
patire tutti i mali corporali con rassegnazione, senza lamentarti, perché i
tuoi mali non arriveranno giammai ad assomigliarsi ai miei. Hai udito quale fu
il ristoro che ricevetti dopo tanti patimenti: un amarissima bevanda, e tanto
pessima, che era sufficiente a darmi la morte. E tu non andare in cerca di
consolazioni nelle tue angustie, se vuoi assomigliarti a me. Mortifica anche il
tuo gusto; non ti lamentare delle cose disgustose, perché non lo saranno quanto
l'amara bevanda che gustai io. Non cercare diletto nel cibo, ed abbi sempre
alla memoria il fiele di cui fui abbeverato: così ti sarà facile il
mortificarti. Sta bene attenta nel prevalerti della divina misericordia, e non
abusare delle molte grazie che ricevi. Temi sempre la divina giustizia, perché
quantunque adesso sia molto ritenuta nel castigare, verrà poi il tempo in cui
farà provare i suoi rigori a tutti coloro che abusano della misericordia. In
tutte le tue angustie e travagli, in tutte le tentazioni ed assalti dei tuoi
nemici, ricorri alle mie piaghe, perché in queste troverai sicuro scampo. Quivi
sia la tua dimora, perché quivi troverai ogni conforto e consolazione. Offri
ogni pena continuamente al divin Padre, acciò ti conceda tutte le grazie
necessarie per la tua eterna salute e per quella dei tuoi prossimi. Hai udito
quanto grande fu la mia confusione nell'essere spagliato dai perfidi
manigoldi, e nell'essere maneggiato dalle loro sacrileghe mani. Perciò ti
ammonisco a star bene attenta nel tenere l'anima lontana da ogni macchia d'impurità,
benché minima. Perciò custodisci con gelosia la purità, che a me con voto hai
consacrata: e fuggi tutte le occasioni che possono far patire qualche detrimento
a sì nobil fiore. Sta attenta, perché ci vuol molto poco ad illanguidirlo. E
sappi che io nelle mie spose ricerco una grande cautela e diligenza nel
custodirlo; molto mi dispiacciono le trascuratezze nel campo delicato di questa
virtù. Custodisci infine l'anima tua e si diligente nel tenerla monda da ogni
colpa, acciò ricevendomi sacramentato, io senta gusto e piacere dal contatto e
non disgusto ed amarezza.
CAPO DODICESIMO
Come, inalberata la croce, il Figliuolo di Dio crocifisso fu
posto a vista di tutto il popolo. Di ciò che Egli operò nel suo interno
finché cominciò a parlare dalla croce.
SULL'ALTARE DELLA CROCE
Essendo inchiodato sulla croce, incominciarono i manigoldi ed
i soldati a trattare di alzare la croce, e metterla in alto, acciò tutto il
popolo mi vedesse, ed ognuno potesse saziare la sete, che aveva contro di me, di
schernirmi e di ingiuriarmi. Difatti, tutti stavano ad aspettare con impazienza,
perché non tutti mi potevano ancora vedere per la calca della gente. Avevano
preparata sulla cima del monte una fossa, aggiustata con pietre, per mettervi
dentro il piede della croce; e fecero in modo, che io stessi assai più in alto
degli altri due crocifissi. Seppe molto bene la loro astuzia ed arte trovare il
modo che io stessi in alto più degli altri, perché tutti mi vedessero e si
burlassero di me. Ma ciò non fu senza mistero del divin Padre, come udirai.
Mentre stavano trattando del modo di inalberare la croce, ed
ognuno era pronto per aiutare, io me ne stavo inchiodato sulla croce in terra,
con il volto e tutto il corpo rivolto al cielo, soffrendo un asprissimo
tormento. Allora mi offri al divin Padre, dicendogli: Rimirate, o mio divin
Padre, il vostro Unigenito, il quale ora viene sacrificato per l'umana
redenzione. Ecco, che prima di essere posto alla vista di tutta Gerusalemme e
del mondo intero, sono posto alla vista di voi, Padre amantissimo, e di tutta la
corte celeste! Vedete, come sono grandi i miei dolori, come dolorose le mie
piaghe! Ora questi e queste offro a voi, a nome di tutti i miei fratelli, per
soddisfare la divina giustizia per i loro debiti. Sono molti, è vero; mia
mirate quanto più grande è il prezzo che io vi offro per soddisfarvi! Sono
gravi, è vero; ma mirate come gravissimi sono anche i miei dolori; e se più
soddisfazione bramate da me, sono pronto a darvela. Si placò il Padre, ma
dichiarò che voleva più soddisfazione. Ed io mi offri pronto a dargliela, ed a
stare in croce, quanto a Lui fosse piaciuto: perché l'amore che ardeva nel
mio Cuore, era infinito, né si saziava mai di patire, per soddisfare la divina
giustizia e per salvare il genere umano.
IL CIELO, LA TERRA, L'INFERNO
Tutti gli angeli, che furono spettatori di sì funesta
tragedia, si riempirono d'ammirazione. Il sole cominciò ad oscurarsi e ad
eclissarsi. Le altre creature insensate si risentirono, dopo che fu inalberata
la croce. I demoni si arrabbiavano, fremevano, ed ancora non arrivavano a
capire, se io veramente fossi il Messia. Stupiti di tanta sofferenza, di tanta
fortezza, di tanta virtù, andavano come perduti, non potendo capire sì grande
portento; ed andavano sempre più attizzando i manigoldi a straziarmi ed
oltraggiarmi con bestemmie e scherni, in modo che in quel luogo non si udivano,
che bestemmie orrende, maledizioni, ingiurie, villanie, fischiate e strida.
IL DOLORE E LA COMPASSIONE DI MARIA
La mia diletta Madre, che udiva tutto, non potendosi
appressare alla croce per la grande calca, stava in un aspro tormento. Anche lei
era inchiodata. alla mia croce, mentre io, che ero il suo cuore, ero crocifisso.
Ed oh, con quanti modi mi andava compatendo, e come si liquefaceva l'anima sua
di un dolore amoroso e di un amore doloroso! Altre parole la sua bocca non
proferiva che queste: O Gesù, mio Figlio! o Figlio mio, Gesù, chi mi concede
che io possa morire per te e con te ? Con il cuore però molto mi parlava, ed
ora tutta amorosa, ora tutta addolorata, mi andava spiegando quanto mi amava, e
quanto mi compativa. Erano però queste sue voci di un grande martirio al mio
Cuore,perché essendo da me molto amata, anzi il più caro oggetto del mio
amore, dopo il divin Padre, era anche da me compatita, e molto mi amareggiavano
i suoi dolori. Anch'io parlavo al di lei cuore, e le narravo che le sue pene
accrescevano a me il dolore. Ed anche per questo motivo pativa di più la
diletta Madre. Ma era decretato che la sua anima doveva essere immersa in un
mare di amarezze, senza conforto alcuno, per più assomigliarsi a me; perciò,
io, che potevo apportarle consolazione nelle sue pene, ero l'oggetto dei suoi
più aspri dolori, come lei era l'oggetto dei miei, per l'amore infinito che
ardeva nel mio Cuore verso di Lei, e per l'amore grande che ardeva nel suo
cuore verso di me, suo Dio e suo vero ed unico Figlio.
LA CROCE INALBERATA
Essendo stato allestito tutto ciò che era necessario,
strascinarono la croce al luogo dove si doveva innalzare, sentendo io un grande
tormento in tutte le mie membra, specialmente nella testa, che mi andava
sbattendo sulla croce. Offrivo quel tormento al Padre, per le replicate offese
che riceveva da tutto i1 popolo crudele ed ingrato. Malti, fra quel popolo
stesso, erano stati da me risanati da varie infermità. E ancor essi mi andavano
insultando e schernendo con vari motti, dicendomi: Tu hai con tanta facilità
liberato noi dai mali, ed ora non sei capace di liberare te stesso. Mi ferivano
il Cuore queste parole, perché mi mostravano ingratitudine e crudeltà. Tacevo
con la lingua, ma parlavo col Cuore, dicendo loro: Ah cuori ingrati! Non vedete
che se ho risanato i vostri corpi, oara patisco tanto per la salute delle vostre
anime? E rivolto al Padre, gli andavo ripetendo: Padre mio, perdonate loro,
perché non sanno ciò che si dicono e ciò che fanno.
Arrivato al luogo dove si doveva piantare la croce, si
avvidero che non ci avevano inchiodato il titolo scritto da Pilato, e subito ve
l'inchiodarono. Io allora senti un aspro tormento, perché i colpi del
martello facevano muovere la croce, onde le mie piaghe più si inasprivano.
Alzando poi la croce, la facevano sbalzare, ora da una parte ed ora dall'altra,
con mio grande tormento.
è FISSATA LA CROCE - SCHERNI
Il popolo nel vedere la croce alzata, incominciò a gridare
con voci strepitose. Chi mai diceva un ingiuria, chi un altra. Tutti mi
motteggiavano. Infine, con molta loro fatica e con mio grande tormento,
arrivarono a mettere la croce nella fossa fatta, facendola cadere di peso. In
questo orrendo colpo si riaprirono tutte le piaghe del mio lacero corpo,
contremarono tutte le mie ossa ed interiora e fui preso da un tremito doloroso,
per gli aspri tormenti, battendomi la testa sul petto.
Oh quanto, sposa mia, fu grande lo spasimo che allora sentii!
Vidi di nuovo tutte le anime che si sarebbero rapidamente precipitate e
sprofondate negli eterni tormenti; e nel pensare, che tante mie pene sarebbero
state inutili per esse, perché si sarebbero di tutto abusate, mi riempi di una
più grande amarezza.
Posta in alto la croce e fortificata con pietre, acciò non
cadesse, una parte di essi mi lasciarono, e si posero ad innalzare gli altri due
crocifissi. Intanto che facevano ciò, alcuni erano rimasti a rimirarmi e
schernirmi. Essendo io posto in alto e da tutti rimirato, intesi una somma
confusione, perché il mio corpo stava esposto alla vista di tutto il popolo e
di tutta la città. Non vi mancarono molti che anche da lontano mi stavano
rimirando, cioè, tutti quelli che avevano confusione e vergogna di venire sul
monte, per risguardo al grado che avevano, benché anche da lontano non
cessassero di ingiuriarmi e di schernirmi. In questa mia confusione intesi un
grande dolore; perché si rappresentarono alla mia mente tutte le anime
peccatrici, che, per non voler soffrire un poco di confusione, nel confessare le
loro colpe, sarebbero poi nel finale giudizio, ben più confuse, venendo quelle
colpe, a tutti manifestate. Vedendo il grande numero di esse, intesi un grande
dolore. Rivolto al Padre, lo supplicai, per quella mia confusione, di volersi
degnare di illuminarle, facendo ad esse conoscere il loro grave errore, dando
loro grazia di poter manifestare le loro colpe, affinché conseguano il perdono.
Vidi, che il Padre l'avrebbe fatto, e che alcune poche si sarebbero
approfittate dei lumi e della grazia. Per queste resi grazie al Padre. Vidi
anche il grande numero di quelle, che si sarebbero abusate dei lumi e della
grazia, e, rimanendo nel loro errore, sarebbero eternamente perite. Ne intesi
grande amarezza, tanto più che io soffrivo la confusione ed il rossore, per
agevolare ad esse la via, e rendere loro facile ogni ripugnanza e confusione.
GLI INVITI DI GES� ALLA MADRE
Stando in alto, in vista di tutto il popolo, invitai tutti i
miei fratelli a venire a contemplarmi ed a specchiarsi in me, loro maestro ed
esemplare. Prima di tutti, invitai la mia diletta Madre, la quale stava poco
distante, e le dissi al cuore: Venite, Madre mia, venite a contemplare da vicino
l'unico oggetto del vostro amore, il vostro Dio, che patisce, il vostro
Figlio, che sta consumando l'opera dell'umana redenzione. Voi, cara Madre,
sarete il testimonio di tutte le mie pene, di tutti i miei affanni, dolori e
tormenti, di tutte le mie angustie ed amarezze : perché tutte in voi stessa le
provate, essendo lo specchio fedelissimo, in cui si fermano di riverbero tutti i
miei tormenti. Ecco, come sono fedele alla promessa fattavi di farvi partecipe
di tutti i miei dolori e di tutte le mie pene. Venite, dunque, caro oggetto del
mio amore e del mio dolore! A tale invito venne la diletta ed afflitta Madre,
dicendo: Ecco, mio amato Figlio e Signore, che vengo a contemplarvi! Benché
sappia che la mia vista sarà per voi di maggior dolore, per l'amore infinito
che a me, vostra indegnissima creatura e Madre, portate; con tutto ciò, oh
quanto volentieri io vengo! mentre anche a me si accresceranno i dolori e le
pene, e così più mi renderò simile a voi, vita mia ! Ma vi supplico di
concedermi la grazia, che io sia sempre costante e desiderosa di più patire!
Né segua in me alcun deliquio, per non restare in quel tempo priva di pene.
Assicurai la Madre della detta grazia, e supplicai il divin Padre di fare verso
di Lei il continuo miracolo, di tenerla sempre in sentimenti e mantenerla in
vita.
Arrivata al piede della croce, in luogo dove mi poteva ben
mirare e contemplare, prima mi adorò con profonda adorazione, e si offrì di
nuovo, pronta a soffrir tutte le mie pene. Poi fece di me e di se stessa un
intero olocausto al divin Padre, indi si pose in piedi a rimirarmi e
contemplarmi, né mai più si mosse né torse gli occhi, tanto del corpo, come
della mente, dall'oggetto del sino amore e del suo dolore; ricopiandosi nella
di Lei anima l'immagine del crocifisso suo Figlio, restandone in lei impresse,
per virtù dell'amare, tutte le pene e tutti i dolori.
ALLA MADDALENA
Invitai anche l'amante Maria Maddalena, con parole amorose
al di lei cuore, dicendole: Venite, o amante penitente e discepola fedele!
giacché per il passato avete goduto la dolcezza dell'amor mio, venite ora a
soffrire l'amarezza dei miei tormenti. E vedete quanto care costano a me le
colpe del genere umano, e con quanto prezzo io ricompro la vostra e le altrui
anime. Ora è tempo che facciate mostra del vostro amore verso di me, vostro
Maestro e Redentore. Ferita la Maddalena nel cuore dall'amoroso invito, corse
a mettersi ai piedi della croce, che tenne abbracciata, con gli occhi fissi ai
miei piedi, che più volte, con tanto amore, aveva lavati con le sue lacrime ed
amorosamente baciati. Nel vederli allora sì laceri e tormentati, si disfaceva
in lacrime dolorose, e con quei piedi, che tanto si erano affaticati per la sua
salute, e che vedeva tanto laceri e tormentati, sfogava il suo amore ed il suo
aspro dolore, non saziandosi di rimirarli, contemplarli, imprimendo nel suo
cuore quelle piaghe, a forza di amore e di compassione. Ciò serviva anche a me
di amarezza, nel vederla tanto addolorata senza poterla consolare, perché io
stesso ero l'oggetto del suo aspro dolore.
A GIOVANNI
Invitai anche il mio diletto ed amato discepolo Giovanni,
dicendo al di lui cuore: Venite, o discepolo amato, e giacché voi siete stato
sempre il mio compagno nella predicazione ed in tutti gli altri luoghi, dove
sono andato, e siete stato il testimonio della mia gloriosa trasfigurazione sul
monte Tabor; siate ora il testimonio dell'orribile tragedia sul Calvario, e
guardatemi in sì dolorosa figura. Voi direte agli altri miei discepoli quanto
ho patito su questo monte. Narrerete ad essi tutti i miei tormenti, acciò anche
essi siano a parte delle pene che ora voi soffrite per mio amore, e sappiano
quanto io patisco, si specchino in questo originale, per ricavarne in loro
stessi la figura, imprimendola nella loro mente e nel loro cuore, perché
possano imitarmi e narrare al mondo tutto, quanto io ho patito per redimerlo, e
per acquistargli il regno eterno. Venne il discepolo amato, trafitto dal dolore,
e postosi al lato della croce, sfogava la sua pena in armare lacrime. Tanto il
discepolo, come la Maddalena, andavano spesso soffrendo dei deliqui mortali,
benché non vi fosse chi li osservasse. Ma io pregavo per loro il divin Padre,
acciò li conservasse in vita: ché, per verità, il solo rimirare di passaggio
la mia umanità, era sufficiente a dare la morte ad un cuore amante. Si pose
Giovanni a rimirare attentamente il mio divin petto, dove una volta aveva sì
dolcemente riposato, e dove aveva ricevuto e inteso tanti arcani divini, e si
struggeva di dolore nel vederlo aperto e tutto lacero e spolpato. Soffrivo della
pena anche per questo discepolo: nel vederlo tanto addolorato per mio amore
senza poterlo consolare, essendo io l'oggetto del suo amore e del suo dolore.
ALLE PIE DONNE
Invitai anche le altre devote donne, che accompagnavano la
mia diletta Madre, dicendo al loro cuore: Venite anche voi presso la croce a
contemplarmi, e giacché avete goduto dell'amabile compagnia della mia diletta
Madre, come anche della dolcezza :e soavità delle mie parole, venite a soffrire
in compagnia della Madre, parte dei suoi dolori; e contemplando le mie pene,
procurate di ricavarne in voi stesse un perfetto ritratto, con l'imitarmi,
assicurandovi che essendo a parte delle mie pene, sarete anche a parte della mia
gloria. Vennero le devote donne, ed anche esse si posero presso la croce a
contemplarmi ed a compatirmi.
AGLI APOSTOLI
Invitai anche tutti i miei apostoli e discepoli a venire a
contemplarmi; ma questi, per il grande timore, fecero resistenza all'invito.
Restarono però tutti feriti da grande dolore ed amarezza, sentendo nel loro
interno, una grande compassione dei miei dolori, e si disfacevano in amare
lacrime, specialmente Pietro, il quale, per avermi negato, più d'ogni altro
si afflisse e si rattristò.
A NICODEMO
Invitai il discepolo occulto, cioè Nicodemo, e gli dissi:
Ora non è più tempo di stare occulto. è tempo che vi manifestiate, ed a voi
lascio la cura di sotterrare il mio corpo. Corrispose Nicodemo all'interno
invito, e, appena fui spirato, si prese la cura di darmi sepoltura, avendo,
prima che io morissi, domandato il mio corpo al presidente Pilato, il quale
liberamente glielo concesse. E mentre io stavo in croce penando, lui preparò
gli aromi e tutto ciò che bisognava per darmi onorevole sepoltura.
A GIUSEPPE D ARIMATEA
Invitai anche Giuseppe d'Arimatea a fare lo stesso. Questi
era compagno di Nicodemo e mio discepolo, ed anche lui era andato a domandare a
Pilato il mio corpo con Nicodemo.
IL PIANTO DEL CREATO
Andavano intanto crescendo le tenebre, oscurandosi vieppiù
il sole: si scuoteva la terra, e tutte le creature insensate incominciarono a
dar segno del loro dolore al ravvicinarsi della mia morte (1). I perfidi Giudei,
gli Scribi e i Farisei, nel vedere oscurarsi il sole e scuotersi la terra,
dicevano: Costui per tutta la sua vita ha operato da incantatore, e per virtù
del demonio ha fatto molti prodigi; così anche nella morte va operando questi
segni, facendo tutte per incantesimo. E ciò andavano dicendo, perché la gente
non si rivoltasse contro di loro in favor mio, vedendo i segni mirabili che si
operavano nella mia morte, dalle creature insensate. Quanta amarezza e dolore mi
accresceva questa loro perversità, malizia ed ostinazione! Con tutto ciò non
lasciai di invitarli con grande amore a venire per contemplarmi e vedere quanto
pativo per la loro eterna salute; ma essi, duri ed ostinati, disprezzarono gli
amorosi inviti, scacciando dai loro cuori ogni compassione che incominciava a
nascere verso di me. E quelli che si trovarono sul Calvario, venivano sì, ma
solo per bestemmiarmi.
AI PRESENTI
Invitai tutti quelli che si trovavano presenti al Calvario, a
venirmi a contemplare e rimirarmi attentamente. Vi venivano, ma di passaggio. Mi
insultavano e mi schernivano, accrescendosi sempre più il mo dolore e l'amarezza
del mio Cuore.
AI DUE LADRI
Intanto furono posti ai miei lati i due ladri crocifissi,
alquanto distanti dalla mia croce, i quali mi bestemmiavano ed insultavano (1).
Li invitai con grande amore; e giacché anche essi erano vicini alla morte,
bramavo che avessero goduto del frutto della Redenzione. I1 ladro che stava alla
mia destra, si arrese all'invito amoroso, smise di bestemmiarmi, incominciando
ad osservare la mia invitta pazienza e sofferenza fra tanti tormenti. Così, a
poco a poco, si andò disponendo a ricevere nuovi inviti e nuovi lumi. Il ladro
però che stava alla sinistra, non solo non si arrese all'invito; ma
incominciò a bestemmiarmi ed a maledirmi maggiormente, in modo che il ladro che
stava alla mia destra lo riprendeva. Ma il perfido, non si volle arrendere;
volle morire come un disperato, ingiuriandomi sempre dicendomi: Se tu fossi il
Figlio di Dio, mai libereresti da questi tormenti, ma perché sei un infame
malfattore, non puoi liberare né te stesso, né me!
A TUTTI
Invitai poi tutti i miei fratelli, dicendo loro: Venite
tutti, venite a contemplarmi! Venite e vedete a che caro prezzo io ricompro le
anime vostre! Venite e specchiatevi in me, vostro esemplare! Eccovi l'originale
da cui dovete ricavare il modello del vostro vivere! E sappiate, che, se non mi
imiterete, non entrerete dove sarò io. Il mio divin Padre vi rimirerà e vi
riconoscerà per suoi figli, se vi vedrà simili a me, vostro fratello e vostro
esemplare. E per questo sono posto su questo monte, affinché ognuno di voi mi
veda, mi rimiri attentamente e mi imiti perfettamente. Ed allora vidi tutti
quelli che sarebbero accorsi all'invito, mi avrebbero contemplato, ed
avrebbero procurato di imitarmi, ricopiando in se stessi l'originale. E per
costoro domandai risolte grazie al divin Padre, cioè: la fortezza nel soffrire,
la pazienza nel patire, l'amore, la carità e tutte le altre virtù che io
stesso praticai sul patibolo. E perché il divin Padre li avrebbe considerati
come suoi figli e miei veri fratelli e seguaci, lo lodai e ringraziai da parte
di tutti. Intesi sperò un grande dolore ed una più grande amarezza nel vedere
la moltitudine di quelli che, o non sarebbero accorsi ai miei dolci inviti, non
volendomi riconoscere per loro Redentore, oppure, accorrendovi, mi avrebbero
bestemmiato, oltraggiato e schernito, come gli empi Ebrei. Oh quanto, sposa mia,
mi apportarono angustia e travaglio questi perfidi, ingrati e sconoscenti a
tanti benefici, a tante grazie, a tanta carità, a tanto amore!
INVITO DI PREDILEZIONE
Invitai ancora molti ad inchiodarsi alla croce ed essere
crocifissi al mondo, col dedicarsi e consacrarsi tutti all'amor mio, facendo
di sé un totale sacrificio ed olocausto al divin Padre, per mezzo dei tre voti
di povertà, di obbedienza e di castità. Questi li invitai con un invito più
amoroso, promettendo a tutti una grazia ed una assistenza particolare,
dichiarandomi sposo amantissimo delle loro anime. E vidi tutti quelli che
sarebbero accorsi all'amoroso e dolce invito, e come,io solo sarei stato tutto
il loro tesoro, la loro con
solazione, la loro ricchezza ed eredità. A questi mi rivolsi
con tutte le espressioni più cordiali del mio sviscerato amore; mi dichiarai di
valere essere tutta la delizia dei loro cuori, e di far loro godere tutta la
dolcezza del mio amore. E al divin Padre dissi: Padre mio, questa è la mia
porzione più scelta, la parte più nobile. Con questi si prenderà il mio
spirito le sue delizie. A questi comunicherò i segreti del mio Cuore. Questi
avranno il privilegio di seguire dappertutto me, loro duce ed agnello
immacolato. Perciò vi supplico di arricchirli delle vostre grazie, dei vostri
doni sublimi. Rimirateli, o mio divin Padre, con grande amore, perché si
mostreranno verso voi veri figli, e prenderanno in tutto la mia somiglianza, col
soffrire ogni travaglio, pena e dolore, e saranno inchiodati alla croce e
crocifissi con me. Perciò voi proteggeteli, difendeteli, assisteteli, date loro
il dono della perseveranza e tutte le virtù in grado perfettissimo. Né
permettete mai che si allontanino da voi, o che scendano dalla croce, alla quale
volontariamente si sono inchiodati. Ed infine preparate loro una mercede ed un
gaudio ben dovuto alla loro fedeltà, al loro amore ed alla servitù cordiale
che vi faranno sino alla fine della loro vita. Udì con grande gusto il divin
Padre le mie suppliche e le esaudì, promettendomi, con grande amore, quanto per
essi egli avevo domandato. Ed io lo lodai e ringraziai, anche da parte di tutti
loro. Vidi poi con mia grande pena ed amarezza tutti coloro che avrebbero
ricusato l'invito e le grazie, che loro promettevo; ed intesi maggior dolore,
nel vedere la pessima fine che avrebbero fatto, per non corrispondere alla dolce
ed amorosa vocazione. Non lasciai di tornare di nuovo ad invitarli e chiamarli;
ma, ostinati, vidi che avrebbero fatto sempre i sordi ai miei dolci inviti. Vidi
anche le pene grandi che per essi sono preparate, ed anche per questo intesi
dell'amarezza. Vidi poi, con la più aspra pena e dolore, tutti quelli che
sarebbero accorsi all'invito ed alla vocazione, ma che avrebbero abusato della
grazia, e tanto male avrebbero corrisposto; che in tale stato, sarebbero vissuti
male, sì da servire di scandalo a tutti gli altri; vidi che le loro colpe
sarebbero state assai più gravi, perché trasgredivano con tanta facilità le
promesse ed i voti fatti al divin Padre, offendendolo gravemente. Vidi gli
orribili castighi preparati a questi infedeli trasgressori, ed anche di questo
intesi una grande amarezza. Perciò, rivolto al divin Padre, lo supplicai, per i
meriti miei e per tutte le pene che soffrivo, di volersi degnare di illuminarli
e richiamarli a sé, facendo loro conoscere il grave errore, col dare ad essi la
sua potente grazia. Vidi che alcuni si sarebbero ravveduti, avrebbero fatto
penitenza e sarebbero tornati a vivere santamente: di ciò resi grazie al Padre,
e lo supplicai di dare ad essi il dono della perseveranza, e ad usare verso di
loro la sua infinita misericordia. Ed il Padre si mostrò pronto a far tutto.
Intesi però una grande amarezza ed asprissimo dolore, nel vedere la moltitudine
di coloro che avrebbero abusato dei lumi, della grazia, dei dolci e replicati
inviti, e che sarebbero rimasti nei loro gravi errori, e miseramente periti.
INVITA A CONSIDERARE I DOLORI DI MARIA
Invitai poi tutti i miei fratelli e seguaci a venire a
contemplare i dolori eccessivi della mia diletta Madre, ed a compatirla nelle
sue pene. E vidi, che molti vi sarebbero accorsi, l'avrebbero accompagnata e
compatita nei suoi aspri dolori, ed avrebbero goduto della di lei protezione,e
che la diletta Madre loro avrebbe compartito molte grazie. Anche da me sarebbero
stati rimirati con grande amore, io avrei compartito loro grazie e favori
sublimi. Vidi però, con mia grande amarezza, la moltitudine di quelli che
sarebbero vissuti del tutto dimentichi dei suoi aspri dolori, restando perciò
privi di molte grazie, specialmente della di lei particolare protezione. Bramavo
molto che la mia diletta Madre fosse stata compatita nelle sue pene da tutti i
miei fratelli, perché pativa nel vedere me, suo Figlio e Signore, in pene e
tormenti; ma la causa delle mie e delle sue pene erano le colpe del genere
umano: quindi bramavo che tutti la compatissero, perché tutti avevano parte
nelle mie e nelle sue pene; ed ella con grande amore e generosità per tutti le
pativa, cooperando alla Redenzione per quello che si apparteneva al grado di mia
Madre, e compagna indivisibile di tutte le mie pene e dolori.
GESU' RE
Avendo invitato tutti a venirmi a contemplare e ad imitarmi,
dissi in generale: Rimirate chi è colui che vi invita a contemplarlo e ad
imitarlo! Osservate ciò che sta scritto sopra la mia croce: Gesù Nazareno, Re
devi Giudei: Questa iscrizione è stata fatta dal Presidente Pilato, è vero, ma
per decreto del mio divin Padre. Fui da Pilato chiamato Re dei Giudei, perché
non capiva il mistero nascosto sotto tale nome; e perché anche i Giudei mi
vollero crocifiggere, dicendo che io mi volevo fare loro Re. Ma il Padre ebbe un
fine più alto ed a me dovuto: Re dei Giudei, e Re giusto. Jesus
Nazarenus, Rex iustitiae, Rex iustorum. Incarnandomi
divenni Rex iustitiae. Divenni anche Rex iustorum: quando venni al mondo per
regnare nelle anime dei giusti, per essere loro Re, e condurli nel mio regno a
regnare con me, cioè: a godere della stessa gloria e beatitudine di cui godo
io, avendola loro meritata con la mia passione e morte. Vedete, dunque, dissi
loro, che sono io che vi invito. Sono un Re giustissimo e rettissimo, e chi si
appressa a me con cuore sincero ed umile, resterà giustificato. Non troverete
in me alcun inganno o ingiustizia, come trovasi in altri perversi, che
pretendono di signoreggiare le anime vostre; quali sono il demonio ed il
peccato. Io sono vero Re di giustizia. Ma vedete che sto in un trono, dove alla
giustizia prevale la misericordia; perciò fidatevi pure di me, che sono Re
legittimo, sono un Re che posso darvi a godere un regno eterno di beatitudine.
Sono Re dei giusti, ché regno nelle anime giuste. Beati coloro che hanno la
bella sorte di avermi Re nelle loro anime! In questi non ardisce accostarsi
altro Signore, che li possa ingannare e precipitare. Datemi dunque tutti, le
vostre anime, acciò regni in esse, e siate da me governati e posseduti! O voi
felici, avventurati, se udirete le mie voci, ed accetterete i miei inviti! Anche
voi regnerete in terra, perché dominerete le vostre passioni; e poi regnerete
anche in cielo per tutta un eternità. Ecco dunque il vostro legittimo Re e
Signore! Ecco, chi vi ha ricomprati a costo di tante pene e della vita stessa!
Osservate quanto grande è l'amore che porto alle anime vostre! Mentre godevo
nel seno del divin Padre la stessa sua beatitudine, essendo una stessa cosa con
Lui, scesi in terra a prendere carne umana, per redimervi dalla dura schiavitù
di Lucifero e del peccato. Mi sono fatto vostro fratello, vostro Maestro, vostro
esemplare, vostro cibo, vostro medico e medicina, per curare tutte le vostre
infermità; vostro avvocato, vostro consolatore, difensore e liberatore, vostro
Re. Riconoscetemi dunque per tale! E. non vogliate abusare di tanta bontà, di
tanta carità, di tanta liberalità, di tanto amore! E sappiate che sono anche
vostro giudice, e che da me dovete essere rettamente giudicati, puniti o
premiati, secondo le vostre operazioni. State ben attenti! E sappiate che se non
mi riconoscerete per vostro legittimo Re e Signore, e se non metterete in
pratica i miei esempi ed i miei insegnamenti, mi sperimenterete giudice severo e
giusto.
Dissi allora ciò a tutti, avendoli presenti alla mia mente.
E vidi coloro che si sarebbero approfittati delle mie parole e dei miei dolci
inviti, e che mi avrebbero riconosciuto per loro legittimo Re e Signore, e nelle
cui anime io avrei regnato. Di tutti questi resi grazie al divin Padre, e lo
lodai per la sua immensa carità ed amore verso le sue creature, per le molte
grazie che avrebbe loro compartito. Intesi però una grande amarezza ed un
asprissimo tormento e dolore, nel vedere la grande moltitudine di quelli, che
non solo non mi avrebbero riconosciuto per loro legittimo Re e Signore, ma mi
avrebbero tanto offeso ed oltraggiato, abusando di tanti benefici, di tante
grazie, di tanta carità, bontà ed amore. Vidi che avrebbero riconosciuto per
loro Re e Signore il demonio, e si sarebbero lasciati dominare dalle loro ree
passioni, dal vizio, dall'iniquità, e che la superbia avrebbe avuto un grande
dominio nel mondo. Vidi il culto che avrebbero dato ai falsi numi, e come il
demonio, fierissima bestia, avrebbe signoreggiato, tirando tanti e tanti al suo
partito. O quanto fu grande l'amarezza del mio Cuore! Perciò, rivolto al
divin Padre, lo supplicai con grande istanza di volersi degnare di illuminare
tutti gli infelici, che con tanta facilità si sarebbero lasciati sedurre. Gli
domandai ciò, in virtù degli aspri tormenti e dolori, che allora soffrivo. E
vidi, che il Padre non avrebbe mancato di illuminarli, e di fare ad essi
conoscere il loro inganno e il loro grave errore. Vidi inoltre che sarebbe stato
pronto a dare a tutti la sua grazia, perché si potessero ravvedere; vidi, che
molti si sarebbero ravveduti, e si sarebbero posti a seguire me, riconoscendomi
per loro legittimo Re e Signore. Di questi resi grazie al divin Padre. Intesi
però una più grande amarezza, nel vedere la moltitudine, quasi innumerevole,
che sarebbe rimasta nella sua ostinazione e durezza, abusando di tutti i lumi,
della grazia, e di ogni altro aiuto particolare, che il Padre con tanta carità
ed amore avrebbe inviato.
O quanto, sposa mia, arrivarono al sommo i miei dolori e l'amarezza
del mio Cuore! Quando vidi, che molti della mia sequela, che mi riconoscono come
loro Re e Signore, si sarebbero voltati contro di me, e negandomi empiamente,
sarebbero stati a molti occasione di scostarsi da me, di abbandonarmi, e che
questi sarebbero stati i più perfidi e crudeli nemici della mia Legge e del mio
Nome, ah! per questo sì, che i miei dolori interni si accrebbero in modo che mi
avrebbero dato la morte, se la divinità non mi avesse prolungato la vita, per
farmi più patire.
è INSULTATO E SCHERNITO IN CROCE
Stando poi così fin croce, soffrendo tutti questi dolori,
alzavo alle volte gli occhi, e vedendo tutti i miei nemici che mi schernivano.
Da qualunque parte guardassi, trovavo materia di dolore e di pene. Tutti mi
insultavano, mi bestemmiavano, mi ingiuriavano. I più mi dicevano: Va' ora, e
chiama il demonio, o perfido stregone, acciò ti liberi dalle pene, come tu hai
liberato tanti dalle loro infermità e dolori! Vedi se operavi per opera del
demonio; hai liberato tanti e non puoi liberare te stesso. perché ora stai
nelle mani della giustizia! Altri mi dicevano Se sei figlio di Dio, come tu
stesso ti chiami, scendi dalla croce e ti crederemo. Ed altri ancora: Va' ora,
chiama tutti quelli che hai risanato e tutte le turbe che ti seguivano, acciò
ti vengano a liberare dalle nostre mani! Vedi, come tutti ti hanno abbandonato?
Perché sono arrivati a conoscere che sei un infame seduttore. Solo una pubblica
peccatrice, la tua Madre e i tuoi parenti, si trovano presenti alla tua morte!
Vedi come da tutti sei abbandonato e fuggito? Anche dai tuoi più intimi
discepoli! O come tutti si sono avveduti della tua infamia e dei tuoi inganni;
Altri mi dicevano Va', ora, millantatore, disfa il tempio, e poi riedificalo
in tre giorni, come ti eri vantato! Tacevo io, né mai dissi parola alcuna. E
questi perfidi mi dicevano Dove sono andate la tua grande eloquenza, la tua
dottrina, la tua attrattiva? Ora non sai più parlare, perché non hai più con
te l'assistenza dei demoni. Tutte queste parole mi ferivano il Cuore, e mi
facevano soffrire una grande amarezza, vedendo tanto oltraggiata, schernita e
vilipesa la divinità, che sotto le spoglie dell'umanità stava nascosta (1).
Vedevo il divin Padre irato in atto di fulminare i perfidi
sacrileghi. Ed io, gli dicevo: Ecco, o mio divin Padre, che io sono posto in
mezzo, fra voi e l'uomo: perciò serva io di riparo ai castighi! Rimirate, o
Padre, la mia sofferenza, le pene, i miei dolori e tormenti! Tutti ve li offro
in sconto delle offese che ora ricevete e riceverete da tutto il genere umano.
Si plachi dunque il vostro giusto sdegno, e si scarichi tutto il flagello sopra
di me, perché sono pronto a soffrire tutto, ed a dare al vostro giusto furore
tutta la soddisfazione. A queste parole si placava il divin Padre, ed io restavo
il bersaglio delle pene.
Nel sentire le ingiurie e le bestemmie, che quei perfidi
vomitavano contro di me, si rappresentarono alla mia mente tutti coloro che per
seguirmi ed imitarmi, sarebbero stati dagli empi calunniati, insultati, ed
oltraggiati: ne intesi una grande amarezza. E rivolto al Padre lo supplicai di
dare ad essi la sua grazia, la fortezza e la virtù per soffrire tutto con
pazienza, per amor del mio Nome, per sua maggior gloria e per profitto delle
loro anime. E vidi, che il Padre l'avrebbe fatto con grande amore. Di ciò gli
resi grazie. Intesi però una grande amarezza nel vedere la moltitudine di
coloro che non avrebbero voluto soffrire una minima ingiuria o parola di offesa;
ed avendo io lasciato ad essi sì grande esempio di sofferenza, non mi avrebbero
in modo alcuno voluto imitare. Perciò, rivolto al Padre, lo supplicai, per
quella mia, sofferenza, di volersi degnare di illuminarli, facendo loro
conoscere che devono anche in questo imitarmi perfettamente. Avendo sofferto
tanto io, Re e Signore, per loro amore e per lasciare a loro gli esempi, devono
anche essi soffrire per amor mio e per imitarmi, se vogliono essere partecipi
degli onori e della gloria immortale che ho acquistato ad essi con tante pene. E
vidi, che il Padre l'avrebbe fatto, e che molti si sarebbero approfittati dei
lumi e della grazia, soffrendo poi con pazienza le ingiurie, le derisioni, gli
insulti ed ogni altro maltrattamento, che dalle persone cattive e perverse
sarebbe loro stato fatto. Di ciò resi grazie al Padre e lo supplicai di
continuare verso i medesimi coi suoi aiuti e con la sua grazia: Intesi poi una
più grande amarezza; quando vidi il grande numero di quelli che di tutto si
sarebbero abusati, non facendo conto alcuno dei miei esempi, della grazia, dei
lumi ed aiuti, che avevo loro impetrato dal divin Padre. E molto più si
accrebbe la mia pena ed amarezza, nel vedere che questi avrebbero dovuto poi
soffrire, per un eternità, gli insulti, le ingiurie, i mali trattamenti e molti
strapazzi dai demoni, negli eterni abissi, perché sarebbero andati sempre tanto
lontani dai miei insegnamenti, non volendomi imitare in modo alcuno. Essi non
sarebbero mai arrivati al possesso della gloria da me loro acquistata, perché
non mi seguono per la via che io ho calcato e ad essi insegnato con tanta
carità ed amore.
Sentiva la mia diletta Madre tutti gli improperi e gli
scherni che facevano contro di me, e ne veniva trafitta dal dolore per le offese
divine; ed anche da questa parte si accrescevano a me le pene, perché la vedevo
tanto tormentata nell'anima. Lei conosceva che anche io per questo soffrivo
dell'amarezza; e ciò le accresceva il dolore, in modo che Lei serviva a me di
maggior pena, ed io a Lei di maggior dolore.
Furono tante le ingiurie, i dispregi, gli scherni, gli
improperi che ricevetti da tutto il popolo, mentre stavo in croce, che più non
ne seppe ritrovare ed inventare la malizia farisaica, come anche la malizia
delle furie infernali. Su questo monte, fui saziato di obbrobri e di scherni, e
la fame e la sete che avevo di più patire, trovò un pascolo sufficiente ad
estinguerla e renderla sazia appieno, perché furono molti e di ogni sorta: ed
il contraccambio che io resi a questi perversi, fu di pregare il divin Padre di
saziare le loro anime e riempirle di consolazioni e di grazie, ogniqualvolta,
pentiti e ravveduti dei loro errori, fossero ricorsi a Lui. Ed il Padre si
mostrò pronto a farlo; ed io stesso mi determinai di voler saziare ed inebriare
del mio amore tutte le anime che, con cuore umile e contrito, fossero ricorse a
me per il perdono, e si fossero poste a seguirmi con fedeltà e con buona
volontà.
ESORTAZIONE ALLA SUA SPOSA
Hai inteso ciò che io operai stando in croce: come invitai
tutti a venirmi a contemplare, e molti anche ad inchiodarsi in croce, e vivere
crocifissi al mondo. Una di queste invitate sei tu, sposa mia; perché per mezzo
dei voti ti sei inchiodata alla mia croce ed hai determinato di vivere
crocifissa, e perfettamente imitarmi, come mia vera e fedele sposa. Sta'
perciò attenta nell'osservare perfettamente, quanto mi hai promesso. E per
farlo, guardami attentamente sulla croce, e pensa che quello è l'originale,
di cui devi ricopiare in te stessa un perfetto modello. Corrispondi agli inviti
della grazia, per arrivare allo stato, al quale sei chiamata e destinata. Né vi
porre alcun ostacolo con la tua incorrispondenza, altrimenti, misera te, perché
essendo tanto favorita e graziata, devi di tutto rendere stretto conto. Ma te
felice e beata, se corrisponderai e custodirai nella tua mente le mie divine
parole, e metterai in pratica quanto io ti insegno! Sappi, che se ti corre l'obbligo
di assomigliarti a me, come mia sposa, ti corre anche l'obbligo di mettere in
pratica tutti gli insegnamenti che io ti do, come mia discepola. Perché quanto
sono di maggiore scienza i maestri, tanto riescono virtuosi i discepoli. Quale
dunque deve essere la virtù in te, che hai la sorte di avere sì buono e
perfetto Maestro! Si paziente nel soffrire le ingiurie e gli scherni; e quando l'animo
si vuol risentire, dà un occhiata a ciò che io soffrii stando in croce, e
pensa a ciò che dissi e feci contro quelli che mi insultavano,bestemmiavano ed
oltraggiavano. Allora vedrai come ti devi portare anche tu, come devi ricevere
tutto in silenzio, e pregare per quelli che ti oltraggiano e scherniscono.
Maria! sta bene attenta! perché io voglio che tu si mia perfetta discepola! E
se tanta carità e tanto amore ho io per te, che sei creatura vilissima, quanta
ne devi aver tu verso di me, che sono il Re della gloria ed il Padrone assoluto
di tutto il creato? Come devi corrispondere a tanta carità, a tanta
liberalità, a tanto amore? Infine, sta' bene attenta a vivere in modo, che io
possa prendere in te le mie delizie, regnando sempre in te, e tu possa
continuare a godere delle grazie, che io con tanta liberalità e con tanto
amore, vado partecipando all'anima tua. E regnando io in te, nella presente
vita, puoi star certa, che verrai a regnar meco per tutta l'eternità nel mio
Regno.
CAPO TREDICESIMO
Delle sette parole che disse il Figliuolo di Dio sulla croce.
Della conversione del ladro che stava alla sua destra, e di ciò che operò nel
suo interno prima di morire.
PREGHIERA DI GESù IN CROCE
Stando in croce, soffrendo tutti gli improperi e gli scherni
che ho detto, non lasciavo di pregare il divin Padre per la conversione di tutto
il popolo, che tanto mi insultava, specialmente per i due ladri che stavano in
mia compagnia crocifissi, perché anche essi stavano soffrendo asprissimi
dolori, ed erano in procinto di morire; bramavo che le loro anime avessero
goduto il beneficio della redenzione. Perciò ne porgevo calde suppliche al
Padre. Difatti non mancava il Padre di inviar loro i suoi lumi; avevano anche l'esemplare
dell'invitta sofferenza.
CONVERSIONE DEL BUON LADRO
Il ladro che stava alla mia destra si andava illuminando;
già si era fermato con la mente a pensare come io soffrivo tutto con tanta
pazienza. Ciò fece nel salire il Calvario, e dopo essere stato inchiodato sulla
croce. Ma tutte le riflessioni erano di passaggio: perché poi anche lui si
accordava con gli altri a schernirmi e ad oltraggiarmi. Furono però tante le
riflessioni che fece sopra la mia sofferenza, che, alla fine, una si fermò
nella sua mente. Illuminato dal divin Padre, conobbe chiaramente le virtù da me
praticate sulla croce, e la mia invitta pazienza fra tanti scherni, ingiurie e
patimenti. Rivolto lo sguardo verso di me, si mise a contemplare le mie pene.
Vide il mio lacero corpo, che era tutto una piaga, e, stupito di tanta
sofferenza, incominciò ad avere grande compassione di me. Perciò rivolto al
compagno che mi bestemmiava, gli disse: Noi meritatamente siamo castigati e
scontiamo i nostri misfatti, perciò, ben ci sta questo castigo. Ma quest'uomo,
che tanto patisce, che male ha fatto, essendo innocente? Pur vedi con quale
pazienza soffre tante pene! (1).
A queste parole, il ladro che stava alla sinistra, invece di
rientrare in sé, incominciò ad infuriare di più, ed a maltrattare il
compagno. Ed il ladro, che stava alla destra e mi aveva confessato innocente,
ricevette un nuovo lume, e mi conobbe per vero Figlio di Dio. Fissati di nuovo
in me gli sguardi, si pose a contemplarmi, e nello stesso tempo il suo cuore fu
ferito da un grande dolore, sia per i suoi misfatti, come per le mie pene. Nel
rimirarmi e contemplarmi attentamente, riconobbe in me la mia divinità, cioè,
conobbe chiaramente esser io il Figliuolo di Dio; e lo credette fermamente.
LA PRIMA PAROLA
Mentre tutto ciò si andava operando nell'interno del ladro
ché stava alla mia destra, e il popolo mi insultava e bestemmiavo, facendo
tutti a gara a chi più mi potesse schernire ed ingiuriare, specialmente gli
Scribi ed i Farisei che si trovavano presenti e vomitavano contro di me
bestemmie ed ingiurie esecrande, vedevo il Padre irato contro di loro, ed io lo
supplicai ad alta voce, dicendogli: Padre mio, perdonate loro, perché non sanno
ciò che si fanno (2). Questa fu la prima parola che dissi, stando in croce,
cioè: pregai il Padre di perdonare ai miei nemici, che tanto mi oltraggiavano;
e li scusai col dire, che non sapevano ciò che facessero.
Quantunque avessi pregato continuamente il Padre per essi,
volli però infine farlo pubblicamente, ad alta
voce, perché ognuno mi udisse; e per lasciare l'esempio a
tutti i miei seguaci, come devono comportarsi con chi li perseguita e li
offende. Nello stesso tempo supplicai il divin Padre di volersi degnare di dare
a tutti i miei fratelli lume e grazia di potermi imitare.
Si placò il Padre e si mostrò pronto al perdono, come anche
a dare a tutti la grazia ed il lume da me richiesto. Vidi allora tutti coloro
che si sarebbero approfittati del detto lume e della grazia, e di essi resi
grazie al Padre. Vidi però, con mia grande amarezza, quanti se ne sarebbero
abusati, e avrebbero domandato castigo e vendetta invece di perdono, ed
avrebbero accusato e non scusato i loro nemici. Perciò, rivolto di nuovo al
divin Padre, lo supplicai di dare a questi maggior lume e grazia. E vidi, che il
Padre l'avrebbe fatto, e che alcuni si sarebbero ravveduti, e mi avrebbero
imitato, pregando per i loro nemici e scusandoli. Di ciò resi grazie al Padre,
supplicandolo di essere anche lui liberale nel perdonar loro le offese ricevute.
E vidi, che il Padre l'avrebbe fatto, ed anche di ciò lo ringraziai. Intesi
però una più grande amarezza e dolore, nel vedere la moltitudine di coloro,
che anche di questa nuova grazia si sarebbero abusati ed avrebbero sempre
conservato sdegno e rancore verso chi una volta li aveva offesi, ed avrebbero
sempre domandato al Padre castigo e vendetta contro gli offensori. Intesi
maggiore amarezza nel vedere che essi non avrebbero ottenuto dal Padre il
perdono delle proprie colpe, e che sarebbe caduto sopra di loro il castigo, che,
con tanta ostinazione e perversità, bramavano cadesse sopra chi li offese. Del
che restò il mio Cuore molto amareggiato.
Avendo inteso i Farisei, gli Scribi ed il popolo che stavano
oltraggiandomi, la parola che io dissi al divin Padre in loro favore, presero a
insultarmi e schernirmi maggiormente, gridando: Come? tu, infame, bugiardo, dici
che non sappiamo ciò che facciamo, mentre sai molto bene, che ti conosciamo
chiaramente per uno stregone, seduttore, malfattore ? Chiedi il perdono per te,
che tanto male hai fatto, non per noi, che operiamo con giustizia, dandoti il
castigo meritato!
A queste parole, dette con tanta sfacciataggine ed
impertinenza, veniva ferito il mio Cuore da un aspro dolore, mentre il divin
Padre si adirava molto contro di loro per le gravi offese che riceveva nella
persona mia. Ed io di nuovo lo supplicavo del perdono per tutti i perversi, per
tutti quelli che sarebbero vissuti male, e che ogni cosa avrebbero presa in
male, cioè: che di tutte le grazie, da me loro meritate, si sarebbero serviti
per maggiormente offendere il divin Padre.
Intese le mie parole la mia diletta Madre, ed anche lei mi
accompagnò nella supplica. Ogni volta che proferivo le parole, parlavo al di
lei cuore dicendole: Imitatemi, cara Madre, ed anche voi supplicate il divin
Padre nel modo che viene supplicato da me. E la Madre in tutto si mostrava
fedelissima compagna.
LA SECONDA PAROLA
Intese le suddette parole il ladro che stava alla mia destra,
e già nel suo interno, convertito ed illuminato, sentendo che io supplicavo il
Padre che perdonasse a quelli che mi oltraggiavano, si riempì di fiducia e di
speranza, e disse fra di sé: Se con tanta carità,ed amore prega il suo divin
Padre che perdoni a questi, che tanto l'oltraggiano, molto più posso sperare
il perdono e la grazia io, che l'ho dichiarato innocente e lo credo vero
Figlio di Dio. Animato da questo pensiero, confidando nella mia bontà e
carità, rivolto a me, disse, con grande fede ed umiltà: Signore, ricordatevi
di me, quando sarete nel vostro Regno.
Al quale subito risposi: Oggi sarai con me in Paradiso (1).
Questo gli dissi subito, perché il divin Padre, mentre il ladro proferiva le
suddette parole, gli donò il perdono ed il paradiso insieme.
Fatta da me la promessa al ladro, si riempì l'anima sua di
consolazione. Difatti si trovò libero dal grave
peso delle sue colpe, e, ripieno della divina grazia,
incominciò, meglio che poté, a lodare e benedire il Nome mio, ed a soffrire
tutti i suoi dolori in sconto delle sue passate colpe. Si angustiava molto nel
vedere la grandezza dei miei dolori, e capiva che lo li soffrivo per la salute
delle anime, perché conobbe essere io il Messia promesso, che dovevo riscattare
il mondo.
Lodai e ringraziai il divin Padre per i lumi e la grazia
datti al buon ladro già convertita; lodai ed esaltai la divina Misericordia,
che tanto liberale si era dimostrata verso di lui. Ciò lo feci anche da parte
sua. Nella persona del ladro convertito vidi tutti i peccatori che si sarebbero
convertiti ed avrebbero approfittato dei lumi divini e della divina grazia; e
questi erano in gran numero. Per tutti, resi grazie al divin Padre, lodando la
divina misericordia, che tanto liberale si sarebbe mostrata versa di loro. Per
tutti domandai il dono della perseveranza nella grazia, e la pazienza in tutte
le pene, che avrebbero dovuto soffrire, in sconto delle colpe commesse. Il Padre
mi promise tutto. Intesi però una grande amarezza nel vedere l'ostinazione
del cattivo ladro che stava alla sinistra, il quale tanto abusava dei lumi e
della grazia. Nella persona del cattivo ladro, vidi tutti i peccatori ostinati,
che sarebbero morti impenitenti, e che tanto avrebbero abusato dei lumi divini,
della grazia e di tutti gli aiuti che il Padre, con tanta liberalità, avrebbe
loro inviato. Ed oh, quanto grande fu il dolore e l'amarezza del mio Cuore!
Adorai gli occulti giudizi del divin Padre, ed esaltai la divina giustizia, che
si sarebbe compiuta sopra di loro; perché, abusando della divina misericordia,
sarebbero infine arrivati a provare i rigori della giustizia divina.
COMMOZIONE DEL CREATO
Mentre stavo così in croce, soffrendo asprissimi dolori e
tormenti, seguitavano tutti ad insultarmi ed oltraggiarmi con parole e con gesti
insolenti. Vi erano già le tenebre folte, in modo che appena mi potevano
vedere: il sole si era oscurato e tutte le creature insensibili mostravano ira e
sdegno verso i crocifissori ed il popolo ingrato e ribelle: tutte stavano in
atto di vendicare le offese e la morte dolorosa del loro Creatore. Ed io pregavo
il Padre di non permettere che cadesse sopra quel popolo alcun astro,
offrendogli, in sconto delle loro gravi colpe, le mie pene ed i miei dolori. Ed
il Padre tratteneva, per le mie suppliche, tutti i castighi e le vendette, che
avrebbero fatto le creature insensate, specialmente la terra, che stava per
aprirsi e subissar tutti.
I perfidi vedevano tutti questi segni, ed invece di
ravvedersi del loro grave errore, e di riconoscere che uccidevano il loro
Creatore e Redentore, si rivolgevano con più,crudeltà contro di me, dicendo
che facevo tutto con arte diabolica, che ero un mago, uno stregone, che i demoni
facevano comparire tali segni, e turbavano tutti gli elementi, perché si stava
dando la morte ad uno, di cui essi si servivano per precipitare tante anime,
dopo averle tirate al loro partito.
A tanta perversità ed iniquità non si smorzò la fiamma
ardente, che divampava nel mio Cuore, e l'amore che avevo verso di loro,
bramando sempre più la loro eterna salute. Perciò, quantunque mi
oltraggiassero tanto, non cessai di pregare per essi e di scusarli presso il
divin Padre.
IRA DEI DEMONI
Stavano quivi i demoni tutti, infuriati per i segni che
vedevano, e molto più per vedere la mia sofferenza e invitta pazienza fra tanti
oltraggi, pene e dolori. Incominciavano a capire che potessi essere il vero
Figlio di Dio, umanato, per riscattare il genere umano, e si andavano
tormentando gli uni con gli altri, armati di rabbia; ma si andavano animando col
pensare, che non era possibile che un Dio si fosse ridotto a tale stato. E si
mettevano a tentare maggiormente tutti quelli che stavano sul Calvario per
oltraggiarmi, acciò mi avessero sempre più schernito. Dicevano fra di loro Se
questi non è il Figlio di Dio, darà alla fine in qualche atto d impazienza.
Non è possibile che un puro uomo possa soffrire tanto, senza almeno lagnarsi.
Perciò facciamo pure tutti i nostri sforzi per farlo cadere. Se è il Figlio di
Dio, giacché ora non vi è più riparo, perché si vede che va morendo,
sfoghiamo pure il nostro odio, furore e sdegno verso di Lui, giacché ora ci è
permesso e lo possiamo, non essendoci alcuna forza che ci trattenga. E difatti,
si posero come disperati, ad attizzare gli Scribi e i Farisei con tutto il
popolo, suggerendo loro le più esecrande bestemmie, insolenze e scherni, che
mai potesse ritrovare la l'oro malizia.
Tutto vedevo, sposa mia, e tutto soffrivo con invitta
pazienza, non dando mai segno alcuno di sdegno o di vendetta, ma soffrendo tutto
con grande amore e serenità di volto, il quale, benché fosse tanto deformato e
contraffatto, pure si rendeva amabile a chi lo mirava con occhi di compassione e
con buon cuore, come facevano Giovanni, la Maddalena, e le altre devote donne,
le quali erano eccitate a più amarmi e compatirmi nelle mie pene.
IL DONO DELLA MADRE
Stando già così tormentato ed avvicinandosi l'ora della
mia morte, stabilita e decretata dal Padre, rimirai tutti i miei fratelli con
occhi di compassione e d'amore e volli, nell'ultimo della mia vita, dare ad
essi un segno dell'amore sviscerato, che a tutti indistintamente portavo, e
questo segno fu di dare a tutti per loro Madre, la mia Madre stessa. Già avevo
loro donato tutto me stesso; dopo di questo non avevo cosa più preziosa da dar
loro della mia diletta Madre. E per mostrare ad essi l'amore che a tutti
portavo, feci loro, anche di questa, un liberalissimo dono, spogliandomi di
tutto per arricchirli. Perciò fissai gli occhi nella mia diletta Madre, e le
parlai al cuore, dicendole: Madre mia! Voi sapete che siete la mia delizia e la
cosa più cara che io abbia. Perciò voglio anche di questo privarmi nel mio
morire, e lasciarvi per Madre a tutti i miei fratelli. Voglio spogliarmi di
questa consolazione, e dichiararvi Madre di Giovanni, e nella persona di
Giovanni intendo dichiararvi Madre di tutti i miei fratelli. Non temete però,
se io non vi chiamerò col titolo di Madre mia, perché non per questo non
sarete mia Madre, anzi, mi sarete doppiamente Madre, ed a me più cara e
diletta, perché sarete anche Madre di tutti i miei fratelli, per i quali ho
dato tutto il sangue, ed ora dà la vita morendo per essi. E per questo sarete
da me amata e rimirata prima come mia Madre e poi come Madre di tutti i miei
fratelli. Ma in questo punto del mio morire, mi voglio spogliare di questa
consolazione, cioè, di chiamarvi Madre, e restar privo di tutto ciò che io
possiedo, per donarlo ai miei fratelli, affinché vedano a qual segno sia
arrivato l'amore che porto loro. Degnatevi voi dunque, o mia cara Madre, di
ricevere tutti miei fratelli per vostri figli, e di praticare sempre verso di
loro l'amore di vera Madre: tutti io ora vi raccomando; e vi supplico di non
voler escludere neppur uno solo dal vostro materno amore, come io neppure uno
solo escludo dal beneficio della redenzione.
A queste parole rispose la diletta Madre: Eccomi pronta, o
mio Figlio e Signore, ad eseguire in tutto la vostra volontà. Di buon cuore
accetto tutti i vostri fratelli per miei figli, anche questi stessi che vi hanno
crocifisso, ed ora tanto vi oltraggiano. Sono pronta a fare verso di tutti l'ufficio
di vera Madre. E se voi, Dio di immensa grandezza, non escludete alcuno dal
beneficio della redenzione, perché chi vorrà potrà salvarsi, come potrò io,
vostra creatura e Madre, escludere alcuno e negare ad alcuno il mio materno
amore? Eccomi pronta ad abbracciar tutti: chiunque si accosterà a me con
filiale amore, mi sperimenterà vera ed amorosa Madre, e mi avrà propizia in
tutti i suoni bisogni, tanto spirituali come temporali. E giacché la vostra
infinita bontà si degna di darmi a tutti per Madre, si degni ancora di udirmi
ed esaudirmi in tutte le suppliche che vi porgerò, ed in tutte le richieste che
vi farò a pro del genere umano. Ora io di nuovo accetto tutti per miei figli, e
solo resta trafitto il mio cuore nel vedere che tanti e tanti abuseranno della
detta grazia, non facendo alcun conto del mio materno amore, e non ricorrendo a
me in tutti i loro bisogni. Ma con tutto questo non lascerò giammai di fare
verso di essi, l'ufficio di Madre, ad imitazione vostra, che non lasciate di
fare l'ufficio di avvocato presso il divin Padre, anche per questi, che tanto
vi offendono. Degnatevi dunque voi, o mio Dio e Figlio diletto, di darmi tutte
quelle prerogative, che si richiedono ad una, che essendo già stata graziata e
privilegiata ad esser Madre vostra, sia ora eletta da voi per Madre di tutti i
viventi.
A queste parole dissi: Voi, Madre mia, siete piena di grazia,
ed in voi si trovano tutte le virtù e tutte le prerogative, perché possiate
degnamente esercitare un tale ufficio. Ed io stesso, ora, vi ringrazio a nome di
tutti i miei fratelli, dell'amore con cui vi degnate accettare l'ufficio di
loro Madre. Rallegratevi, perché vedrete molti dei vostri figli regnare nella
celeste Gerusalemme, e, se le vostre pene sono tante, nel vedere, per divina
manifestazione, che tanti e tanti abuseranno e non faranno conto alcuno del
vostro materno amore, siano anche grandi le vostre allegrezze, nel vedere che
tanti e tanti vi saranno figli ed imiteranno i vostri esempi, onde a voi tanta
gloria ne risulterà nel regno dei cieli, e ne resterà tanto glorificato il
divin Padre. Allora la diletta Madre, unita con me, adorò, ringraziò e lodò
la divina, beneficenza a nome di tutto il genere umano, per avergli dato me, suo
Unigenito, per Redentore, e lei per Madre.
Passato tale ufficio con la diletta Madre, vidi tutti coloro
che avrebbero approfittato di una grazia sì speciale, l'avrebbero imitata e
riconosciuta per loro Madre, e come tale obbedita ed ossequiata. Di tutti resi
grazie al Padre. Intesi però una grande amarezza e dolore, nel vedere il numero
grande di quelli, che avrebbero abusato di grazia sì speciale. Io avevo tutti
già presenti alla mia mente, sia i buoni come i cattivi. Vidi anche quelli che
l'avrebbero oltraggiata, seminando, con i loro scritti e detti, tante falsità
contro di Lei. Rivolto al divin Padre lo supplicai di volersi degnare di mandare
al mondo ministri fedeli, acciò avessero difeso l'onor suo, e fatto
conoscere, con i loro scritti e detti, la sua integrità verginale e la sua
divina maternità. Vidi, che il divin Padre l'avrebbe fatto con somma
provvidenza, a beneficio di tutti i fedeli, ed a gloria della medesima. Di
questo resi grazie al Padre, anche a nome di tutta la Chiesa. Vidi che in tutte
le nazioni vi sarebbe stato chi l'avrebbe onorata e chiamata beata, per la
sublimità del posto a Lei concesso, cioè, di essere stata eletta per mia vera
Madre, e privilegiata sopra ogni altra pura creatura; e come da tutta la Chiesa
sarebbe stata lodata e magnificata la sua purità ed immacolata concezione. Di
tutto ne resi grazie al Padre: preso da un impeto d'amore verso il genere
umano, la dichiarai sua Madre, dicendole:
LA TERZA PAROLA
Donna, ecco il tuo figlio accennandole la persona di
Giovanni, e nella persona di Giovanni tutto il genere umano. Le accennai la
persona di Giovanni, perché questo discepolo era onorato della nobile virtù e
speciale prerogativa della purità verginale. Si doveva ad una Madre, vergine
purissima, uno che fosse ornato di sì nobile virtù, affinché ognuno faccia
stima di questa preziosa gioia della purità, e sappia che quanto più sarà
puro e casto, tanto più sarà amato e riconosciuto per figlio, da questa
purissima Madre. Né speri di godere la protezione di questa Madre ed il suo
materno amore, chi vuol vivere immerso nell'impurità. Chi brama conservare o
acquistare sì nobile virtù, ricorra a Lei, a Lei si appressi, che la troverà
in suo aiuto.
Avendo io pronunciato le suddette parole, la diletta Madre
chinò la testa e rimirò Giovanni, e nella di lui persona accettò di nuovo
tutto il genere umano per figlio. Ed io, rivolto a Giovanni, gli dissi: Ecco la
tua Madre, accennandogli la mia diletta Madre; ed il discepolo, pieno di
consolazione ed anche di confusione, chinò la testa in auto di ossequiarla e
riceverla per sua Madre. Intese consolazione per la grazia speciale che
riceveva, e confusione per riconoscersi indegno di un tanto e sì sublime
favore. Nella persona di Giovanni vidi che i miei fratelli l'avrebbero
riconosciuta per loro Madre. Il diletto discepolo, nel pronunziar Io le parole,
intese nascere nel cuore un filiale amore verso la diletta Madre, e di allora in
poi l'amò sempre con amore di vero figlio, avendola prima rimirata, temuta ed
amata come sua Signora e Madre del Messia. Allora egli si prese la cura
specialissima di assisterla per tutto il restante della di lei vita; ed anche la
dilettissima Madre rimirò poi sempre con materno amore, il diletto suo figlio
Giovanni, arricchendolo dei grazie e speciali favori, specialmente di una
particolare benevolenza, trattenendolo in sacri colloqui, parlando per lo più
fra di loro dei misteri divini e della mia predicazione, passione e morte, ed
insieme andavano liquefacendosi le loro anime in amore e dolore per le pene da
me sofferte.
Nel proferire le parole alla mia diletta Madre, cioè Donna,
ecco il tuo figlio, intesi una grande amarezza, perché soffrii, come se già
fossi rimasto privo della mia diletta Madre. Questa pena ed amarezza la volli
soffrire, per meritare la divina consolazione a tutti coloro, che, per
disposizione divina, restano privi delle cose a loro più care. Perciò, rivolto
al divin Padre, lo supplicai di volersi degnare di consolare tutti i miei
fratelli nell'occasione in cui rimangono privi delle cose da essi molto amate.
E vidi, che il Padre l'avrebbe fatto. Lo supplicai ancora di dare a tutti
virtù e grazia da poter vivere distaccati dalle cose anche più sante, acciò,
dovendo anche di queste restare privi, si uniformino alle divine disposizioni ed
alla divina volontà. E vidi che il Padre l'avrebbe fatto, e quanti si
sarebbero approfittati della grazia. Del che resi grazie al Padre. Intesi però
dell'amarezza, nel vedere il numero grande di quelli che se ne sarebbero
abusati.
Al proferire le suddette parole alla diletta Madre, cioè:
Donna, ecco il tuo figlio, intese altresì la diletta Madre un grande dolore,
perché intese in se stessa la pena, come se restasse priva di me. Ed in questa
sua pena si uniformò alla divina volontà, e si unì con me nell'offerta che
facevo al Padre. Intese anche nascere un materno amore verso tutto il genere
umano; e quantunque l'avesse avuto anche per l'addietro, tuttavia allora
nacque in lei un amore più intenso e cordiale, con un più Vivo desiderio della
salute di tutti, rimirando tutti come suoi figli. E nel vedere quelli che tanto
mi oltraggiavano, ne intese una più grande amarezza, perché li vedeva come
figli di perdizione. Fece per questi una supplica premurosa al divin Padre per
la loro eterna salute. Ma essi di tutto abusano; non già che la diletta Madre
non facesse il possibile perché si ravvedessero e si salvassero.
La mia diletta Madre, ai piedi della croce, era guardata da
molti, che rimanevano ammirati della sua fortezza e costanza, della modestia e
sofferenza, in modo, che alcuni dicevano: Gran donna è questa! Fra tante pene
ed obbrobri del figlio, non si risente, non si lamenta, non si scompone. Vedendo
che era ammirata la virtù e la fortezza della mia diletta Madre, non la chiamai
col nome di Madre, per privarmi dell'onore che mi poteva risultare, di avere
una tale Madre, perché volli morire spogliato affatto, non solo della roba, ma
anche dell'onore, dando con ciò esempio ai miei fratelli, che non solo devono
vivere distaccati dalla roba, ma anche da ogni stima mondana. Di ciò ne porsi
supplica al Padre, affinché si fosse degnato di dare a tutti lume per conoscere
la vanità della stima e dell'onore del mondo, onde non ne avessero fatto
alcun conto, ma avessero stimato solo l'onore e la gloria divina, ed il loro
vero onore e ricchezza, che consiste nelle vere virtù (1).
L'ABBANDONO DEL PADRE
Trovandomi fra tante pene ed angustie, spogliato affatto di
tutto, privo anche della Madre, volli soffrire un abbandono ed una privazione
assai più dolorosa e sensibile alla mia umanità ed al mio spirito, perché
restai abbandonato anche dal Padre. Qui sì, che l'anima mia intese un
asprissimo dolore e la mia umanità un incomprensibile tormento ed amarezza. Il
divin Padre fece che la divinità, che stava ipostaticamente unita al mio
spirito, sospendesse affatto ogni conforto che da quella gliene potesse
derivare, e la mia umanità restò abbandonata adatto al dolore, alla pena, all'amarezza,
senza alcun aiuto speciale che mi desse forza di poter soffrire tutti quegli
aspri tormenti. Tale abbandono fu sì grande, che solo io che lo soffri, lo
posso intendere. Non vi è mente, né umana, né angelica, che sia sufficiente a
capirlo; perciò le mie pene non possono essere mai abbastanza comprese, perché
non vi è mente che le possa penetrare.
Trovandomi in questo si grande abbandono, colmo di affanni,
di dolori, di angustie, di amarezze, con smanie mortali, privo quasi di respiro,
oh, quanto erano grandi, sposa mia, le mie pene! Allora 1'orribile tempesta di
tante pene e martiri mi sommerse. Restando allagato in un mare amarissimo di
tormenti, rivolgevo or qua or là gli occhi, per vedere se si trovava chi
porgesse, alle mie grandi afflizioni, una stilla di conforto. Non vedevo che
oggetti di pene. Si esasperarono i miei dolori corporali, lo spasimo delle
piaghe delle mani e dei piedi; facevo alcuni movimenti per trovare qualche
sollievo: tutto mi serviva di maggior cruccio. Già la testa non mi reggeva
più. Incominciai a sentire gli orrori ed i terrori della vicina morte. Fra
tanti miei spasimi e dolori mentali, non sentivo altro che bestemmie, improperi,
derisioni, insulti; onde il mio cuore, trafitto dal dolore, stava al sommo
amareggiato. I miei crocifissori si posero in faccia a me, a giocare le mie
vesti, e dividersele fra di loro con scherno e derisione. Già si andava
oscurando il lume dei miei occhi. Fra tante pene, si rappresentarono alla mia
mente tutti gli affanni che avrebbero sofferto nell'anima coloro che stando in
afflizioni, vengono anche abbandonati dal divin Padre,
che si sottrae ad essi, in prova della loro fedeltà ed
amore. Ed io allora le sentivo tutte in me stesso, soffrendo gli abbandoni di
spirito di tutte le anime giuste. Tutto offri al Padre, per impetrare ad esse la
fortezza nelle suddette pene, ed anche la divina consolazione.
LA QUARTA PAROLA
Essendo giunte al colmo le mie angustie, rivolto al divin
Padre, esclamai: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? (1) Lo chiamai
due volte, affinché accorresse ad apportarmi qualche conforto. E questa
supplica gliela feci anche a nome di tutti i miei fratelli; pensando che si
sarebbero trovati anch'essi in sì grande afflizione. Non lo chiamai col nome
di Padre, perché già mi ero di tutto privato, non avendo cosa alcuna che mai
potesse apportar conforto. La parola di Padre apportava consolazione al mio
spirito, e perciò anche di questo mi privai. Mi consideravo non più come vero
Figlio di Dio, ma come obbrobrio degli uomini ed abiezione della plebe; e come
se il Padre fosse irato verso di me, non ardi chiamarlo con tale nome, ma col
suo nome proprio, cioè, di Dio. Dissi: Dio mio perché già ero suo, non
essendo in me cosa alcuna che da Lui mi potesse separare; e tutto il carico dell'iniquità
del genere umano, che mi ero addossato, non era mio. Anche di ciò ne porsi
supplica al Padre, affinché avesse dato tanta grazia a tutti i miei fratelli,
di vivere sempre in modo che non siano mai da Lui divisi o separati, onde con
buona faccia passano dichiararsi suoi. Feci questa supplica al Padre a guisa di
lamento, per insegnare ai miei fratelli di ricorrere a Dio nelle loro
afflizioni, amorosamente lagnandosi di trovarsi abbandonati, affinché il divin
Padre, con prontezza, porga loro aiuto e li consoli. E vidi tutti coloro che in
questo mi avrebbero imitato, e per tutti supplicai il divin Padre di accorrere a
porger loro conforto ed aiuto nelle loro gravi afflizioni e travagli. E vidi che
il Padre l'avrebbe fatto con paterna amore, ed avrebbe goduto di sentirsi in
tal modo pregare; che volentieri avrebbe inteso i dolci e cordiali lamenti di
chi si trova in gravi travagli e in derelizioni. E per meritare ai miei fratelli
le suddette grazie, mi contentai di restar privo di ogni conforto e di non avere
consolazione alcuna, nell'ultima ora del mio vivere. Intesi però una grande
amarezza nel vedere il grande numero di quelli, che nelle loro pene ed angustie,
invece di ricorrere al divin Padre e seco lui amorosamente lagnarsene, si
sarebbero dati in preda alla disperazione, e rivoltati contro il divin Padre,
con audacia l'avrebbero oltraggiato e gravemente offeso. Per questi feci una
supplica al Padre, acciò li avesse illuminati ed avesse fatto conoscere il loro
grave errore. E vidi che il Padre avrebbe dato loro il detto lume con la sua
grazia; che alcuni se ne sarebbero approfittati, e, riconosciuto il loro errore,
si sarebbero emendati: di essi resi grazie al divin Padre. Fu grande però la
mia pena ed amarezza nel vedere che molti si sarebbero di tutto abusati.
LA QUINTA PAROLA
Mentre stavo soffrendo tutti gli spasimi del corpo ed i
travagli dello spirito, senza conforto alcuno, da tutti abbandonato, intesi una
tormentosissima sete, sia nell'anima, per la salute di tutti i miei fratelli e
per la gloria del divin Padre, come nel corpo, per essere del tutto esausto e
consumato. Perciò alzai la voce, dicendo: Ho sete (1). Appena fu udita questa
parola, i crocifissori presero l'amara bevanda, che prima mi avevano dato e
che non avevo bevuto tutta. Attaccata ad una canna la spugna, inzuppata, me la
porsero per ristoro alla mia grande arsura, con animo di più tormentarmi con
quel pessimo liquore. Come difatti fu, perché essendo tutta la mia lingua
inaridita, le fauci arse, le labbra e le gengive tutte ferite e péste, il
pessimo liquore mi fece soffrire un grande tormento. E si appagò la sete che
ancora avevo di più patire. Ardeva però il mio Cuore di una sete più grande
che si compisse presto il mistero decretato dal divin Padre e si formasse,
cioè, prima della mia morte, la Chiesa nello stesso mio Cuore, col mio sangue e
con l'acqua. Sangue ed acqua che, dopo la mia morte, uscirono dal mio costato,
quando fu aperto dalla lancia. Con ciò si manifestò a tutti il mistero che
dentro il mio Canore si era operato e vi stava nascosto. E si manifestò dopo la
mia morte, in segno che si sarebbe edificata la mia Chiesa col mio sangue e con
l'acqua uniti insieme dall'amore che ardeva nel mio Cuore.
Avvenne dunque questa formazione nel mio Cuore, e ciò fu
così: l'amarissimo liquore che mi fu dato, fu da me ricevuto con grande
amore, e, arrivato nel mio petto, si purificò, addolcì, e divenne , per virtù
del divin fuoco che vi ardeva, come limpidissima acqua, e quest'acqua, per
divina virtù, entrò dentro il mio Cuore e vi si fermò; ed il sangue del mio
Cuore si adunò tutto insieme con quell'acqua, e quivi si formò il mistero
della mia Chiesa. Io vi misi, per parte mia, il sangue del mio Cuore, in segno
del grande amore con cui vi contribuì, e gli uomini, per parte loro, vi posero
l'amarissima bevanda, significata negli aspri tormenti che mi davano, e nella
morte, non meno dolorosa che ignominiosa. Ma il tutto, accettato da me con tanto
amore, divenne per loro un tesoro di grazie e di meriti. Ecco il mistero dell'amarissima
bevanda: in essa gli iniqui non posero se non pene e tormenti alla mia persona,
uniti alle scellerataggini ed iniquità delle loro coscienze perverse. Qui si
manifestò il mio grande amore, perché, ricevendo nella persona mia tante pene
e tormenti, mi servii di questi per preparare a tutti il dono della redenzione,
mediante la mia morte, come, ricevendo l'amara bevanda, formai con essa, nel
mio Cuore, la Chiesa, sommo beneficio per tutti. In questo formarsi della Chiesa
nel mio Cuore, fu nascosto anche il mistero che l'uomo, così amaro per il
passato a causa delle sue iniquità, significate nell'amara bevanda, per l'avvenire
sarebbe divenuto capace di dare consolazione e dolcezza. Nella Chiesa, infatti,
vi sarebbero poi state tante e tante anime che avrebbero amato, onorato e
servito fedelmente il divin Padre ed avrebbero imitato me, loro Capo e Signore.
Che, se io ho dato il sangue per la salute dell'uomo, egli deve cooperare alla
propria salvezza. Non volli operare il mistero di edificare e formare la Chiesa
con il mio sangue solamente, ma volli che vi fosse anche l'acqua, cioè, la
parte dell'uomo. E quantunque la miscela fosse un amarissima bevanda, nel mio
petto si addolcì e si purificò; e ciò si fece con mistero: per insegnare all'uomo
che, se per l'addietro era stato molto amaro al suo Dio, per l'avvenire gli
doveva e poteva essere dolce e gustoso, operando conforme ai miei esempi, ed
offrendo al Padre le opere sue, unite con i miei meriti; ciò sarebbe stato di
gusto e di gradimento al Padre.
Rivolto al divin Padre gli offrii la mia grande sete, e lo
supplicai che, in virtù di tale offerta, si fosse degnato di perdonare a tutti
i miei fratelli le molte offese, che gli avrebbero fatto con la loro
intemperanza. Poi lo supplicai di volersi degnare di dare a tutti una sete
insaziabile della sua divina gloria e della loro eterna salute. Vidi che il
Padre non avrebbe mancato di darla, e che alcuni se ne sarebbero approfittati, e
con tutta sollecitudine avrebbero cercato, in tutte le loro operazioni, la
gloria divina e la salute delle toro anime. Di questo resi grazie al divin
Padre. Intesi però una grande amarezza nel vedere la moltitudine di quelli che
si sarebbero abusati della detta grazia: che in tutte le loro operazioni non
avrebbero cercato se non la propria gloria e la stima mondana, di tutt'altro
avendo sete, fuor che della propria salute eterna. Perciò, rivolto al divin
Padre, lo supplicai di volersi degnare di illuminarli facendo loro conoscere l'inganno
in cui si trovano. E vidi, che il Padre non avrebbe mancato di dare ad essi il
detto lume, con gagliardi stimoli al cuore, ed alcuni avrebbero approfittato
della detta grazia e si sarebbero ravveduti del loro errore. Per questi resi
grazie al Padre. Intesi però una profonda amarezza nel vedere il grande numero
di quelli che ancora ne avrebbero abusato e sarebbero miseramente periti. Lo
supplicai anche di degnarsi di dare una sete insaziabile a tutti i suoi ministri
e servi veri, della salute dei loro prossimi, affinché vi si fossero impiegati
con tutte le loro forze. Lo pregai ancora di voler dare ad essi la sua grazia e
gli aiuti particolari, acciò avessero conseguito il loro intento di salvare
molte anime persuadendole, guidandole con la parola ed il buon esempio, sicché
la sete insaziabile venisse appagata. Vidi che il Padre avrebbe dato loro la
detta grazia; vidi il gran frutto che avrebbero riportato dalle loro fatiche, e
le molte anime che per mezzo loro si sarebbero salvate. Di questo resi grazie al
divin Padre. Fu molto grande però l'amarezza che soffrii nel vedere la
moltitudine di quelli, che , ostacolando l'opera dei Sacerdoti, altro non
avrebbero cercato che di togliere le anime dal dritto sentiero della salute, per
condurle alla perdizione, con i loro detti contrari, con i loro cattivi esempi e
persuasioni. Lo pregai ancora, che si fosse degnato di dare a tutti i miei
seguaci una grande sete di patire, per più assomigliarsi a me nelle pene. Vidi
che il Padre l'avrebbe fatto, e che molti ne avrebbero approfittato, cercando
sempre nuovi modi di soffrire. Per questi domandai una grazia speciale, acciò
nei loro patimenti, restassero consolati, ed avessero sempre l'aiuto della
divina grazia. Il Padre me lo promise, e vidi che l'avrebbe eseguito
fedelmente. Di ciò resi grazie al Padre. Intesi una grande amarezza nel vedere
la moltitudine dei fratelli, che sarebbero stati miei seguaci solo di nome, ma
non di fatto, perché non avrebbero voluto mai soffrire cosa alcuna di penoso,
ma sempre sarebbero andati in cerca di delizie e di comodi. Perciò pregai il
Padre di illuminarli, e far loro conoscere l'errore in cui si trovano, stando
tanto lontani dai miei insegnamenti. E vidi che il Padre avrebbe dato loro il
detto lume, ma che pochi se ne sarebbero approfittati, volendo di più godere su
questa misera terra, non curandosi di andare a godere i beni eterni, ai quali si
arriva con 1'imitarmi nel patire e col negare a se stessi le soddisfazioni,
che, apportando consolazione al corpo, danno detrimento all'anima.
PENOSA AGONIA
Avendo rivolto tali suppliche al Padre, ed ottenute molte
grazie per tutti i miei fratelli, si avvicinava la mia morte, ed io soffrivo una
penosa agonia con smanie e sfinimenti mortali, aggravati da dolori corporali e
molto più da dolori interni. Sentivo di andare mancando, abbattuta affatto la
mia umanità. Non fu la mia tormentosa e penosa agonia come quella dei
moribondi, che, storditi per la gravezza del male, non sentono tanto i dolori
corporali. Io intesi tutti gli spasimi finché spirai, stando il mio spirito
sempre in un tenore. Oh, quanto furono grandi, sposa mia, le mie pene ed i miei
tormenti! Quanti gli spasimi ed i dolori! Tutto offrivo al divin Padre in sconto
delle offese che riceveva ed avrebbe ricevuto dal genere umano. Supplicavo il
divin Padre, ora che stavo per esalare lo spirito, di volersi degnare di
riceverlo nelle sue mani, alle quali lo raccomandai.
LA SESTA PAROLA
Ed alzata la voce dissi: Padre mio, nelle vostre mani
raccomando lo spirito mio (1). Nello stesso tempo gli raccomandai lo spirito di
tutti i miei fratelli, come cosa mia. In quest'ultimo della mia penosa agonia,
chiamai il divin Padre col nome di Padre mio, affinché mi rimirasse con paterno
amore, e nella persona mia avesse rimirato anche tutti i miei fratelli, che gli
raccomandai con speciale amore, dicendogli Padre mio, rimirate me, vostra unico
e diletto Figlio, e nella persona mia, rimirate, vi prego, tutti i miei
fratelli. Rimirateli con paterno amore, in virtù dei tormenti che ora sto
soffrendo, e dei patimenti che ho sofferto tutto il tempo della mia vita
mortale. E per questi patimenti, vi supplico di avere compassione di loro, e di
ricevere nelle vostre mani il loro spirito, quale io ora ve lo consegno e
raccomando. Il Padre si mostrò pronto a ricevere nelle sue mani il loro
spirito, ogni qualvolta glielo conseguivo. Perciò feci la supplica ad alta
voce: per insegnare ai miei fratelli che devono raccomandare e consegnare il
loro spirito nelle mani del divin Padre, perché egli è sempre pronto a
riceverlo. E ciò non devono farlo solo in punto di morte, ma anche in vita,
procurando di star sempre con lo spirito unito al Padre, come ne lasciai loro l'esempio.
Manifestai ad essi più volte, che io facevo sempre tutto quello che era gradito
al divin Padre, onde anche essi operino sempre ciò che è di gusto del Padre,
se vogliono che egli riceva nelle sue mani il loro spirito. Ma vedendo che molti
miei fratelli, per essere vissuti sempre lontano dal divin Padre, ed avendo
seguito il mondo, il demonio e la carne, loro capitali nemici, non sarebbero
stati ricevuti nelle mani del Padre, ma del nemico infernale, al quale sempre
obbediscono, ne restai, oh quanto! amareggiato e trafitto dal dolore. Nel vedere
che una cosa sì nobile, qual è lo spirito dell'uomo, l'anima ragionevole,
dovesse essere preda dei nemici infernali, e sottrarsi a quel Dio, che l'ha
creata per tanta sua gloria, le mie pene crebbero al sommo! Così nell'ultimo
della mia agonia, stavo soffrendo asprissimi dolori nel mio interno, e spasimi
indicibili nella mia umanità.
LA SETTIMA PAROLA
In questo penoso stato diedi un'occhiata a tutta la mia
vita passata, e vidi che si erano adempiute puntualmente le Scritture, cioè
tutto ciò che di me era stato scritto e profetizzato: avevo adempiuto
fedelmente la volontà del Padre da cui ero stato mandato, avevo sparso tutto il
mio sangue e sofferto tutti i patimenti, il mio corpo era ridotto all'ultimo
della vita, esausto e consumato, avevo già ottenuto dal Padre tutte le grazie
necessarie per la salute di tutti i miei fratelli, e si era compita l'opera
dell'umana redenzione, rimanendomi solo da spirare e mandar fuori lo spirito,
per cui dissi: Tutto è consumato (1)
invitando con queste parole la morte, acciò si avvicinasse e
separasse l'anima dal corpo. Nel dire queste parole, ebbi un vivo desiderio
che anche tutti i miei fratelli le avessero potute dire nell'ultimo momento
della loro vita, cioè: che ognuno di loro avesse adempita la volontà del
Padre, operando come li obbliga il loro stato. E nel vedere che molti avrebbero
operato contrariamente, ne intesi grande amarezza. Sicché sino all'ultimo
respiro della mia vita, fui amareggiato e addolorato senza alcun conforto.
ESORTAZIONE ALLA SUA SPOSA
Hai udito, sposa mia, quali furono le parole che dissi sulla
croce prima di morire: procura anche in questo, di imitarmi in tutto il tempo di
tua vita. In primo luogo scusai i miei nemici e pregai il divin Padre di
perdonare ad essi. Il simile devi fare tu, come mio sposa fedele: scusare chi ti
offende e pregare per essi. In secondo luogo promisi il Paradiso al ladro
contrito, il quale mi confessò per vero Figlio di Dio e mi pregò di ricordarmi
di lui. Il simile devi fare tu: cioè imitare il buon ladro, e con fede e
confidenza andare spesso replicando: Signore mio e Sposo mio, ricordatevi di me,
ora che siete nel vostro regno. E brama, e chiedi anche tu, di essere introdotta
nell'eterna beatitudine. Non ti vergognare dei confessarmi pubblicamente,
cioè, di operare in modo, che, ognuno che ti vede ē
ti ode, creda che tu sei mia seguace e sposa fedele. In terzo luogo io consegnai
la mia diletta Madre a Giovanni, col dirgli: Ecco la tua Madre. E prima
consegnai Giovanni alla diletta Madre, dicendole: Donna, ecco il tuo Figliuolo.
Ora così devi fare tu, quando tratti con i tuoi prossimi. Ricorda loro spesso
che la Madre mia è anche loro Madre, e procura dal canto tuo, che ognuno la
riconosca per tale, ossequiandola, invocandola, ed imitando le di lei virtù. Va'
spesso da lei, e con amore filiale dille: Ecco, SS. Vergine, la vostra figlia.
Riconoscetemi per tale! e domandale tutte le grazie di cui ti conosci bisognosa.
E quando la preghi per i tuoi prossimi, ancora dille: Madre nostra, questi sono
vostri figli, da voi accettati, quando il vostro divin Figliolo ve li consegnò
nella persona di Giovanni. Perciò, ricordatevi di loro, e fate loro
sperimentare il vostro materno amore. E domandale con istanza e con filiale
amore tutte le grazie di cui tu sei pregata e che tu conoscerai essere
necessarie per la loro eterna salute. Procura di assomigliarti a lei nelle
virtù, perché troppo disdirebbe il vedere la figlia dissimile dalla Madre. In
quarto luogo, trovandomi in grandissimi affanni, abbandonato dal Padre, esclamai
dicendo: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? E tu impara nei tuoi
travagli, nelle tue derelizioni, a ricorrere con fede al tuo Dio. Non ti
lamentare con le creature, ma con un cuore amoroso e pacifico, lagnati col tuo
Dio, perché ti lascia derelitta, mostrando brama di essere da lui solo
assistita ed aiutata. Tutto dirai con serenità di spirito, con una totale
uniformità al divino beneplacito, con fede, credendo che il tuo Dio verrà ad
aiutarti, e consolarti. Né sia mai che tu ti vada lagnando con le creature, per
ricevere da esse il conforto; ma solo col tuo Dio siano i tuoi amorosi e
cordiali lamenti, in atto supplichevole, acciò si muova a consolarti. Hai
udito, che io non feci mai questo lamento in tempo di mia vita, quantunque
patissi tanto; ma solo in procinto di morte, trovandomi in estremi bisogni, per
i gravi affanni e per le tormentose pene, che negli ultimi momenti soffrivo. Ora
così devi fare anche tu; non voler essere sì facile a lagnarti per ogni minima
occasione e piccolo abbandono, ma soffri pazientemente. Nelle cose gravi, parla
al tuo Dio con dolore e ad esso raccomandati. In quinto luogo trovandomi del
tutto arso ed assetato, come hai inteso, dissi: Ho sete, in atto supplichevole,
acciò fosse dato qualche ristoro alla mia grande arsura. Anche tu, nelle
necessità, domanda ciò che ti occorre, ma con umiltà e rassegnazione. E se
ricevi cose amare e disgustose al senso, soffri con pazienza. Abbi anche tu una
grande sete dell'onore del tuo Dio, della salute dell'anima tua e dei tuoi
prossimi, di patire molto, per somigliarti più a me, tuo Sposo e Maestro;
perciò, va replicando spesso: Sitio, Domine, sitio! e prega che si estingua la
tua sete, con l'eseguirsi quanto domandi. In sesto luogo dissi: Nelle tue
mani, o Padre, raccomando lo spirito mio. Così va' ripetendo spesso queste
parole in vita, acciò le abbia in mente in tempo di morte; e procura di star
sempre unita al tuo Dio. Eseguisci prontamente i divini voleri, e procura in
tutte le tue operazioni di assomigliarti a me, facendole con tutta la
perfezione. Sii perfetta, come è perfetto il tuo Padre celeste! Procura in
tutto e per tutto di operare da figlia, acciò tu, in punto di morte, con
verità, lo possa chiamare tuo Padre, e consegnare nelle di lui mani il tuo
spirito puro, come Lui te l ha dato. In settimo luogo dissi: è consumato. Così
tu opera in modo da poter dire: Ho consumato tutta la mia vita in onore e gloria
del mio Dio.
CAPO QUATTORDICESIMO
Della morte del Figliuolo di Dio. E di ciò che successe nel
suo morire. E di ciò che operò nel suo interno.
ACCETTAZIONE DELLA MORTE
Essendo arrivato l'ultimo momento del mio vivere in terra,
rivolto al divin Padre, gli feci di nuovo un'offerta di tutto me stesso,
dicendogli: Ecco, o mio divin Padre, che è giunto il tempo da voi decretato,
nel quale debbo soggiacere alla morte. Perciò volentieri abbraccio questa pena,
in soddisfazione dei peccati del genere umano, e per adempire i vostri decreti.
Accetto volentieri la morte, e con la stessa uniformità con cui accetto la
morte, accetterei anche di vivere in questi tormenti, fino alla fine del mondo,
quando ciò a voi piacesse, fosse di vostra volontà e fosse anche necessario
per la salute dei miei fratelli. Ma giacché a voi, o Padre mio, è in piacere
che ora io muoia, e che non solo basta, ma sopravvanza di gran lunga quanto ho
operato e patito per soddisfare la divina giustizia, per i peccati di tutti gli
uomini, e per lasciare ad essi sovrabbondanti esempi, volentieri accetto la
morte. Ed in quest'ultimo momento della mia vita, vi supplico di nuovo di
volermi concedere tutte le grazie, che in tempo di mia vita, vi ho domandato per
tutti i miei fratelli. Se in punto di morte non si nega grazia al moribondo, né
gli si nega soddisfazione alcuna, che lecitamente richieda, molto più voi, o
Padre di misericordia, concederete al vostro moribondo Figlio, quanto ora vi
chiedo per i miei fratelli. Niente vi domando per me, perché voglio morire
afflitto, abbandonato, addolorato, amareggiato, senza conforto alcuno; affinché
voi, in virtù di tutte queste mie pene, diate conforto a tutti i miei fratelli,
li consoliate nella loro ultima agonia e nella penosa morte. Perciò ora
abbraccio volentieri tutte le pene che la morte fa soffrire agli uomini, onde in
virtù di queste mele pene, venga ad essi raddolcita la grande pena della morte.
Vi offro, o mio divin Padre, questa mia rassegnazione alla morte ed alle pene
che con essa vanno accompagnate. Ed in virtù di questa mia rassegnazione, vi
domando una totale rassegnazione per tutti i miei fratelli, acciò tutti si
rassegnino ed abbraccino volentieri la morte, rimettendosi ai vostri divini
decreti, ricevendola in pena delle loro colpe; e soffrano con pazienza tutto
ciò che di penoso ha con sé la stessa morte. Promettetemi, dunque, o mio divin
Padre, di dare a tutti questa grazia, che ora vi domando, in virtù di tutte le
pene che ora sito soffrendo, e della morte stessa, che volentieri accetto, per
obbedire a voi, mio divin Padre. Tutto mi promise il divin Padre; vidi che l'avrebbe
eseguito fedelmente, e di tutto lo ringraziai. Intesi però una grande amarezza,
nel vedere la moltitudine di quelli che avrebbero abusato della detta grazia,
perché avrebbero dato orecchio alle cattive persuasioni del demonio, che, in
quest'ultimo momento, fa tutti i suoi sforzi contro le anime moribonde.
Rivolto al divin Padre lo pregai di volersi degnare di abbattere la bestia
infernale, affinché non prevalga contro le anime da me redente, e che in virtù
della mia passione e morte, perdesse tutte le forze. E vidi, che il Padre l'avrebbe
fatto, e coloro che fossero stati devoti della mia passione, si sarebbero
serviti, in quell'ultimo conflitto, di arma sì possente, contro il fiero
nemico, con l'offrire al Padre le mie pene ed i miei meriti; in tal modo il
Padre avrebbe dato loro forze ed aiuto, debilitando le forze degli spiriti
infernali. Di tutto resi grazie al divin Padre. Intesi però una grande amarezza
nel vedere che molti si sarebbero lasciati vincere dalle tentazioni e
persuasioni del nemico infernale, perché abituati in vita a non fargli
resistenza, e ad eseguire tutto ciò che il nemico loro suggerisce, vivendo del
tutto scordati della mia passione.
SI SPOGLIA DEI SUOI MERITI
Mi spogliai poi affatto di tutti i miei meriti, donandoli ai
miei fratelli, dicendo al Padre: Padre mio, ecco che ora, prima di spirare, fo
un dono irrevocabile di tutti i meriti della mia vita, passione e morte, ai miei
fratelli, affinché questi se ne prevalgano, in tutti i loro bisogni. Mirate, o
divin Padre, il ricco tesoro che ora questi possiedono, e concedete loro tutte
le grazie che vi domanderanno in nome mio e per i miei meriti divenuti loro. Il
tesoro è infinito; perciò potrete essere soddisfatto appieno, tanto quando ve
li offriranno in sconto delle loro colpe, come quando ve li offriranno per
impetrare le grazie necessarie alla loro eterna salute. Voi, Padre mio, siete
contento che io abbia fatto ad essi questo dono: resta ora che voi mi
promettiate di dar loro tutto ciò che essi vi domanderanno per i miei meriti,
già divenuti loro, per il dono totale che io ora faccio ad essi. Ed il Padre mi
promise tutto ciò di cui lo pregavo, ed io lo ringraziai, e gli resi grazie a
nome d i tutti i miei fratelli.
LA CORREDENTRICE E LA MADRE
La mia diletta Madre, che penetrava ciò che stavo operando
con il divin Padre a pro del genere umano, mi accompagnava nelle domande,
offrendo anche Lei i suoi dolori ed i suoi meriti al divin Padre. Rivolta a me
col pensiero, mi ringraziò a nome di tutti i miei fratelli, facendo per essi l'ufficio
di amorosa Madre, perché vedeva, che allora non vi era chi fra loro mi
riconoscesse e ringraziasse dei sì gran dono. Supplì per tutti i suoi figli,
ed io rimasi appagato del ringraziamento e della gratitudine della diletta
Madre, come se tutti i miei fratelli me ne avessero allora ringraziato e se ne
fossero mostrati riconoscenti, restando anche il Padre soddisfatto per l'ufficio
che la diletta Madre faceva a nome di tutto il genere umano.
RINGRAZIA L'UMANITà SUA
Mentre stavo operando tutto ciò col divin Padre, la mia
umanità si ricoprì di pallore: gli occhi si incavarono, si affilò il naso, si
rilasciarono tutte le mie membra, ed io sentivo le pene di morte. Prima di
spirare ringraziai la mia umanità che sì fedelmente era stata compagna allo
spirito: di quanto aveva patito con tanta allegrezza, di tutte le ignominie e le
persecuzioni sofferte, della fame e della sete che tante volte aveva patito; dei
lunghi viaggi fatti nella predicazione, dell'essere stata tante volte afflitta
dal caldo e dal freddo e da tutte le intemperie dell'aria, delle molte fatiche
sostenute nel predicare; di tutti gli strapazzi, ingiurie, calunnie, falsità
ricevute dagli Scribi e dai Farisei e da tutto il popolo ebreo; della penosa
agonia e sudore di sangue sofferto nell'orto del Gethsemani; del tradimento di
Giuda e di tutte le percosse ricevute nella cattura; dell'esser lasciata sola,
abbandonata da tutti, anche dai discepoli; delle ingiurie, battiture e scherni
ricevuti nei tribunali; dei flagelli e delle spine con cui era stata tanto
tormentata; della nudità sofferta, dell'ingiusta sentenza, essendo stata
condannata come rea; del grave peso della croce, portata con tanto amore, del
fiele gustato, dell'essere stata denudata ed inchiodata sulla croce, e di
tutte le ingiurie ed improperi che aveva ricevuto; dell'esser stata sempre con
tanta uniformità soggetta ai divini comandi. Di tutto la ringraziai, come
compagna fedele, ed abitazione sì degna del mio spirito, promettendole, a nome
del divin Padre, l'esaltazione e la padronanza sopra tutte le cose create, e
la potestà, sia in cielo come in terra, quando di nuovo il mio spirito si
sarebbe unito ad essa, per farla risorgere gloriosa. E siccome si era tanto
umiliata ed abbassata sotto tutte le creature, ed anche sotto i demoni,
soggiacendo alle loro tentazioni nel deserto, alle loro persecuzioni nella
predicazione, al loro furore e alla loro vendetta nel tempo della passione,
così, nel risorgere gloriosa, tutti sarebbero soggiaciuti al suo impero, non
essendovi, né in cielo né in terra, cosa alcuna sopra di lei; solo Iddio, che
a lei sarebbe stato ipostaticamente unito, come vi stava di presente.
SPIRA GESù
Detto tutto questo, chinai la testa, per significare che
accettavo volontariamente la morte, e chinando la testa, emisi lo spirito nelle
mani del Padre, al quale l'avevo raccomandato. Intesi, nello spirare, la pena
della separazione dell'anima dal corpo, volendo soggiacere a tutte le pene a
cui sono soggetti gli uomini. Ciò feci per alleggerire, con le mie, le loro
pene.
IL DOLORE DI MARIA
Al mio spirare, la mia diletta Madre sentì la pena della
morte che intesi io, come aveva inteso nell'anima sua tutte le altre mie pene.
Ed il divin Padre fece il miracolo della sua potenza nel conservarla in vita,
nel tempo stesso che soffriva le pene della morte, restando l'anima sua
trapassata dal coltello doloroso, nel vedere morta la sua vita.
Prima di spirare, avevo parlato al di lei amante e addolorato
cuore, licenziandomi di nuovo e ringraziandola di quanto aveva sofferto e patito
per me. Ma questo lo feci molto di passaggio, per non affliggerla di più,
essendo al sommo afflitta ed amareggiata. E per confortarla, l'ultima parola
che le dissi fu, che sostenesse il fiero colpo con la sua solita generosità,
che io sarei risorto il terzo giorno, e Lei sarebbe stata la prima a godere la
mia presenza, e le glorie della mia risurrezione. Restò l'afflitta Madre con
questa fede certa, e si confortò uniformandosi alla divina volontà.
IL PIANTO DEL CREATO
Nella mia morte, si risentirono tutte le creature insensate.
Si ruppero le pietre, si aprirono d sepolcri, tremò e si scosse fortemente la
terra, si squarciò il velo del Tempio, si oscurò il sole, in modo che appena
si vedevano gli uni con gli altri. Gli angeli della pace amaramente piansero,
dando tutti segni di mestizia e di dolore, per la morte del loro Creatore. Solo
i perfidi ed ostinati Farisei non fecero movimento alcuno, essendo i loro cuori
più durai delle pietre. Molti però, che erano presenti, nel vedere tanti
segni, si percuotevano il petto, dicendo: Veramente questi era il Figlio di Dio!
e molti si convertirono (1). Tutti i miei discepoli, quantunque da me lontani,
intesero, nel mio spirare, un grande dolore, e piansero la mia morte con amare
lacrime. Tutti gli spiriti infernali, con Lucifero loro capo, conobbero allora
che io ero il vero Figlio di Dio, ed intesero una forza insuperabile, che li
sprofondò tutti negli abissi infernali, e pieni di rabbia e di furore, si
tormentavano fieramente gli uni con gli altri, accrescendosi fra di loro le
pene, per avere loro stessi cooperato alla mia morte, con l'attizzare gli
Scribi, i Farisei e tutti i ministri di giustizia, ad inventare tanti modi.
perché più mi avessero tormentato ed oltraggiato: onde erano allora costretti
a soffrire tutta la pena del male che avevano fatto.
IL CUORE TRAFITTO
Stando in croce morto, un soldato, per ben assicurarsi della
mia morte, si appressò molto alla croce, e non sazio di avermi oltraggiato
vivo, volle anche lacerarmi, morto. Questo fu il suo sentimento, benché fosse
stato decretato dal Padre, che si dovesse aprire il mio costato e ferire il
Cuore, dove stava nascosto il mistero della formazione della Chiesa, nel sangue
e nell'acqua che quivi si conservava. Perciò il soldato mi aprì, con la
lancia, il costato e mi ferì il Cuore; difatti ne uscì sangue ed acqua. Restò
il soldato illuminato nel vedere il mio costato aperto, e nel vedere uscire quel
sangue e quell'acqua misteriosa, e si convertì, confessandomi vero Figlio di
Dio (2).
LA DEPOSIZIONE
Intanto Giuseppe e Nicodemo, che chiesero il mio corpo a
Pilato, avvenuta la mia morte, vennero subito al Calvario, portando geli
unguenti per ungere il mio corpo, e la sindone per involgerlo.
Deposero il mio corpo dalla croce, e lo diedero in seno alla
diletta Madre, la quale lo rivide tutto, lo ripulì del sangue e degli sputi, e
tutti, unitamente, lo rimirarono e contemplarono con amare lacrime. Baciarono le
piaghe, specialmente Maddalena, che si disfaceva in pianti e sospiri ai miei
piedi. Avendo aggiustato tutto, mi condussero al sepolcro.
Quivi composto, mi adorarono unitamente tutti, specialmente
la diletta Madre, che più di tutti, trafitta dal dolore, non sapeva staccarsi
da quel corpo, al quale aveva dato del suo più puro sangue, per formarlo. Fatte
le funzioni solite, si chiuse il sepolcro, ed ognuno partì, colmo di affanno e
di dolore (1).
ESORTAZIONE ALLA SUA SPOSA-
Ecco, o sposa mia, che è terminata la prima opera, ossia, la
prima parte della mia vita che ti faccio scrivere, ed è terminata con la mia
morte. Perciò questa morte non parta mai dalla tua mente, e questa continua
rimembranza ti serva di stimolo a morire affatto a te stessa ed al mondo. E
quando le tue passioni si risentono, tienle a freno, sinché arrivino a morire
affatto, in te. Ti sarà questo di pena; ma se rifletterai che un Dio è morto
per te, facilmente ti riuscirà di morire affatto a te stessa ed a tutte le
cose, e di far morire tutte le tue passioni. Procura in tutto il resto di tua
vita di vivere sempre unita a me, affinché nel tempo della tua morte, consegni
lo spirito nelle mie mani, come feci io, consegnandolo nelle mani del Padre mio,
al quale fui sempre unito. Abbi una particolare devozione alla mia passione e
morte penosa, e non passi giorno in cui tu non ne faccia qualche meditazione, e
procura, in tutto e per tutto, di imitarmi. Approfitta degli insegnamenti che ti
ho dato, come buona discepola, e sposa fedele. Abbastanza sei stata da me
istruita, perciò altro per ora non mi resta da dirti: se farai quanto ti ho
insegnato, ti prometto che sarai meco eternamente beata.
CAPO QUINDICESIMO
Di ciò che operò l'anima di Gesù subito dopo che si
separò dal corpo, della sua gloriosa risurrezione, e visita alla sua SS. Madre.
GAUDIO DELL'ANIMA DI GESù
Essendo uscita l'anima mia dal corpo, fu ricevuta dal divin
Padre, riposandosi nel suo seno, dove godè un immenso gaudio (1).
Allora la divinità, che le era unita ipostaticamente, le
fece godere tale gaudio ineffabile, che per lo spazio di trentatre anni aveva
trattenuto, onde l'anima mia fosse assoggettata a tutte le pene ed amarezze.
Allora tutta la beata inondazione, che erasi trattenuta, avvolse l'anima mia,
che fu immersa nel sommo gaudio, godendo nel seno del divin Padre l'immensa
beatitudine. Oh! quanto grandi furono, sposa mia, le gioie che allora godè il
mio spirito, per non mai più terminare e per sempre godere nel mare immenso
della divinità, l'accoglienza del divin Padre e la gloria che ad esso ne
risultava. Oh! tutto si arriverà a comprendere dalle anime beate, mentre dai
viatori non possono essere compresi e capiti ì gaudi immensi e le glorie
ineffabili, che allora godè il mio spirito, e la gloria che ne risultò alla
Triade SS. Per ora ti dico, che stando il mio spirito godendo nel seno del divin
Padre, in tanta felicità e beatitudine, non mi scordai dei miei fratelli, e di
tornare ad adempire la volontà del Padre, per eseguire tutte le opere da Lui
decretate.
In primo luogo 1'anima mia adorò, lodò e ringraziò il
divin Padre per tutto quello che aveva operato in me, e per tutto quello che,
per mezzo mio, aveva operato a pro del genere umano. Poi lo lodai, adorai e
ringraziai a nome di tutti i miei fratelli, per il beneficio della redenzione.
Gli raccomandai tutti i miei fratelli, ed in particolare, e prima di tutti, la
mia diletta Madre, acciò nella mia assenza l'avesse confortata. Gli
raccomandai anche in modo speciale, i miei apostoli e discepoli, i quali stavano
dispersi e sommersi in grande amarezza, acciò li avesse confortati.
IL DOMINIO UNIVERSALE
Si trattenne l'anima mia, nell'immenso e sovrabbondante
gaudio, sino alla notte avanti che si comp isse il terzo giorno dalla mia
morte(1). Nello stesso tempo il Padre diede all'anima mia tutta la potestà,
il dominio universale e la padronanza assoluta di tutte le cose create, come
loro supremo Re e Signore, e volle che, rientrando ed unendosi il mio spirito di
nuovo alla mia umanità (2), fosse anche questa partecipe di quanto allora aveva
dato all'anima mia, divenendo una stessa cosa con il mio spirito e con la
divinità, per l'unione ipostatica (1).
NEGLI ABISSI INFERNALI
Partendo pertanto l'anima mia dal seno del divin Padre,
senza mai più lasciare il gaudio immenso, si portò in un subito ad incatenare,
negli abissi infernali, Lucifero con tutti i demoni suoi compagni (2); con la
mia virtù e potenza, e come vittorioso e trionfante, feci loro sentire la
potenza che avevo sopra di loro e tutto il dominio, ordinando, che mai più
Lucifero si fosse mosso da quel profondo, in cui stava allora sommerso. Il
simile feci a tutti i suoi compagni, privandoli di quelle forze e di quel
potere, che fino allora avevano avuto sopra il genere umano. Ordinai, inoltre,
che, senza mia permissione, non avessero più potuto avere forze ed ardire di
appressarsi ad alcuno, tanto per nuocere come per tentare. Restarono perciò
incatenati dalla mia potenza tutti gli spiriti ribelli, privi affatto delle loro
forze e del potere che sino allora avevano avuto, essendo da me stati vinti e
sbaragliati. Avevo anche soggiogato e posto in catena gli spiriti infernali i
quali non mi videro, ma intesero la mia potenza e il mio comando (1), restando
con una rabbia ed un odio implacabili contro di me, perché tanto avevo operato
a pro del genere umano, e con un odio ed invidia fierissima contro di esso, che
d'allora in poi sarebbe entrato in cielo a godere il possesso della gloria ed
occupare le sedi che loro, per superbia, avevano irreparabilmente perdute.
AL LIMBO E PURGATORIO
Operato tutto ciò, in un subito andai al Limbo. Quivi, mi
feci vedere glorioso a tutte le anime, che dalla mia vista restarono beatificate
(2). Adorarono tutte la divinità che stava unita all'anima mia, che si era ad
esse svelatamente manifestata, cantando lodi e ringraziamenti, e godendo tutte
dello stesso gaudio immenso che provavo io in me stesso, per la divinità che
era in me.
Di qui poi andai al Purgatorio, ed al mio arrivo restarono
tutte le anime beatificate per la visione beatifica, essendomi ancora ad esse
chiaramente manifestato. Tutte le anime che vi erano, si unirono con le altre
anime beate per cantare lodi al loro Trionfatore e Redentore (3).
AL SEPOLCRO - RISURREZIONE
Accompagnato da sì nobile comitiva di anime beate, tutte
immerse in un immenso gaudio per la visione beata, andai al sepolcro, dove stava
il mio corpo. Ed essendo arrivata l'ora della mia risurrezione, e, compiuto il
terzo giorno (1), entrai nel sepolcro, che era suggellato e custodito dalle
guardie, le quali dormivano.
Entrato nel sepolcro, rimirai la mia umanità, che era stata
soggetta a tante pene, ed aveva sofferto obbrobriosa morte, e vedendo il corpo,
che sì fedele compagno era stato al mio spirito, con un impeto di sommo amore,
tornai di nuovo a riunirmi ad esso, per non mai più separarci (2).
Entrata l'anima nel corpo, questo subito divenne non solo
beato, ma il più bello e nobile sopra tutti i beati, di una bellezza
incomparabile, come incomparabili erano state le pene che aveva ricevute e la
deformità che gli avevano causato i tormenti datigli da sì fieri ed inumani
carnefici. La sua bellezza era tanta, quanta si richiedeva ad un corpo che
degnamente doveva ritenere in sé unita la stessa divinità: bellezza tanto
grande, che per tutta un eternità darà pascolo di contemplazione e di
godimento a tutte le anime beate.
Il mio corpo intese immenso e sommo gaudio nel riunirsi che
fece ad esso l'anima mia: e siccome l'anima mia aveva goduto tutto il
torrente della consolazione, che per trentatrè anni le era stata sospesa dalla
divinità, così allora la mia umanità godette tutte le delizie di cui era
stata priva per trentatrè anni che, come abitazione della divinità, avrebbe
potuto godere. Godè ancora di tutti i piaceri e le delizie che si era
acquistati per tanti tormenti sofferti. Ricominciò a godere allora, per non
cessare mai, per tutta un eternità.
Nella mia risurrezione feci grazia ad alcune anime beate, che
meco stavano, di riassumere i loro corpi (1). Questo lo feci ai miei più
intimi, e che per amor mio si erano più affaticati ed avevano patito molto (2).
Stando così risorto, tutte unitamente le anime beate che
erano con me, mi adorarono profondamente, cantando inni di lode al risorto
Redentore. Il simile fecero gli angeli. E, uscito dal sepolcro, gli angeli
levarono la lapide che lo chiudeva. Scossa fortemente la terra, si svegliarono
intimorite le guardie, e trovarono il sepolcro aperto, e non vi trovarono più
il mio corpo.
Avendo ricevuto dalle anime beate le congratulazioni, le
adorazioni, i ringraziamenti, mi portai con tutta la beata comitiva, alla Visita
della diletta Madre, la quale stava ritirata, e tutta immersa in ardenti
desideri della mia risurrezione, aspettando, con viva fede, l'ora bramata.
APPARE A MARIA SS.
Entrato, glorioso, nel suo ritiro, a prima vista restò
subito immersa nell'immenso gaudio e beatificata (3). Fu da me salutata con
queste parole: Vi saluto, degnissima Madre! Godete e rallegratevi che sono
risorto glorioso, secondo la promessa. Voi siete la prima a vedermi e godere
della mia gloriosa risurrezione. Grazia dovutavi come a Madre, ed ancora per
essere stata voi la più fedele nella fede e la più amante.
Allora la diletta Madre si prostrò ai miei piedi, mi adorò
come suo Dio e Redentore, mi lodò e ringraziò anche a nome di tutti i miei
fratelli e suoi figli. Fu da me rialzata ed invitata al bacio del costato. E
siccome Lei aveva inteso nell'anima il dolore della ferita che fu fatta nel
mio corpo, dopo morto, così quivi gustò il torrente della consolazione, che
inondò l'anima sua, restando nello stesso tempo tutta unita e concentrata in
me. Allora Lei godette anche tutte le consolazioni, di cui era stata priva per
lo spazio di trentatrè anni, che era vissuta con me,perché mentre trattando
con me avrebbe potuto e dovuto sentire un sommo gaudio e compiacimento, come
Madre del Verbo incarnato, pure se ne era privata, volendo in questo farmi
compagnia, per patire e soffrire continui travagli ed amarezze. Onde allora, i
gaudi, uniti insieme, inondarono i anima sua. Godè anche tutte le consolazioni
ed i gaudi, che si era meritata nel tempo della mia passione, per tanti
patimenti sofferti.
Stette la divina Madre per un pezzo tutta immersa nel gaudio
immenso, beatificata (1): onde feci un nuovo miracolo, per farla tornare a
vivere vita mortale, per beneficio della Chiesa e dei fedeli, acciò questi
fossero da lei ammaestrati e confortati. Di ciò domandai alla medesima il
consenso ed Ella si uniformò alla divina volontà.
La diletta Madre dopo aver goduto per un pezzo la
consolazione ineffabile ed il gaudio immenso, tornata ai propri sensi, fu
salutata da tutte le anime beate, che erano in mia compagnia, riconoscendola
tutte come loro Regina e Madre del risorto Redentore. Ricevé le congratulazioni
dei suoi genitori, del suo castissimo sposo Giuseppe, di tutti i Patriarchi e
Profeti. E poi, unitamente, si cantarono inni di lode al divin Padre per le
opere sue meravigliose, e a me, loro Redentore. Gli angeli, che a cori mi
accompagnavano, cantarono anche essi inni di gloria al sommo D io ed al risorto
Trionfatore e Redentore.
Oh quanto, sposa mia, furono grandi i gaudi, le beate
inondazioni, che godè in questa prima visita la mia diletta Madre!
LA MADDALENA E LE ALTRE MARIE AL SEPOLCRO
Mentre stavo trattenendomi con lei, la fervente ed amante
Maddalena, con le altre Marie, andarono al sepolcro, per vedere il mio corpo ed
imbalsamarlo di nuovo, volendo fare quell'atto di dimostrazione affettuosa. Ma
non ve lo trovarono. Onde, afflitta, la Maddalena fu assicurata dagli angeli che
custodivano il sepolcro, che io non ero quivi, ma ero risuscitato. La Maddalena
non prestò fede alle parole dell'angelo, e se ne parti afflitta e sconsolata,
e con le compagne andò a darne avviso alle altre devote donne ed ai miei
apostoli, dei quali alcuni si trovavano nel Cenacolo, dove si erano ritirati
(1).
CAPO SEDICESIMO
Come il Figliuolo di Dio dopo la sua risurrezione apparve
alla Maddalena; alle altre devote donne e a San Pietro.
MADDALENA AL SEPOLCRO
Terminata la visita alla mia diletta Madre, e lasciatala
piena di letizia in un mare di gioia, ero bramoso di consolare presto anche i
miei discepoli, perciò non mancavo di andare istillando nel loro cuore una
certa insolita consolazione e desiderio di vedermi risuscitato. In particolare
feci ciò alla Maddalena, la quale era più fervente nell'amore verso di me;
perciò accrebbi in lei un desiderio ardentissimo di vedermi. Con questo
desiderio andavo disponendola al ricevimento della grazia, cioè, di essere ella
la prima a vedermi, dopo la mia diletta Madre.
Onde questa, tutta accesa di amore e di desiderio, andò
frettolosa a dare avviso agli apostoli, come le aveva detto l'angelo, che io
ero risorto, e che nel sepolcro non vi era più il mio corpo; poi corse di nuovo
al sepolcro con le altre donne. E, non ritrovandomi, partirono tutte meste e
bramose di vedermi; ma la Maddalena non partì, perché l'amore ed il
desiderio grande che aveva di trovarmi, non le davano quiete, onde, tutta
ansiosa, si mise in cerca del suo tesoro, proponendosi di non tornare a casa, se
prima non l'avesse ritrovato. Mancava però nella fede, perché, avendole
detto gli angeli che io ero risuscitato, non credette, pensando che il mio corpo
le fosse stato rubato; perciò andava intorno come impazzita, sospirandomi e
chiamandomi con voci amorose e con affetti e desideri infuocati.
PIETRO E GIOVANNI AL SEPOLCRO
Mentre mi andava cercando, corsero al mio sepolcro anche
Pietro e Giovanni, che pieni di desiderio di sapere cosa ne fosse stato del mio
corpo, arrivati al sepolcro, vi entrarono e non ve lo trovarono, onde mesti e
dubbiosi, se ne tornarono indietro, mancando molto nella fede della mia
risurrezione.
APPARE A MADDALENA
Intanto mi manifestai alla Maddalena, sotto abito di
ortolano. Questa, a prima vista, non mi osservò, solo ricercò che ne fosse del
suo Bene; e disse che, se io gliel'avevo tolto, le insegnassi dove era,
perché sarebbe andata a prenderlo. Non mi scoprii subito a lei, pigliandomi
piacere di sentirla spasimare. Infine, chiamatala per nome, con la voce con cui
ero solito chiamarla, prima della mia morte, mi manifestai a lei, e nel
manifestarmi, la riempii di giubilo e di fede, e molto più di amore. All'udire
la mia voce ed al riconoscermi, esclamò: Mio Maestro! e corse veloce ad
abbracciare i miei piedi, per baciarli, come era solita fare ogni volta che
andavo in casa sua, prima della mia morte. Fu da me ritenuta. Le ordinai, che
andasse subito a dar la nuova alle altre donne che ero risuscitato. Ubbidì
subito la fervente Maddalena, e, tutta piena di giubilo, corse a darne avviso
alle compagne. Era tanta la delizia del suo cuore, che andava come impazzita e
bramosa di vedermi di nuovo.
APPARE ALLE DONNE
Credettero subito le donne all'avviso della Maddalena, e si
riempirono di un più vivo desiderio di vedermi anche esse: così andai
disponendole a ricevere la grazia di vedermi. E mentre la Maddalena raccontava
loro quanto le era occorso stando invisibile ad udirle in sì fervoroso
ragionamento mi manifestai poi loro, nell'abito che indossavo, mentre vivevo
in terra, vita mortale. Le salutai. Nel vedermi si prostrarono tutte in terra e
mi adorarono con profonda adorazione. Si accese nel loro cuore un più ardente
amore verso di me, e furono da me ammesse al bacio dei piedi. La prima fu la
fervente Maddalena, che ponendo la sua bocca alla piaga del piede, per baciarla,
fu riempita da un inondazione dolcissima, restando la sua anima assorta in un
godimento inesplicabile. Allora gustò di quella divina dolcezza, che si era
acquistata, mentre, con lacrime e dolori, tante volte aveva bagnato ed asciugato
i miei piedi, ed anche uniti con il prezioso balsamo. Trattenutasi la Maddalena
per qualche tempo a gustare la mia soavità e dolcezza, diede parte alle
compagne, le quali pure gustarono nel bacio dei piedi la stessa soavità. Tutte
piene di giubilo e di consolazione, sì posero a lodarmi e ringraziarmi, non
saziandosi di rimirarmi. Ordinai loro che andassero a dare avviso agli altri
discepoli, ed a Pietro in particolare, che io ero risorto e che mi avrebbero
veduto nella Galilea. Così svanii dai loro occhi.
Corsero le donne frettolose, piene dì giubilo, a darne
avviso ai discepoli ed a Pietro, i quali non prestarono loro fede, credendo che
vaneggiassero. Ma un certo desiderio, che andavo istillando al loro cuore, li
faceva star molto ansiosi di vedermi. Così andavano persuadendosi che le donne
forse mi avevano veduto; e stavano sbigottiti fra il timore e la speranza.
APPARE AI DUE DISCEPOLI DI EMMAUS
Mentre tutto ciò succedeva, partirono due dei miei discepoli
per andare ad Emmaus, essendo stati in Gerusalemme per la solennità della
Pasqua. Avevano questi udito l'avviso delle donne, ma avevano loro prestato
poca fede. Perciò i due andavano, mesti ed afflitti, per non aver notizia certa
della mira risurrezione, perché io avevo detto di risorgere il terzo giorno.
Andavano discorrendo dei patimenti da me sofferti nella passione, delle grazie
che avevano da me ricevute, dei miracoli che avevo fatto, e parlavano della mia
penosa morte con lacrime di grande dolore. Con questi discorsi mi tirarono ad
essi, per consolarli in tanta loro afflizione. Avendo preso abito e figura di
pellegrino, mi accompagnai con loro. Appena mi videro, quantunque non mi
conoscessero, intesero grande consolazione, e mi posero in mezzo a loro. Furono
da me interrogati su quanto dicevano fra di loro, sul motivo della loro
afflizione ed angustia, perché dal loro volto traspariva una grande mestizia.
Essi credettero che anche io partecipassi al dolore, per la morte del loro
Maestro; perciò mi dissero che erano afflitti per quello che era seguito in
Gerusalemme, di Gesù Nazzareno. Io a queste parole feci la richiesta: Di che?
Ed essi, ammirati, mi risposero: Tu sei pellegrino che vieni da Gerusalemme, e
non sai ciò che è successo pubblicamente nella città? Tutti ne sono
pienamente informati, tu solo non ne sai nulla? Chiesi cosa fosse accaduto. Ciò
feci perché manifestassero i loro sentimenti e il concetto che avevano di me,
per poterli poi consolare, ed ammaestrare. Ed essi incominciarono a dire: Di
Gesù Nazzareno, uomo potente nelle opere e nelle parole, che ha fatto tanti
prodigi, od ha insegnato una dottrina tanto sublime. I principi dei sacerdoti lo
hanno condannato a morte, e dopo averlo molto straziato, Lo hanno fatto morire
crocifisso. Lui ci disse, che il terzo giorno sarebbe risuscitato, e noi
speravamo di vederlo risuscitato, ma già è terminato il terzo giorno, ed
ancora non si vede eseguita la promessa. Hanno detto alcune donne di averlo
veduto risuscitato, ma non si è dato credito ad esse, stimando che sia loro
immaginazione. Noi speravamo che dovesse redimere il popolo d'Israele, ma ora
ne stiamo molto dubbiosi per non vederlo risorgere, secondo la promessa e ne
stiamo molto afflitti. Nel dire queste parole si andavano vieppiù rattristando.
Io allora incominciai a parlare ad essi con autorità, con grande sapienza e con
amore. Li ripresi prima della loro freddezza nel credere quello che i profeti e
le scritture dicevano con tanta chiarezza, poi incominciai a spiegare loro le
Scritture, in modo che restarono molto confermati nella fede. Andavano ogni
tanto dicendomi: O buon pellegrino, che fortuna è stata la nostra di
incontrarci con voi, che con tanta sapienza ci narrate tutto ciò che del nostro
Maestro è stato profetizzato! Per verità, tutto si è adempito. Oh, come ci
consolate tra tanta nostra afflizione! Sia pur benedetta l'ora che vi siete
accompagnato con noi, perché ci avete tanto consolati! Dunque, senza dubbio, il
nostro buon Maestro sarà risuscitato! Stava per terminare il giorno, ed io,
licenziandomi da loro, finsi di dover andare lontano e volerli lasciare, mentre
avevo destinato di trattenermi e manifestarmi; ma volli essere da essi pregato.
Perciò, mentre mi licenziavo, mi costrinsero con molte suppliche a restare con
loro, perché l'ora era tarda. Dopo di essermi fatto pregare alquanto, restai,
ed entrati all'albergo, si vollero cibare, avendone bisogno, invitando anche
me a cibarmi con loro. Accettai l'invito, e posti a mensa, pigliai il pane per
spezzarlo, come ero solito fare, mentre vissi in terra vita mortale. Nel rompere
il pane essi mi conobbero. E fissandomi gli occhi nel volto, ed io, mirandoli
con amore, mi feci conoscere chiaramente, e svanii subito dai loro occhi,
lasciandoli confermati nella fede della mia risurrezione ed accesi di un grande
amore verso di me. Nel riconoscermi, questi due discepoli si riempirono di
consolazione e di giubilo, ma vedendosi tanto presto privi della mia presenza,
si appassionarono. Perciò corsero frettolosi di nuovo in Gerusalemme, poi
andarono a darne avviso agli apostoli ed agli altri. Erano tante le smanie
amorose che sentirono nel tornare indietro, che non capivano in se stessi, ed
andavano dicendo fra loro Oh che gran sorte abbiamo avuta noi, di vedere il
nostro Maestro! ma che disgrazia di non averlo conosciuto subito! Non è
meraviglia che il nostro cuore ardesse e si liquefacesse in amore nell'udirlo
parlare, essendo lui stesso in mezzo a noi!
APPARE A PIETRO
Mentre questi due discepoli andavano a dare la nuova agli
altri, che io ero risorto, e che essi mi avevano veduto, apparvi a Pietro.
Pietro era tutto mesto e dolente, per non aver trovato il mio corpo nel
sepolcro, e mancava ancora molto nella fede della mia risurrezione. Si era
ritirato tutto dolente, piangendo amaramente. Aveva udito l'avviso delle donne
che mi avevano veduto; e benché allora non avesse dato credito ad esse, dopo
incominciò a pensare che poteva essere vera l'apparizione. Nello stesso tempo
io andavo instillando nel di lui cuore, un vivo desiderio di vedermi, in modo
che esclamava tutto dolente: O mio buon Maestro, se voi siete risuscitato, come
ci avete promesso, e come ci hanno assicurato le donne, deh, per pietà,
ricordatevi del vostro apostolo, che tanto vi ha amato e tanto vi ama! è vero
che vi ho negato con le parole, ma voi sapete che il mio cuore vi è stato
sempre fedele. Ah, non merito, no, che voi vi manifestiate, perché per verità
troppo vi ho offeso, ma, caro mio Maestro, io ora sono pronto a darvi la dovuta
soddisfazione e a farne penitenza: per tutta la vita non cesserò di piangere il
mio peccato.
Mentre Pietro andava seco stesso dicendo queste ed altre
parole, con un cuore veramente contrito e con amore pieno di desiderio di
vedermi risuscitato, gli apparvi, essendo egli solo, e mi manifestai a lui. A
questa sì segnalata grazia, di cui egli si riconosceva indegno, per avermi
negato ed abbandonato, si gettò a terra, Pietro, ed esclamò: Mio buon Maestro
e Signore mio! E come la vostra bontà si degna di comparire a questo gran
peccatore, che vi ha negato ed abbandonato? Voi mi date la pace! Io, nel
manifestarmi, gli avevo dato il saluto di pace: La pace sia teco! Onde, confuso
Pietro, anche per il saluto, incominciò a confessare il suo fallo. Ma fu da me
assolto ed assicurato, che non più mi ricordavo di ciò che era seguito: l'avverti
a stare attento nell'avvenire e ad essere più fedele. Lo consolai e l'animai
a confidare nella mia bontà. E Pietro, tutto acceso di amore, non si saziava di
rimirarmi ed esclamare: Mio buon Maestro, e vero Figlio di Dio! Dove mai ho
meritato io, uomo vile e peccatore, un tanto bene, che voi, dopo di essere stato
da me negato ed abbandonato, vi manifestiate a me con tanto amore, e vi siate
scordato del mio grande peccato? Sfogato che ebbe Pietro in qualche parte il suo
amore, gli ordinai che andasse a dare avviso agli altri discepoli, che ero
risuscitato, e che lui mi aveva veduto. Così fece.
PERCHé SI TRATTENNE IN TERRA
Devi sapere, sposa mia, che mentre mi trattenevo in terra,
essendo risorto, stavo godendo della mia beatitudine e gloria, non più soggetto
a tristezza e dolore. Solo mi trattenni in terra per confermare i miei apostoli
nella fede, e per istruirli di nuovo, come sentirai. Apparivo ai miei apostoli e
discepoli sotto figura di uomo, nella forma e nelle sembianze che avevo, mentre
vissi con essi vita mortale. Volli poi ritenere nel mio corpo glorioso le cinque
piaghe, cioè: quella del costato, delle mani e dei piedi. Questo lo feci in
perpetua testimonianza dell'amore mio infinito verso il genere umano, e di
quanto ho patito per la loro eterna salute. Queste piaghe stanno sempre aperte,
affinché le anime vi entrino, come feci loro invito, stando in croce. Le volli
ritenere, anche per mostrarle al Padre e placarlo, quando sta irato col
peccatore, onde per queste trattenga i castighi; queste piaghe sono come cinque
lingue, che di continuo danno lode al Padre e lo placano del suo giusto sdegno.
O quante grazie ricevono le anime per queste piaghe! Esse sono cinque fonti che
di continuo cadono ad irrigare e fecondare le anime, che se ne ricordano con
amore cordiale e sincero. Ora io, quando apparivo ai miei discepoli, facevo loro
per lo più vedere le mie piaghe, perché anche essi si ricordassero sempre di
quanto io avevo patito. Le anime poi che avevo liberato dal Limbo e dal
Purgatorio, mi seguivano sempre e mi vedevano svelatamente beato, godendo anche
esse della beatitudine; perché già beatificate per la visione concessa loro,
stavano godendo sempre, benché ancora in terra, un gaudio immenso: la stessa
eterna beatitudine.
VISITA SPESSO LA SUA MADRE SS.
Andavo spesso a visitare la mia. diletta Madre, la quale mi
tirava a sé con dolce violenza, per le brame del suo cuore amante. Ed io la
consolavo, l'ammaestravo di tutto ciò che doveva fare dopo la mia ascensione
al cielo, come sentirai (2). E Lei, quantunque stesse in grandi consolazioni,
non si scordava mai di porgere suppliche premurose a pro del genere umano, come
Madre amorosa di tutti. Anche io pregavo continuamente il Padre per i miei
fratelli, e per i mie apostoli in particolare, perché restassero sempre più
confermati nella fede, e per la dilatazione della stessa fede, porgevo suppliche
al Padre, quantunque il Padre mi avesse già data ogni potestà, sia in cielo,
come in terra, essendo io padrone assoluto di tutto. Tuttavia non feci mai cosa
alcuna senza il beneplacito del divin Padre, riconoscendo sempre la suprema sua
Maestà, quantunque fossi uguale a Lui per la divinità; ma perché avevo meco
unita anche l'umanità, per questa parte sempre stetti a Lui soggetto,
quantunque fosse beatificata e deificata.
Come il Figliuolo di Dio apparve ai suoi discepoli e di altre
sue apparizioni.
APPARE AI SUOI
Essendo andati i due discepoli a dare avviso agli altri,
della mia risurrezione, testificando che mi avevano veduto e riconosciuto nella
frazione del pane, arrivò gin quell'istante Pietro, e confermò la verità,
certificando che anche lui mi aveva veduto. Gli apostoli incominciarono a dar
credito alle parole di Pietro e si riempirono di desiderio di vedermi.
Stando così bramosi, discorrendo intorno alla certezza della
mia risurrezione, apparvi loro, e mi manifestai dando loro il solito saluto di
pace. Al vedermi, i miei discepoli si rallegrarono sommamente, ma si
intimorirono anche, dubitando, se veramente fossi il loro Maestro; perciò mi
rimirarono attentamente, ed io dissi loro: Non temete, perché son io. A queste
parole svanì ogni timore, e si trattennero a godere della mia persona risorta.
Li assicurai della mia risurrezione, e tutti si prostrarono a terra, per
adorarmi come vero Figlio di Dio. Prima lo fece Pietro, il quale era più degli
altri confermato nella Fede.
Non si trovò presente Tommaso, detto il Didimo. Gli altri
apostoli, tutti compunti, mi chiesero perdono d avermi abbandonato nel tempo
della mia passione e di essere fuggiti: furono da me confortati ed assicurati
del perdono. Li rimirai con grande amore, lasciandoli tutti animati e
confortati. Giovanni poi, il discepolo
amato, al vedermi, si riempì di giubilo, e mi corse vicino,
rimirando con attenzione le mie piaghe; e siccome per esse sul Calvario aveva
sofferto grande pena, nel rimirarle, restò ripieno di un godimento
inenarrabile. Fu da me guardato con grande amore e molto consolato.
Mi domandarono gli apostoli in che dovevano occuparsi per
allora, onde poter acquistare il vitto necessario. Ed io ordinai loro che
andassero a pescare, unendosi spesso insieme, perché sarebbero stati da me
ammaestrati su quanto avrebbero dovuto operare, dopo che io fossi partito da
loro, per andare al Padre. Così fecero. Ed io partii, lasciandoli tutti
consolati e confermati nella fede della mia risurrezione.
INCREDULITà DI TOMMASO
Partito dai discepoli, venne Tommaso, e li trovò tutti
allegri e contenti più del solito. Tutti unitamente l'assicurarono della mia
risurrezione, e che mi avevano veduto. Tommaso intese una grande pena ed una
grande confusione per non esservisi trovato, parendogli di non esser stato degno
di tanta consolazione. Ma invece di umiliarsi, diede in impazienza. Disse a
tutti: Io non lo credo! E quanto più veniva dagli altri assicurato, tanto più
restava pertinace nella sua incredulità, volendo amareggiare agli altri la
consolazione, col non dar credito alle loro parale. Difatti restarono gli altri
molto amareggiati per la sua incredulità, ed egli di ciò sentiva
soddisfazione, e più si induriva nelle sue parole. Così l'incredulità, che
prima era solo di parole, a causa della sua ostinazione, entrò anche nell'interno.
Gli altri gli dicevano che avevano veduto le mie piaghe; Giovanni specialmente l'assicurava
che aveva riconosciuto le piaghe delle mani, dei piedi e del costato, che già
aveva veduto sul Calvario, e si affaticava molto a persuaderlo a credere una
cosa sì certa. Ma Tommaso, più indurito che mai, disse loro: Se io non lo
vedo, non crederò mai. E se non vedo le sue piaghe, e di più, sinché non
metterò le mie mani nelle piaghe, che gli hanno fatto i chiodi, io non
crederò. Ebbe allora Tommaso la pretesa di voler essere da più degli altri, e
disse fra di sé : Se voi altri vi vantate di aver veduto il Maestro
risuscitato, se ciò sarà vero, io voglio vantarmi non solo di averlo veduto,
ma anche di averlo toccato. Sinché non arriverò a questo, non crederò.
Compativo l'incredulità dell'apostolo, tanto più che
nacque da passione, per non vedersi favorito come gli altri. Difatti intese una
grande pena, benché non la manifestasse ad alcuno. Disegnai però, con questa
sua incredulità, di confermare maggiormente tutti gli altri nella fede, perché
ogni tanto andavano vacillando: sinché ero presente io, credevano, ma dopo
incominciavano a dubitare: Pietro però stette sempre forte, né vacillò mai,
neanche dubitò.
APPARE A NICODEMO ED A GIUSEPPE D ARIMATEA
Mentre seguiva tutto questo fra gli apostoli, Giuseppe e
Nicodemo stavano discorrendo della mia risurrezione: avevano udito dire, che lo
ero risuscitato: ma che gli Scribi, i Farisei e i principi dei sacerdoti avevano
dato buona mancia alle guardie, affinché dicessero che il mio corpo era stato
preso dai miei discepoli, mentre essi dormivano. Difatti così dissero le
guardie, e tale voce si sparse per la città, volendo. i perfidi ebrei oscurare
e tener nascosta la mia gloriosa risurrezione. Tanto gli ostinati mi
perseguitarono in vita, e non bastò loro; vollero perseguitarmi anche dopo la
morte, mia poco credito trovarono i miseri; vedendo poi dilatarsi la mia fede,
la maggior parte di essi morirono di rabbia e di passione.
Stando dunque Nicodemo e Giuseppe discorrendo della mia
risurrezione, e ricordando quanto avevo patito sulla croce, ne piangevano per
compassione. Era l'ora di notte, e i due erano pieni di tristezza per le
pene da me sofferte. Si resero con questo degni della mia
visita. Apparvi loro, salutandoli col solito saluto di pace, e con volto sereno
parlai ad essi. Da principio, ebbero timore, vedendomi entrare a porte serrate,
e ad ora tarda. Li consolai però e levai loro ogni,timore, dicendo ad essi che
non temessero, perché io, essendo risuscitato, ero venuto a consolarli nella
loro tristezza, ed a ringraziarli del pio ufficio che avevano prestato al mio
corpo morto, per averlo imbalsamato e sotterrato onorevolmente. Li istruii poi
di nuovo nei divini misteri, e dissi loro tutto ciò che dovevano fare per la
loro eterna salute, e che non avessero alcun timore di mostrarsi pubblicamente
miei seguaci; che non facessero conto alcuno dell'odio che ad essi portavano i
Farisei, ed i principi dei sacerdoti, per avere onorato il mio corpo, dopo la
mia morte, perché sarebbero stati da me sempre protetti. Molti furono i
documenti e gli insegnamenti che diedi a questi miei discepoli, ed essi li
eseguirono poi perfettamente. Avendomi adorato e confessato di nuovo, per vero
Figlio di Dio e Messia promesso, svanii dai loro occhi, lasciandoli confortati e
confermati nella fede della mia risurrezione.
GLI APOSTOLI PRESSO MARIA SS.
Finita la contesa fra i miei apostoli, alcuni di essi
partirono per andare alla pesca, gli altri andarono a trovare la mia diletta
Madre, per raccontarle che mi avevano veduto risuscitato, che ero apparso loro,
dando ad essi il saluto di pace. Fra questi vi era anche Giovanni. Raccontarono
alla diletta Madre, con grande compassione, l'incredulità di Tommaso. Ella li
quietò, e li assicurò che anche lui avrebbe creduto. Difatti la Madre si pose
a pregare per il suo figlio incredulo, e gli meritò, con le sue suppliche, la
grazia della confermazione nella fede, e di conoscermi in un modo più distinto
e chiaro degli altri, come sentirai.
NUOVA APPARIZIONE ALLA MADDALENA
Mentre tutto ciò seguiva, mi portai di nuovo a visitare la
Maddalena, la quale, con il suo ardente desiderio ed il suo infuocato amore, mi
invitava e tirava a sé, con dolce violenza. Essendo ella sola, la visitai di
nuovo. Al vedermi, non poté contenere le violenze del suo amore, ed esclamò:
Mio Maestro e mio Dio! Tutta divampante di celeste ardore, mi richiese di udire
le mite parole divine, come era solita udirle, quando vivevo vita mortale.
Difatti la compiacqui, parlandole dei divini misteri, ed insegnandole il modo di
amarmi sempre più. La consolavo e l'inebriavo con la mia presenza e con le
mie parole, godendo ella, nell'udirle, una immensa gioia, e restando sempre
più infiammata dell'amor mio.
APPARE A MARTA ED A LAZZARO
Mi feci vedere anche da Marta e da Lazzaro, suo fratello, e
mio discepolo, mentre stavano con un vivo desiderio di vedermi, avendo saputo
delle varie mie apparizioni. E mentre si trattenevano a discorrere della mia
morte e passione ed anche della risurrezione, mi feci veder loro, salutandoli
col solito saluto, e manifestandomi ad essi chiaramente. Questi, pieni di
allegrezza, ma anche di timore riverenziale che così appunto era il timore che
avevano i miei discepoli alla prima vista li consolai e li animai a non temere,
perché ero io.
E sappi, sposa mia, che quando dicevo questa parola, cioè:
Non temete, perché son io, svaniva ogni timore da quelli che mi vedevano, per
virtù della parola che dicevo loro; così mi potevano godere e contemplare
senza timore, anzi, con grande giubilo del loro cuore.
Questi, assicurati della mia risurrezione, mi adorarono e mi
confessarono di nuovo per vero Figlio di Dio; quindi anch'essi furono da me
istruiti.
E sappi, sposa mia, che quando apparivo ai miei discepoli,
ripetevo sempre la dottrina, che avevo loro insegnata mentre vissi vita mortale.
Questo lo facevo per maggiormente confermarli nella credenza della mia
risurrezione, onde non avessero di che dubitare, sentendo che parlavo loro nel
modo stesso con cui avevo parlato prima ad essi, e delle stesse materie; non
movendo punto dal suo essere la dottrina che avevo loro predicato con tanta
carità ed amore, ed ordinato con somma sapienza e con tutta la perfezione.
VISITA LA MADRE
Dopo aver visitato questi due discepoli, cioè Lazzaro e
Marta, sua sorella, mi portai di nuovo alla visita della mia diletta Madre.
Questa sì, che era tutta la mia delizia, mentre mi trattenevo sulla terra. Ed
oh, quanto godevo nel vederla sì bella e perfetta, sì ornata di virtù, e sì
accesa d'amore, piena di fede, di speranza, di carità e soprappiena dì
grazia! Con Lei mi trattenevo amorosamente, dandole tutta la libertà, come mia
Madre, di abbracciarmi, di baciare le mie piaghe, specialmente quella del
costato, la quale era da Lei in particolar modo onorata, perché ella fu sola a
sentire il dolore di questa piaga. Con quanto amore si appressava ad essa! Quale
torrente di divina consolazione gustava, quando poneva sopra di essa le sue
castissime labbra, per sorbire il prezioso liquore, che dalla medesima
scaturiva, per inebriarla e confortarla!
Ogni volta che mi trattenevo con la diletta Madre, l'ammaestravo
intorno a ciò che doveva operare con i fedeli, dopo la mia salita al cielo, e l'informavo
pienamente di quanto sarebbe seguito, tanto fra i miei apostoli, come fra tutti
i fedeli. Ella conservava nel suo Cuore tutte le mie parole, per poter poi a suo
tempo ammaestrare tutti, cioè, tanto gli apostoli come gli altri fedeli.
Mi cantava poi inni di lode, gustando io molto di udirla; e
dopo unitamente lodavamo il divin Padre. Ogni volta mi raccomandava tutti i suoi
figli adottivi, cioè, tutti i miei fratelli, per i quali ella fece sempre l'ufficio
di amorosa Madre, specialmente dopo che da me le furono consegnati per figli,
quando stavo in croce. E sempre otteneva grazie per qualcuno degli apostoli, o
per gli altri discepoli, secondo il bisogno che vi era. Era tanta la grazia, il
modo e la maniera con cui la diletta Madre mi pregava per i suoi figli, che non
si poteva negarle cosa alcuna. E nello stesso domandare le grazie, feriva il
cuore col suo amore, con la sua umiltà ed uniformità al divino valere.
Erano molto frequenti le visite, che in tal tempo, facevo
alla diletta Madre, trattenendomi per lo più con Lei; le notti intere stava in
estasi, godendo della mia presenza. Spesso le facevo vedere la nobile comitiva,
che sempre avevo meco, cioè tutte le anime beate, e Lei si tratteneva spesso in
colloqui con il suo sposo Giuseppe e con i suoi genitori, e poi lodavano
unitamente il divin Padre, cantando in coro, la diletta Madre da sola, e le
anime beate da loro. Ma, oh quanto di gran lunga le superava tutte insieme nella
sapienza, nella grazia, nell'amore, dimostrandosi in tutte le sue azioni ed
operazioni, Regina di tutte le creature; e da grande Regina operava tutto e
tutti sopravanzava. Godevo molto nell'udirla; godevano anche tutte le anime
sante, e la rimiravano ed ossequiavano come loro Regina. Quantunque la diletta
Madre si vedesse tanto favorita ed innalzata, sempre più si umiliava ed
abbassava; e con questa sua umiltà ed abbassamento, si andava meritando sempre
nuova grazia.
Stando la diletta Madre immersa in un mare di gioia e di
consolazione per la mia presenza, non pensare che si dimenticasse mai delle pene
da me sofferte nella passione e sulla croce. Anzi, sinché visse, ne ebbe una
continua memoria, e ne fu sempre amareggiata. Quando mi partivo da Lei, per
andare dagli altri discepoli, ella pensava a quanto io avevo patito e quanto mi
costavano care le anime da me redente con tanto sangue. Ed andava rammentandosi
di tutti i miei patimenti e dolori, ad uno ad uno, mentre nel suo cuore si
faceva un misto di amore e di dolore, di gaudio e di tristezza. Sinché visse in
terra, fu perciò sempre amareggiata, ad imitazione mia, che mentre vissi vita
mortale, vissi in continui travagli ed amarezze, volendomi ella essere in tutto
e per tutto compagna fedele e Madre amorosa, che mai si scorda dei dolori del
proprio figlio, quantunque non viva più in pene. E nel far questo, la diletta
Madre mi dava sommo piacere e gusto, e si disponeva sempre a ricevere nuove
grazie e favori.
VITA DI SUPPLICHE
Nei quaranta giorni che mi trattenni in terra, dopo la mia
risurrezione, stavo sempre amando, lodando, benedicendo e ringraziando il divin
Padre, a nome di tutti i miei fratelli, e domandandogli tutte le grazie, per
ciascuno di essi in particolare e in generale. Il divin Padre si compiaceva
molto di quanto operavo a favore del genere umano. E quantunque ricevesse dal
mondo tante offese, Specialmente dagli empi Ebrei, con tutto ciò rimirava il
mondo con grande amore, perché era abitato da me, sua delizia. E da me tutto
riceveva una piena soddisfazione.
CAPO DICIOTTESIMO
Come il Figliuolo di Dio apparve ai suoi discepoli essendovi
Tommaso e lo confermò nella fede, e di altre apparizioni fatte ai medesimi, e
alle istruzioni che loro diede.
APPARE AI SUOI ED A TOMMASO
Essendosi adunati insieme i miei discepoli, con l'incredulo
Tommaso, stavano discorrendo della mia risurrezione, delle apparizioni che avevo
fatto loro, e della consolazione che avevano sperimentato nel vedermi. Con
questi discorsi si andavano accendendo di un più vivo desiderio di rivedermi.
Solo Tommaso stava ostinato a non dar loro credito, e di nuovo protestò, che se
non metteva la mano nel mio costato aperto, non avrebbe mai creduto.
Stavano a porte serrate perché temevano l'impertinenza e
la furia degli Ebrei, i quali dicevano che avendo essi rubato il mio corpo li
volevano castigare. Stavano rinchiusi per timore di esser presi e maltrattati
come miei discepoli. Mentre Tommaso faceva la sua protesta di non voler credere,
se non toccava le mie piaghe, comparvi in mezzo a loro, salutandoli col saluto
di pace. Tutti i miei discepoli si rallegrarono. Solo Tommaso restò confuso ed
intimorito, perché conobbe che ero il suo Maestro, ma non ardiva proferire
parola. Io però, rivolto a lui, lo invitai a mettere le sue dita nelle mie
piaghe e la mano nel mio costato, come egli aveva protestato di voler fare. E
gli dissi con grande amore e serenità: Non voler essere incredulo, ma fedele!
Mentre egli alzava la mano, per toccare la piaga del costato, uscì al mio
costato aperto una chiarissima luce, che andò a penetrare ed illuminare la sua
mente. Allora vide con tutta chiarezza e conobbe essere io il suo Maestro e vero
Figlio di Dio; conobbe la mia divinità, unita all'umanità risorta gloriosa,
ed alzando le mani al cielo, per eccesso dell'amore e del giubilo, che allora
gustò, esclamò ad alta voce: Signore mio, e Dio mio! Dopo, prostrato a terra,
mi adorò con profonda adorazione, e domandò perdono della sua incredulità. Ed
io, rivolto a lui dissi: Perché mi hai veduto, Tommaso, hai creduto! ma beati
quelli che non vedranno e crederanno, e beati quelli che non hanno veduto ed
hanno creduto! Con queste parole volli allora far conoscere a tutti i miei
discepoli, che sarebbero stati beati tutti coloro che avrebbero creduto in me,
pur non vedendomi come mi videro loro, e che già erano beati quelli che, non
avendomi veduto, avevano creduto. Questi erano i Patriarchi, i Profeti e tutte
le anime beate che mi seguivano, che furono prima della mia venuta al mondo e
credettero fermamente che sarei sceso dal cielo per prendere carne umana e per
redimere il mondo, come ai profeti fu rivelato.
UN DISCORSO DI GESù AI SUOI
Sentendo gli altri miei apostoli che Tommaso mi aveva
confessato per vero Dio, si rallegrarono tutti e si confermarono anche essi
nella fede. Feci poi un discorso a tutti sopra la fede, dicendo loro: Miei cari
discepoli, voi avete veduto ciò che ho operato vivendo in carne mortale. Voi
siete i testimoni sicuri di tutte le mie opere. Voi siete stati eletti per
colonne, sulle quali si deve piantare la mia Chiesa, e se mancate nella fede,
voi che avete udito e veduto tutto, come potrà star forte chi non mi ha udito,
né veduto? Considerate bene che, essendo stati eletti per fondamenti di un
edificio sì grande, qual è la Chiesa, dovete essere stabili, forti, immobili.
Io vi impetrerò dal Padre tale fortezza e fermezza nella fede; ma anche voi
domandatela, e negli assalti che avrete dai nemici della mia Chiesa, state
farti, non date orecchio alle loro persuasioni e falsi dogmi. Sarete
perseguitati e travagliati, come più volte vi ho manifestato, ma non temete,
perché io nel cielo farò l'ufficio di difensore e di avvocato presso il
Padre, e vi impetrerò tutta la grazia che vi sarà necessaria, per combattere
contro tutti i miei e vostri nemici, i quali resteranno sempre abbattuti e vinti
da voi, quantunque siate strumenti deboli, perché sarete vestiti della virtù
divina. E poi vi prometto che, dopo salito al Padre, vi manderò lo Spirito
Santo. Questo Spirito consolatore vi fortificherà, vi corroborerà, vi
infiammerà, vi comunicherà i suoi doni, vi stabilirà nella fede, in modo che
mai più vacillerete. Questo vi farà conoscere con più chiarezza ciò che io
vi ho insegnato, e vi ricorderà tutta la mia dottrina. Animatevi dunque e non
temete, perché sarete sempre protetti da me, vostro Maestro. Stavano i miei
apostoli ad udirmi con grande attenzione e consolazione della loro anima, e si
affezionavano tanto alla mia persona, che incominciavano a vivere più in me,
che in loro stessi, gustando molto della mia presenza, per la dolcezza ed il
gusto che sperimentavano nelle mie parole, in particolar modo Pietro, il quale
si poneva sempre al mio lato, tenendo gli occhi fissi in me. Questo apostolo mi
amò sempre con un amore più sensibile degli altri, essendo di natura molto
affezionato, ed avendo collocato in me tutto il suo amore. Soffriva grande pena
nello star lontano: avrebbe voluto godere sempre la mia presenza. Incominciò
quindi a supplicarmi, perché non li lasciassi più, ma stessi sempre con loro.
Mi diceva: Se voi, o buon Maestro, ci lasciate, come potremo vivere senza di
voi? La vostra presenza ci consola e ci dà vita. Io per me voglio venire dove
andrete voi, perché senza di voi mi è di pena il vivere. Così questo apostolo
manifestava l'amore suo verso di mie. Mi amava grandemente, benché questo suo
amore avesse bisogno di essere purificato, come anche quello degli altri
apostoli: perché con la persona mia amavano anche la propria soddisfazione e
consolazione, che sperimentavano nell'amarmi e nel conversare con me. Perciò
più volte dissi a Pietro ed agli altri, che dove andavo io, essi non potevano
venire, ma che sarebbe venuto il tempo in cui vi sarebbero venuti. Sentivano con
pena queste parole, cioè, che li dovessi lasciare, perciò si affaticavano a
supplicarmi di star sempre con loro. Mi dicevano: Nostro buon Maestro, state con
noi, né ci private di questa consolazione! Non siete più soggetto ai
patimenti, ora non vi è più nessuno che vi possa travagliare e farvi alcun
male. Noi sì che restiamo in travagli, perciò la vostra presenza ci
consolerà, ci animerà, ci istruirà. Altrimenti, che faremo noi poveretti,
senza di voi? Compativo molto la rozzezza e la semplicità dei miei apostoli, e
mentre li istruivo, li animavo, promettendo lo Spirito Santo; ma essi
continuavano a chiedermi che stessi con loro,perché non sapevano che fare. Ed
io di nuovo li istruivo, li capacitavo, con grande carità ed amore. Dicevo
loro: Voi vedete con quanta pazienza e con quanta carità faccio quest'ufficio
verso di voi, e quantunque siate stati meco per tanto tempo, ancora vi mostrate
ignoranti, e non arrivate a capir bene quello che vi ho tante volte insegnato, e
dichiarato con tanta chiarezza. Ora sappiate che la stessa carità ed amore
dovete usare voi con i vostri prossimi, quando avrete ricevuto lo Spirito Santo
ed andrete a convertire i popoli e ad istruirli nella cognizione del vero Dio.
Vi ricordo di aver sempre questa mira: di imitar me, vostro Maestro, insegnando
ed istruendo tutti con pazienza, con amore, con carità, compatendo l'ignoranza
e l'infermità loro, come io ho compatito voi tutti. Ed in tutte le vostre
operazioni, fatiche e travagli, cercate sempre la gloria del divin Padre e mia,
col far conoscere a tutti il mio nome. Sarà mia gloria, se voi vi mostrerete
fedeli nell'eseguire ciò che vi ho insegnato. La vostra mercede, poi, ve l'ho
detto altre volte, sarà molto grande nel Regno dei cieli. Stavano tutti attenti
ad udire le mie parole, e protestavano di fare quanto insegnavo loro. Difatti
restavano tutti consolati, sinché mi trattenevo con loro; ma partito, sentivano
grande pena per dover restare privi della mia presenza; si mostravano mesti ed
afflitti, e fra loro si andavano comunicando la pena che provavano nel restar
privi della mia presenza dicendo: Come faremo quando il mostro Maestro ci
lascerà? Chi sarà capace di consolarci, mentre tutti siamo afflitti? Chi sa se
sua Madre resterà con noi ? E se ci leva questo conforto da chi andremo? Alcuni
di essi dicevano Non è possibile che ci lasci affatto orfani, e che ci privi
anche della Madre! Troppo è grande la sua carità! Vedrete, che la lascerà con
noi, perché ci animi, ci conforti, ci ammaestri. Altri poi ne dubitavano
dicendo: Ah, vedrete che la condurrà seco, a godere il frutto di tanti dolori,
sofferti nella sua acerbissima passione. E s'andavano trattenendo in questi
discorsi. Poi, risolvevano di andare insieme dalla Santa Madre, per pregarla di
adoperarsi presso di me, affinché non li avessi privati anche di Lei. Difatti
vi andavano, e la Santa Madre li consolava, li animava, li assicurava che non
sarebbero restati privi di conforto e di aiuto. Ed essi partivano soddisfatti.
NUOVE APPARIZIONI
Altre volte si adunavano insieme, bramosi di rivedermi.
Dicevano: Dove sarà adesso, il nostro buon Maestro? Come potremmo fare per
andarlo a trovare? Ah, se Lui vedesse l'afflizione dei nostri cuori, non
tarderebbe a venire a consolarci con la sua dolce ed amabile presenza! E mentre
ciò dicevano, lo mi facevo vedere in mezzo a loro, col solito saluto di pace.
Nel vedermi, si ponevano a lacrimare per il giubilo del loro cuore. Erano da me
consolati ed animati, e di nuovo istruiti. Raccomandavo loro che si andassero
disponendo a restar privi della mia presenza visibile, altrimenti non sarebbero
stati capaci di ricevere lo Spirito Santo, se non si distaccassero da quella
consolazione sensibile. Ma essi sentivano malvolentieri queste parole; e Pietro
diceva spesso: Mio buon Maestro, a me bastate voi! avendo voi con me, non ho
più che desiderare. Allora l'apostolo era ammonito da me, acciò si
distaccasse, perché io dovevo andare dal Padre mio, e desiderasse e domandasse
con grande istanza lo Spirito consolatore, che avevo promesso, ma che anche loro
dovevano bramare e domandare. E poi dicevo Voi date poca fede alle mie parole.
Quante volte vi ho detto che lo Spirito Santo vi consolerà, vi corroborerà, vi
santificherà, vi comunicherà i suoi doni, vi riempirà di fuoco divino; vi
addottrinerà in tutte le scienze, senza vostra fatica; vi confermerà nella
fede e nella grazia; vi farà forti e robusti; leverà da voi ogni timore, né
sarete più rinchiusi e ritirati, ma con animo grande, andrete predicando il
Nome mio e le divine grandezze, e non vi sarà forza e potenza umana, che vi
possa impedire. Onde voi tutti dovreste bramare che io andassi presto dal Padre,
acciò vi mandi questo Spirito consolatore.
SEMPRE LI CONFERMA NELLA FEDE
Stavano tutti attoniti ad udire queste grandezze, ed allora
si andavano accendendo in questo desiderio; ed io svanivo dai loro occhi; e
restavano per qualche tempo in quel desiderio, ma poi tornavano di nuovo al loro
solito timore, bramando la mia presenza. Se ritardavo loro le apparizioni,
incominciavano a dubitare e vacillare nella fede. Ed io apparivo loro di nuovo,
e riprendevo la loro poca fede. Ma essi si scusavano col dire: Compatiteci,
nostro buon Maestro! perché come restiamo privi della vostra presenza ci
riempiamo di timore e di tristezza. Erano però da me ripresi con grande carità
ed amore, e di nuovo istruiti ed esortati a distaccarsi da quella sensibile
consolazione. Ogni volta che apparivo loro, mi rimiravano attentamente, e
riconoscendomi alle fattezze, al tratto, all'abito, che io ero il loro
Maestro, rientravano in se stessi, vincendo il dubbio che avevano, quando io
partivo da loro. Poi fra di loro andavano discorrendo della verità della mia
risurrezione. Dicevano: Oh, siamo pure di poca fede, per verità, come ci dice
il nostro Maestro! Eppure lo vediamo con gli occhi nostri, ed udiamo le sue
parole. Come può cadere nella nostra mente il dubbio? Nello stesso tempo che
così andavano discorrendo, illuminavo la loro mente, e si andavano confermando
nella fede, ed accendendo sempre più nell'amore verso di me, in particolare
Pietro, il quale dava in smanie, quando era passato qualche tempo che non mi
aveva veduto. Allora andava dalla mia diletta Madre a ricercare le nuove. Ella
lo consolava e lo animava a soffrire la lontananza. Se ne andava poi alla pesca,
con il pensiero e l'affetto verso di me, e continuamente lacrimava, ora al
ricordo di avermi negato ed abbandonato nel tempo della mia passione, ora nel
ricordarsi della dolcezza delle mie parole, della carità e dell'amore verso
di lui. Spesso andava dicendo con gli altri suoi compagni: Il nostro buon
Maestro si è scordato dell'offesa grande che gli ho fatto, negandolo, ma non
me ne scordo io, che, sinché avrò vita, piangerò il mio grave peccato. Allora
incominciavano anche gli altri apostoli a confessare la loro ingratitudine ed
infedeltà, per avermi abbandonato nel tempo della mia passione, ed insieme
piangevano il loro errore. Dopo aver dato qualche sfogo al loro dolore,
incominciavano a discorrere della mia infinita carità ed amore verso di loro, e
come mi ero scordato di tutti i loro non buoni comportamenti. Incominciavano a
bramare di vedermi, e che fossi loro apparso per domandarmi perdono. Io mi
compiacevo di udirli così compunti e grati dei benefici ricevuti, ed apparivo
di nuovo, in mezzo a loro, salutandoli col solito saluto di pace. Ed essi
restavano così presi dall'amore nel vedermi, che si scordavano di tutto, solo
attendevano a gustare la dolcezza delle mie parole e l'amabilità del mio
aspetto. Restavano estatici nel rimirarmi,ed in particolare Pietro, che per la
dolcezza piangeva e prorompeva in parole di giubilo e di grande amore. Erano da
me consolati e rimirati con volto sereno e gioviale, come ero solito nelle mie
apparizioni; e quando io ero partito, andavano dalla diletta Madre a dirle
tutto. E la Madre li stava ad udire con gran piacere e giubilo del cuore; poi li
esortava ad essere più fedeli e costanti nella fede; li esortava anche a
distaccarsi dalla consolazione della mia presenza, che essi tanto bramavano e
ricercavano. Restavano molto consolati ed animati per le parole della mia
diletta Madre, perciò quando veniva loro il desiderio di vedere la persona mia
ed udirmi parlare, se ne andavano da Lei, per essere consolati. Ed Ella, come
buona ed amorosa Madre, non mancava di consolarli e di animarli, parlando sempre
con grande prudenza, carità ed amare. Essi poi se ne tornavano a pescare, per
guadagnarsi il vitto, perché erano molto poveri, e molte volte si trovavano in
grande necessità, perché non ardivano cercare l'elemosina, essendo molto
timorosi, perché gli Ebrei li perseguitavano: si erano messi in cuore di levare
dal mondo anche tutti i miei discepoli e seguaci, affinché non vi restasse più
memoria di me. Il che non riuscì loro mai.
CAPO DICIANNOVESIMO
Come il Figliuolo di Dio, apparendo di nuovo alla sua SS.
Madre, Le manifestò i Sacramenti e come Ella dovesse portarsi con i fedeli,
dopo la sua ascensione e di altre apparizioni fatte agli apostoli.
ISTRUISCE MARIA SS. CIRCA I SACRAMENTI
Erano molto frequenti le apparizioni che facevo alla mia
diletta Madre, e con lei mai trattenevo per dar lodi al Padre mio, magnificando
la sua infinita grandezza, potenza, misericordia e bontà. Ciò facevamo a nome
di tutto il genere umano, rimirando io tutti come fratelli, e la mia diletta
Madre tutti come suoi figli adottivi. Perciò noi, con grande gusto ed amore,
facevamo a nome loro questo ufficio, per il quale il divin Padre restava
glorificato, e riceveva molto gusto. Con quale amore rimirava allora il mio
divin Padre il mondo, perché abitato da me, che ero la sua delizia, e dalla mia
diletta Madre, che era da Lui tanto amata, e dalla quale riceveva tanta gloria.
Dovendo partire dal mondo, per tornare al Padre, l'amore mio seppe trovare sì
nobile invenzione, per cui restassi nel mondo per mezzo del divin Sacramento.
Questo era per me una gioia; lodai e ringraziai il Padre, a nome di tutti i miei
fratelli, di sì grande beneficio, per mezzo del quale il mondo sarebbe stato
rimirato sempre con grande amore dal Padre, ed i miei fratelli avrebbero avuto
tanto sostegno e conforto, ed un tesoro di prezzo inestimabile da offrire al
Padre in sconto dei loro debiti ed impetrazione di tutte le grazie loro
necessarie. Di questo divin Sacramento trattavo con la mia diletta Madre, come
anche. di tutti gli altri Sacramenti, istruendola, affinché avesse poi
consigliato gli apostoli nei loro dubbi, perché Ella conservava tutte le mie
parole nel suo cuore, né mai se ne dimenticava. A lei, dunque, più che agli
apostoli stessi parlavo dei Sacramenti e del modo con cui dovevano
amministrarsi, onde l'avesse poi insegnato loro. Ammaestrai ance gli apostoli,
ma erano facili a dimenticarsene.
Trattando dunque con la diletta Madre dei Sacramenti, ad uno
ad uno, ne davamo unitamente lodi e ringraziamenti al divin Padre, a nome di
tutti i miei fratelli; del che Egli sentiva molto gusto. Poi la diletta Madre
badava e ringraziava me, a nome di tutti i suoi figli, ed io restavo molto
appagato delle sue lodi e dei suoi ringraziamenti. Ammettevo spesso al bacio
delle mie piaghe la diletta Madre, adempiendo in questo il suo desiderio, e
mentre baciandole gustava tanta dolcezza e soavità, non si dimenticava di
quanto avevo patito nel riceverle, e così andava temperando l'ineffabile
dolcezza con la memoria delle mie pene, una volta sofferte con tanta carità ed
amore. Quantunque allora io stessi sempre godendo, Lei voleva patire, con la
memoria delle mie pene, e così si andava sempre più arricchendo di meriti.
Ciò fece per tutto il tempo che visse sopra la terra.
LE RACCOMANDA I FEDELI E GLI APOSTOLI
Essendo di tutto bene informata ed ammaestrata la diletta
Madre, le raccomandavo tutti i fedeli, che sarebbero stati dopo la mia
ascensione, che si sarebbero convertiti per le prediche dei miei apostoli,
ricevuto che avessero lo Spirito Santo. E le dissi: Madre mia amatissima, voi
sapete che, dopo la mia salita al cielo, manderò lo Spirito Santo sopra i miei
apostoli; e voi ne sarete ripiena, in misura del vostro grande merito. E se lo
Spirito consolatore si diffonderà tanto sopra i miei apostoli e gli altri
discepoli, quanto più si comunicherà a voi, che siete la sua amatissima sposa!
E, se nella mia incarnazione scese in voi con tutta la pienezza e vi ricolmò
dei suoi doni, avendo trovato in voi un abitazione sì gradita, quanta pienezza
di doni e di grazie vi comunicherà nella nuova venuta che farà in voi,
trovandovi molto più arricchita di meriti e di grazia! Preparatevi, dunque,
cara Madre, a ricevere la inondazione beata! E se voi non darete negli eccessi
di amore in cui daranno i miei apostoli, non sarà perché voi non riceviate,
senza comparazione, maggior fuoco e maggiori doni, ma perché il vostro cuore è
un vaso assai vasto, in cui può entrare la sua pienezza. E se nella mia
passione il vostro cuore è stato a guisa di un mare, per racchiudere in sé la
grandezza del dolore, è ben di ragione che, nella venuta che farà in voi lo
Spirito Santo, sia ancora come un mare, per racchiudere in sé il beato
incendio. Rallegratevi, dunque, Madre carissima, perché racchiuderete nel
vostro cuore un amore sì immenso, col quale sempre più amerete il divin Padre
e me, vostro Figlio e Signore, con lo Spirito Santo, vostro Sposo. Vi raccomando
però di nuovo tutti i miei fratelli. Voi li amate molto, ma io di nuovo ve li
raccomando, per dimostrarvi sempre più l'amore che porto loro. Il vostro
grande amore si diffonderà sempre più in essi. Voi parteciperete loro le
vostre fiamme. Li consolerete, li animerete, li ammaestrerete, li consiglierete,
ed impetrerete loro molte grazie. Tutto ciò che direte ed opererete, sarà
approvato dal divin Padre, e sarà di suo gusto e compiacimento. A queste parole
si prostrava in terra la diletta Madre, per udirle con sommo e umile gaudio,
rendendo poi affettuosissime grazie alla Trinità SS. ed a me, come suo Figlio.
Cantava inni di lodi, invitando le anime, che erano risorte beate, e tutti gli
angeli di sua custodia, a lodare e ringraziare la SS. Trinità e l'umanità
mia, a nome suo, per le molte grazie e favori di cui si vedeva ripiena e
sublimata. Ed in tante sue grandezze, andava sempre più umiliandosi,
riconoscendo il suo nulla ed i1 molto che aveva ricevuto, ed andava ricevendo
dal suo Dio. Così dava molto gusto al divin Padre ed a me, e sempre più veniva
arricchita di meriti e di grazie. Poi, uniti insieme, davamo lode al divin
Padre, magnificando la sua immensa bontà, grandezza e liberalità, con tutte le
divine perfezioni.
ALTRE APPARIZIONI
Lasciando la diletta Madre ricolma di gaudio, tornavo di
nuovo a trovare i miei apostoli e gli altri discepoli. Già si era divulgata la
mia gloriosa risurrezione, e tutti i miei discepoli bramavano di vedermi, ed io
adempivo il loro desiderio, apparendo ad essi e consolandoli. L'amante
Maddalena. fu spesso favorita dalle mie apparizioni, perché con grande ardore
mi invitava. Ed io le apparivo, la consolavo, l'ammaestravo e le manifestavo
ciò che doveva operare dopo la mia salita al cielo. Il simile facevo agli altri
discepoli, che mi invitavano a manifestarmi loro, e stavano sempre con un vivo
desiderio di vedermi. L'altro tempo, nel quale non mi trattenevo nel visitare
i miei discepoli, 1'impiegavo a lodare, benedire e ringraziare il divin Padre,
a nome di tutto il genere umano, per molti e sì grandi benefici che aveva
ricevuto. Per lo più, facevo ciò con la mia diletta Madre. E di ciò godeva
molto il divin Padre.
LA PESCA MIRACOLOSA
Molte volte apparivo ai miei apostoli, in modo che potessero
restar sempre più convinti della mia risurrezione, con l'operare dei
miracoli. Essendo stati essi alla pesca, ed avendo lavorato per tutta la notte,
senza prendere pesci, molto stanchi ed afflitti, incominciarono a bramare e
desiderare di vedermi. Dicevano fra di loro: Ah! se il nostro Maestro ci vedesse
tanto affaticati ed afflitti, certo ci consolerebbe! Mentre dicevano ciò,
apparvi loro, dandomi a conoscere chiaramente. Allora tutti afflitti, mi
raccontavano la loro disavventura, perché si erano affaticati tutta la notte
invano. Io, allora, affinché maggiormente si rassicurassero che ero veramente
il loro Maestro e vero Figlio di Dio, e che tutto stava in mio potere, ordinai
loro di gettare le reti in luogo da me assegnato. Lo fecero: difatti le reti si
empirono di una moltitudine di pesci. Vedendo Pietro questo miracolo, mi fissò,
e nello stesso tempo fu da me illuminato con un nuovo lume, per mezzo del quale
conobbe la mia divinità, ed esclamò in presenza di tutti gli altri dicendo:
Signore! allontanatevi da me perché io sono uomo peccatore! E piangeva
amaramente. Ciò fece Pietro, perché nel riconoscere la mia divinità, ebbe
anche un lume per conoscere la sua viltà e bassezza, e ricordandosi che mi
aveva negato, restò ferito dal dolore e si riputava molto indegno di stare alla
mia presenza. Anche gli altri apostoli restarono ammirati nel vedere., il
miracolo, come anche nell'udire Pietro esclamare quelle parole, e tutti
confusi, mi adorarono. Stavano però timorosi, ma furono da me animati,
consolati, ed assicurati dell'amore grande che portavo loro. Erano poi da me
istruiti sopra quello che andava ad essi succedendo. Dissi: Se tanto patite e vi
affaticate nella pesca dei pesci, molto più vi dovrete affaticare e dovrete
patire nella pesca delle anime! Voi tutti faticherete e sarete afflitti, ma in
virtù del mio Nome, e col mio favore, farete acquisto di molte anime, e le
vostre parole saranno a guisa di una rete, che tireranno al mio ovile le
pecorelle erranti. Perciò, quando vi troverete in detta pesca, e sarete
afflitti e travagliati, rivolgetevi a me ed invocate il mio Nome! Chiamatemi in
vostro aiuto, e resterete consolati. Avendoli così ammaestrati e consolati,
svanivo dai loro occhi, ed essi restavano a lodare e magnificare la mia infinita
bontà e carità. Poi se ne andavano a raccontare tutto alla moria diletta
Madre, la quale li udiva con suo gran piacere, ed anche lei li ammaestrava e li
consolava; così partivano tutti soddisfatti. Poi raccontavano agli altri
discepoli le apparizioni loro fatte, e il miracolo della pesca; ed i discepoli
si accendevano di desiderio di vedermi, e con questo desiderio si andavano
disponendo a ricevere la grazia. Mentre io apparivo loro, li istruivo,
ricordando ad essi ciò che avevo loro detto nel tempo della mia predicazione.
DUBBI DEGLI APOSTOLI - COMPATIMENTO DI GESù
Quantunque i miei apostoli fossero tanto certi della mia
risurrezione, per quello che più volte avevano da me udito, e mi vedessero
trattare con loro nella maniera con cui li trattavo, mentre vissi in carne
mortale e passibile, tuttavia spesso sorgeva qualche dubbio nella loro mente:
tanto era grande la loro infermità, che dubitavano anche di ciò che con tanta
chiarezza vedevano ed udivano. Erano però da me compatiti, e sempre più
certificati, come feci apparendo loro, mentre mangiavano; e ponendomi a mangiare
con essi, per accomodarmi alla loro rozzezza ed ignoranza. E poi dicevo loro,
perché restassero maggiormente certi della mia risurrezione, che la mia
umanità era risorta gloriosa ed immortale: Osservate bene che io non ho carne
ed ossa, come voi vedete che io abbia; perché la mia umanità è risorta
gloriosa ed immortale, essendo tutta spirituale, per la dote della sottigliezza
e per tutte de altre doti gloriose, come io vi ho più volte narrato nel tempo
della mia predicazione. Voi tutti, nell'universale giudizio, risorgerete con i
vostri corpi gloriosi, come sono risorto io, e con voi tutti quelli che si
salveranno. Stavano attoniti i miei apostoli ad udire ciò che dicevo loro, e si
persuadevano, mi pregavano di compatire la loro ignoranza e rozzezza, dicendomi:
Perché, o nostro buon Maestro, noi tutti restiamo convinti della vostra
risurrezione mentre vi vediamo, e vi trattenete con noi, ed appena restiamo
privi della vostra presenza, incominciamo a dubitare? Ed io rispondevo loro: Voi
siete ancora deboli, perciò dubitate. Molte cose ancora io dovrei dirvi, che
non vi dico, perché non ne siete capaci. Ma verrà lo Spirito consolatore, il
quale vi insegnerà tutto e vi ammaestrerà molto più. Questo divino Spirito vi
darà testimonianza di me, e vi suggerirà tutto ciò che vi ho detto, ed allora
resterete ben confermati nella fede, perché questo divino Spirito vi riempirà
di scienza e sapienza, con tutti gli altri suoi doni. Non meritate il divino
Spirito, perciò io lo domanderò al Padre per voi. Ma anche voi domandatelo con
istanza. Salito che sarò al cielo, non cessate di domandare al Padre lo Spirito
divino, e preparatevi a riceverlo col ritiro e con l'orazione, come io prima
di salire al cielo vi insegnerò a fare. Ricevuto poi che l'avrete questo
divino Spirito, conoscerete con chiarezza le opere che io ho fatto stando con
voi, le quali ora da voi non sono ben capite, perché ancora non conoscete la
mia dignità e grandezza. Ma questo Spirito vi illuminerà e voi conoscerete
meglio tutto ciò che io ho operato ed insegnato. Si riempirono di consolazione
e di giubilo i cuori dei miei apostoli nell'udirmi parlare, perciò tornavano
di nuovo a supplicarmi, acciò non li avessi lasciati. Ma erano di nuovo da me
esortati a distaccarsi dalla consolazione sensibile, che provavano nello stare
alla mia presenza ed udite le mie parole, affinché si rendessero capaci di
ricevere lo Spirito consolatore. Essi allora chinavano la testa, né più mi
rispondevano, dando segno che molto loro dispiaceva l'udire quel parlare. lo
però di nuovo li consolavo ed animavo, e dopo partivo da loro. Ed essi
tornavano a pescare, mia con desiderio di sempre vedermi ed udirmi. Ed io
apparvi di nuovo mentre pescavano.
GESù APPARE AI SUOI SUL LAGO DI GENESARET
Stando essi in mare, mi feci vedere alla riva, ma non fui da
essi conosciuto. Ebbero perciò timore, e discorrevano fra di loro chi fossi. Il
discepolo amato, per la sua purità, prima di ogni altro mi riconobbe, e disse
liberamente che io ero il loro Maestro. Udito ciò Pietro, acceso di desiderio
di venire presso di me, per l'amore ardente che mi portava, esclamò: Signore,
se siete voi, fate che io venga da voi, camminando sopra l'acqua. Fece questa
domanda Pietro, avendogliela io ispirata, perché volevo far prava della sua
fede, per maggiormente confermarlo in essa. Gli ordinai che venisse. E difatti,
preso dall'impeto dell'amore, si pose a camminare con grande fretta sopra le
acque, tenendo gli occhi fissi in me. Ma nel camminare che faceva, Pietro
rimirò il mare, e considerò il pericolo in cui si trovava e cominciò a
temere. Difatti incominciò a sommergersi nell'acqua, in modo che, a mano a
mano che mancava nella fede, si andava affondando. Ed essendo quasi tutto
sommerso nelle acque, esclamò a gran voce: Signore, salvatemi, perché mi
affondo. Stavano tutti gli altri apostoli intimoriti nel vederlo affondare, ma
non si mosse alcuno per andare ad aiutarlo, perché sapevano che io potevo
liberarlo, come altre volte avevo liberato tutti dalla tempesta del mare.
Accorsi alla supplica di Pietro, e presolo per la mano, lo trassi fuori dalle
acque, sgridandolo: Di poca fede, perché hai dubitato? Condottolo alla riva, lo
istruii a non mancare di fede.
ISTRUZIONE DI GESù SULLA FEDE: LI CONFERMA
Essendo arrivati alla riva anche gli altri apostoli, feci
loro uni discorso sopra la fede, dicendo: Abbiate fede! che se voi avrete fede,
tutto ciò che domanderete, otterrete. Se avrete fede, seguirà tutto ciò che
ordinerete, e se direte ai monti che si trasferiscano in mare, e di ciò non
dubiterete, seguirà quanto direte. Stavano ad udirmi con stupore i miei
apostoli, parendo ad essi molto difficile ciò, che dicevo loro. Ed io di nuovo
li esortai ad aver fede, perché sarebbe poi venuto il tempo in cui avrebbero
operato prodigi, in virtù della fede. E soggiunsi: Avete udito, che vivendo in
carne mortale, da tutti gli infermi che risanavo, ricercavo se avessero fede.
Ora se è necessaria la fede in chi deve ricevere le grazie, molto più lo è in
voi, che dovete fare le grazie, in virtù del mio Nome, e dovete operare molti
prodigi e miracoli per la dilatazione della fede; perché si moltiplichi sempre
più il numero dei credenti. Difatti, voi non avete occasione di dubitare,
perché la vostra fede è la fede vera, essendo fondata nel potere divino, che
può ciò che vuole, e dà a chi crede tutto ciò che domanda. Perciò domandate
pure con fede, che si farà tutto ciò che domanderete. Avendo istruiti nella
fede i miei apostoli, li lasciai; ed essi poi, fra di loro, andavano discorrendo
delle grandezze della fede, che avevo loro insegnata, e si dolevano di aver
mancato ad essa fino allora. Dicevano: Quante maggiori grazie ci avrebbe fatto
il Maestro, se noi non avessimo mancato tanto nella fede! e proponevano di non
mancar più, benché poi, all'occasione, mancassero, perché, ancora infermi,
ogni piccola cosa li faceva dubitare. Altre volte poi discorrevano fra di loro e
dicevano: Come fa il nostro Maestro ad apparirci ed a lasciarci, senza che sia
da noi veduto di dove venga, né dove vada? Ed entra per le porte serrate?
Facendo questi discorsi incominciavano a dubitare. Ed io di nuovo apparvi loro.
Essi si intimorirono, dubitando che fossi qualche fantasma. Il timore fu causato
dal discorso dubbioso che stavano facendo. Io dissi loro: Non temete perché
sono io! Con questa parola, svanì il loro timore, ed io, con la solita
domestichezza, li invitai a toccare il mio corpo, dicendo loro: Vedete e
toccatemi! così resterete certi che io non sono spirito o fantasma, come voi
dubitate: perché quantunque il mio corpo sia spiritualizzato per la dote della
sottigliezza, con tutto ciò è palpabile, mentre il solo spirito non è
palpabile: E vero che, come vi dissi, la mia carne e le mie ossa non sono come
voi vedete, cioè, gravate dal peso della corruzione, perché sono glorificate,
ma, con tutto ciò sono palpabili, perciò toccatemi pure, e sarete convinti di
quanto vi dico. Difatti Pietro si gettò ai miei piedi, ed io glieli feci
baciare, come fecero gli altri apostoli e discepoli presenti. Così rimasero
persuasi di quanto loro dicevo, e molto più si andavano affezionando a me e mi
pregavano di non lasciarli. Dal che presi motivo di esortarli di nuovo a
distaccarsi dalla consolazione sensibile, ed a desiderare che venisse presto lo
Spirito Santo sopra di loro. Il che non sarebbe seguito, fino a quando io non
fossi salito al cielo.
CAPO VENTESIMO
Come il Figliuolo di Dio apparve di nuovo ai suoi apostoli e
diede loro la potestà di rimettere i peccati per mezzo del Sacramento della
Confessione e di altre apparizioni fatte ai suoi discepoli.
IL POTERE DI RIMETTERE I PECCATI - ISTRUZIONI
Essendo i miei apostoli rimasti certi della mia risurrezione
per quello che avevo loro manifestato ed operato, perché maggiormente si
confermassero nella fede, mentre un giorno erano uniti insieme, discorrendo
della mia risurrezione, e dicevano che non vi era da dubitarne, e tutti undici
protestavano di credere senza alcun dubbio , apparvi in mezzo a loro,
salutandoli col salito saluto di pace. Restarono tutti consolati per la mia
presenza, e unitamente mi rimiravano con Grande amore e fede, riconoscendomi
come loro Maestro e Signore. Ed io dissi loro: Sappiate che a me è stata data
tutta la potestà, sia in cielo come in terra, ed ora la comunico a voi. Allora
mandai il mio alito sopra di loro, incominciando da Pietro, col dire: Ricevete
lo Spirito Santo in voi, e i peccati che voi rimetterete saranno rimessi, quelli
che riterrete, saranno ritenuti . Questo è il sacramento, per mezzo del quale
resteranno assolti in cielo coloro che voi assolverete qui in terra; e quelli
che da voi non saranno assolti qui in terra, non saranno assolti nemmeno in
cielo. I miei apostoli nel ricevere il mio alito divino, restarono infiammati di
un più perfetto amore verso, di me, e di carità verso il prossimo ed insieme
furono illuminati per la cognizione di un sì grande sacramento. Ed io li
istruii, insegnando loro il modo con cui dovevano amministrare il sacramento
della penitenza; ricordando ad essi di nuovo il precetto della dilezione, che
già avevo dato nell'ultima cena, li esortai ad avere l'amore e la carità,
che vedevano che io avevo avuto verso di loro, e l'avessero con tutti i
prossimi. E come io li avevo compatiti nelle loro mancanze, specialmente nella
loro poca fede, così essi compatissero i loro prossimi, e fossero facili al
perdono, come io lo ero stato con loro, soggiungendo: Voi vedete, figliuoli
miei, con quanta carità ed amore ho proceduto con voi! quanto vi ho compatito,
come sono andato continuamente istruendovi! Ora sappiate, che tutto ciò lo
dovete praticare anche voi con i vostri prossimi, e, per grandi che siano i
peccatori, non li scacciate mai, quando questi vengano a penitenza, mia
abbracciateli ed animateli a confidare nella divina misericordia, che vuole che
il peccatore si converta e viva. E se torneranno a ricadere nei loro errori, voi
tornerete di nuovo ad assolverli dalle loro colpe, quando questi, pentiti del
male commesso e risoluti di non più commetterlo, torneranno ai vostri piedi,
per detestare i loro errori. Vedete voi, come io torno di nuovo ad assicurarvi
della mia risurrezione, quando voi, dopo tanti chiari segni, tornate di nuovo a
dubitare. E come vi compatisco del vostro errore, abbiate anche voi questo
spirito di carità e di compassione, e per compatire alla fragilità altrui,
rimirate la fragilità vostra! Lo Spirito Santo, che ora ho mandato sopra di voi
col mio divino alito è lo stesso Spirito che scenderà dal cielo sopra di voi,
dopo la mia ascensione. Questo, che ora vi ho dato invisibile, allora scenderà
visibile. Questo che vi ho dato ora, per comunicarvi la potestà di rimettere i
peccati, vi ha comunicato la grazia per bene esercitare tale ufficio; ma quello
che scenderà sopra di voi, che io vi impetrerò dal mio Padre divino, vi
comunicherà i suoi doni in abbondanza, e vi infiammerà il cuore del suo amore,
secondo la vostra capacità; perciò andatevi disponendo a ricevere un tanto
dono, perché quanto più sarete disposti, e saranno ardenti i vostri desideri
di questa venuta, con maggior pienezza si comunicherà alle vostre anime. Tutto
ciò spesso dicevo ai miei apostoli, affinché si accendessero del desiderio di
ricevere il divino Spirito, e sempre più si rendessero capaci di ricevere la
pienezza dei suoi doni, e si distaccassero dall'amore troppo sensibile che
avevano per la mia umanità. Perciò i miei apostoli rimasero molto consolati, e
mi andavano facendo varie richieste, alle quali Io rispondevo con grande amore e
carità, compatendo la loro ignoranza e rozzezza, ed animandoli e confortandoli
sempre più.
SI PORTANO DA MARIA
Partito da essi, se ne andarono dalla mia diletta Madre a
darle ragguaglio di quanto avevo partecipato loro circa il sacramento della
penitenza; e la santa Madre, essendone già informata, anche lei li istruì, e
poi, unita con loro, rese grazie al divin Padre, a nome di tutti i miei
fratelli, per il beneficio fatto loro del sacramento della penitenza. Poi parlò
agli apostoli, confermandoli nella fede, ed esortandoli a desiderare con ardore
la venuta dello Spirito Santo, che avevo loro promesso. Parlò loro con grande
eloquenza dei doni di questo divino Spirito e degli effetti che avrebbe prodotto
nelle loro anime. Ne parlò la santa Madre con tanta eccellenza, perché sapeva
per esperienza quello che il divino Spirito suol operare, quando entra in un
cuore, perché il cuor suo ne fu ripieno nella mia incarnazione. Gli apostoli
restarono molto accesi di desiderio per le parole della santa Madre, ed Ella
promise oche avrebbe presentato le suppliche al divin Padre ed a me, a nome
loro, onde ad essi fosse comunicato il detto Spirito con maggiore pienezza. E
così partirono i miei apostoli tutti consolati e confortati.
A mano a mano che si andavano confermando nella fede, io
andavo partecipando loro maggiori lumi e grazia. E ben vero che permettevo
cadessero nei dubbi, per maggiormente far loro conoscere la verità dei divini
misteri, con quanto operavo in conferma di ciò, perché in tutto quello in cui
essi mancavano, io li illuminavo e facevo loro conoscere la verità con tutta
chiarezza, ed essi restavano sempre più convinti; perché i dubbi che potevano
cadere nelle loro menti, erano da me levati, tanto con le parole, come con i
fatti, mentre dalle opere che facevo, stando in mezzo a loro, restavano sempre
più confermati nella fede.
AMMIRAZIONE DEGLI APOSTOLI PER MARIA
Partiti dalla diletta Madre, andavano fra di loro discorrendo
di quanto avevano udito da Lei, lodandola e magnificando le sue virtù e gli
speciali doni e prerogative, che in Lei spiccavano. Poi dicevano unitamente:
Veramente si può dire, con tutta verità, essere gran Donna, vera e degna Madre
del Messia, nostro Maestro, perché in Lei vi sono tutte le virtù: è piena di
grazia, di sapienza; tutta benigna, tutta piacevole, tutta carità, tutta amore
e tutta misericordia. Oh, Lei sì, che è un perfettissimo esemplare del nostro
divin Maestro! E poi dicevano: Oh, Lei beata e felice! E felici anche noi, a cui
è toccata la bella sorte di conoscerla e di essere da Lei istruiti! Mentre
così discorrevano, Pietro, il quale era di più spirito e molto infervorato,
diceva loro: Bisogna che noi, uniti insieme, facciamo una supplica, con grande
premura, al nostro Maestro, acciò la lasci con noi, e partendo Lui non ci levi
questo aiuto e conforto: bisogna che noi più volte glielo chiediamo. E tutti
unitamente proponevano di fare la richiesta, come difatti fecero. Compativo le
loro replicate richieste, perché pensavano che lo fossi come loro, che, avendo
più volte promesso, all'occasione potessi mancare. E così, quantunque
fossero da me assicurati, tornavano di nuovo a fare la richiesta. Ed io, con la
mia solita serenità, li stavo ad udire, li consolavo ed animavo a non temere,
perché non li avrei privati di tale consolazione, aiuto e conforto.
DISCORSO DI GESù AI SUOI
I miei apostoli si andavano disponendo ed accomodando alla
mia partenza, con l'aiuto e la grazia dello Spirito, che avevo comunicato alle
anime loro, e si andavano accendendo vieppiù nel desiderio di ricevere lo
Spirito consolatore. Ed io, apparendo ad essi di nuovo, essendo essi congregati,
parlai con grande tenerezza ed amore: Voi già vedete e conoscete quanto vi amo,
e come non siete chiamati da me servi, quantunque io sia il Signore vostro, ma
vi chiamo amici, ai quali ho confidato i miei segreti, e tutti avete veduto
quello che io ho operato mentre stavo con voi. Conoscete dunque il beneficio
grande che ho fatto a voi. Non avete voi eletto me, ma io ho eletto voi,
chiamandovi dal mondo alla mia sequela, per mandarvi a far frutto nel mondo, ad
acquistare le anime sviate e ridurle al mio ovile. E quello che farete voi, lo
faranno anche molti altri dopo di voi, sinché dureranno nella mia Chiesa coloro
che ad imitazione vostra si applicheranno all'acquisto delle ani e faranno
gran frutto: perché molti si convertiranno per le loro fatiche, che saranno
loro rimunerate con eterno premio. Rallegratevi, dunque, voi che siete stati da
me eletti per un ufficio sì sublime, di tanto gusto e gloria del divin Padre, e
di tanto merito per voi, se starete uniti a me e se le mie parole resteranno in.
voi, e saranno da voi custodite ed eseguite. Io vi dico: tutto ciò che vorrete,
domandate e vi sarà dato. Il Padre mio vi ama, perché voi avete amato me ed
avete creduto in me. E tutto ciò che vorrete, domandatelo al Padre mio in mio
Nome ed otterrete; e da ciò che il Padre mio vi darà, conoscerete quanto Egli
vi ama, e conoscerete ancora quanto ama me, perché, in riguardo mio, vi
concederà tutto quello che gli domanderete. Restavano molto consolati i miei
apostoli nell'udire le promesse che facevo loro, e molto più nel sentirmi
parlare.
Però di nuovo si turbavano e si affliggevano nel pensare che
fra breve dovevo lasciarli e di nuovo tornavano a supplicarmi onde non li avessi
lasciati. Risposi che si disponessero pure a restar privi della mia visibile
presenza, perché in breve dovevo tornare al Padre mio che mai aveva mandato;
dicendo loro ancora: Voi, Figliuoli miei, state mesti, e sarete molto afflitti e
rattristati: ma non dubitate, perché la vostra tristezza si convertirà in
gaudio ed allegrezza. Non vi apporti meraviglia se vedete che il mondo sta in
allegrezza e fa festa; anzi di ciò vi dovete dolere per compassione, perché la
sua allegrezza si convertirà in pianto eterno. Voi sarete stimati vili dal
mondo ed infelici: ma ciò non vi apporti pena, perché sarete grandi e felici
per tutta una eternità, ed il mondo sarà vile ed infelice, condannato ad
eterne pene e miserie incomparabili. Voi sarete odiati e perseguitati dal mondo,
ma sappiate che questo non vi potrà nuocere in cosa alcuna. E di ciò vi
rallegrerete, perché il mondo tratterà voi come ha trattato me. Non dovete voi
pretendere di essere da più di me, che sono il vostro Dio e Maestro: se io sono
stato perseguitato e maltrattato dal mondo, dovete anche voi bramare che vi
tratti come ha trattato me, perché così vi assomiglierete più a me, e da me
sarete rimirati con più amore, come anche dal Padre mio, perché vi vedrà
simili a me. In tutti i travagli e persecuzioni che incontrerete, ricordatevi
sempre di ciò che ho sofferto io, così vi animerete a soffrire con allegrezza
e vi stimerete felici, perché vi assomiglierete a Ne. Il tutto soffrite con
pazienza ed allegrezza, come avete veduto che ho sofferto io. Infatti voi dovete
seguire gli esempi che io vi ho dato, e far conoscere a tutto il mondo che siete
miei discepoli e seguaci. Amatevi scambievolmente, come io ho amato voi, e da
questo scambievole amore che avrete fra di voi, si conoscerà che siete miei
discepoli. Tutto ciò, e molto più, dissi ai miei apostoli, e più volte
ancora, accomodando il mio parlare alla loro rozzezza e semplicità; ed essi
stavano and udirmi con grande attenzione, parte presi dall'amore e dalla
dolcezza delle mie parole, e parte intimoriti nel sentire ciò che a loro
sarebbe convenuto soffrire dal mondo, dopo la mia partenza. Ma io li animai
dicendo: Voi vi rattristate nel sentire le persecuzioni che vi converrà
soffrire, e come sarete odiati dal mondo; ma non temete, perché lo Spirito
Santo, che io vi ho promesso, vi darà fortezza e spirito, in modo che voi vi
rallegrerete e gioirete in tutti i travagli e persecuzioni. Con molta allegrezza
andrete nei tribunali e tratterete con i tiranni e i nemici del Nome mio e della
mia fede, ed il vostro cuore giubilerà, e godrà il vostro spirito nel patire
molto e soffrire le calunnie e le contumelie per amor del mio Nome. Di altro
spirito sarete allora, che non siete adesso: perché lo Spirito Santo sarà
quello che parlerà in voi, e vi darà virtù e fortezza grande, in modo che
opererete e parlerete senza alcun timore. Udito questo, restarono molto
consolati i miei apostoli ed animati. Ed io partii da loro.
GUSTO ED ATTACCO DEGLI APOSTOLI
Tutto il tempo in cui mi trattenevo con i miei apostoli, per
lungo che fosse, sembrava ad essi breve momento, tanta era la consolazione che
sperimentavano nell'udire le mie parole, e quantunque stessero ad udirmi con
molta attenzione, era assai più il gusto e la consolazione ché avevano nel
vedermi,e nell'udirmi parlare. Ed essi stavano molto attaccati a questa
consolazione sensibile. E dopo che io li avevo lasciati, dicevano fra di loro:
Oh, come è partito presto il nostro Maestro! Come faremo quando non l'avremo
più con noi? E così, in questi discorsi, si dimenticavano di quanto aveva
detto loro, e si affliggevano molto, al pensiero di dover restar privi della mia
visibile presenza; e quantunque fossero stati da me più volte ammoniti a
volersi distaccare da quella sensibile consolazione, tanto tornavano spesso a
discorrere fra di loro di questo particolare. E in tali discorsi si andavano
più attaccando, e con più desiderio bramavano che io fossi stato sempre con
loro. Erano però da me compatiti: tornavo di nuovo ad apparir loro e li
riprendevo, benché con grande carità ed amore, dimostrando loro in tutto e per
tutto la grande carità, pazienza ed amore, che avevo per essi, acciò anche
essi l'avessero praticato con i loro prossimi, a mia imitazione.
MISSIONE - POTERI - ISTRUZIONI
Essendo un'altra volta congregati insieme, discorrendo di
quello che avevo loro detto, e bramando di nuovo di vedermi e di udire le mie
parale, apparvi, ponendomi, secondo il solito, in mezzo a loro. E salutandoli
col solito saluto di pace, mandai il mio alito sopra di loro, comunicando loro
lo Spirito Santo di nuovo, ordinando ad essi, che amministrassero il sacramento
del Battesimo, e che andassero per il mondo a predicare il vangelo a tutte le
creature, dicendo: Andate per tutto il mondo, e predicate il mio Vangelo a tutte
le creature che battezzerete, in nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito
Santo. E tutti quelli che crederanno e saranno battezzati, saranno salvi, e
quelli che non crederanno, saranno condannati. Vedrete molti segni sopra quelli
che crederanno: cacceranno i demoni in virtù del Nome mio, parleranno varie
lingue, cioè, avranno un nuovo linguaggio, leveranno i serpenti, cioè
convertiranno, con le loro parole, i peccatori, togliendo dalle loro anime le
colpe, e se loro si darà a bere il veleno, non nuocerà loro; porranno le loro
mani sopra gli infermi e resteranno sani. Tutto ciò opererà chi avrà fede e
crederà. Nel principio della mia Chiesa, sono particolarmente necessari tali
prodigi, perché si accresca il numero dei fedeli; ma non mancherà mai nella
mia Chiesa chi opererà prodigi, in virtù del Nome mio, per confondere gli
infedeli. E siccome adesso ho partecipato a voi la virtù e il dono della
grazia, per battezzare ed andare a convertire il mondo, così do a voi l'autorità
di comunicarli ad altri ministri che ordinerete, perché facciano quello che io
ora ho ordinato che facciate voi. Imporrete sopra di loro le vostre mani,
invocherete sopra di loro lo Spirito Santo, mandando il vostro alito sopra di
essi, come io ho fatto sopra di voi. Ed io ora do a voi questa facoltà. Stavano
tutti attoniti i miei apostoli. Ma io dissi loro: Non vi meravigliate di ciò
che poco intendete: ma quando riceverete lo Spirito consolatore, sarete ben
capaci ed il tutto intenderete, perché questo Spirito vi comunicherà i suoi
doni, e sarete ripieni di scienza, di sapienza e di tutti gli altri doni, ed
allora capirete bene quanto io vi ho detto ed insegnato, e vi farà conoscere
chiaramente le grazie che vi ho fatto, che ora non intendete. Capirete tutti i
misteri e tutti i sacramenti che vi ho insegnato, ed il modo con cui li dovrete
amministrare. Poco tempo mi resta da star con voi, perciò vi rattristate molto
per la mia partenza; ma lo Spirito Santo vi consolerà, e godrà e si
rallegrerà il vostro cuore di un pieno godimento; che sperimenterete e non vi
sarà tolto da alcuno; per quanto patirete e soffrirete di odio, di
persecuzioni, di flagelli, non partirà mai da voi il godimento, che vi
comunicherà questo divino Spirito. Non vi affliggete dunque, miei cari
discepoli, per la mia partenza, perché se io non vado, non riceverete questo
divino Spirito. Si confortavano di nuovo i miei apostoli per le promesse che
facevo loro, ma il pensiero della mia partenza li affiggeva molto, in modo che
spesso piangevano, e mi rimiravano con grande ansietà, senza saziarsene; e
quantunque tanto dicessi loro per consolarli, con tutto ciò, per essere molto
attaccati con l'affetto alla persona mia, non si potevano accomodare di
restarne privi. Io non mancavo dei dare loro la grazia per questo,ma l'umanità
sentiva molto la perdita di ciò che tanto amava, e per tanto tempo aveva
posseduto. Io li compativo molto, e perciò non mancavo di andare a consolarli e
ad istruirli, più e più volte ripetendo loro le stesse parole, onde si
imprimessero. nella loro mente; perché si rendevano incapaci di alcuna
impressione, per la soverchia tristezza che apportava loro il pensiero della mia
partenza.
Io allora ero pienamente beato, non più soggetto al dolore,
altrimenti avrei inteso molta pena nel vedere l'afflizione dei miei apostoli,
che tanto amavo e compativo; ma pure dovevano soffrire tale pena e distaccarsi
del tutto da quella consolazione, perché si rendessero capaci di ricevere il
divino Spirito, mentre allora, tutta la loro consolazione, tutti i loro affetti
e desideri, avevano collocato nella mia umanità, e non altro bramavano che
distar con me e godere della mia visibile presenza: onde i loro affetti e
desideri avevano grande bisogno di essere purificati, perché amavano più la
loro consolazione, che la mia gloria, più il loro gusto che il mio, perciò era
espediente che io li lasciassi, affinché si distaccassero, ed il loro amore si
perfezionasse. Tutto ciò dicevo loro, ma si mostravano inconsolabili, benché
poi, con 1'aiuto della grazia, si accomodarono, come sentirai.
Avendoli in parte consolati ed istruiti, li lasciai. Quando
svanivo dai loro occhi si sentivano strappare il cuore dal petto, ed in
particolare Pietro, che più di tutti si mostrava affezionato, e che avrebbe
voluto star sempre in mia compagnia. Restando poi soli, si andavano consolando
con le promesse che avevo loro fatto, e con la grazia che loro comunicavo. Non
vi è mente che possa arrivare a capire quanto fosse grande il dolore, che
sentivano i miei apostoli, nel dover restar privi della mia persona: perché non
vi è chi con tanta familiarità, e per sì lungo tempo, abbia goduto delle mie
grazie ed udito le mie parole. Solo la mia diletta Madre lo capiva, avendone
goduto molto più di loro, perciò li compativa, di consolava ed animava, come
suoi piccoli figlioli, ed essi, per le parole della medesima, restavano spesso
molto animati e confortati.
APPARE AGLI ALTRI DISCEPOLI
Alcune volte mentre gli altri miei discepoli discorrevano fra
di loro della mia risurrezione, che si era divulgata, per essere apparso ad
alcuni di essi, si mostravano desiderosi di vedermi, ed io apparivo in mezzo a
loro, dando ad essi il solito saluto di pace. Si riempì di giubilo il loro
cuori nel vedermi, e riconoscendomi, tutti mi adorarono. lo parlai loro con
grande amore, istruendoli e ricordando ciò che avevo detto nel tempo della mia
predicazione, per maggiormente confermarli nella fede della mia risurrezione.
Grande fu la consolazione che intesero questi miei discepoli, nel vedermi ed
udire le mie parole. Ed io manifestai anche ad essi, che in breve dovevo andare
al Padre mio, che mi aveva mandato, dicendo loro: Sappiate, miei discepoli, che
devo tornare al Padre mio, che mi, ha mandato: è breve il tempo che mi resta da
stare con voi. A queste parole sentirono grande afflizione i discepoli, e si
rattristarono molto, perché anche essi mi amavano molto. Io però li consolai,
dicendo loro Non vi rattristate, nel sentire che io vi devo lasciare, perché,
dopo la mia partenza, vi manderò lo Spirito consolatore, che ho promesso ai
miei apostoli. Ed anche voi vi unirete con loro e riceverete il divino Spirito,
secondo la disposizione che avrete. Perciò preparatevi a riceverlo con
infuocati desideri, e domandatelo con istanza al divin Padre. Questo Spirito vi
infiammerà del suo amore, vi illuminerà, e vi darà chiara testimonianza di
me, vi suggerirà tutto ciò che io vi ho insegnato; vi stabilirà nella fede,
vi darà fortezza, vi consolerà, vi leverà il timore, che ora tanto vi opprime
e vi farà confessare con prontezza il Nome mio, in faccia a tutti i nemici
della mia fede. Stavano ad udirmi con grande attenzione e giubilo dei loro
cuori, per la dolcezza delle mie parole, dalle quali erano penetrati, ed alcuni
piangevano per la soverchia consolazione, non saziandosi di rimirarmi; ed io
davo loro lume per conoscermi sempre con maggiore chiarezza. Ed avendoli
consolati, istruiti e confermasti nella fede della mia risurrezione, li lasciai.
Essi andarono subito a darne nuova agli apostoli, e discorrendo fra di loro, si
andavano sempre più confermando nella verità, con lo sbandire ogni dubbio
dalle loro menti. E così, mentre si avvicinava il tempo della mia partenza dal
mondo, per andare al Padre, essi si andavano sempre più confermando nella fede,
impetrando io per loro molte grazie dal Padre: perché nel partire che dovevo
fare dal mondo, volevo che tanto i miei apostoli, come tutti i miei discepoli,
restassero confermati nella verità della mia risurrezione. Andavo perciò
facendo continue apparizioni, trattenendomi con loro, istruendoli, consolandoli
ed animandoli. E quanto più trattavo con loro, tanto più cresceva in essi la
fede e la certezza della mia risurrezione.
Per tutto il tempo che mi trattenni in terra, dopo la mia
risurrezione, davo continue lodi e ringraziamenti al mio divin Padre, a nome di
tutto il genere umano, offrendogli i miei meriti, ed ottenendo molte grazie per
tutti i miei fratelli. Spesso lo lodavo, unito con la diletta Madre e con tutto
il coro dei Santi, che avevo liberato dal Limbo, e che conducevo meco, lodando
unitamente il divin Padre, come altre volte ti ho detto. Ne godeva molto il
Padre mio, restando lodato e glorificato da creature sì sublimi: qual era la
mia umanità unita alla divinità, la mia diletta Madre, e tutti quelli che
errano risorti beati: godendo questi e contemplando la mia umanità e divinità,
quale era in se stessa, cioè svelatamente. E perciò, benché stessero mero in
terra, godevano della visione beatifica, ed erano beati, deliziandosi nella
persona mia.
CAPO VENTUNESIMO
Come il Figliuolo di Dio apparendo alla sua SS. Madre le
manifestò essere arrivato il tempo della sua gloriosa ascensione. Il simile
fece ai suoi apostoli. E di ciò che loro insegnò.
IL TEMPO DELL'ASCENSIONE
Essendo vicino il giorno, decretato dal divin Padre, della
mia gloriosa ascensione al cielo, avendo istruiti i miei apostoli, circa le cose
che dovevano operare, dopo la mia ascensione, ed essendo stati anche sicuri
della mia risurrezione, per, le molte apparizioni fatte loro e per quello che
operai in conferma della verità, restava che partissi dal mondo, per tornare al
Padre mio, e pigliare l'intero possesso della gloria, che mi ero acquistata,
stando nel mondo, per non lasciarla mai più, e goderne il possesso per tutta l'eternità.
Desiderava il divin Padre di vedermi collocato alla sua
destra, in possesso della gloria acquistata; desideravano tutti gli angeli che
ciò presto si eseguisse, per vedere il loro Re nel trono, per adorarlo e
prestargli il dovuto vassallaggio; desideravano anche le anime dei beati
risorti, di vedersi collocati nei loro seggi; desideravo io di adempire la
volontà del Padre, e di mandar presto lo Spirito Santo sopra i miei apostoli,
perché maggiormente fossero confermati e stabiliti nella fede, e fossero
riempiti dei suoi doni e del suo amore, onde fossero andati presto a predicare
il mio vangelo ed a convertire il mondo, del che avevo pure grande desiderio,
acciò ognuno godesse i frutti dell'umana redenzione.
APPARE ALLA MADRE
Pertanto, apparendo alla mia diletta Madre, le manifestai
tutti questi desideri, e che era arrivato il tempo, in cui dovevo tornare al
Padre mio per prendere l'intero possesso della gloria: che essendo già mia,
in quanto alla divinità, me la ero poi acquistata in quanto all'umanità,
vivendo nel mondo e soffrendo quello di cui lei era stata spettatrice. Avendo
manifestato ciò alla mia diletta Madre, genuflessa, adorò la divina volontà e
si rallegrò, nel vedere giunto il tempo della mia incomprensibile esaltazione:
Si contentò di restare in terra, per beneficio della Chiesa nascente, per
conforto sia dei miei apostoli e discepoli, come anche di tutti i fedeli. Per
questa sua conformità al volere del Padre, nel contentarsi di restare in terra,
salendo io al cielo, e fu dal Padre accresciuta una nuova grazia ed un grande
cumulo di meriti, rendendosi ella sempre più grata al divin Padre, che, unita
con me, lodò e magnificò, rendendogli grazie a nome del genere umano, per il
beneficio che gli faceva di lasciarla in terra per conforto e consolazione dei
fedeli. Furono gradite al Padre queste sue lodi e ringraziamenti, per i quali la
ricolmò di maggiori grazie.
Terminate le divine lodi, le parlai con grande amore e
tenerezza, come suo Figlio amatissimo, e le raccomandai di nuovo tutta la mia
Chiesa, cioè, tutti quelli che avrebbero creduto in me, che avrebbero esaltato
il mio Nome ed abbracciato la fede, che i miei apostoli avrebbero predicato. La
istruii di nuovo di ciò che doveva fare per beneficio dei fedeli, l'assicurai,
che sarebbe stata, tanto dal divin Padre come da me, rimirata dal cielo, con
tutto l'amore con cui si trovava presso di noi sublimata, e che lei, vivendo
in terra, sarebbe stata la nostra delizia, e, nel di Lei cuore, avremmo fatto la
nostra mansione, e la nostra giocondissima abitazione. L'assicurai, che tutto
ciò che avrebbe domandato, tutto avrebbe ottenuto, essendo ella la creatura
sopra ogni altra diletta, da noi eletta per Regina dei cieli e della terra,
dandole il nostro potere e ricolmandola sempre più di nuove grazie e favori.
Voi, Madre mia amatissima, le dissi, abiterete col corpo in terra, ma il vostro
spirito abiterà nell'altezza dei cieli, e converserete con noi. Ed io spesso
mi farò da voi vedere, assiso sul mio trono, alla destra del mio divin Padre, e
godrete `della visione beata. Domandate pure ciò che volete: tutto si
eseguirà, perché, essendo voi stata sempre tanto uniformata alla volontà del
Padre, il Padre, con gusto, eseguirà ciò che sarà di vostro compiacimento, e
ciò che da voi gli sarà domandato. Rallegratevi, che, essendo noi nella
sublimità del nostro trono, avremo in terra una creatura da rimirare con tanto
nostro compiacimento e nella quale troveremo tutte le nostre delizie. Si umiliò
a queste parole la diletta Madre, rimirando il suo nulla, dando a Dio tutta la
gloria, e mi pregò di lodare e di ringraziare a nome suo il divin Padre, che
tanto l'aveva sublimata e ricolmata di grazia, unendosi con la polvere. Adorò
la mia umanità unita alla divinità, facendo tutti gli atti di gratitudine,e di
ringraziamenti per quanto le aveva compartito, e di nuovo lodò e ringraziò il
divin Padre per tutte le grazie ed opere meravigliose, che aveva in me operato.
Essendomi trattenuto per un pezzo con la .diletta Madre, in
sacri colloqui e scambievoli affetti, le diedi a baciare le mie sacre piaghe,
restandovi inebriata, consolata, confortata, disposta e pronta a restar priva
della mia visibile e reale presenza in terra, praticando ella in questa
occasione le nobili e sublimi virtù, proprie della Madre di un Dio umanato.
Avendole fatto godere per qualche tempo del torrente delle divine consolazioni,
tornata ai propri sensi, le raccomandai di nuovo la mia Chiesa e parti da lei
per andare a visitare i miei apostoli, lasciandola con la pienezza della mia
benedizione, la quale ella sempre, quando prendevo congedo da Lei, mi domandava
umilmente, per Lei e per tutti i suoi figli adottivi, esercitando, la benigna
Madre, atti di carità e di amore verso tutti. E sempre domandava per tutti e
per ciascuno qualche grazia, imitando in questo la persona mia, che, sinché
vissi in terra, sempre domandavo grazie al divin Padre per tutti i miei fratelli
in generale, e per ognuno in particolare, secondo il bisogno che vedevo. Ciò
fece anche la benigna Madre, in tutto il tempo che visse sulla terra;
prevalendosi della divina liberalità verso di lei e dei suoi figliuoli, che
ella tutti amava, non escludendo alcuno dal sino materno amore e dalla sua
preghiera.
DI NUOVO IN MEZZO AI SUOI
Essendo partito dalla diletta Madre, andai a trovare i miei
apostoli che stavano tutti undici uniti, in refezione (1). Discorrevano fra loro
della mia partenza dal mondo e della salita al cielo, che poco prima loro avevo
manifestato, e si rattristavano monto al pensiero di dover restar privi della
mia reale e visibile presenza: Entrarono anche a parlare della mia risurrezione,
e molti di loro incominciavano a vacillare nella fede, perché erano molto
turbati di mente ed ancora instabili. In quel punto apparvi loro, salutandoli
col solito saluto di pace, e li ripresi della loro incredulità e della durezza
dei loro cuori nel dubitare di ciò, che sì chiaramente avevano veduto ed
udito. Le mie parole penetrarono nei loro cuori, e rientrati in sé, si
pentirono della loro instabilità e poca fede, scusandosi e domandando perdono.
Ed io parlai loro con grande amore, e di istruii di nuovo, tornando a dire ciò
che più volte avevo loro insegnato. E per questo discorso, che loro feci, osi
stabilirono molto più nella fede, avendo io ottenuto per essi molte grazie e
lumi dal divin Padre. Parlai loro di nuovo circa i sacramenti, istruendoli ed
insegnandogli il modo con cui dovevano amministrarli. Manifestai che era
arrivato il tempo in cui dovevo tornare al Padre mio, che mi aveva mandato. A
queste parole si rattristarono molto; piangevano dirottamente, nel sentire che
era arrivato il tempo della mia partenza, mostrandosi inconsolabili. Furono
però da me consolati con la promessa dello Spirito Santo. Dissi loro: Non vi
affliggete, miei cari apostoli, perché se parto da voi, tornerò a voi in breve
con lo Spirito consolatore, che vi impetrerò dal Padre: perché questo Spirito
di verità sta meco unito per la divinità che è in me, poiché il Padre e lo
Spirito Santo sono una stessa cosa con me, per la divinità, e pur essendo noi
tre persone distinte, siamo però un solo Dio, e venendo sopra di voi lo Spirito
Santo, vi sarò anche io, unito con il Padre. Perciò rallegratevi, che in breve
scenderò sopra di voi per consolarvi. E stando nella sublimità del mio trono,
sarò anche con voi. Si rallegrarono molto a queste parole i miei apostoli,
credendo fermamente quanto dicevo loro, avendo impetrato dal divin Padre la fede
ad essi necessaria. E se per il passato avevo permesso in essi mancanza di fede,
lo permisi perché restassero maggiormente corfermati. Essendo consolati i miei
apostoli, li assicurai ancora del gaudio inesplicabile di cui sarebbero stati
ripieni i loro cuori, dicendo: Se ora tanto vi rattristate per la mia partenza,
in breve sarete appieno consolati e ricolmati di gaudio, e questo gaudio sarà
stabile e permanente, non partirà più dai vostri cuori, e non vi sarà chi ve
lo possa togliere, perché i vostri cuori saranno ripieni del divino Spirito e
da esso posseduti. Godevano molto gli apostoli per le promesse che facevo loro,
che tenevano per certe, avendo loro impetrato, come dissi, il dono della fede.
Così, tutti consolati, incominciarono a dirmi quanto mi amavano, e a pregarmi
che li compatissi, se tanto si rattristavano della mia partenza.
IL PRIMATO A PIETRO
Gradivo l'affetto dei loro cuori, in particolare quello di
Pietro, il quale si mostrava più di ogni altro ardente nell'amore verso di
me; perciò fu da me richiesto se più di tutti quelli che erano presenti, egli
mi amasse. Rispondeva di sì, che mi amava molto. Gli feci per tre volte la
detta richiesta, per sentirlo stabile nella risposta, ordinandogli sempre, che
pascesse le mie pecorelle ed i miei agnelli, facendolo di nuovo Capo della mia
Chiesa. Richiesi da lui questa confessione dell'amore per dimostrargli, che
avendolo stabilito Capo di tutti, gli conveniva di avere un amore molto grande
verso di me, per esercitare il suo ufficio, e per zelare la gloria e l'onore
del divin Padre e la salute delle anime a lui commesse. Confuso infine l'apostolo,
per le replicate istanze, se lui mi amava più degli altri, disse: Voi sapete,
Signore, che vi amo, confessandomi nello stesso tempo suo Dio, e Signore. Ed io
feci a tutti un discorso sopra l'ufficio dato a Pietro, di Capo della mia
Chiesa, affinché tutti l'avessero riconosciuto per tale. Restarono i miei
apostoli soddisfatti di quanto ordinavo, e Pietro, essendo illuminato dal Padre,
conobbe la sublimità del carico, e si umiliò, riconoscendosi indegno. Accettò
il carico per adempire la divina volontà, avendola conosciuta con chiarezza,
per le mie parole e per i lumi divini che dal Padre gli impetrai. Non si
insuperbì per ciò l'apostolo, ma si umiliò molto, e tutti gli altri ne
godettero, praticando, in questa occorrenza, il precetto della dilezione
fraterna, dato loro da me, godendo dell'esaltazione del loro fratello e
compagno, e mostrandosi tutti pronti ad essere soggetti a lui.
PARLA AD ESSI E PROMETTE SUA MADRE
Per poi maggiormente consolarli, li assicurai di nuovo che
avrei lascito loro la mia diletta Madre, per consolazione e conforto, ordinando
che in tutti i dubbi fossero ricorsi a lei, come anche in tutte le cose che
dovevano fare: perché lei era la sede della sapienza, perfettissima, e ricolma
di tutte le grazie; perciò la rimirassero come un vivo ritratto della mia
persona. Lei, dissi, sarà la vostra Maestra, la vostra consultrice, la vostra
avvocata presso di me. Da Lei prendete consiglio, perché istruiti, animati e
confortati. Rimiratela come un dono del cielo, di cui ella è Regina, perché
mia Madre; l'ossequio e l'obbedienza che prestate a Lei, li ricevo come
prestati a me. Sappiate che Ella vi ama con terno amore, e molto si adopera
presso di me e presso il divin Padre a vostro pro. Perciò corrispondete al di
lei materno amore, mostrandovi figli obbedienti ed affezionati. Non parlo delle
di lei virtù, perché, ognuno di voi l ha trattata; con chiarezza a tutti si
manifestano le di lei rare prerogative. E quanto sia grata ed accetta al Padre
mio, a me ed allo Spirito Santo, non è capace la vostra mente di intenderlo.
Basti dire, che l'eterno Verbo si è incarnato nel di lei purissimo seno, per
opera dello Spirito Santo; perciò di nuovo vi dico: che la rimiriate con grande
amore e sommissione, e siate in tutto e per tutto a Lei soggetti, come a mia
vera Madre. Ed oh! quante grazie per suo mezzo voi avete ricevuto, e quante ne
riceverete! Predicate anche al mondo tutto la di lei divina maternità ed
integrità verginale. Stavano ad udire i miei apostoli, le lodi della divina
Madre, con grande gusto e consolazione, e cresceva nei loro cuori un filiale e
riverenziale amore. Tutti poi unitamente, mi resero grazie del favore, di
lasciarla in terra per loro beneficio e consolazione. E questa sicurezza di
avere con essi la mia diletta Madre, mitigò in parte la molta afflizione ed il
dolore che sentivano nel restare privi della mia persona.
PRESSO ALTRI DISCEPOLI
Essendo rimasti i miei apostoli molto consolati e confortati,
ordinai loro, che si fossero ritrovati tutti nel Cenacolo, dove vi sarebbe stata
la mia diletta Madre con tutti i miei discepoli, dando ad essi l'ora
stabilita. Io avrei fatto l'ultimo discorso, e poi li avrei condotti meco al
monte, dove mi avrebbero veduto salire al cielo; e così li lasciai, andando a
visitare molti altri mici discepoli, ai quali ordinai, che si fossero trovati
nello stesso luogo, per sentire l'ultimo mio ragionamento: Apparvi di nuovo
alla fervente ed amante Maddalena, dandole, nell'ultima mia apparizione, la
libertà di sfogare il di lei amore. Fu da me consolata e confortata ed istruita
di nuovo su ciò che doveva fare dopo la mia ascensione. Le diedi molti segni
dell'amore grande che le portavo, come della gratitudine che avevo per lei,
per avermi tante volte alloggiato in casa sua con i miei apostoli, mentre vissi
in carne mortale. Piangeva inconsolabile la Maddalena, nel dover restar priva
del conforto che riceveva dalle mie visite, che spesso le facevo, mentre vissi
in terra. Ma fu da me consolata di nuovo con la promessa dello Spirito Santo,
che anche sopra di lei sarebbe sceso, ed anche a lei ordinai che si ritrovasse
nel Cenacolo, in compagnia della diletta Madre; e dopo averla consolata, la
lasciai. Feci il simile con Lazzaro, suo fratello, e Marta, sua sorella, e con
tutti gli altri miei discepoli, consolando tutti, confortandoli, ed ordinando
loro di andare al Cenacolo, perché udissero tutti l'ultimo mio discorso, e
poi mi vedessero salire al cielo.
Volli che si trovassero tutti i miei apostoli e discepoli
presenti alla mia ascensione, cosa questa molto necessaria, onde restassero
tutti confermati nella fede e ;nella verità di quanto io avevo loro
manifestato, e fossero tutti testimoni oculari, come lo erano stati della mia
resurrezione, per le molte apparizioni che avevo loro fatto, avendo anche veduto
quanto io avevo operato e udito i miei insegnamenti nel tempo della mia
predicazione.
PRESSO LA MADRE
Avendo confermato tutti nella fede e avendoli consolati con
le mie parole é le promesse di mandar loro lo Spirito consolatore, tornai dalla
mia diletta Madre, manifestandole quello che avevo operato, per confermare nella
fede i miei apostoli e discepoli, che di nuovo le raccomandai. Nel prendere
congedo da Lei, le feci di nuovo gustare la soavità del mio spirito,
ammettendola al bacio delle sacre piaghe. Lungo fu il colloquio che fra di noi
passò, speso fra i ringraziamenti ch Ella mi fece per quanto le avevo
partecipato e quelli che io feci a Lei per i servigi ed ossequi fattimi, e per
essersi mostrata tanto buona ed affezionata Madre. Molte furono le lodi che Lei
diede a me, ed io, unito con Lei, al divin Padre. Ella restava sempre più
ricolma di grazie e favori. Infine manifestandole ciò che doveva eseguire nella
mia ascensione, e ciò che mi restava da fare, prima di salire al cielo, cioè,
un discorso a tutti i miei apostoli e discepoli, al quale discorso anche Lei
doveva trovarsi presente, la lasciai con la mia copiosa benedizione,
impetrandogliene unta più copiosa dal divin Padre; per le quali benedizioni
restava ricolma di grazie e di nuovi favori; ed io godevo molto di vederla sì
arricchita. Ed Ella di ciò mostravisi sempre più grata, e nel colmo delle
grazie, sempre più sì umile.
CAPO VENTIDUESIMO
Come il Figliuolo di Dio apparve ai suoi apostoli e
discepoli, essendovi la sua SS. Madre e dell'ultimo ragionamento che egli fece
prima di andare al monte Oliveto per salire al cielo.
IN MEZZO AI SUOI
Essendo congregati i miei apostoli e discepoli, insieme alla
mia diletta Madre e alle altre devote donne, stavano trattando della mia
partenza dal mondo, per andare al Padre, come avevo a tutti manifestato. Essendo
afflitti per la mia partenza, la diletta Madre li confortava ed animava,
parlando loro con materno amore. Mi feci vedere io in mezzo a loro, presso la
diletta Madre, dando a tutti il solito saluto di pace. Restarono consolati per
la mia presenza, e tutti attenti ad udire le mie parole. Ognuno di essi mi
rimirava con grande amore, e si affliggeva per dover restar privo della mia
presenza, in particolare i miei apostoli, che mi amavano molto.
ULTIMO DISCORSO DI GESù
Manifestai loro che era arrivata l'ora della mia partenza,
ma che non si rattristassero, perché in breve sarei tornato a consolarli per
mezzo dello Spirito consolatore, perciò, dopo la mia ascensione, fossero
tornati al Cenacolo, e vi si fossero trattenuti insieme, aspettando la venuta
del divino Spirito, che avrei loro mandato dopo la mia salita al cielo,
impetrandolo ad essi dal divin Padre, ed anche essi l'avessero unitamente
domandato e desiderato. Tornai di nuovo a dir loro ciò che altre volte avevo
detto, Onde bene si ricordassero, e di nuovo li istruii su quello che dovevano
fare, e dissi loro quel che sarebbe occorso ad essi nel tempo avvenire,
animandoli a non temere, perché io sarei stato sempre loro avvocato presso il
divin Padre. Non temete, dissi loro, perché io vado al Padre mio e Padre
vostro; perciò dovete rallegrarvi, se veramente mi amate: perché io vado a
prendere possesso della gloria a me dovuta; ed avendo me in cielo, alla destra
del Padre, quale bene non potete sperare che io vi ottenga? Credete che vado a
preparare il luogo anche per voi! Sperate e confidate nella mia bontà, che
avete sperimentato quanto è stata grande verso di voi. Si solleveranno i
principi della terra, che non hanno parte alcuna in me, ed a voi non potranno
nuocere: perciò non temete, torno a dirvi, perché io sarò sempre con voi!
Ricordatevi di praticare tutte le virtù che vi ho insegnato, mentre ero con
voi. Soffrite tutto con pazienza, così possederete le anime vostre, e nessuno
potrà togliere alle vostre anime la divina grazia. Molte cose io vi ho detto,
che ora non vi ricordate; ma lo Spirito di verità, che scenderà sopra di voi,
vi farà ricordare tutto e vi darà anche una chiara testimonianza di me:
allora, con più chiarezza mi conoscerete, e mi amerete con maggiore perfezione,
che ora non mi amiate. Ed ora vi do di nuovo il precetto della fraterna
dilezione. Amatevi scambievolmente l'un l'altro; perché da questo sarete
conosciuti per miei discepoli: se regnerà fra di voi la pace e l'amore
scambievole. Torno a dirvi: che domandiate pure al Padre mio ciò che volete, ed
otterrete tutto, ma domandatelo in mio Nonne. Il Padre mio ama voi, perché voi
amate me ed avete creduto in me. Essendo amati dal Padre, quale consolazione non
deve riempire il vostro cuore! E se il Padre vi ama di che volete temere,
essendo amati dal vostro Dio, il quale tutto può ed ha cura speciale di voi?
Rallegratevi, dunque, e scacciate da voi ogni timore, perché se io parto, non
vi lascio orfani, ma vi lascio sotto la cura di un Padre che vi ama molto. E voi
procurate che in tutte le vostre opere sia glorificato ed onorato. lo vi lascio
con la mia pace, la quale non è come la pace che dà il mondo, che è pace
falsa; ma la mia pace è vera e sincera, pace che rallegra i vostri cuori e
ricolma le anime vostre di consolazione. Questa pace io vi lascio, e regni
sempre in voi e fra di voi. Tale pace ed unione avrete sempre con me e col Padre
mio, mentre lo Spirito Santo sarà in voi, unito col Padre e con me, essendo noi
indivisibili. Poi i miei Apostoli mi fecero alcune interrogazioni; compatendo
alla loro debolezza, li ripresi come sempre con amore e carità, capacitandoli
ed istruendoli di nuovo, e ricordando ad essi di conservare le mie parole nei
loro cuori e nella loro mente: perché io non parlavo loro che di cose divine e
delle virtù che dovevano praticare; ma essi ancora pensavano alle cose della
terra, perché erano infermi, e la loro virtù non era purificata, come lo fu
dopo che ebbero ricevuto il divino Spirito. Si mostravano allora molto
affezionati alla mia persona, mia ancora vi era del terreno e déll'amor
proprio. Perciò dissi loro: Chi ama me, custodisce le mie parole, ed è amato
dal Padre mio, ed entriamo nella sua anima e facciamo in essa la nostra
mansione, trattenendoci quivi, per mezzo della grazia e dell'amore; godendo di
abitare in tali anime: perché chi mai ama davvero, eseguisce ciò che io gli ho
insegnato ed ordinato; e facendo questo, si rende molto grato a noi, ed è da
noti molto amato, compiacendoci di abitare in tali cuori fedeli. Ciò che io ora
vi dico, molto poco lo intendete, ma lo Spirito di verità, vi farà intendere
tutto e capir tutto con molta chiarezza. Stavano con attenzione ad udirmi, ed
essendo arrivata l'ora destinata dal Padre per la mia gloriosa ascensione,
salutando con filiale amore la diletta Madre, partii da essi, dando a tutti la
benedizione, che con molte lacrime mi fu da essi richiesta; ordinando loro che
venissero al monte, dove mai avrebbero veduto salire al cielo, ed avrebbero
ricevuto una più copiosa benedizione.
Si avviarono essi al monte, dove andai anche io, per fare
nuove suppliche al Padre per tutti, ed impartir loro la paterna benedizione e
poi salire al cielo per mia propria virtù.
CAPO VENTITREESIMO
Come il Figliuolo di Dio salì al cielo, dopo di essere
dimorato quaranta giorni in terra, dopo la sua risurrezione e di ciò che seguì
nella sua ascensione.
SUL MONTE
Stando sul monte, dove erano venuti la mia diletta Madre, i
miei apostoli e gli altri discepoli, mi feci vedere con volto assai più sereno
e maestoso del solito. Restarono tutti ammirati e molto confortati, rimirandomi
tutti con grande amore, e sentendo afflizione, nel pensare che quella era l'ultima
volta che mi vedevano fra loro. Furono da me rimirati tutti con amore e
compassione, per la loro pena. Nel rimirarli però, impressi in essi una più
chiara cognizione della mia persona, ed una consolazione, che andava temperando
e mitigando il dolore, che sentivano per la mia partenza.
LA PREGHIERA DI GESù
Quivi orai al Padre mio, raccomandandogli quel piccolo
gregge. Ed alzando gli occhi al cielo, dissi: Padre mio, ho manifestato il
vostro Nome agli uomini, che mi deste, ed ora per questi prego, non per il
mondo, il quale non mi ha voluto riconoscere per vostro Figlio, che ora a voi fa
ritorno. Datemi, o Padre, quella chiarezza, che ho avuto sempre, prima che il
mondo fosse. Ed ora, alzando le mani, do a tutti questi la mia benedizione. E
voi, divin Padre, accompagnate alla mia, la vostra benedizione, e consolate
questi miei cari discepoli, che ora lascio, per tornare a voi.
GLORIOSA ASCENSIONE
Detto ciò, li benedissi tutti, e nel benedire loro, intesi
benedire anche tutti quelli che avrebbero creduto in me, ed avrebbero eseguito
ciò che loro ero venuto ad insegnare. Nell'atto di benedirli, furono da me
rimirati di nuovo, specialmente e in modo particolare, la mia diletta Madre, la
quale col suo spirito, mi seguì, e fu spettatrice dei trionfi e delle feste che
si fecero in cielo per la mia gloriosa ascensione. Vide anche il coro delle
anime che erano meco, che sempre mi avevano seguito, dopo la mia risurrezione.
Avendo dato loro la mia benedizione, incominciai ad alzarmi da terra e salire in
alto, per mia propria virtù, mentre tutti mi contemplavano e piangevano, per
vedermi andare al cielo: piangevano per la perdita che facevano di me, e
piangevano anche per la tenerezza che sentivano della consolazione, avendola
loro impetrata dal divin Padre. Mi seguivano con gli occhi corporali, ma molto
più con i loro cuori e con i loro affetti.
Essendo arrivato alquanto in alto, e dovendosi aprire le
porte eternali, per entrarvi in trionfo, ed essere collocato come Re sul suo
trono, il Padre mandò una nuvola, che riparò la vista degli apostoli, che più
non mi videro. Vedendosi questi ricoperti dalla nuvola, pure stavano rimirando
in alto, con la speranza di rivedermi. Ed essendo io arrivato alla sublimità
dei cieli, il Padre diede l'ordine agli angeli, affinché ammonissero gli
apostoli a non star più a contemplare il cielo, perché Gesù, che avevano
veduto salire in alto, era già entrato nella sua dimora. Sarebbe tornato,
facendosi vedere nel trono della sua maestà, per giudicare il mondo.
GLI OCCHI ALLA MADRE
Gli apostoli udite queste parole, e persa la speranza di
rivedermi con gli occhi corporali, si rinvolsero tutti verso la diletta Madre,
la quale li confortò ed animò, perché stavano tutti come insensati, nel
vedersi privi della vista dell'amato oggetto, senza speranza di più vederlo
fra loro. Dopo essersi trattenuti per un pezzo, la diletta Madre ricordò loro
le mie parole: dovevano andare tutti a Gerusalemme, e trattenersi ad aspettare
la venuta dello Spirito consolatore, che io avevo loro promesso di mandare, dopo
la mia ascensione. Allora tutti se ne tornarono a Gerusalemme, accompagnando le
devote donne la diletta Madre, e gli undici apostoli, andando insieme
congregati, entrarono nel Cenacolo. Dopo breve tempo, vi andarono anche gli
altri discepoli.
OPERA DI MARIA NEL CENACOLO
Stando tutti ad aspettare con grande desiderio la venuta
dello Spirito Santo, passavano il tempo in sacri colloqui ed ardenti desideri
dello Spirito promesso. Per consiglio della diletta Madre, elessero l'apostolo,
che occupasse il luogo del traditore; la sorte toccò a Mattia. La divina Madre
serviva a tutti di consolazione, animandoli ed infervorandoli con le sue parole.
Spesso, per maggiormente consolarli, ricordava loro la promessa infallibile, che
io avevo fatto, di stare con loro fino alla consumazione dei secoli, nel divin
Sacramento. Monto eccellentemente parlava loro di questo divin Sacramento, da
cui era inebriata ed accesa di amore e di gratitudine. E tanto gli apostoli,
come gli altri discepoli, si infervoravano molto, all'udir parlare di questo
Sacramento; e si mostravano grati di un tanto beneficio, e dell'amore che in
questo Sacramento avevo ad essi dimostrato. Andavano ancora discorrendo di tutte
le opere che avevo fatto, stando fra di loro, e così si infiammavano nell'amore,
e si preparavano a ricevere lo Spirito Santo.
CAPO VENTIQUATTRESIMO
Come il Figliuolo di Dio entrò trionfante in cielo e fu
collocato dal divin Padre alla sua destra. Di ciò che egli operò in beneficio
degli uomini presso il Padre e di ciò che fecero gli angelici cori verso il
loro supremo Re e Signore.
INGRESSO GLORIOSO DI GESù IN CIELO
Sopra di questo particolare ti dirò qualche corsa, secondo
la tua capacità, perché intenda, in qualche parte, i trionfi che si fecero nel
supremo cielo, per la mia solenne entrata, e per la mia esaltazione, non essendo
capace la mente umana di poterlo intendere, quale fu veramente.
Con tutto ciò devi sapere che, avvicinandomi al cielo, si
spalancarono le porte eternali, le quali sino allora erano state chiuse, non
potendovi entrare alcuno. Salendo al cielo, trionfante e vittorioso, conducendo
meco tutte le anime giuste; cioè le anime dei Patriarchi e dei Profeti, e tutte
quelle che stavano in Purgatorio che condussi mero nella mia risurrezione si
spalancarono le porte eternali, e vennero gli angelici cori a ricevermi, come
loro Re, cantando i miei trionfi e le mie vittorie. E se, venendo al mondo,
sotto la spoglia vile dell'umanità, cantarono e fecero festa, puoi credere
quali cantici e quali feste fecero nel mio ritorno al cielo, e nel mio trionfo.
Mi seguirono tutti, fino al trono del divin Padre, cantando sublimi cantici di
lode, risonando per tutto l'empireo un giubilo ed una festa, che mai fu per l'addietro,
provando tutte le gerarchie celestiali un maggior gaudio ed una allegrezza, che
per l'addietro non avevano provato. Il divin Padre, nel mio solenne trionfo,
faceva godere a tutti un gaudio inenarrabile, per dimostrare il godimento che
anche Lui aveva della mia entrata in cielo e delle vittorie riportate, vivendo
in terra. Stupivano tutte le gerarchie celestiali, nel vedere la profusione che
il divin Padre faceva allora delle sue grandezze, con tanta liberalità a me
partecipate, e di tanto gaudio, che anche ad esse partecipava, facendo spiccare
mirabilmente la grandezza dei suoi attributi e delle sue divine perfezioni.
PRESSO IL PADRE
Fra tanti applausi e solenni pompe, giunto al trono del divin
Padre, prima passai con Lui gli atti di congratulazioni, come Dio a Lui eguale,
godendo del gaudio immenso di essere fra di noi, benché in tre persone
distinte, un Dio solo. Poi io, in quanto uomo, a Lui inferiore, l'adorai, e
come tale, mi mostrai a Lui soggetto ed inferiore. Lo ringraziai di quanto si
era degnato di operare in me, e lo ringraziai del gran Nome che mi aveva dato e
della sublime esaltazione, avendomi preparato il seggio alla sua destra, ed
avendomi data tutta la potestà sopra il creato. Poi, come capo dell'umana
natura, lo ringraziai a nome di tutto il genere umano, per il grande beneficio
fattogli nel donargli i1 suo Unigenito; perché prendesse carne umana e fosse
suo Redentore; come anche lo ringraziai di tutti gli altri benefici compartiti
agli uomini. Dopo gli presentai il tesoro infinito di tutti i miei meriti, per
parte di tutto il genere umano, al quale io ne facevo un liberalissimo dono.
Ricevé il divin Padre il grande tesoro con sommo compiacimento, mostrandosi non
solo placato e soddisfatto con l'umana natura, ma di più prontissimo a
compatire a tutti le grazie che gli avrebbero domandato, in virtù dei miei
meriti infiniti; e, pronto, a rimettere a tutti i loro debiti, quando pentiti
dei propri errori, gli avrebbero offerto il detto tesoro dei miei meriti, in
soddisfazione delle loro colpe.
ALLA DESTRA DEL PADRE - ADORAZIONE DELLA CORTE CELESTE
Collocato poi nel mio trono, alla destra del divin Padre, e
preso l'intero possesso del mio Regno e il dominio universale, tutte le
gerarchie celestiali vennero ad adorarmi, ed a riconoscermi per loro Re e
Signore, prestandomi tutte il dovuto vassallaggio, con loro, sommo giubilo e
godimento. Anche le anime dei risorti, che reco avevo condotto, adorato prima il
divin Padre, fecero le dovute adorazioni ed ossequi alla persona mia,
riconoscendomi come loro Re e Salvatore. Dopo anche esse furono collocate nei
loro seggi e mansioni, secondo il grado di virtù a cui erano arrivate, vivendo
in terra.
IMPETRA LO SPIRITO SANTO - AVVOCATO PRESSO IL PADRE
Terminate le funzioni, ma continuando sempre più il giubilo
e il godimento, per non mai finire, la prima grazia che domandai al divin Padre,
fu che si degnasse di mandare lo Spirito Santo sopra i miei apostoli e
discepoli, come avevo loro promesso. Appena fatta la domanda, il Padre eseguì
tutto prontamente, e mandò nel Cenacolo il divino Spirito, prendendo questi la
figura di lingue di fuoco ardente, e, restando unito al Padre, scese anche in
terra, a ricolmare gli apostoli dei suoi doni ed accenderli delle sue divine
fiamme, secondo la loro capacità; ricolmando più di tutti la divina Madre,
come luogo assai vasto, per ricevere la sua pienezza. Godei molto io nel vedere
il Padre tanto liberale verso i miei apostoli e discepoli, col mandar loro
subito il divino Spirito, e farli partecipi dei suoi divini doni. Ringraziai il
divin Padre per questo dono, fatto sì liberamente ai miei discepoli, e lo
ringraziai a nome di tutti, lodando la sua liberalità e magnificenza. Del che
il Padre sentì sommo compiacimento, e mostravasi sempre più liberale nel
donare le sue grazie a tutti coloro che, in mio Nome, gliele avessero domandate.
Ed io gli mostravo la somma mia gratitudine, godendo di ciò scambievolmente
come capo dell'umana natura, per ogni grazia che ad essa compartiva, a nome di
tutti, lo ringraziavo, e lodavo la sua beneficenza e liberalità. E come capo di
tutti gli uomini, entrai in possesso dell'ufficio di avvocato presso il Padre,
per tutti gli uomini. Tale ufficio faccio continuamente per tutti quelli che mi
riconoscono come loro Capo, Re e Signore, e per tutti coloro che si raccomandano
a me, non escludendo alcuno, pregando per tutti il divin Padre, e placando l'ira
sua, quando dagli uomini viene provocata. E per placare lo sdegno paterno, gli
presento le mie piaghe, a nome del genere umano, e tutti i dolori da me
sofferti. Guai al mondo, se in cielo non facessi l'ufficio di avvocato! oh,
quanti flagelli scaricherebbe sopra di esso la divina giustizia, tanto irritata
dagli uomini, trasgressori della divina Legge dei divini precetti!
IL RE MUNIFICO
Dalla sublimità del mio trono, come capo della natura umana,
stando nel gaudio immenso, non manco mai di rimirare tutti gli uomini in
generale, e ciascuno in particolare, e per tutti e ciascuno impetrando grazia, e
compartendo favori, secondo che ad ognuno è necessario per la sua eterna
salute, appagando con ciò il desiderio che ho, che ognuno si salvi e goda il
frutto della redenzione. Ed alle anime giuste vado comunicandomi, facendo loro
gustare la soavità del mio spirito e la dolcezza dell'amore mio, stando con
somma vigilanza sopra quelle che si donano tutte a me, prendendomi una cura
particolare di quelle che si pongono per intero nelle mie mani. Questo lo faccio
con sommo mio gusto e compiacimento del mio divin Padre. Godo molto di essere
supplicato, e mi compiaccio di fare grazie a chi le domanda. Ed essendo io
avvocato degli uomini presso il Padre, elessi anche la mia diletta Madre, loro
avvocata presso di me: perché, essendo io giudice giustissimo, era necessario
che vi fosse una potente avvocata presso il giudice, in favore dei rei, e che,
essendo il giudice molto irritato, per le continue offese, vi fosse un avvocata
tutta. misericordia, pietosa ed amorosa, che impetrasse venia, e grazia per i
rei. Questo ufficio lo sta esercitando continuamente la mia diletta Madre, e lo
fa con grande amore, come Madre ed Avvocata potentissima di tutto il genere
umano.
CAPO VENTICINQUESIMO
Di ciò che starà operando il Figliuolo di Dio per tutta un'eternità
in godimento delle anime beate.
COME GESù Dà GODIMENTO AI BEATI
Stando in cielo, faccio l'ufficio di avvocato per gli
uomini presso il divin Padre. Di tale ufficio godono molto anche le anime beate,
per il desiderio ardente in esse che tutti gli uomini si salvino ed entrino in
cielo a godere la stessa beatitudine che esse godono. Faccio anche godere a
tutti i beati la visione reale della mia umanità glorificata, la quale apporta
ad essi un gaudio inesplicabile. Mostro loro i tesori immensi di tutte le grazie
che in me ha depositato il divin Padre, nei quali, per essere immensi, sempre
più vi è di che ammirare. Vedono l'amore immenso con cui amo il divin Padre
ed il Padre ama me; e sentono un sommo godimento, nel vedere che vi è in cielo
uno, della natura umana, che ama Iddio quanto merita di essere amato; e che,
essendo uomo, è anche Dio per l'unione ipostatica con la natura umana: di
questo provano un piacere ed un gusto inesplicabili.
Tale loro godimento è sempre nuovo, perché sempre intendono
nuove grandezze di questo amore, che, per essere infinito, riesce inesauribile,
rimanendo sempre da intendere cose infinitamente sublimi ed inenarrabili. Vedono
il godimento che sopra di me si prende il divin Padre ed il sommo compiacimento,
e ne provano un nuovo giubilo e gaudio. Vedono svelatamente i segreti del mio
Cuore, volendoli io trattare come miei cari amici. E di questo sentono una
soddisfazione ed una contentezza immensa. Vedono, con tutta chiarezza, l'amore
infinito con cui io li ho redenti a costo del mio sangue, e per tanto amore
sentono un sommo compiacimento, intendendo a qual segno io li abbia amati; e
godendo di vedermi tutto amore per essi. Faccio loro anche vedere, come sto
sempre rendendo grazie al divin Padre, per il bene immenso che ad essi ha
partecipato, lodandolo e ringraziandolo con nuove e sublimi lodi: anche di
questo sentono sommo godimento, vedendo che vi è chi per essi lo loda e lo
ringrazia, quanto egli merita di essere lodato e ringraziato. Faccio loro udire
un'intima locuzione, narrando quanto in essi mi compiaccio, e con scambievoli
affetti ci stiamo godendo, cioè: io godo della gloria e del bene immenso che
essi godono, e con essi me ne congratulo, ed essi godono della mia esaltazione,
delle sublimi grandezze e dei tesori immensi che in me ha depositato la
divinità. E benché la visione e fruizione divina sia il loro Paradiso e il
loro gaudio immenso, con tutto ciò, grande ed inesplicabile è il godimento che
faccio e farò sempre gustare alle anime beate, facendo loro vedere la
comunicazione dei beni immensi ed i tesori infiniti che sono fra me ed il Padre;
e molto più si renderà loro dilettevole il godimento della mia umanità
glorificata, in quanto che questo non impedirà loro, anzi, accrescerà il loro
gaudio nella fruizione e nella visione della divinità.
Dopo il finale giudizio, quando saranno riempite di anime le
beate mansioni, e per essere finita l'umana generazione, non avrò da far più
l'ufficio di avvocato per gli uomini, presso il divin Padre, ed il tesoro dei
miei meriti non si avrà più da offrire in remissione e soddisfazione dei
peccati, farò vedere in cielo questo grande tesoro a tutte le anime beate, e
farò loro capire ed intendere il suo valore; ed esse ne sentiranno un godimento
inesplicabile, come di cosa loro propria, avendo io fatto loro questo dono con
somma liberalità. E se allora non farò più l'ufficio di avvocato presso il
Padre, perché non vi sarà bisogno, essendo arrivate tutte le anime giuste al
possesso della eterna beatitudine, farò però un altro ufficio, per tutti i
beati, che sarà di loro sommo godimento, cioè l'ufficio di rendere per tutti
le dovute grazie al divin Padre, per tutti i benefici ad essi compartiti, ed il
congratularmi con essi della felice sorte loro toccata. Ed in tutte le cose che
farò per loro, avranno sempre un nuovo godimento, perché vedranno come
opererò in nuove maniere, sempre più eccellenti e sublimi; e per la divinità,
che è a me unita, darò loro godimenti nuovi, e ciò per tutta un'eternità.
Ad essi sembrerà essere sempre il primo momento in cui incominciò il loro
gaudio, e saranno sempre più beati e contenti.
Ciò che poi godranno i beati per la visione di Dio, cioè,
della Trinità, Dio uno in essenza e trino nelle persone, lo vedrai, quando
anche tu avrai la sorte di giungervi, se sarai fedele al tuo Dio, e se imiterai
me, tuo Redentore, seguendo gli esempi che ti ho tracciato, e con tanto amore
insegnato. Quello che ti ho narrato circa il godimento che darò alle anime
beate, è molto poco in paragone di quello che è veramente in se stesso,
parlandoti io secondo la tua rozzezza e poca capacità. Con tutto ciò, da
questo potrai intendere qualche cosa del molto che farò in godimento delle
anime beate.
CAPO VENTISEIESIMO
Di ciò che sta continuamente operando il Figliuolo di Dio
nel SS. Sacramento, per gloria del divin Padre a beneficio degli uomini.
AMORE RIPARATIVO ED ESPIATIVO
Stando nel Sacramento dell'Eucaristia, sotto le specie del
pane e del vino, secondo la promessa fatta ai miei discepoli, di starvi sino
alla consumazione dei secoli, mi trattengo in questo Sacramento con mio sommo
compiacimento e gusto del divin Padre, appagando con ciò l'amore immenso che
porto agli uomini. Perciò sto amando continuamente con un amore infinito, il
divin Padre, e questo amore glielo offro in nome di tutto il genere umano,
supplendo, con l'infinito mio amore, a quello che egli viene negato dagli
uomini, ed al mancamento dell'amore e dell'ossequio che gli negano tante
infami e scellerate sette di idolatri e di nemici della vera Fede. Da questo
amore che sto continuamente offrendo, il Padre ne riceve un sommo gusto e
compiacimento, restando appagato e soddisfatto l'amore infinito che egli porta
al genere umano. Gli sto poi offrendo le mie virtù e perfezioni, in supplemento
di quelle che non vogliono esercitare le creature, e di tutte le imperfezioni
che esse vanno continuamente commettendo. Così resta appagata il desiderio che
il divin Padre ha che tutti siano perfetti. Per le molte e gravi colpe che si
commettono continuamente dagli uomini,gli offro il dolore e la contrizione che
ebbi nell'Orto del Gethsemani, la notte che incominciò la mia passione: e gli
offro anche tutti i miei meriti, il mio Sangue, sparso con tanto amore, in
sconto di tutte le offese che riceve. Così si va placando la divina giustizia,
continuamente irritata, e mentre di notte e di giorno tanti lo stanno offendendo
ed oltraggiando, io per tutti lo sto lodando, benedicendo ed amando, dandogli
sommo godimento e soddisfazione. Sto poi trattando col divin Padre circa la
salute di tutti in generale e di ciascuno in particolare, impetrando a tutti, i
lumi e le grazie necessarie per la loro eterna salute. Quante volte andrebbe il
mondo in precipizio ed in rovina, se io non trattenessi i castighi, e non
placassi l'ira paterna! Questo lo sto facendo continuamente, perché continue
e gravi sono le offese che il divin Padre riceve dagli uomini. Quanti mali e
quante disgrazie impedisco che succedano nel mondo! E se permetto che venga
qualche castigo sopra gli uomini, tutto faccio perché questi si ravvedano e
facciano penitenza, onde non cadano sopra di essi castighi maggiori. Tutte le
opere buone che si fanno dalle anime giuste, io le unisco con i miei meriti, e
le offro al Padre, impetrando molte grazie a chi le fa. Le molte e gravi offese
che ricevo in questo divin Sacramento, le soffro con pazienza e longanimità, in
virtù della mia carità ardente, che per essere infinita è maggiore di tutte
le offese. E perché ne resta molto offeso il divin Padre, gli offro la mia
pazienza ed il mio ardente amore, perché si plachi e non castighi le molte
offese, che quivi ricevo, con i castighi che meritano; ma le castighi con
paterno amore e in. modo soffribile all'umana fragilità. Quando poi il divin
Padre è forzato dall'umana malizia a mandare castighi e flagelli, io sempre
li sto riparando e diminuendo, pregando il Padre di degnarsi, col castigo, di
inviare anche l'aiuto della sua grazia, affinché chi è castigato, soffra con
pazienza, in sconto dei suoi errori. Sto anche rimirando i peccatori con grande
compassione, impetrando loro dal Padre lumi e rimorsi di coscienza. Perché si
convertano, rivolgo loro chiamate ed inviti a far penitenza, pregando il Padre
di mandar loro le occasioni e egli aiuti necessari, perché si ravvedano.
Dà GRAZIA
Non passa momento che io non comparta grazie a tutti in
generale ed a ciascuno in particolare. Poso lo sguardo con gusto particolare su
tutte le anime fedeli ed amanti, le quali mi ossequiano in questo Sacramento.
Queste le ricolmo di grazie, facendo loro gustare la dolcezza dell'amor mio,
nel ricevermi, sacramentato, nelle anime loro. Con esse mi unisco intimamente,
trovando le mie delizie. Queste accarezzo, come cari amici e fedeli amanti:
manifestando loro i segreti del mio Cuore; con queste mi trattengo amorosamente
e le ricolmo di grazie e di benedizioni. Oh, quante grazie ottengono le anime
giuste, nel ricevermi sacramentato! Sto poi con ardente desiderio di comunicarmi
alle anime giuste, per riempirle di doni, di favori e di grazie, e non manco di
ispirarle ed invitarle a venirsi a cibare di me, loro vero cibo e conforto. Le
anime poi delle mie spose, care e dilette, mi danno un sommo gusto e
compiacimento nell'accostarsi a me, nel ricevermi sacramentato. Tale gusto l'offro
al Padre in nome loro, ed esse ricevono dal Padre molte grazie, e sono rimirate
con grande amore; da me poi son trattate familiarmente. Come Sposo amante mi
manifesto loro con chiarezza, e quanto più sono capaci e disposte, tanto più
le ricolmo di grazie e le arricchisco di meriti. Sto poi con sommo gusto ad
udire tutte le suppliche, che ivi mi sono fatte, e tutte le grazie che mi si
domandano, e quelle che sono per la salute delle loro anime, non tardo molto a
dispensarle. Sto anche abbattendo continuamente le furie dei nemici infernali,
che hanno una grande possanza nel mondo, dandola loro gli uomini con la loro
mala vita, e assoggettandosi al loro dominio, per mezzo delle molte e gravi
colpe che commettono. Questi spiriti ribelli, sono da me flagellati e tenuti a
freno; altrimenti, quanti grandi mali farebbero nel mondo, specialmente sopra
quelli che si son dati in loro potere! E nei ricevermi, le anime giuste nel
divin Sacramento, ricevono da me una grazia ed una fortezza particolare, per
combattere contro questi spiriti ribelli, ed anche per vincere tutte le loro
passioni ed appetiti sensuali. Infatti, tutti gli aiuti generali e particolari
comparto alle anime che mi ricevono, stando in grazia. Ed a coloro che mi
ricevono con rea coscienza i quali commettono una più grave colpa uso la grande
misericordia di non castigarli allora con la morte e con l'eterna dannazione,
come meritano, ma li sopporto pazientemente e li aspetto a penitenza.
LA PUBBLICA ESPOSIZIONE ED ADORAZIONE
Godo molto di stare esposto alla pubblica venerazione, ed in
quel tempo più che mai, comparto le mie grazie e porgo le suppliche al Padre,
per tutti coloro che mi stanno devotamente adorando e supplicando. E bene spesso
avviene, che mentre io sto alla pubblica venerazione, trattengo dei gravi
castighi, che il divin Padre sta per fulminare. In tale occasione, egli presento
le orazioni e le suppliche delle anime giuste, unite con i miei meriti, ed il
Padre si placa. Sto poi esercitando la mia immensa carità verso tutti coloro
che, stando alla mia presenza, mi offendono con gravi colpe ed irriverenze,
sopportando pazientemente le gravi offese, e supplicando il Padre di non
castigarli, ma di illuminarli, facendo conoscere il loro grave errore. Sto qui
veramente esercitando sempre la mia infinita bontà, con amore, e carità
immensa; non vi è chi non riceva in qualche modo grazie, favori e benefici
particolari: chi è ricolmato di bene, chi è liberato dal male. Non si trova
alcuno che, adorandomi in questo Sacramento, con il dovuto ossequio, non sia
stato da me beneficato, sia nell'anima, come nel corpo; perché io, in questo
Sacramento, do propriamente il cento per uno, cioè, per ogni piccolo ossequio,
ricolmo l'anima di benedizioni e di grazie; e benché ciò non sia da essi
conosciuto, verrà poi il tempo in cui tutto vedranno chiaramente. Le lodi poi
che si cantano dalle creature, specialmente dai miei servi, alla presenza mia,
le unisco con le lodi che continuamente
do al mio divin Padre ed a Lui le offro a nome di tutta la
Chiesa, specialmente a nome di coloro che mi stanno lodando e supplisco con i
miei meriti a tutte le mancanze ed imperfezioni che vi commettono. Gode molto il
divin Padre nel ricevere queste lodi, unite con i miei meriti, e dispensa molte
grazie a chi le recita. Quando poi il divin Padre sta irato con il mondo, in
atto di fulminare grandi castighi, io mi presento con tutti i miei meriti,
dicendogli che, avendo Egli nel mondo l'unigenito Suo amato Figlio, deve
perdonare, per suo riguardo, all'umana malizia e pazientare, aspettando tutti
a penitenza; ed il Padre, rimirandomi con infinito amore e compiacimento, si
placa, e si mostra tutto benigno e misericordioso; io allora, a nome di tutti,
lo ringrazio. Spesso gli vado replicando: Padre mio, rimirate qui il vostro
diletto Figlio, e si plachi il vostro sdegno! Ed il Padre ode con sommo gusto
queste mie voci ed io di ciò lo lodo, lo benedico e lo ringrazio.
GESù NOSTRO TUTTO
In questo Sacramento poi io sono cibo e bevanda per le anime
che di me si nutrono, saziandole di beni e facendo venir loro a nausea tutti i
piaceri mondani. Sono medico e medicina; sono Maestro, istruendo amorosamente le
anime che degnamente mi ricevono. Sono conforto, consolatore, benefattore; sono
luce; sono via, verità e vita. Sono consigliere, direttore, pastore; sono
Padre, fratello e sposo; amico fedele, compagno amoroso. Signore liberalissimo,
dispensatore dei tesori e delle grazie. E tutti questi uffici li vado
esercitando con amore e carità immensa. Essendo poi questo Sacramento, un
mistero, dove spicca mirabilmente la fede, io, quivi trattenendomi sacramentato,
vado sempre confermando i fedeli, acciò sempre sia viva e stabile la fede,
spandendo di essa i lumi per tutto l'universo; in modo che non vi è parte del
mondo, dove non si trovi qualche persona che professi la vera fede. Quantunque
le nazioni siano barbare ed infedeli, pure vi sono cuori che professano la vera
fede, ed io a questi partecipo grazie speciali ed aiuti mirabili, acciò
crescano sempre più nella fede e nel culto della vera religione.
IL SACRIFICIO
Godo poi sommamente di essere offerto e sacrificato ogni
mattina, innumerabili volte, sul sacro altare, al divin Padre, ed io accompagno
le offerte con quale che feci al Padre mio sull'altare della croce, e rinnovo
per tutti i fedeli le domande che allora feci al divin Padre. Esercito, anche in
questi sacrifici, una somma pazienza ed infinita carità, lasciandomi maneggiare
da mani indegne di cattivi sacerdoti, non castigandoli, come meritano, anzi,
supplicando il Padre di trattenere il castigo, da essi meritato. Esercito poi un
atto di continua obbedienza ai sacerdoti, nel consacrare il mio Corpo ed il mio
Sangue, e obbedendo, prontamente alle loro parole. Questa obbedienza l'offro
al divin Padre, in supplemento di tutte le disubbidienze e i mancamenti degli
uomini. Infatti, sto qui operando continuamente a beneficio di tutto il genere
umano, e dando gloria al divin Padre, lodandolo, benedicendolo, amandolo,
offrendogli tutti i miei meriti, tutte le mie virtù e perfezioni, a nome di
tutti i fedeli, e, come già dissi, impetrando grazie e doni a tutti. Tutto ciò
faccio con mio sommo gusto e compiacimento, appagandosi in questo l'amore
infinito che porto al genere umano, per amar del quale mi feci uomo, mori in
croce, e mi feci anche cibo, in questo Sacramento.
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